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Autore: VandasGirls    17/04/2014    1 recensioni
Si nascose istintivamente dietro ad una delle molte scafallature di libri, prima di parlare con voce piccola e intimidita.
«Chi siete? Un ladro forse? Chiamerò le guardie se così è!» Cercò di darsi un tono, facendo anche la voce grossa sull’ultima frase, ma non uscì dal suo nascondiglio.
Ancora impegnato a fissare il soffitto, Orso sobbalzò, aprendo le mani dinanzi a sé ma non sapendo bene in che direzione voltarsi.
«Nossignora!», esclamò, trattenendo a stento uno strillo. «Sono un imbalsamatore!»

Prima che l'avvetura cominciasse, c'erano due ragazzini in vena di avventure. Prima della Contessa, c'era chi agognava la libertà, anche solo per un giorno, anche solo per assaporarne l'effimera essenza.
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitano Dragonetti, Giuliano Medici, Lorenzo Medici, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note


Buongiorno balde Madonne! (i Madonni non ce li abbiamo, ma ci stiamo lavorando c:)

Come state tutti quanti? Siamo tornate prima del previsto con il primo capitolo, che si svolge a qualche annetto di distanza dal nostro prologo infantile. Avevamo questa parte pronta già da tempo, aspettavamo soltanto il momento giusto per impiegarla ;D

Ebbene, ecco il primo vero incontro!


