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Autore: Iaiasdream    17/04/2014    2 recensioni
IN REVISIONE
I sogni, chi può vivere senza? Non riesco proprio ad immaginarmelo. Possono essere: dolci, lugubri, nascondigli per i tuoi più profondi pensieri, ma fanno sempre parte di te, rappresentano l’io di una persona, e anche se non si vuole credere, loro sono inevitabili... rieccolo lì, il mio passato. Arciere che scocca la freccia nel mio punto debole: l’inconscio. Di sicuro è lui che lo manovra. Lui, con quegli occhi taglienti e beffardi, con quel sorriso strafottente, disegnati su un viso irresistibilmente affascinante, è ritornato repentinamente a invadere la mia vita, lui artefice della sofferenza che mi aveva imprigionato per un po’ di tempo. Perché stava ricomparendo senza alcun pudore? Perché ricordarlo in quegli atteggiamenti? Che cosa vuole da me dopo tutti questi anni, che non sono molti ma, ancora oggi mi sembrano un’eternità?
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A quel punto... mi sarei fermato '
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4.
ROSSO RUBINO, GIALLO ORO E OCCHI DI GHIACCIO
 
Un fischio, un altro, un altro ancora. Quel rumore stava diventando tanto famigliare quanto fastidioso. Mi rigirai nel letto, ma ormai il sonno mi aveva abbandonata. Scocciata, mi misi a sedere, con fare mogio presi gli occhiali dal comodino e dopo averli messi guardai l’orologio.
Le sei e trenta? Porcaccia la miseria! Ma può un cristiano che sta spensierato fra le braccia di Morfeo, essere destato da un fischio alle sei e trenta del mattino? Mi chiesi strofinandomi energicamente la testa.
Raccolsi le ginocchia al petto e vi appoggiai la fronte chiudendo gli occhi. Cercai per un attimo di liberare la mente e riaddormentarmi, ma quel fischio ritornò a disturbare il mio udito. Alzai la testa e guardai la finestra aperta. Anche se era marzo, quella stanza emanava il tipico caldo afoso di luglio. Guardando i raggi del sole accarezzare il cristallino velo del lago, decisi di andare fuori. Indossavo una maglia a maniche corte, che arrivava a metà coscia.
Non appena misi piede sulla veranda, un leggero e gelido venticello accarezzò le mie gambe e baciò il mio viso, rabbrividii lievemente, chiusi gli occhi e mi riempii i polmoni di quell’aria così fresca e pulita, portai i miei lunghi capelli castani all’indietro e riaprii gli occhi. La prima cosa che percepirono fu la stessa scena della sera scorsa. Quei fischi provenivano da quel ragazzo che faceva giocare il suo cane. In quel momento però, potei riuscire a vederlo meglio e la cosa che mi attirò di più fu il colore dei suoi capelli. Oltre agli anime, non avevo mai visto quel colore sulla testa dei ragazzi reali: rosso fuoco. I raggi che li illuminava li faceva sembrare fili di rubini. Mi sporsi di più nel vano tentativo di vederlo in faccia << Voltati >> mormorai senza accorgermene. Il ragazzo continuava a darmi le spalle. A lui si avvicinò ancora quel cane dall'aria spaventosa. A un tratto mi accorsi che la bestia mi stava guardando e lo sentii ringhiare. Fu a quel punto che il ragazzo si voltò verso di me e mi guardò. Sobbalzando feci due passi indietro e, cercando di fare l’indifferente, mi voltai da un’altra parte facendo finta di fare stretching.
Ma che cavolo stai facendo? Mi dissi sentendomi il volto avvampare, così ti prenderà per un’idiota! Cercai con la coda dell’occhio e senza farmene accorgere di guardarlo in volto, per un po’ ci riuscii e mi accorsi che stava sorridendo. Mi sentii avvampare ancora di più e mi ritrovai inconsapevolmente nella mia camera appoggiata di spalle al muro al lato della finestra. L’unico rumore che percepii in quell’istante fu il battito frenetico del mio cuore. Mi diedi due pugnetti sul petto con la speranza di calmarmi. Non riuscii a concepire il motivo di quell’atteggiamento. Non capivo se fosse dovuto alla figuraccia che avevo fatto o se fosse stato quel sorriso così affascinante. Lentamente spiai verso l’esterno curiosa di vedere cosa stava facendo. Per mia solita sfortuna, non c’era più. Ad un tratto trasalii sentendo bussare alla porta.
