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Autore: Serpentina    17/04/2014    6 recensioni
Lei: ha deciso di dedicarsi anima e corpo al lavoro, nonostante una migliore amica determinata a ravvivare la sua vita sentimentale, "più piatta dell'elettrocardiogramma di un cadavere". Dopo una cocente delusione, ha deciso di fare suo il mantra: "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte".
Lui: strenuo sostenitore del motto "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte". Il suo obiettivo è fare carriera, non ha nè tempo, nè voglia di perdersi dietro ai battiti di un organo che, per lui, serve soltanto a mandare in circolo il sangue.
Così diversi, eppure così simili, si troveranno a lavorare fianco a fianco ... riusciranno a trovare un punto d'incontro, o metteranno a ferro e fuoco l'ospedale?
Nota: il rating potrebbe subire modifiche.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'United Kingdom of Faith'
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Pasqua si avvicina, ma non porto uova o colombe… delusi?
Dedico questo capitolo a chiunque abbia un partner incapace di ribellarsi a sua madre. XD
Grazie a Bijouttina, elev e Faith00, che mi lasciano sempre un commento, e a dindina89, elibocci e lore1307, che hanno inserito la storia tra le seguite.
Enjoy e (in anticipo) buona Pasqua!

 



Incontro tra titane




“Il bacio non è che un morso addomesticato.”
Antonio Castronuovo
 
Non appena mise piede in casa, Franz accese il cellulare, che aveva tenuto spento fino a quel momento per evitare interferenze durante il tentativo di scusarsi con la Irving. Trovò dieci chiamate perse; una di suo fratello, nove… di sua madre.
Decise di richiamare: conoscendola, per quell’ora doveva aver già allertato la polizia.
“E’ troppo apprensiva, gliel’ho sempre detto”.
–Mamma?
–Kind!- strillò una voce femminile all’altro capo del telefono. –Dove ti eri cacciato? Mi farai morire di crepacuore! Perché avevi il cellulare spento?
–Sono uscito. Sono vivo e vegeto, puoi rimandare il viaggio di sola andata per l’aldilà. Il cellulare era scarico- rispose Franz con assoluta calma.
–Facile parlare, per te. Non sei stato in ansia, tormentato da pensieri terribili su cosa potesse esserti capitato!- sbraitò Gertrud. –Ho disturbato tuo fratello al lavoro, pensa!
–Hai chiamato Xandi?- esclamò Franz, allibito. Ecco spiegata l’altrimenti inspiegabile telefonata di Alexander, allergico alla tecnologia. –Non sopporta che lo si chiami mentre lavora!
–Ero disperata, Kind! Temevo ti fosse accaduto qualcosa di brutto- piagnucolò Gertrud in tono lacrimoso. –Fortunatamente sei sano e salvo.
–Sai com’è, dopo ventinove anni ho imparato qualcosina su come badare a me stesso- sputò lui, sarcastico.
–Oh, Kind, te la sei forse presa?- chiocciò la donna. –Guarda che ho piena fiducia in te e nella tua capacità di badare a te stesso, è di questo mondo sempre più pazzo che ho paura. Sono tua madre, mi preoccupo per te! Sei a casa, ora?
–Sì, e ho intenzione di rimanerci. Devo finire la valigia e scegliere qualcosa di elegante per la cena- esalò Franz prima di gettarsi di peso sul letto, esausto.
A quel punto, Gertrud cambiò completamente atteggiamento; chiocciò, in tono materno –Oh, giusto, la cena con i colleghi! Stamani sei uscito a far compere, eh? Puoi dirlo alla tua mamma!
Franz colse al volo quella plausibile piccola bugia e annuì.
–Esatto. Non ho idea di cosa indossare. Non che sia particolarmente vanitoso, ma non voglio sfigurare, sai… con la Eriksson.
–Natürlich! Aber du musst dir keine Sorge machen, Kind: deine Mutter wird dir helfen!
–Was? Nein, nein, du musst still bleiben!- sbottò Franz.
–Entschuldigung, una madre non può restare indifferente a una richiesta d’aiuto- replicò Gertrud. –Prendo in mano le redini, Kind. Ti senti più tranquillo?
–A dire il vero… mi sento sull’orlo di una crisi di nervi- esalò Franz, ma sua madre lo ignorò e pose fine alla conversazione.