Un bacione a tutti<3





Quant'è bella giovinezza

Capitolo primo







Firenze, 1474


“Fermatelo! Fermate quel ragazzaccio!”
Orso di Vallesanta fuggiva.
La folla s’apriva a ventaglio al suo passaggio, ma nonostante questo, Dragonetti non riusciva a star dietro al giovane che stava inseguendo.
Pareva una lepre, tanto correva veloce.
Era facile confondersi tra le persone, nella mattinata fiorentina, quando le bancarelle cariche di ogni varietà di oggetti o cibo possibili infestava tutta la via sino a Ponte Vecchio.
Eppure, l’uomo che stava gridando, ovvero Giancarlo de Lorenzi, non lo perdeva d’occhio permettendo così anche al Capitano delle Guardie della Notte di stare al passo.
Scansò uno dei suoi gendarme, che s’era fermato ad aiutare una povera vecchia che era caduta, probabilmente spintonata, e sbucò a Piazza della Signoria.
Sogghignò divertito.
Chiunque fosse quel giovane, era uno stolto: era arrivato sin quasi al Bargello. Voltando la via oltre  Palazzo Vecchio, si sarebbe scontrato con almeno venti soldati, dato che il reggimento di Quartone stava per uscire per l’addestramento odierno delle reclute.
“Mi dispiace!”, gridava intanto il fuggitivo, saltando da una parte all’altra della strada ed evitando con maestria i gomiti dei passanti. “Non avevo idea che vostra figlia stesse per sposarsi!”
Si buttò a terra per schivare una manata in pieno volto e scattò in avanti, prendendo lo slancio su un mucchio di vecchie casse per aggrapparsi a un balcone del palazzo di fronte. Provò ad arrampicarsi fino al piano superiore, ma il peso che si portava appresso tra borsa e spada doveva essere eccessivo, poiché lo trascinò a terra con un tonfo che sollevo un po’ di polvere.
Dragonetti lo raggiunse insieme all’uomo che aveva sporto denuncia, con il fiato corto e le gote arrossate dalla corsa, ma un sorriso trionfante sul viso.
“Siete stato preso, arrendetevi!” disse, guardandolo arrancare per rialzarsi e tentare di correre verso l’ingresso della sede del tribunale giudiziario.
Di bene in meglio, entrare a Palazzo Vecchio significava entrare in galera, visto che la cima della torre era adibita ai prigionieri.
“Voi non siete abbastanza famoso per venir portato lassù” lo schernì Dragonetti, mentre un paio di dame uscivano dall’ingresso, scappando alla vista. “Il Bargello sarà la vostra casa, da oggi!”
Emettendo uno squittio carico di spavento, il ragazzo si buttò sullo scalone di destra, inciampando nei primi gradini ma recuperando subito sia equilibrio che velocità.
Percorse ancora un paio di metri e poi venne intercettato da un paio di guardie armate di spadoni.
Fu allora che, ormai paonazzo per la corsa e la paura, si buttò contro una giovane dama di passaggio, cingendole i fianchi con mano tremante per poi puntarle alla gola il coltello che aveva legato al cinturone.
“Non un passo!”, gridò, anche se più che un ordine pareva una misera supplica. “Altrimenti le faccio del male!”
Praticamente l’intera piazza trattenne in respiro.
Lo stesso Dragonetti sentì mancargli il fiato, dinnanzi a quella vista. De Lorenzi fece un passo indietro, prima di guardare  beffardo il povero Orso “Credete di poter risolvere qualcosa così, stolto?” domandò carico di ironia, mentre il Capitano della Guardie bloccava i suoi uomini con un cenno.
“Fossi in voi lo ascolterei.” Decretò la dama, presa ad ostaggio, con tono piuttosto pacato nonostante la sua situazione “Non credo che io possa servirvi a molto”
Il ragazzo la strinse a sé, cominciando a scendere verso la piazza.
“Mi dispiace”, borbottò, scacciando quella che poteva essere una lacrima. “Niente di personale, davvero”. Nella sua voce, tremante quanto quella di un bambino che ha perso la madre al mercato, non c’era traccia di cattiveria.
“Dico davvero!”, riprese, camminando nella piazza seppur tenendosi a debita distanza da Dragonetti. “Lasciatemi andare o le farò del male!” Fece una pausa. “Sul serio!”
La giovane ragazza scese insieme a lui, attenta a non inciampare nel vestito e curandosi che nemmeno quel goffo ragazzo rischiasse di scivolare su di esso.
Scostò i capelli bruni dal viso, appoggiando una mano su quella di Orso, saldamente appoggiata al suo fianco, e ruotò quando possibile il volto per poterlo guardare negli occhi.
“Voi non siete di Firenze, vero?”  domandò, anche se sapeva benissimo la risposta. Si sentiva dall’accento. “Capitano Dragonetti, lasciatelo andare. Che male può mai aver fatto?”
La vena sulla tempia di Dragonetti prese a pulsare, a quelle parole “Madonna.” Sussurrò paziente, come se stesse parlando con una bambina “Ha deflorato una giovane ragazza, stamane, ha opposto resistenza e ora ha preso voi in ostaggio.”
“Senza contare la testa di coniglio che ha rubato da una bancarella l’altro ieri” si intromise una delle guardie, saccente.