<< Chi… chi è? >> balbettai con il cuore in gola.
<< Come chi è? Chi dev’essere? >> esclamò mia zia aprendo e, non appena mi vide, si interruppe guardandomi sottocchio << Che ci fai spiaccicata al muro come una mosca? >>
<< Ehm… faccio, stretching? >> balbettai abbozzando qualche mossa con le braccia.
<< Che strano modo di fare ginnastica >>
<< Serve qualcosa? >> chiesi allontanandomi finalmente dal muro.
<< Ero venuta solo a svegliarti, ma per fortuna vedo che sei una nipote modello. Sono le sette hai un’ora di tempo prima di andare a scuola >>
<< Ok, mi do una mossa >>.
Mia zia uscì regalandomi un sorriso. Prima di seguirla, diedi un’ultima occhiata fuori e vedendo il cielo azzurro sospirai un tantino malinconica.
 
 
Zia Agata, come c’era d’aspettarselo, insistette per accompagnarmi a scuola. Dopo vari tentativi da parte mia di convincerla a rimanere a casa, mi arresi esasperata e accettai il suo passaggio. Non appena arrivammo davanti al cancello dell'istituto, scesi dalla macchina e prima di salutarmi disse ironica: << Salutami zia Camille! >>
Le lanciai un’occhiata tagliente, purtroppo quel mio sguardo minaccioso non la scalfì, mi sorrise e rimettendo in moto l’auto, se ne andò. Rimasi davanti al portone d’entrata guardando quel colosso di palazzo che rappresentava il liceo. Mi accinsi ad entrare e non appena spalancai la porta fui catapultata in un mondo mai visto: in torno a me c’erano ragazzi vestiti in modo strano, con capelli tinti da colori inimmaginabili. Abbassai lo sguardo cercando di guardare il mio corpo. Partendo dai piedi, indossavo un paio di ballerine ocra, un pantalone a sigaretta nero e una camicetta sfiancata, dello stesso colore delle ballerine. Feci una smorfia, sentendomi un pesce fuor d’acqua.
<< Sei nuova? Non ti ho mai vista! >> sentii dire alle mie spalle, mi voltai timidamente e davanti a me vidi una ragazza dai capelli color carota che mi sorrideva.
<< S-sì, sono nuova >> balbettai un po’ imbarazzata.
<< Piacere, io mi chiamo Iris >> disse porgendomi la mano. La guardai prima di darle la mia.
<< Io sono Rea >>
<< Ti ho vista un po’ smarrita, ti serve qualcosa? >>
<< Veramente, sto cercando l’ufficio della preside, sai per caso dirmi dove si trova? >>
<< Certo, in fondo al corridoio, la prima porta a destra, non puoi sbagliare >>
<< Grazie >> mi congedai sorridendole. Mi incamminai verso la via indicata e non appena arrivai davanti alla porta, qualcosa, o per meglio dire qualcuno alla mia sinistra, attirò la mia attenzione. Mi voltai e vidi una lunga chioma bionda che parlava a… uno sportello dell’armadietto? Mi sporsi più in avanti, ma l’unica cosa che riuscii a vedere, furono due pantaloni neri che sporgevano da sotto il metallo.
<< Castiel, perché ti comporti così? >> esclamò la bionda pregandolo << Mi avevi promesso che ci saremmo visti. Invece mi hai dato buca! Non è bello da parte tua! >>
<< Hai detto bene, Ambra, ti avevo promesso… >> disse la voce da dietro l’armadietto. La bionda pestò il pavimento offesa da quelle parole, poi si volse incrociando i miei occhi, la vidi cambiare sguardo, mi lanciò un’occhiataccia e mi disse << E tu che diavolo guardi? >>.
