Appena
giunto a casa, Harm si versò una birra e
controllò i messaggi nella segreteria
telefonica che lampeggiava minacciosa. Il primo era di Bud, che lo
invitava a
pranzo per la domenica, e l’altro era di sua madre che voleva
sapere dove fosse
finito, visto che negli ultimi giorni aveva provato più
volte a mettersi in
contatto con lui ma era sempre irraggiungibile. Scosse la testa. Dopo
tanti
anni in marina, Trish Burnett ancora non si era abituata
all’idea di avere un
figlio militare, che poteva essere spedito in missione in giro per il
mondo
senza grossi preavvisi. Per non parlare del fatto che detto figlio
aveva
raggiunto l’età della ragione ormai da tempo
immemore e pertanto aveva il sacrosanto
diritto di sparire per un po’ senza fornire spiegazioni.
Cancellò entrambi i
messaggi, poi compose il numero della nonna di Chloe e parlò
con Mac. Gli
sembrò di essere tornato un adolescente alla prima cotta.
Chiacchierano a
lungo, anche se si erano salutati solo poche ore prima, poi Harm si
mise a
lavorare su alcuni documenti relativi a un vecchio caso che doveva
ancora
finire di controllare. Non era certo un’attività
da sabato sera, ma aveva
voglia di starsene per conto suo a crogiolarsi nel ricordo di
ciò che era
avvenuto e a fantasticare su quello che sarebbe potuto succedere.
La domenica
mattina si alzò di buon’ora e telefonò
a Bud e Harriett per ringraziarli del
loro invito e confermare la sua presenza. La famiglia Roberts gli
piaceva molto
e Bud era uno dei suoi più cari amici.
Lo ammirava
sinceramente
per il modo con cui era riuscito ad affrontare l’incidente.
Lo invidiava
per lo splendido rapporto che aveva con Harriett e per la famiglia che
avevano
costruito insieme, nonostante gli eventi dolorosi che avevano
condiviso, come
la menomazione di Bud e, ancora prima, la perdita della loro piccola
Sarah. Ma
adesso sembravano più forti di prima e con due figli piccoli
(e i gemelli in
arrivo) rappresentavano un’oasi di quiete nel caos della vita
militare. Al loro
primogenito, AJ, era particolarmente legato. Lui e Mac ne erano i
padrini e non
mancavano mai di viziarlo. E il piccolo era perdutamente innamorato
della zia
Mac. Del resto, come dargli torto?
Il pranzo
dai Roberts rappresentò un piacevole intermezzo domestico
che aiutò Harm a non
sentire troppo la mancanza di Sarah, anche perché AJ la
nominò circa centomila
volte e si fece promettere solennemente dallo zio che la prossima volta
avrebbe
portato anche lei. Rabb sorrise fra sé al pensiero di una
vita quotidiana con Mac
fatta di piccole cose: svegliarsi l’uno a fianco
dell’altra, fare la spesa
insieme, andare a pranzo dagli amici, occuparsi dei figli. Gli si
strinse il
cuore all’idea di quanto potesse soffrire Sarah per
l’esito della laparoscopia,
ma era convinto che insieme ce l’avrebbero fatta. Che fosse
biologicamente loro
o meno, non c’era niente di cui fosse più sicuro:
avrebbe avuto un figlio con
lei. Avrebbe fatto di tutto per coronare quel sogno.
Il
lunedì
trascorse in modo convulso: appena arrivato al JAG, il Generale
Creswell gli assegnò
un nuovo caso, che prevedeva una breve gita a Leavensworth per
interrogare il
suo nuovo assistito. Tirò un sospiro di sollievo:
fortunatamente questa volta
non c’erano bambini coinvolti. Il colonnello Smithson,
infatti, era stato
accusato di aver ucciso l’amante della moglie. Praticamente
una passeggiata
rispetto all’abominio di cui si era occupato la settimana
precedente.
Rientrò
a Washington
mentre il sole stava tramontando e il pensiero gli andò allo
stesso orario di
pochi giorni prima e a ciò che era successo in quel lago
incantato. Il ricordo
del corpo sinuoso di Mac, della sua pelle morbida e vellutata, delle
sue labbra
succose, della sensazione che aveva provato quando aveva potuto
finalmente
stringerla fra le braccia gli inondò il cervello, tanto che
rischiò seriamente
di andare fuori strada e danneggiare la sua preziosa Corvette. Ne
riprese il
controllo e la parcheggiò con attenzione, per poi dirigersi
verso il loft. Fece
per inserire la chiave nella serratura quando si accorse che,
dall’interno
dell’appartamento, proveniva della musica. La cosa lo
turbò. Mattie sarebbe
dovuta rientrare l’indomani dal lungo fine settimana con il
padre. Che le fosse
successo qualcosa? A ben sentire, però, quello non era il
genere di musica che
ascoltava Mattie. Una quieta speranza si fece spazio nel suo cuore.