Il Capitano lo guardò “Grazie, Baraldi. Come vedete, Vostra Grazia, ha commesso troppi errori per passarla franca! Devono, quando meno, amputargli le mani o i genitali!”
Il ragazzo allentò la presa sul fianco della ragazza, irrigidendosi a sentir nominare l’amputazione di qual che fosse arto.
“Vo …” cominciò, arrossendo vistosamente quel tanto che bastava perché il coltello che stringeva tra le mani prendesse a tremare tre le sue dita. “Vostra grazia?”
Passò lo sguardo su Dragonetti, poi su tutte le guardie, infine sul suo ostaggio.
“Chi ho catturato?”
La giovane sorrise, divertita dall’espressione sul volto del povero ragazzo, e fece per rispondere.
Una voce si impose su ogni altra però, proveniente dal cuore dalla folla, laddove tutti si scansavano a causa di spintoni e imprecazioni
“Mia sorella!” ruggì autoritario, sbucando alla destra di Dragonetti. Un ragazzo ben piazzato, sulla ventina, con gli occhi ardenti d’ira, fece qualche passo rapido verso Orso, estraendo la spada.
Un uomo anziano lo seguì, guardando agghiacciato la ragazza “Oh! Beatrice!” disse, rischiando di svenire.
“Sto bene!” si sbrigò a dire la ragazza, alzando le mani e agitandole “Becchi, sto bene! Giuliano, metti via la spada, così non risolverai nulla!”
A quel punto, venne fatta del tutto libera.
Il rapitore mollò ogni tipo di presa sui suoi fianchi, arretrando di almeno cinque passi con un balzo.
“Mi dispiace!” gridò con voce strozzata, lasciando cadere a terra persino il coltello con il quale l’aveva minacciata. “Non era mia intenzione, davvero!”
E da lì si diede a una fuga disperata, poco realizzabile e quasi suicida, vista la fila di guardie che lo circondava.
Un paio di uomini di Dragonetti lo afferrarono, costringendolo ad inginocchiarsi a terra. Uno di loro lo afferrò per i capelli, facendogli alzare il capo verso Giuliano, affinché lo vedesse bene, mentre camminava verso di lui.
“Razza di maniaco, ti insegno io a toccare una de’Medici!” ringhiò rabbioso come mai,guardando i due uomini “Mani avanti! Senza di esse imparerà a portar rispetto a chi lo deve!”
A quella vista, Beatrice raccolse l’ampia gonna alzandola fin sopra al ginocchio. Corse davanti a Giuliano, imponendosi tra lui e Orso e allargando le braccia per non farlo avvicinare “Ma non lo vedi?” disse, guardando il fratello negli occhi “Questo povero ragazzo è terrorizzato! Per l’amor di Dio, Giuliano, non poi tagliargli le mani, nessun uomo può vivere senza! Come potrebbe lavorare, poi?”
“Mia signora, è un ladro” si intromise Dragonetti, ma lei lo zittì.
“Quando vorrò la vostra opinione, Capitano, la domanderò.”
“Non sono un ladro”, piagnucolò il prigioniero, dondolando il capo con aria affranta. “La testa del coniglio mi serviva per chiudere il lavoro con il cane di Ferrara … l’avrei pagata più tardi!” Si voltò a guardare la ragazza che fino a poco tempo prima era il suo ostaggio. “Per favore, dovete credermi! Non era mia intenzione fare del male ad alcuno!”
Lei lo guardò, annuendo piano nella sua direzione. Giuliano, invece, non parve persuaso “Le mani, ho detto” disse, spingendo da parte Beatrice con nemmeno troppa gentilezza “Vai a casa, Bea! Non voglio che tu veda cosa sta per succedere.”
La giovane lo guardò seriamente offesa, prima di voltarsi verso Dragonetti.
Con un gesto rapido, prese la spada del Capitano, colpendo quella del fratello poco prima che essa si abbattesse sui polsi di Orso.
Beatrice avanzò, guardando il fratello con gli occhi lievemente assottigliati “Non devi darmi ordini, lo sai che posso umiliarti nella pubblica piazza quando voglio.”
Questi parve un poco stupito, inizialmente, ma poi passò al contrattacco “Beatrice, non sei ancora abbastanza brava!”
Un giro su se stessa, un affondo schivato. La ragazza gli tenne testa per qualche minuto mentre la folla guardava a bocca aperta.
Quando però pesto sulla gonna, la poverina cadde sul sedere “Mi appello al diritto di un processo!” gridò, indicando Orso “Così come prevede lo statuto cittadino, nessuno può venir punito se prima non viene processato!”
Giuliano sbottò un’imprecazione mal celata, alzando gli occhi al cielo, prima di riabassarli sulla sorella minore “Perché ti dai tanta pena per uno straccione?”
Lei, ancora seduta a terra, fissò le iridi chiare di Orso “Perché io credo nella sua innocenza.” Mormorò, prima di accettare la mano del fratello. Si sistemò il vestito, prima di guardare Dragonetti, mormorando a malincuore “Portatelo al Bargello.”
Orso si tirò appena sulle ginocchia, inspirando quella poca aria che il suo respiro affannato gli permetteva di raccogliere.
“Vi ringrazio”, mormorò, rivolto alla sua benefattrice, mentre le guardie lo trascinavano verso il Bargello. “Con tutto il cuore!”
Continuò ad alternare frasi di ringraziamento a risolini nervosi fino a che non fu troppo lontano per farsi udire. Dopodiché, fu difficile stabilire se si decise a zittirsi o se semplicemente la folla coprisse la sua voce.