 
***
 
Tornata a casa, Faith vide i regali di Weil sul tavolo e l’attraversò un inspiegabile moto di stizza. Si sedette alla scrivania, portando gli occhi al livello di quelli di Agatha, beatamente acciambellata su un libro aperto, e sbuffò –Perché mi ha fatto dei regali? Perché? Io non gli ho preso niente, e ho fatto la figura della perfetta bifolca! Accidenti a lui! Non mi resta che una possibilità: prendergli un regalo e portarglielo oggi pomeriggio... fortuna che so dove abita!- Agatha emise un acuto miagolio di approvazione, Faith ricambiò grattandole la testolina e proseguì col monologo. –Ok, abbiamo chiarito che devo comprare un regalo a Weil, ma cosa? Sono abituata a fare spese per i miei amici maschi, però dubito che a Weil piacerebbero i regali che ho preso per loro… cosa faccio?- le fusa di Agatha la ispirarono; saltò in piedi ed esclamò –Devo chiedere un consiglio, giusto! Ma a chi? Certamente non a Robert o qualcuno dell’ospedale, mi dissuaderebbero. Forse Bridget… neppure, mi suggerirebbe di farmi trovare impacchettata sul suo letto, e non se ne parla. Abby! Abby è la soluzione! In fondo è sposata, saprà cosa si regala a un uomo… oh, no. No, no, no: conoscendola, impazzirebbe e comincerebbe a cianciare di nozze e probabili nomi per la nostra futura prole. Me misera, me tapina, sono sola in questa impresa- la gatta prese a rotolarsi sulle pagine aperte del libro, suscitando le risate di Faith, che si armò di pazienza e neuroni e continuò a pensare alla questione regalo. –Se soltanto lo conoscessi- piagnucolò, disperata. –Invece di lui non so un cavolo di niente, a parte che è un medico, amante degli sport estremi e proprietario di una moto che venera come una fidanzata in carne ed ossa.
Pensa che ci ripensa, arrivò ad una soluzione: a costo di dissanguarsi, gli avrebbe fatto un regalo di Natale degno di questo nome!
Animata da rinnovata energia, si precipitò in strada, sperando che l’istinto la guidasse verso la scelta giusta.
Scartò a priori libri, dvd e cd: film e canzoni erano facilmente scaricabili, e i libri, secondo lei, erano un regalo troppo personale. Nello scegliere un libro, per sé o da regalare, metteva l’anima, e non le andava di donare un pezzettino della sua anima a quell’antipatico.
Entrò in un negozio di abbigliamento maschile, dove diede un’occhiata generale, scartando cravatte - non in sintonia con lo stile studiatamente casual di Weil- e sciarpe - quelle tinte pastello le sembravano più adatte a Jeff-.
Era in procinto di riprendere la ricerca, quando una sconosciuta la fermò.
–Scusi, signorina, posso chiederle un favore?
–Se posso esserle utile- rispose Faith, disarmata dallo sguardo implorante della donna. Per un attimo, ebbe l’impressione che i suoi occhi avessero la stessa forma di quelli di Franz, ma si convinse che era un’illusione ottica.
–Grazie, è davvero gentile- squittì l’altra, deliziata. –Vede, sto cercando un completo elegante per mio figlio e, siccome mi sembra giovane…
“Sembro giovane? SEMBRO? Beh, tu sembri una brutta, vecchia tettona!... Ok, tettona no, non posso permettermi di pensarlo di nessuna, però… brutta vecchia! Ecco!”
–Non credo di essere la persona più adatta a dare consigli in materia di moda- replicò Faith, mettendosi sulla difensiva.
–Tranquilla, ho già scremato i due finalisti, deve solamente rispondere a una domanda: quale le sembra più.. sexy?
–Sexy?- esalò Faith, esterrefatta. Provò a immaginare Franz in quei due completi meravigliosi e rispose –Ehm… direi… il secondo, quello grigio chiaro.
–Perfetto- cinguettò la donna, per poi aggiungere –Allora prendo l’altro!
–Prende l’altro?- ringhiò Faith, sentendosi presa in giro. –E’ assurdo! Che motivo ha di acquistare un capo che non sta bene a suo figlio?
–Ha figli?
“Ma anche no!”
–No.
–Quando ne avrà, capirà. Il mio è un bel ragazzo, non voglio riceva troppe… attenzioni, se capisce cosa intendo. E’ ora che metta la testa a posto, si è divertito a sufficienza.
Faith, sconcertata da quel discorso così medievale, la osservò dirigersi alla cassa, quindi tornò a dedicarsi alla sua personale missione regalo.
 