Aprì la
porta e fu inondato dalla calda luce delle candele. Non si ricordava di
possederne
tante. Erano ovunque!
Poggiò
il
cappello e la ventiquattrore sul mobile accanto all’ingresso
e quando si voltò
la trovò davanti a sé, come se si fosse
materializzata da un suo sogno:
indossava un lungo négligé nero che con un gioco
sapiente di pizzi, seta e veli
nascondeva, mostrava e faceva presagire cosa ci fosse sotto.
Mac era
splendida.
Lo era
sempre stata, ma stasera i suoi occhi brillavano di una luce speciale.
O forse
lui la vedeva per la prima volta in tutta la sua bellezza. La visione
di lei lo
aveva ipnotizzato. Proprio come era successo su quel lago dorato.
“Ciao
marinaio” lo salutò con voce sensuale.
“Ciao
a te…”
“Ho
usato la
mia copia della chiave del tuo appartamento, spero non ti
dispiaccia…”
“No…
no…”
Non solo era immobile, aveva perso anche l’uso della parola!
Lei gli si
avvicinò, si mise in punta di piedi e gli baciò
delicatamente le labbra. Harm
parve risvegliarsi dallo stato di intontimento in cui era caduto. La
abbracciò
e le mostrò quanto fosse felice per quella sorpresa,
baciandola a lungo e
lasciando vagare le sue mani sul volto, fra i capelli, sul collo, sulle
braccia
e sulla schiena della sua Sarah, quasi a volersi assicurare di averla
davvero
davanti a sé, in carne, curve ed ossa. Poi si
staccò da lei e le chiese: “Ma
non dovevi rientrare domani?”
“Sai,
Harm,
se telefoni alla compagnia aerea e chiedi di cambiare volo è
possibile
anticipare il rientro” gli spiegò lentamente Mac,
come si fa con i bambini.
“Ah,
vero…”
non riuscì ad articolare altro. Il cervello di Rabb era
ormai andato, inebriato
dal profumo di vaniglia sprigionato dalle candele e preso totalmente
dalla
contemplazione della meravigliosa creatura che stringeva fra le braccia.
“Sarah,
sei
così bella” le sussurrò, prima di
accarezzarle di nuovo il volto, scendere
sulle spalle, sfiorarle i seni e appoggiarle le mani sui fianchi. Gli
sembrava
di avere di fronte un’opera d’arte e temeva di
romperla se solo l’avesse
sfiorata con più forza. Il solo tocco delle sue mani fece
rabbrividire Mac,
che, senza dire altro, cominciò a sbottonare
l’uniforme del suo marinaio. Non era
più tempo per le chiacchiere: ora bisognava passare
all’azione.
Una volta
liberato dalla giacca e dalla camicia, Rabb prese in braccio Sarah e la
portò
nella sua camera. La depositò in piedi accanto al letto,
finì di spogliarsi e
fece scivolare il négligé sul corpo di Mac. Le
accarezzò delicatamente un seno
con i polpastrelli, giocando con il capezzolo, ancora incredulo di
fronte alla
sua statuaria bellezza, poi la fece stendere vicino a sé e
percorse con le
labbra lo stesso tragitto tracciato dalle sue dita, lambendo la sua
pelle di
seta. Si dedicò a lei, ad ogni centimetro del suo corpo,
amandola con un misto
di venerazione e passione, assicurandosi di non farle male, gemendo di
piacere
ad ogni tocco delle calde mani di Mac, che seppero restituirgli il
godimento
che lui stesso le aveva provocato. Raggiunsero l’acme insieme.
In quel preciso
istante, quando erano l’uno dentro l’altra, fu come
se ogni cosa avesse
finalmente trovato il suo posto.
Per Mac, fu
come se il caos della sua esistenza avesse appena trovato pace.
Non si era
mai, MAI, sentita così appagata con un uomo.
E per Harm
fu lo stesso. Aveva avuto ben più di una donna nella sua
vita: i suoi occhi cerulei
e la sua avvenenza gli avevano spalancato più di una camera
da letto di qualche
compiacente accompagnatrice, ma anche se finora si era sempre divertito
a letto
con le sue conquiste, mai aveva provato una sensazione tanto intensa.
Appena
ripresero a respirare normalmente, Mac si sollevò su un
fianco, sorreggendosi
su un gomito, e lo guardò dritto negli occhi:
“Harm, ti amo da morire!”
“Sarah,
ti
amo anche io. L’ho sempre fatto, probabilmente sin dal nostro
primo incontro
nel giardino delle rose della Casa Bianca. Dovevo solo ammetterlo a me
stesso e
a te.”