Nonostante fosse nata e cresciuta in quella città, Beatrice non aveva mai varcato le porte della prigione nemmeno una volta.
Ne per passare a salutare un conoscente o per un processo, non si era mai recata in quel luogo dimenticato da dio. Quanto meno, dimenticato dall’igiene minima.
Portò la manica che profumava di lavanda al naso, passando davanti ad ogni cella. Sentì fischi e schiamazzi nella sua direzione ad ogni passo, ma non se ne curò.
Dragonetti, che la scortava, non sapeva se ridere della situazione o tenere quel mutismo offeso. “State facendo un errore” disse, fermandosi davanti alla cella prescelta.
“Ancora opinioni non richieste” elargì lei, sorridendogli.  Lui aprì la cella, tirando il prigioniero giù dalla branda e poi scortando fuori l’uomo che divideva con lui la gattabuia.
“Madonna.” Disse il Capitano, lasciando la cella aperta e allontanandosi.
“Arrivederci.” Disse lei, prima di appoggiarsi alle sbarre, guardando Orso “Bentrovato, messere. Mi è sfuggito il vostro nome, mentre osservavo la mirabile fattura di questo” prese da sotto il vestito il pugnale, guardandolo.
Lui si sciolse in un sorriso timido, affondando le dita nella stoffa sporca della camicia.
“Orso”, pigolò, inchinandosi profondamente dinanzi alla sua figura. “Orso di Vallesanta.” Rimase fermo un istante a guardare Beatrice, incerto se continuare o meno la sua presentazione, dopodiché il suo sguardo castano si spostò sul pugnale che la ragazza stringeva tra le mani. “Era di mio padre”, spiegò, drizzando le spalle con fare vispo. “Un regalo da Cipro”.
Saltellò da un piede all’altro e mostrò l’ennesimo sorriso.
Lei rispose con altrettanta gentilezza “Cipro?” domandò con curiosità “Per caso siete figlio di un mercante?”
Aprì la porta della cella, entrando con lui e camminando fino ad una panca di legno.
Si sedette, tirando indietro la gonna ampia del vestito bianco, prima di far segno al giovane di mettersi con lei.
“Mi scuso per non essermi ancora presentata, ma forse avete captato il mio nome prima, visto che mi hanno chiamata tutti” lo guardò, mentre un paio di ciocche di morbidi capelli scuri scivolavano in avanti, nonostante le sottile ghirlanda di fiori rossi che teneva sul capo “Beatrice de’Medici. È un piacere conoscervi, Orso di Vallesanta.”
Insieme alla sua amicizia, la giovane gli porse anche il pugnale, tenendo appoggiato sulle mani,con fare aggraziato.  
“Tanto lieto.”
Orso si avvicinò mostrando tutto fuorché mal disposizione, accettando di buon grado di ritornare in possesso del suo pugnale. Lo prese tra le mani e gli fece fare una rapida piroetta, mancando la presa all’ultimo e guardandolo cadere a terra con un tonfo sordo.
“Mio padre lo ha portato da uno dei suoi viaggi”, spiegò, chinandosi per raccogliere l’arma. “Lui è, era, un artigiano. Gli piaceva visitare nuovi luoghi in cerca di ispirazione.”
Beatrice portò una mano alla bocca, trovandolo tenero quel suo modo così goffo.
“Deve essere bellissimo viaggiare e vedere luoghi così lontani. È uno dei miei grandi sogni, ma posso assicurarvi che vivere a palazzo o vivere al Bargello non cambia molto per me.”
Passò gli occhi sul vestiario del giovane, prima di corrugare appena la fronte “Non avete l’aria di una persona che mangia molto, però. Siete per caso andato via di casa? Senza contare che nel vostro accento sento qualcosa di straniero, messer Orso. Perdonate tutte queste domande, ma vorrei che sfamaste la mia curiosità: che affari vi portano in Fiorenza e da dove provenite?”
Orso ridacchiò.
“Da Vallesanta”, rispose, annuendo con convinzione. “Anche se sto a Roma, adesso. La mia famiglia se l’è presa la morte; si fa quel che si può per sopravvivere.”
Ficcò le mani in tasca e si perse un minuto a frugare, estraendo poi il pugno chiuso. Si avvicinò a Beatrice e lo aprì, mostrando al suo interno due minuscoli scheletri che avrebbero potuto benissimo essere umani, se non fosse stato per le dimensioni più piccole di quelle di una vespa. Avevano anche le ali, piccole e ovali come quelle delle mosche, aperte sulla schiena quasi le creature stessero per prendere il volo.
