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Autore: earlgreytea68    17/04/2014    2 recensioni
Le lettere sono state scritte, lette e discusse. Ma non significa che le cose si siano risolte. Ancora.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Letters [ traduzione di _opheliac ]'
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Note generali:

Questa è una traduzione di una storia originale dell’autrice earlgreytea68, che potete trovare al link: http://archiveofourown.org/works/1021303/chapters/2031525

 

Capitolo 1

 

La baita era sprovvista di televisione o libri. O, per lo meno, il salotto lo era. Cosa aveva fatto Sherlock tutto quel tempo? Beh, impazzire lentamente era, John suppose, la risposta. E John lo stava seguendo, mentre si aggirava furtivamente per ogni centimetro della baita in cerca di qualcosa da fare. Dietro la porta della camera da letto era tutto misteriosamente silenzioso, e John resistesse al sospetto, che tentava di farsi strada, che Sherlock fosse scappato uscendo dalla finestra. Invece, John cercò di sforzarsi di rimanere calmo e focalizzarsi sul mantenere il fuoco acceso nel camino così che la baita non sarebbe diventata insopportabilmente fredda e nel cercare di non pensare a quanto fosse affamato. Masticò un’altra barretta proteica e considerò che, se Sherlock non fosse stato d’accordo ad andar via al più presto, si sarebbero trovati in grossi problemi riguardanti il cibo. John desiderò non essersi fermato dal prendere altre provviste quando si era reso conto di quanto fosse vicino a Sherlock, ma era stato così impaziente di arrivare lì, di vederlo. In più non si aspettava che Sherlock si trovasse in un stato così tragico da non avere abbastanza roba da mangiare all’interno della baita. John si fece una tazza di tè e si disse di pensare a qualcos’altro. Ma l’unico argomento a cui il suo cervello fosse un minimo interessato era Sherlock, e John non poteva fermarsi dal ritornarci inesorabilmente sopra. Aveva ferito Sherlock. L’aveva devastato. Senza saperlo. Senza pensarci. Aveva causato molti più danni di quanto avesse realizzato, e non aveva idea di come avrebbe potuto sistemare le cose. Non aveva idea se Sherlock gli avrebbe mai dato la possibilità di farlo.

E com’era diverso da come John pensava sarebbe andata. Aveva pensato che avrebbe trovato Sherlock e sarebbe stato lui a dover accettare le scuse. Con amore, ovviamente, perché ogni accenno di rabbia si era da tempo trasformata in sollievo, ma comunque, pensava che sarebbe stato Sherlock a preoccuparsi di dover sistemare le cose, non il contrario.

E come poteva non aver mai pensato in che condizioni avrebbe trovato Sherlock? Sapeva dalle sue lettere che Sherlock era un disastro, ma in qualche modo non era stato in grado di immaginarselo. Aveva pensato che Sherlock sarebbe ritornato in se stesso dopo averlo visto, arrogante e intoccabile e suscettibile. Forse Sherlock non era morto quel giorno sul marciapiede, il duro guscio esterno si era frantumato. Era un insieme di doloranti, esposte vulnerabilità su cui John aveva, sbagliando, speso ben poco tempo a preoccuparsi di quanto avrebbe chiaramente dovuto. Non si sarebbe mai perdonato per non essersi preoccupato maggiormente per Sherlock, o sulle cose di Sherlock di cui si sarebbe dovuto preoccupare, non semplicemente se avesse mangiato o dormito o stesse pensando di riprendere a drogarsi, quanto se il suo cuore si stesse spezzando per colpa sua. A John non era mai passato per la mente di preoccuparsi di quello.

Il suono della porta della camera da letto che si apriva nella stanza silenziosa fu così rumorosamente assordante che John saltò. Spostò lo sguardo dai guizzi delle fiamme nel camino.

Sherlock stava in piedi nell’ingresso, ancora vestito nel completo che aveva indossato quella mattina, il che sembrava una vita prima. Era stato buio per ore, ma l’oscurità in Siberia arrivava presto, quindi John non aveva idea dell’orario effettivo. Si era forzato a nascondere l’orologio dentro il proprio zaino perché altrimenti l’avrebbe guardato ogni minuto, e non sarebbe stato d’aiuto.