***
 
Aveva da poco iniziato a prepararsi per la sera, dopo un’incursione di Führer Rose (“Può una madre non intromettersi nelle scelte estetiche di sua figlia?”), quando il campanello l’avvisò dell’arrivo di ospiti inattesi… e che ospiti!
–Bridge? Ab? Cosa ci fate qui?- esalò, sconvolta.
–Bridge ha avuto un’idea- rispose Abby, per poi correggersi a seguito di un’occhiataccia dell’amica. –Ok, io ho avuto un’idea, e l’ho coinvolta.
–E questa idea non poteva aspettare?
–No, altrimenti non saremmo qui.
–Io dovrei essere dal massaggiatore, infatti- ringhiò a denti stretti una malmostosa Bridget.
–Un massaggiatore è più importante della felicità di una delle tue migliori amiche?- la rimbeccò Abigail.
–Il mio sì- replicò Bridget, sistemandosi gli occhiali da sole, che teneva in bilico sulla testa; erano inutili a dicembre, ma li portava perché “fa fashion”.
Faith, stufa dei loro battibecchi, si schiarì la voce e chiese –Insomma, si può sapere il motivo per cui siete piombate qui all’ora del tè?
–E’ già l’ora del tè?- esclamò Bridget. –Io ho lasciato il letto due ore fa! Sapete, ieri ho rimorchiato uno studente...
–Universitario, vero?
–Liceale- ammise Bridget, e aggiunse prontamente, in risposta alle espressioni sconvolte comparse sulle facce di Faith e Abigail –Ehi, ha detto di essere maggiorenne, e a me, come a tutti, credo, piace la carne fresca.
–Ti ha detto di essere maggiorenne e tu gli hai creduto?- ululò Faith.
–Perché non avrei dovuto?- domandò Bridget.
–Perché non ci si può fidare delle persone!- ruggì Faith. –Secondo te, se chiedessi a un paziente pneumopatico quante sigarette fuma al giorno, ammetterebbe che supera il pacchetto, o negherebbe? Se chiedessi a un ventenne che ha avuto un’angina pectoris se assume cocaina confesserebbe, o negherebbe? Negherebbero, perché la gente ti dice solamente quello che le conviene o che crede tu voglia sentire! E’ lo stesso principio di: “sì, ci sono andato/a a letto, ma amo solo te”, una delle frasi più patetiche mai concepite da mente umana! Quello era minorenne, B, ci metterei la mano sul fuoco, e ha approfittato della tua buona fede per farsi “svezzare”!
–Mettiamo fosse minorenne, cosa cambia?- rispose Bridget. –Ormai la frittata è fatta, anche se non la chiamerei frittata: lui non era male, e gli ho dato qualcosa di cui vantarsi con gli amici!
–Sei irrecuperabile- sospirò mestamente Abigail, schiaffandosi una mano sulla faccia.
Faith sbottò –Tagliate corto, devo finire di prepararmi!
–Non sei un tantinello… in anticipo?- le fece notare Bridget.
–Meglio in anticipo che in ritardo. F, facci vedere cosa avresti intenzione di metterti stasera alla festa con i colleghi- le ordinò Abigail, che eruppe in un urlo strozzato quando si trovò davanti la mise scelta dall’amica: una corta gonna a pieghe a quadretti, con l'orlo di pizzo, una camicia nera con le ruches allo scollo, e una giacca color crema, in tinta con gli stivali.
–Oh, cavolo, è…
–Un amore?
–Terribile!
–L’ha scelto mia madre- la informò Faith, accigliandosi mentre fissava l’orlo in pizzo della gonna e le ruches della camicia, desiderando ardentemente di poter dare loro fuoco con la forza del pensiero.
–Dai, Ab, non è tanto male- la contraddisse Bridget.
–Non. E’. Male? B, capisco che sei miope, ma ritenere niente male… questo!- sbraitò Abigail. –Non va bene, F. Fortuna che ci siamo noi ad aiutarti: questa è la volta buona!
–Per una volta ti do ragione, Ab- asserì Faith. –Volta buona per cosa?
–Per trovarti un uomo, naturalmente!- squittì Mrs. Cartridge come se fosse ovvio. –Un bel dottorino! Che non sia quel Weil. Che ne dici?
–Dico che sei da interdire- rispose Faith con un filo di voce, poi aggiunse, ad un volume udibile –Come ti è venuta questa idea balorda?
–Brian mi ha fatto capire che hai bisogno di qualcuno che ti accetti così come sei, passione per l’orrido compresa, e chi altri può, se non un dottore?
–Un regista di film horror- osservò Bridget.
–Limitiamoci alle possibilità realistiche, B- sbottò l’altra. –Per fartela breve, F: ho deciso che questa sera rimorchierai alla grande!
–Weil non è male, ma non possiamo contare su di lui, almeno finchè non avremo capito da che parte sta. Sì, insomma… che gusto preferisce- asserì Bridget. –Non vorrai rischiare di beccarlo a letto con un uomo! Io ci sono passata, e posso assicurarti che è una delle esperienze più destabilizzanti che si possano vivere: sei mesi a pane e Prozac, come minimo!
Faith, incapace di proferire parola, rimase impalata a fissare le sue amiche, finché Abigail non le mostrò un involucro nero, che conteneva…. un vestito. Un vestito splendido. Bianco, corto ma accollato, con ampie maniche strette al fondo e una fantasia floreale stilizzata.
“Mia madre, e forse molti altri, direbbero che è orrendo, troppo vistoso, ma io… “
–Lo adoro!- trillò, battendo le mani. –Non dovevate!
–Ringraziami sistemandoti con un bel medico pieno di soldi- ribatté Abigail. –Provalo, su, voglio vedere come ti sta.
–Ti ricordo che ho un lavoro, non mi serve sposare un uomo ricco per avere dei soldi- disse Faith mentre infilava in fretta e furia l’abito, cercando di non soffocare nella stoffa. –Tra l’altro, i soldi non fanno la felicità.
–F, preferiresti sorridere su una bicicletta mezza rotta, o piangere in una limousine?- sibilò Abigail, nel tentativo di coglierla in fallo.
Faith, però, non ci cascò, e rispose –Il problema non si pone: non so andare in bicicletta!
 