Non
togliendo gli occhi l’uno dall’altra, si sorrisero
nell’oscurità. Finalmente,
dopo tante occasioni mancate, dopo tanti fraintendimenti e
complicazioni, dopo
essersi rincorsi ed evitati per anni, Mac e Harm si erano svegliati dal
torpore
e avevano scoperto il vero amore. Poi si addormentarono l’uno
nelle braccia
dell’altro.
La mattina
successiva Mac fu la prima a riemergere
dall’oscurità del sonno. Il suo
precisissimo orologio interno le disse che erano le 6.42 e che mancava
poco
alla sveglia. Prendendo coscienza di ciò che la circondava,
si rese conto di
non trovarsi nella sua camera e di avere qualcosa che le impediva di
muoversi.
Aprendo gli occhi scorse il braccio di Harm appoggiato possessivamente
sul suo
stomaco. Lui era disteso a pancia sotto e il lenzuolo gli lasciava
scoperta
tutta la schiena, arrivando a malapena a celare i suoi glutei sodi, che
Sarah
aveva avuto modo di apprezzare durante i loro incontri notturni.
Scrutò con
attenzione la figura dell’uomo accanto a lei: era bellissimo.
Aveva un fisico
da urlo, indubbiamente, ma ciò che l’aveva stupita
quella notte era stato il
modo in cui avevano fatto l’amore. Giunse alla consapevolezza
che proprio
questo le era successo: per la prima volta in tutta la sua vita non
aveva fatto
sesso. Aveva fatto l’amore con l’uomo che amava.
Con
delicatezza si liberò dalla presa di Harm, si
alzò dal letto e andò in bagno.
Fece una doccia veloce e, ritornando in camera, si fermò di
nuovo ad osservare
il suo marinaio, che aveva cambiato posizione ma continuava a dormire
serenamente. Adesso era supino e Sarah indugiò con lo
sguardo sul suo profilo
greco, sull’ampio torace, sulle braccia possenti che
l’avevano stretta nella
notte.
Poi
cominciò
a pensare a cosa avrebbero fatto. Non era ancora pronta a sbandierare
la loro
relazione ai quattro venti. Ne avrebbero dovuto parlare con il loro
superiore,
visto che il regolamento non prevedeva che le coppie lavorassero
insieme, ma
per ora voleva andarci con i piedi di piombo. Non che avesse qualche
dubbio:
erano adulti, si conoscevano da anni, sapevano a memoria pregi e
difetti l’uno
dell’altra. E il sesso… oh, quello era andato alla
grande. Anzi, era stato
un’esperienza mistica.
Miracolosa.
Indubbiamente
da ripetere.
E molto,
molto spesso.
Mentre il
suo cervello si perdeva in queste considerazioni, non smise un secondo
di
fissare il corpo di Harm. L’oggetto delle sue attenzioni non
tardò a
svegliarsi. Sbatté gli occhi un paio di volte per mettere a
fuoco ciò che aveva
davanti a sé e poi un sorriso gli illuminò il
volto. “Buongiorno bellissima!”
le disse con la voce ancora impastata dal sonno.
“Buongiorno
a te, bello addormentato!” gli rispose sorridendo a sua volta
e stendendosi di
nuovo accanto a lui.
“Come
fai a
essere così piena di energia?”
“Ho
trascorso una notte fantastica con un uomo meraviglioso” gli
confessò. “Mi hai
fatto volare.”
Rabb
cominciò a ridacchiare. Sarah gli rifilò
un’occhiata interrogativa e lui spiegò:
“Sai, venerdì scorso pensavo che nel fine
settimana avrei voluto far volare
Sarah. E mi sono chiesto se intendevo l’aereo o
tu…”
“Oh,
con me
ci sei riuscito, Harmon Rabb. Te lo assicuro.”
Harm la
strinse a sé e le dimostrò ancora quanto la
amasse, nonostante fosse già l’ora
di alzarsi per andare al lavoro. Sarebbe arrivato in ritardo e avrebbe
beccato
la sfuriata di Creswell, ma ne sarebbe valsa sicuramente la pena.
Nota
dell’autrice
Eccoci giunti al
termine di questa
storia. Il proposito iniziale di Harm è stato realizzato: ha
davvero fatto
volare la sua Sarah e chiaramente non si trattava dell’aereo!
Desidero dire
grazie, di cuore, a chi
di voi ha letto la mia prima avventura da autrice in questa sezione, a
chi lo
ha fatto in silenzio, a chi ha lasciato una recensione e a chi ha messo
la
storia fra le seguite, le ricordate e le preferite.
E grazie, come
sempre, al mio prezioso
angelo custode.
Un abbraccio,
Deb