Dietro Sherlock la camera era buia, e John non si era preoccupato di accendere le luci nel salotto, quindi l’unica luce proveniva dal fuoco, e oscurava più che mostrare qualcosa.

“Sei ancora qui.” disse Sherlock. Il suo tono era vacuo, illeggibile.

“Certo.” rispose John. “Te l’ho detto: non ho intenzione di andar via.”

“E c’è anche l’ovvio fatto che siamo bloccati dalla neve.”

“Pensavo che forse te ne fossi andato tu.” disse John.

“Siamo bloccati dalla neve.” ripeté Sherlock, e John trasalì.

“Vuoi che me ne vada?” chiese, odiando quanto pensasse di conoscere la risposta.

Sherlock si mosse attraverso la stanza, senza guardarlo. Si sedette con attenzione accanto a John sul divano, senza toccarlo, e guardò il fuoco pensieroso. John notò che stava stringendo la sua lettera. Ci si aggrappava con tutte le sue forze, in realtà. Era spiegazzata dove il suo pugno la stringeva. John spostò lo sguardo dalla lettere al profilo di Sherlock ma non riuscì a percepire nulla.

Sherlock si leccò le labbra e ingoiò e disse, a voce così bassa che John dovette avvicinarsi, “No.”

John si prese un momento per assorbire la cosa. Era qualcosa, pensò. Era un inizio. “Okay.” disse, lentamente, pensando con intensità. “Bene. Ne sono felice.” fece silenzio, e lo sguardo di Sherlock rimase fisso sul fuoco, e quando John decise che Sherlock non avrebbe detto nient’altro, suggerì, con cautela, “Senti. Abbiamo bisogno di cibo...”

“Non posso tornare a Londra.” si intromise Sherlock con decisione, molta di più di quella che aveva usato per dire a John di non andar via.

La mente di John si tirò un po’ indietro a quella frase. Voleva chiedere, Come, mai? e nello stesso momento realizzò che non gli importava. Se Sherlock non sarebbe mai riuscito a tornare a casa allora John sarebbe rimasto in Siberia con lui per il resto delle loro vite. Sarebbe stato certamente migliore del tornare indietro a Londra senza di lui. Disse, con voce calma, “Okay. Va bene. Rimarremo qui. Per tutto il tempo che vorrai. Ma avrò bisogno di uscire e procurarci del cibo.”

Sherlock fece un profondo, tremante respiro. “Mi è mancata la tua terribile cucina.”

John voleva piangere dal sollievo per la meravigliosità di quell’insulto. Si sforzò di comportarsi normalmente. “La mia cucina non è terribile.”

“Mi è mancato il modo in cui riesci sempre a bruciare il pollo arrosto che cerci di preparare.”

“Il pollo arrosto è difficile.” John si difese automaticamente, chiudendo gli occhi perché poteva sentire come il suo tono di voce fosse sommerso dal peso di quanto gli erano mancate quelle conversazioni.

“Non lo è, davvero.” replicò Sherlock, e la sua voce suonava piena di lacrime come quella di John. “È scienza, John.”

John si schiarì la voce e aprì gli occhi e fu sollevato quando la frase successiva sembrò molto più leggera. “È il tuo modo per richiedere che ci arrostisca un pollo per domani?”

Sherlock lo guardò, e John non se lo aspettava, e la forza di tutta quell’attenzione quasi lo fece cadere di lato. “Non voglio rimanere qui.” disse con disperazione. “Non posso tornare a Londra, e non voglio stare qui, e –”

“D’accordo.” disse John, con calma, perché pensava che Sherlock avesse disperatamente bisogno di una calma fermezza al momento. La sregolatezza di Sherlock aveva sempre forzato John a reagire con tranquillità, e John cadde facilmente nella vecchia abitudine. “Andremo da qualche altra parta, allora. Posso suggerire qualche posto al caldo?” John pensò all’Afghanistan e aggiunse frettolosamente, “I tropici? I caraibi?”

Udì Sherlock espirare lentamente, gli occhi ancora fissi su di lui. “Una vacanza?” suonava scettico.

“Chiamala come preferisci.” replicò John, “Ma solo Cristo sa che entrambi ne meritiamo una.”