***
 
Trovare parcheggio fu dannatamente difficile, ma ci riuscì, anche se comportò mandare a quel paese altri due automobilisti.
Si fiondò dentro il palazzo di Gracechurch Street dove abitava Franz ringraziando profusamente il signore che le aveva tenuto aperto il portone d’ingresso, risparmiandole l’imbarazzo di citofonare.
Tanta era l'adrenalina che non prese l'ascensore, salì di corsa le scale fino al secondo piano, dove vide il campanello con scritto ‘Weil’.
“Ci siamo, Faith. Ora o mai più. Un colpo secco, come con la ceretta”.
Si fece forza e bussò, infine attese, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore mentre spostava il peso da un piede all'altro.
Dopo quella che le parve un'eternità udì la serratura scattare, e la porta aprirsi, ma non vide il padrone di casa; abbassò lo sguardo quando sentì strattonare un lembo del cappotto, e si accorse soltanto allora che ad aprirle erano stati due bambini, di cinque e un anno, rispettivamente. Era stato il più piccolo, a cavalcioni sulle spalle del fratello, a richiamare la sua attenzione.
Esterrefatta, Faith sbiancò, deglutendo a vuoto: che Weil fosse un padre single?
"Questo spiegherebbe perché è così acido. Occuparsi di due bambini piccoli non è affatto facile. Da solo, poi! Poverino! Ecco, forse, perché ce l'ha con me: la madre ha lasciato lui e i figli, e odia l'intero genere femminile per questo".
Le sue elucubrazioni mentali vennero interrotte dal più grande dei due pargoli, che asserì, scrutandola torvo, in un modo che le ricordò in maniera impressionante Weil –Du bist nicht onkel Franz!.
–Non ho capito niente, piccolo. Parli inglese?
Il bambino emise uno sbuffo infastidito e tradusse –Tu non sei lo zio Franz.
"Zio Franz? ZIO? Grazie a tutti gli dèi, non è un padre single!" pensò, sospirando sollevata.
–Sono una... collega di tuo... tuo... zio- rispose.
–Was?- trillò il più piccolo.
–Noi...  lavoriamo insieme.
–Was?
–Ecco, noi... facciamo lo stesso lavoro.
–Was?- ripeté il bambino.
–Sono anche io un dottore- spiegò Faith, che cominciava a spazientirsi: non ci sapeva fare con i mocciosi, ne era consapevole, e temeva di perdere la pazienza da un momento all'altro.
Proprio quando le stava passando per la mente di imbavagliare quel piccolo rompiscatole, una voce femminile, di un’adulta, stavolta, echeggiò dall'interno dell'appartamento.
–Hans, quante volte ti ho detto di non aprire se non sono con te? Wer ist an der Tür? Ihr Vater?
Nein. Sie ist eine Fraülein- rispose Hans, il maggiore.
Fraülein? Mein Got!- esclamò la donna, prima di accorrere alla porta. Non appena vide chi aveva di fronte, esclamò –Ben arrivata … tu non sei Ronda.
A Faith bastò un’occhiata per riconoscerla come la bizzarra signora che cercava un completo per suo figlio.
–Perspicace. Salve, comunque. Cercavo Franz Weil, ma, ehm, a quanto pare questa è un'altra casa Weil. Scusi il disturbo- pigolò, intimidita dallo sguardo severo della sconosciuta, che la esaminò da capo a piedi, indugiando, in particolare, sulla lunghezza del cappotto e sul bottone che minacciava di saltare, sotto la spinta del seno abbondante.
Inaspettatamente, sorrise e rispose –Nessun disturbo, sei nel posto giusto- parve pensarci su un secondo, prima di chiederle –Posso darti del tu, vero?
–Certo- annuì Faith.
–Franz è uscito, ma puoi accomodarti, se non ti scoccia aspettare.
–Oh, no, non ce n'è bisogno, volevo solo...- tentò di replicare Faith, ma l'altra sembrava decisa a farla entrare in casa, e non ci fu verso di rifiutare.
La sconosciuta la fece accomodare in un soggiorno-cucina con un tavolo in un angolo; Faith non si intendeva di arredamento, però notò ugualmente alcuni tocchi originali, che rendevano il piccolo appartamento accogliente e 'vivo'. Apprezzò in particolare il divano, dato che era identico al suo, e una serie di cornici a muro.
–Perdonami, non mi sono presentata: Gertrud Philips. Sono la madre di Franz.
–E’ sua madre? Wow! E’ così… giovane! Ehm, ad ogni modo sono Faith Irving, lieta di conoscerla- rispose l'altra, stringendole la mano.
Gertrud, senza smettere di scrutare la giovane, le rivolse un sorriso bonario e le domandò –In che rapporti sei di preciso con mio figlio?
–Noi non abbiamo rapporti- rispose subito la Irving, agitandosi. –Siamo colleghi.
“Colleghi, eh? Peccato, è passabile come materia di fidanzamento!”
–Lavorate insieme? Mi aveva detto di avere tutti colleghi. Maschi. A parte il primario.
“Si vede che mi considera un maschio”, pensò Faith, ma non espresse questo pensiero perché una fotografia nella cornice a muro attrasse la sua attenzione. Spalancò gli occhi e la indicò, esalando –E’ lui! E’ lui che ho visto!
Gertrud si voltò per capire a chi si riferisse, quindi si avvicinò alla fotografia in questione e sospirò, in tono nostalgico –E’ stata scattata a Machu Picchu. Una vacanza di famiglia: io, Hans, Franz e Alex, mio figlio maggiore.
Sconvolta, Faith pigolò –E’ suo… fratello?
“Non è bisex! E’ suo fratello!”
–Esatto. Si adorano… per quanto possano adorarsi due fratelli.
–Ah, non saprei- rispose Faith. –Non ho esperienza in merito, sono figlia unica.
–Anche io, ma l’ho sperimentato con loro: un attimo prima se le davano di santa ragione, e quello dopo si abbracciavano- chiocciò Gertrud in tono lacrimoso.
–Uhm, senta, dovrei andare, le lascio…
–Non andare così presto. Franz sarà felice di vederti- “Non ci giurerei”, pensò Faith. –Gradisci del tè?