Trasalii cercando di cambiare la destinazione del mio sguardo, ma non riuscii a trovare dove posare i miei occhi. A un tratto mi accorsi che il ragazzo che stava dietro allo sportello dell’armadietto, faceva movimenti strani, e dalle orizzontali fessure del metallo incrociai due scuri occhi, stava guardando me. Mi voltai di scatto verso la porta che avevo di fronte e bussai velocemente, dopo pochi secondi, la porta si aprì, diedi un’ultima occhiata alla biondona che mi guardava con aria di sfida ed entrai velocemente nella stanza, ma qualcosa si oppose ai miei passi, mi voltai incontrando davanti ai miei occhi un tessuto bianco ornato da una cravatta azzurra.
<< Ti sei fatta male? >> chiese una voce angelica.
<< N-no >> balbettai e alzando lo sguardo incrociai due occhi color dell’oro e un volto che mi ricordava quello del cherubino di swarovski. Il ragazzo mi sorrise e si mise a un lato per farmi entrare, poi uscì chiudendo la porta alle mie spalle.
Rimasi frastornata per qualche secondo, mi guardai attorno smarrita, poi finalmente i miei occhi si poggiarono sulla scrivania con dietro la poltrona in controluce. In quel momento mi sembrò di stare in uno di quei film mafiosi, dove il “picciotto” entra nello studio del suo “Don” in attesta del compito da svolgere, e il gangster si trovava proprio lì, seduta su quella poltrona rivestita in pelle nera.
Tossii non sapendo come annunciarmi e non ricevendo una minima risposta, mi feci avanti dicendo: << S-sono io, zia Camille, sono Rea >>. Vidi la sedia muoversi, e una figura bassa e cicciottella alzarsi e allontanarsi dalla scrivania. Finalmente la luce illuminò il suo viso che lo vidi molto invecchiato dall’ultima volta. Mi sta sorridendo? Mi chiesi allibita, poi la vidi avvicinarsi più a me.
<< Rea! Finalmente! Oh, ma guarda come sei cresciuta! Fatti abbracciare >> esclamò stringendomi forte e stampandomi un viscido bacio sulle guance. Ma che diavolo fa? Continuai a chiedermi. Non è così che doveva andare! Lei mi detesta, e il fatto è categoricamente reciproco! Perché fa così?
<< Com’è andato il viaggio? Hai visto la mia scuola? Ti piace? E tuo padre come sta? Tua madre? >>.
Non risposi a nessuna delle domande. Cavolo, non mi diede neanche il tempo di farlo! Dopo tante parole inutili, si decise di arrivare al dunque, dicendomi che dovevo recarmi in sala delegati e chiedere al segretario delegato Nathaniel di compilare tutte le carte che dovevano rappresentare la mia iscrizione.  Mi recai alla porta velocemente congedandomi, non volevo assistere a un altro falso abbraccio affettuoso e, prima di aprire, sperai con tutto il cuore di non incontrare di nuovo quell’affascinante bionda indiavolata con il suo presunto ragazzo.
Per mia fortuna, il corridoio che all’inizio era affollato, in quel momento sembrava deserto. Mi incamminai soffermandomi davanti a ogni porta per leggere l’etichetta con la speranza di trovare la sala delegati. Stavo per fare un passo in avanti, quando mi vidi scaraventata a terra. Strinsi gli occhi dal dolore che il pavimento provocò ai miei glutei, poi mi accorsi di avere una presenza sopra di me, e quest’ultima si fece sentire.
<< Non ti sei fatta male, vero? >>
Era la seconda volta, nell’arco di pochi minuti, che mi sentivo dire una cosa del genere. Aprii gli occhi e la prima cosa che vidi di fronte a me fu un atletico torace coperto da una maglia e un gilet, alzando lo sguardo vidi un collo coperto da un foulard che cadeva dritto appoggiandosi sul mio petto. D’istinto sollevai di più lo sguardo curiosa di vedere a chi appartenesse quel corpo perfetto.
Il mio fiato si placò quando incrociai quelle due sfere glaciali che facevano da contrasto con il nero corvino dei capelli.
Il ragazzo mi sorrideva, poi vidi che stava facendo qualcosa con il braccio, mi sentii un lieve tocco al mento. Mi accorsi che era la sua mano. Oh mio Dio! Pensai, che intenzioni ha? 
 
   
 
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