La mora si sporse in avanti, guardando quelle due piccole sagome, socchiudendo appena le labbra con meraviglia “Sono fate?” domandò con un fil di voce, allungando in via sperimentale un indice per poterne sfiorare uno.
Non sapeva più cosa aspettarsi da quello straniero che pareva recare con sé meraviglie senza pari. Riportò gli occhi in quelli chiari di Orso, crucciandosi appena “Devo per caso stare in guardia? Non sembrate pericoloso, io invece vi ho dimostrato di essere abile con la spada.”
Orso rise, muovendo appena gli scheletri nell’ampio palmo della sua mano.
“Non c’è nulla di cui aver paura”, spiegò, avvicinandosi a Beatrice. “Le ho costruite io stesso con qualche radice e un gentile insetto che ha donato zampe e ali”. Tremò appena, scuotendo le fate nella sua mano. “Potete toccarle, se volete. Non vi faranno alcun male.”
Beatrice aprì la mano, permettendo a Orso di svuotarvi dentro i due piccoli esseri. Lei li studiò con interesse, attenta a non rovinare quelle opere così accurate.  
“Siete incredibilmente abile con le mani” commentò, restituendole al suo proprietario con cura.
Voltò il capo verso la porta della cella. Una guardia li guardò in cagnesco, prima di riprendere a scribacchiare qualcosa, seduto alla scrivania di Dragonetti.
“L’avevo capito, in piazza, che eravate sincero.” Sussurrò con voce delicata, abbassando gli occhi sulle sue mani, appoggiate alle ginocchia “Non parete un brigante, Orso, i vostri occhi sono onesti.”
Lui le rivolse uno sguardo docile, senza però rispondere a voce. Restò per un istante in silenzio a guardarla, quasi rapito da tanta gentilezza nei suoi confronti, poi parve farsi coraggio e riuscire a mettere insieme una frase.
“A quale punizione sono stato designato?”, chiese, timoroso persino nel sentirsi dare una risposta. “Morirò velocemente, oppure resterò qui a marcire a vita?”
“Invero o qualcosa di diverso in mente per voi, messere” Si alzò in piedi, porgendogli la mano e attendendo che la afferrasse, prima di tirarlo con sé verso la porta. “Voi siete un uomo libero, Orso.”
Aprì del tutto la porta, che cigolò pesantemente, prima di indicarla a lui con un cenno ampio del braccio, mentre la varcavano.
“Da oggi in poi siete considerato mio ospite, qui in Fiorenza.”
Dragonetti, a quelle parole, scrollò il capo, brontolando burbero qualcosa che però i due giovani non sentirono.
Orso seguì Beatrice all’esterno delle prigioni, diffidente all’inizio a quella notizia ma sempre più convinto man mano che si lasciava la cella alle spalle. Ritornò a vedere il sole di Firenze che ormai pareva essersi del tutto dimenticato dove aveva passato quasi un’intera giornata.
“Vi ringrazio”, disse, una volta che ebbe ispezionato la piazza attorno a sé. Prese le mani di Beatrice tra le sue, rivolgendole un sorriso pieno di gioia e commozione. “Questa è la seconda accortezza che mi riservate, cosa posso darvi in cambio?”
Lei strinse a sua volta quelle mani, guardando alle spalle del giovane e poi alle sue, sussurrando pianissimo “Concedetemi di rivedervi un’ultima volta. Domani, davanti a Santa Maria in Fiore. Faremo un giro della città e vi mostrerò alcuni luoghi che ogni buon fiorentino conosce per bene.”
Decretò la giovane, tenendo il tono sempre più basso mentre arricchiva la richiesta di particolari.
Non chiedeva che un po’ di compagnia, senza contare che quello strano ragazzo aveva destato in lei una certa curiosità.
Orso annuì a ogni sua singola richiesta, sinceramente felice al pensiero di poter godere di nuovo della presenza di Beatrice.
La ringraziò ancora e ancora, prima di allontanarsi veloce verso le vie che si snodavano in fondo al piazzale. Sparì tra la folla quasi subito, lasciando alle sue spalle il solo ricordo del suo sorriso e la sua lieve risata nel vociare di Firenze.



   
 
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