–Oh, ehm… sì, grazie. In realtà sono passata semplicemente per chiedergli se voleva un passaggio e per... dargli questo- esalò, mostrandole il pacchetto rosso.
–Oh, un regalo!- esclamò Gertrud, colpita. Aveva notato che non era incartato molto bene, e dedusse che era stata lei stessa a occuparsene. –Che gentile! Strano, però: non pensavo che tra colleghi ci si scambiasse regali.
–Si, beh..- balbettò Faith, avvampando. –N-Non con tutti, solo con quelli con cui si è più in confidenza, ecco.
–Quindi siete in confidenz... Hans! Smettila subito!- tuonò Gertrud, attirando l'attenzione di Faith sul bambino, che aveva infilato il fratellino nella lavatrice e stava facendo roteare il cestello. Estrasse Wilhelm dall’elettrodomestico e lo cullò per placare le sue strida.
–Dai, Groẞmutter, era un gioco!- si giustificò il piccolo, oscillando sul posto con aria innocente.
–Un gioco? Stavi per rompere l'osso del collo a tuo fratello! Comportati bene almeno quando abbiamo ospiti!- lo rimproverò Gertrud.
Faith deglutì, a disagio: quella donna le sarebbe stata simpatica... se fosse stata meno simile a sua madre!
Per rompere il ghiaccio, e togliere il bambino dall’imbarazzo, disse –Hans, ti va di farmi vedere i tuoi giocattoli?
–Na ja!- esclamò il piccolo, immediatamente più allegro.
Faith sorrise, sollevata, e si mostrò interessata, specialmente a uno: i suoi genitori non le avevano mai permesso di giocare a ’L'allegro chirurgo’.
Hans, scoprì, era un bambino intelligentissimo, ma con l’argento vivo addosso: non era iperattivo a livelli patologici, solo estremamente vivace. Mentre sistemava un osso con precisione incredibile per la sua età, disse –Mi piaci.
–Oh. Ehm.. grazie.
–Ce l'hai il fidanzato, Faith?- chiese poi Hans, facendola arrossire.
“Oh, porca miseria! Avrà cinque anni al massimo, e pensa a certe cose? Perché i bambini di oggi non rimangono bambini più a lungo?”
–No.
–Bene!- esclamò Hans, illuminandosi.–Così puoi prenderti lo zio Franz. Mi piaci, e la nonna non vede l'ora che lui si… come dice? Ah, sì: sistema. Non fa che ripeterlo!
–Si, beh- ribatté Faith, sperando di suonare naturale e non insospettirlo –Credo che tua nonna voglia vederlo sistemato con una donna che ama, e noi, tuo zio e io... noi non proviamo... niente... l'uno per l'altra. Siamo due persone che lavorano insieme e vanno d'accordo.
Il bambino le rivolse un'occhiata poco convinta, rispose –Se lo zio non ti vuole ci sono io- la abbracciò e raggiunse Wilhelm. Contravvenendo alle aspettative di Faith, convinta che gli avrebbe rovesciato i Lego sulla testa, Hans si sedette accanto al fratellino e lo aiutò a impilare i mattoncini. Sotto sotto, aveva il cuore tenero… come un altro Weil di sua conoscenza.
Gertrud fece capolino dall’angolo cottura e le chiese –A che gusto preferisci il tè?
–Va bene tutto.
–Vaniglia?
–Perfetto- rispose, per poi alzarsi e curiosare in giro per la stanza. Sui mobili e alle pareti c’era una incredibile quantità di fotografie, dalle quali traspariva che Franz e suo fratello condividevano l’amore per il pericolo e per i viaggi avventurosi. Dovevano aver visitato tutti i continenti… ad eccezione dell’Europa, che Faith, invece, conosceva bene. C’erano piccole statuette di Buddha, stampe giapponesi che Abigail avrebbe sicuramente apprezzato, strumenti musicali sudamericani, un boomerang, un papiro egiziano, una fiala dal contenuto sconosciuto corredata di biglietto ‘Contro il mal d’Africa’ e altre cianfrusaglie che si inframezzavano ai libri e a tutto il resto. Più libri che altro, e molti titoli figuravano anche nella sua libreria.
“Un punto a favore per Weil. Non prenderei mai in considerazione un pantofolaio illetterato”.
Uno degli inspiegabili misteri di Faith era proprio il mutamento che avveniva non appena decideva di intraprendere un viaggio di piacere: da pigra e indolente si trasformava in un vulcano di energia. Programmava ogni aspetto della vacanza nei minimi dettagli, e non si fermava mai: di giorno camminava senza sosta per vie cittadine, siti archeologici, parchi naturalistici, di sera ampliava i propri orizzonti culinari assaggiando i piatti tipici (“Compatisco con tutto il cuore quelli che pretendono l’hamburger nel cuore dell’Amazzonia”) e scatenandosi al ritmo delle danze folkloristiche. Ritornava a casa distrutta, ma appagata e piena di ricordi.
–Quella è la sua preferita- disse Gertrud, ricomparsa con due tazze fumanti di tè.
–Lo immaginavo- rispose Faith, tenendo lo sguardo fisso sul volto sorridente di Franz, a malapena visibile sotto il cappuccio del parka e la sciarpa di lana. –E’ lo sfondo del desktop del suo portatile.
–Se non erro, è stata scattata a Usio… no, Ushyna.. in Patagonia. Franz si era appena laureato, è stato il nostro regalo.
–Accidenti! Se penso che a me hanno regalato un’automobile usata…
La risposta di Getrud venne stroncata dal campanello; emesso un sospiro di sollievo, esclamò –Deve essere lui- e si precipitò ad aprire.
Faith cominciò a tremare: cosa avrebbe detto Weil nel trovarla lì? Si sarebbe arrabbiato? L’avrebbe ferita con parole oltraggiose? Il flusso mentale di possibili scenari si interruppe quando si accorse che erano arrivate due persone, nessuna delle quali era Franz: un uomo e una donna, entrambi biondi,  somiglianti ad Hans e Wilhelm.
Senza riflettere, Faith esclamò –Ciao. Sei Alexander, giusto? Il fratello di Franz.
–Esatto!- rispose lui, sorpreso, poi strabuzzò gli occhi e, puntandole l’indice contro, aggiunse –Io lo so chi sei: il tricheco umano!
–Alexander!- lo ripresero le altre due, indignate.
–Che c’è? Franz la chiama così- si difese lui, per poi aggiungere, preoccupato –Sei tu, vero? Non ho fatto una gaffe, vero?
–N-Non s-saprei.. non avevo idea che Fr… Weil mi chiamasse tricheco- pigolò Faith, delusa: come aveva potuto illudersi di piacergli sul serio? La considerava un essere pingue e sgraziato con i dentoni!
Gertrud batté il pugno sulla fronte, mentre Serle ringhiò –Essere sposata con te è come avere un figlio in più, Alexander!
–Ah, sì? Allora sei una mammina incestuosa!- scherzò l’interessato.
–Oh, per favore!- sbottò lei. –Grazie, Gertie, per aver badato a queste due pesti.
–E’ stato un piacere. Li ho portati qui perché Martin aveva ospiti, e poi dovevo lasciare a Franz il suo nuovo completo elegante… per stasera!
–Ah, già, quella barbosa cena- sbuffò Alexander.
–La dottoressa Irving è venuta fin qui per offrire un passaggio a Franz- trillò Gertrud, spingendo sotto i riflettori una reticente Faith, che si limitò a un sorriso tirato. –Peccato sia inutile. Ho già provveduto.
–Ah, sì?- esclamò Alexander, passando la giovane ai raggi X con i penetranti occhi castani. –Strano, Franz non ti ha mai permesso di intrometterti nella sua vita privata.
–Infatti non me l’ha chiesto, ma una madre intuisce al volo se un figlio ha bisogno di lei. Gli ho dato una mano, che lo volesse o no.
Faith aprì bocca per replicare, indignata, però la porta si spalancò per lasciar passare Franz, subito assalito dai nipoti. Carezzò la testa di Hans, prese in braccio Wilhelm e ringhiò –Che sta succedendo?
–Ciao- lo salutò Faith, e per poco Franz non ebbe un infarto: cosa ci faceva la Irving sul suo divano? O meglio, cosa ci faceva sul suo divano… vestita in quel modo? Non era propriamente provocante, ma l’abito era abbastanza corto da costringerla ad tirare giù l’orlo a intervalli regolari, e le labbra evidenziate dal rossetto rosso fuoco gli facevano l’effetto che il fazzoletto sventolato dal torero faceva al toro.
“Oh, merda. Credo che impazzirò.”
–Ciao. Posso sapere cosa…?
–Vai in camera tua, kind, c’è una sorpresa per te!- squittì Gertrud. –E sbrigati a prepararti, sei in un ritardo spaventoso!
–Vergogna, fratellino, non si fa attendere una signora- lo irrise Alexander.
Faith sorrise e spiegò a un perplesso Franz –Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere raggiungere il ‘Topless’ senza assiderarti in sella alla Harley.
–Oh. Giusto. Sì. Ehm, grazie.
–Ringraziala doppiamente: Faith ti ha anche portato un regalino!- cinguettò allegramente Gertrud, porgendogli il pacchetto. –Avanti, su, aprilo!
–Ehm… magari più tardi- mormorò Franz. Era curioso, questo sì, ma anche determinato a proteggere la propria privacy dall’ingerenza materna.
–Kind, è maleducazione non aprire un regalo in presenza di chi te l’ha donato- lo redarguì Gertrud.
Faith scosse il capo e assicurò a Franz che non importava che aprisse il regalo.
–E’ un regalo di Natale, è normale che tu voglia scartarlo a tempo debito. Io non ho aperto il mio.
–Sentito, mamma? Ora scusatemi, vado a prepararmi. Come mi ha fatto gentilmente notare Xandi, non si fa attendere una donna, specie se è lei a consumare la benzina- asserì seccamente Franz.
–Oh, ma non sarà Faith ad accompagnarti. Devi essere pronto quando arriverà Ronda. Ti ricordi di lei? E’ la figlia di Tess, da piccoli avete giocato insieme un paio di volte…
–Ronda?- esclamarono in coro Franz, Faith, Alexander e Serle, esibendo quattro identiche espressioni sconcertate.
–Ti avevo promesso di occuparmi di tutto, kind, e ho mantenuto la promessa: ti ho preso qualcosa di carino da indossare e… ti ho combinato un appuntamento!
Franz rivolse un’occhiata mortificata a Faith, che sembrava aver assunto una dose massiccia di tossina tetanica, tanto era rigida. Sperò non stesse per essere protagonista di ‘Gladys due, il ritorno’, si voltò nuovamente verso sua madre e ringhiò –Ti avevo pregata di non immischiarti!
–Mi avevi raccontato dei tuoi problemi, questa per me equivale a una richiesta d’aiuto, perciò mi sono attivata- replicò Gertrud senza scomporsi. Era ignara del disastro che aveva generato.
–Non ti ha sfiorata il pensiero che, in quanto adulto, potessi aver risolto da solo i miei problemi?- latrò Franz, sbuffando con una tale rabbia che gli altri temettero potesse sputare fuoco da un momento all’altro.
–Ero sicura che, lasciato a te stesso, saresti affogato in un bicchier d’acqua. Come potevo immaginare che ti saresti organizzato altrimenti?- uggiolò Gertrud.
–Mamma- ruggì Franz, minaccioso. –Adesso chiami questa Rosa o come diamine si chiama…
–Ronda, kind. Non è un nome adorabile? Ed è davvero una bella ragazza! Se non ricordo male lavora come modella!
–Fosse anche Tyra Banks tu adesso la chiami e le dici che non sono disponibile. Chiaro?
–Ma kind! Che figura ci farei? E’ pur sempre la figlia di una mia amica!- gnaulò Gertrud. –Faith capirà. Vero, Faith?
–Capisco benissimo- asserì Faith. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, di Franz non sarebbe rimasto che il ricordo. Gertrud aveva sbagliato, ma stava a lui spiegarle perché non doveva più combinargli appuntamenti. –Tua madre si è impegnata a cercarti un’accompagnatrice per stasera, non è corretto nei suoi confronti costringerla a mandare tutto a monte. Ci vediamo al ristorante.
 
***
 
–Irving! Irving, aspetta!
Faith si girò, scocciata, e sbottò –Se stai per chiedermi di dare un passaggio anche alla tua nuova oca da esposizione spiacente, la risposta è NO!
Franz alzò le mani e rispose –Non mi permetterei mai! Anzi, scusa per prima, mia madre…
–Tua madre ha agito in buona fede, non provare a scaricare la colpa su di lei, stronzo!- ribatté, prima di entrare in macchina, sbattendo la portiera.
Franz la seguì, ignorando le proteste e gli insulti, e tentò di arginare la tragedia.
–Irving, lasciami spiegare. Non ho chiesto a mia madre di… è stata una sua iniziativa. Non comprende che al momento ho altre priorità.
Faith sbuffò –Sì, sì, vabbè. Ora scendi, non vorrai far aspettare Ronda!
–Oh, sì, quella lì… le ho spiegato che avremmo preso parte a una cena di lavoro, non una festa, e questo ha smorzato il suo entusiasmo, ergo… sono tutto per te- Faith curvò le labbra in un sorriso, che si tramutò in un’espressione furente quando Franz aggiunse –Certo, mia madre mi ha fatto promettere di uscire con lei almeno una volta, però…
–Però un corno!- ululò Faith. –Come hai potuto accettare?
–Conosci un altro modo per tenere buona mia madre?- ringhiò Franz, infuriandosi a sua volta. –Desidera per me una storia seria, addirittura che mi sposi, tutte cose che non sono comprese nella mia lista di priorità, per ora. E poi, se proprio vogliamo mettere i puntini sulle i, ho detto che mi piaci, non ti ho dichiarato amore eterno, perciò non hai nulla di cui lamentarti!
Non pensava neanche mezza sillaba, aveva semplicemente bisogno di sfogare la frustrazione di non essere riuscito a ribellarsi alla sua tirannica madre, e sperava di usare Faith come punchingball. Con sua enorme sorpresa, però, lei non replicò, si limitò ad accendere l’autoradio mentre lo fulminava con lo sguardo, prima di immettersi nel traffico cittadino.
“Never was and never will be. Have you no shame? Don’t you see me? You know you’ve got everybody fooled!”
 
***
 
Una volta davanti all’ingresso del ‘Topless’, Faith parcheggiò in uno spiazzo apposito e scese dalla vettura senza dire una parola.
Franz, seccato e intristito dal suo atteggiamento, la bloccò per un braccio sulla soglia, e sibilò –Credi che per me sia facile?
–Credo- rispose Faith, scegliendo con cura i vocaboli –Che l’idea di uscire con le belle figlie delle amiche di tua madre non ti dispiaccia quanto vorresti farmi credere. Lo capisco: puoi avere una modella, perché accontentarti di un tricheco?
–Non lo definirei “accontentarmi”. E non sei un tricheco.
–Mi lusinga che lo pensi, e spero che qualcun altro in questo mondo condivida il tuo pensiero- asserì freddamente Faith.
–Non hai bisogno di qualcun altro- osservò Franz.
–Forse neppure di te- replicò lei, sforzandosi di mantenere un contegno di dignitoso sdegno. –Comprendo le tue ragioni, Franz- Weil trattenne il respiro: era la prima volta che lo chiamava per nome. –Sei giovane, hai una promettente carriera davanti a te, e non vuoi ostacoli- alzò lo sguardo fino a incontrare quello di Weil, che trasalì. –Sai perché non riesci ad accettare i tuoi sentimenti per me? Perché una parte di te non mi ritiene alla tua altezza. Non sono abbastanza bella da attirare su di te l’invidia di nessuno. Probabilmente nemmeno ti piaccio, vuoi solo toglierti lo sfizio di portarmi a letto.
–Non dire assurdità, non sono quel genere…
–Lo sei. Sei ambizioso, e questo mi sta bene, è il tuo egoismo che non posso tollerare. Nemmeno per un nanosecondo hai pensato che sono anche io un giovane medico di belle speranze? Che ho anche io dei sogni? Pensi che non abbia soppesato i pro e i contro dell’innamorarmi di te? Avrei compiuto volentieri dei sacrifici, senza mai pensare a te come a una zavorra. Tu no. Questione chiusa.
Franz, superato lo shock del momento, sospirò –Consolati, Irving: secondo me il tuo non è amore… soffri della Sindrome di Cameron.
–Sindrome di Cameron?- ridacchiò Faith, perplessa. –Secondo te sono gelosa al punto di farmi venire un’ulcera peptica?
–L’altra Cameron!- sbottò Franz. –La collaboratrice di House. Quella che si illudeva di cambiarlo. Non sei innamorata di me, ma dell’idea di me che hai in mente.
Faith, sull’orlo delle lacrime, si passò un dito sulla palpebra inferiore per assicurarsi che non fosse rovinato il trucco, quindi pigolò –Se è questa l’opinione che hai di me… non abbiamo più niente da dirci. Un Cyril mi basta e avanza, non ho intenzione di fare il bis.
Franz si sentì dilaniato dal sollievo per la fine della discussione e l’impulso di sbattere Faith contro la porta del ristorante e obbligarla a rimangiarsi ogni lettera. La Irving gli risparmiò l’onere di una decisione: si avvicinò e gli tappò la bocca con la sua. Weil impiegò diversi secondi per realizzare cosa stava accadendo, poi, accertatosi di non stare sognando, poggiò una mano sulla sua nuca per trattenerla e approfondire quella che era nata come un’effusione timida e casta, quasi infantile, e si stava trasformando in un bacio appassionato. Non sapeva spiegarsi perché, ma non riusciva a lasciarla andare: oltre all’inebriante morbidezza delle sue labbra, avvertiva un retrogusto di rimpianto, e non voleva che la magia si spezzasse.
Si staccò da lei solo quando ebbe terminato la scorta di ossigeno: non gli andava di respirarle in faccia o di sfiorarla con la punta del naso, le reputava azioni degne di un adolescente alla prima cotta.
Si leccò le labbra nel vederla mordicchiare le proprie, e non si trattenne dal commentare –Sai di yogurt.
–Tu di dentifricio alla menta- rispose lei in tono pratico, come se stesse conversando del tempo.
Ferito dall’indifferenza dimostrata da Faith riguardo al loro primo e (cominciava a temere unico) bacio, Franz, che aveva notato del vischio appeso alla porta, sbuffò –Toh! Vischio. Hai voluto rispettare la tradizione?
–Ho voluto darti un assaggio di quello a cui hai rinunciato- ribatté lei con tutta l’alterigia possibile, prima di entrare a testa alta nel locale… naturalmente, assicurandosi di sbattergli la porta sul naso.

Without your mask, where will you hide? Can’t find yourself, lost in your lie! I know the truth, now. I know who are, and I don’t love you anymore!”

Nota autrice:
Pro e contro di questo capitolo.
Pro: si sono baciati! (era ora, no?)
Contro: Franz si è comportato da vero stronzo con la povera Faith e dovrà fare una lunga penitenza, prima di ottenerne il perdono.
Note di servizio: come forse avete intuito, la mia canzone ispiratrice per questo capitolo è stata ‘Everybody’s foll’ degli Evanescence.
Numero due: Ushuaya è veramente il capoluogo della Patagonia, oltre che la città più australe del mondo.
Numero tre: la sindrome di Cameron non esiste, esistono le lesioni di Cameron, un tipo di ulcera gastrica (non scendo nei dettagli). Passatemi questa “licenza medica”.
Au revoir!
Serpentina
   
 
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