Sherlock rimase in silenzio per un momento, e dopo annuì. Quando parlò di nuovo il suo tono era sbrigativo, e suonava maggiormente come il suo vecchio io. “Ti hanno seguito?”

John scosse la testa. “Sono stato attento.”

“Ma Mycroft è meticoloso. Avrà notato che hai lasciato il paese.”

“Sapeva che stavo venendo a cercarti. Ho lasciato che mi seguisse in Argentina. Dopo ho preso una falsa identità.”

“Dove?” chiese Sherlock, suonando curioso al fatto che John avesse anche solo pensato ad una cosa simile.

“Dallo stesso tipo che ti ha dato la tua. Personaggio incantevole.”spiegò John, sarcasticamente, perché il coglione l’aveva minacciato con un coltello immediatamente dopo averlo visto e solo un bel mucchio di soldi gli avevano fatto cambiare idea.

Sherlock roteò gli occhi per il disgusto, e John si sentì come se avessero raggiunto molta più normalità tra di loro nel mezzo di un paio di frasi di quanto si sarebbe immaginato. “Se l’ha detto a te, lo dirà agli uomini di Mycroft, e nessuno di noi due è al sicuro. Dovremmo prendere nuove identità.”

Non volendo turbare Sherlock adesso che sembrava finalmente più simile a se stesso, John ci pensò prima di dire, “Va bene. Se vuoi, lo faremo. Ma posso chiederti che pericolo c’è nel far sapere a Mycroft che stai bene? È preoccupato per te.”

Sherlock grugnì. “No, non lo è.”

“Sei suo fratello. Certo che lo è.”

“Ti è sembrato preoccupato, quindi?”

“Sì. Non nel modo in cui le persone normali sarebbero preoccupate, ma, sai, nessuno di voi due è particolarmente normale nell’esprimere –” John si interruppe, pensando che forse non sarebbero dovuti rientrare nel campo minato che erano le emozioni di Sherlock. “Ad ogni modo, non era preoccupato, era triste. Pensava tu fossi morto.”

“Doveva pensarlo.”

“Beh. Ben fatto, immagino.”

Sherlock lo guardò per un secondo. “Ma tu non l’hai fatto.”

“Non ho fatto cosa?”

“Non hai pensato che fossi morto.”

John lo guardò di rimando. “L’avevo già pensato una volta. È uscito fuori che è stato un grande errore. Tendo a non fare lo stesso errore due volte.”

“Non posso occuparmi di Mycroft.” disse Sherlock, dopo un momento.

“Mi accerterò che non ci dia fastidio.” John promise.

Sherlock lo guardò, e l’aria si fece improvvisamente carica di tensione, e John realizzò di colpo tutto quello che c’era in sospeso tra di loro.

“Ti fidi di me?” chiese, terrorizzato dalla risposta.

Sherlock lo guardò per qualche silenzioso secondo in più. E dopo disse, “Sì. Okay. Sì.” e poi si alzò e andò dentro la camera da letto.

John esitò, per poi estrarre il proprio telefono e accenderlo. Prendeva un debole segnale e scaricò un osceno numero di messaggi in segreteria ed sms. John li ignorò tutti, scrivendo un solo messaggio a Mycroft. Sherlock sta bene. Ha bisogno di un po’ di tempo. Se ci disturbi, posterò sul blog ogni singolo segreto di stato che conosco. John aspettò che si inviasse, per poi spegnere nuovamente il telefono. Guardò verso la stanza da letto. La porta era aperta, cosa che John considerò come un invito. O, almeno, non come una barriera.

Si alzò e camminò lentamente verso l’entrata della stanza, volendo essere certo che Sherlock lo sentisse. Sherlock aveva acceso una lampada ed era seduto sul letto, le mani unite davanti le labbra. John voleva sapere a cosa stesse pensando.

Sherlock voltò lo sguardo su di lui, le sopracciglia che si alzarono in attesa.

“Quanto dolore hai al momento?” John chiese.

“Una domanda curiosa considerando che proviene dalla persona che ha gettato via tutti i miei antidolorifici.” Sherlock rimarcò, sarcasticamente.

“Ovviamente ne ho tenuti alcuni. Non sono senza cuore. Semplicemente non c’era alcun bisogno che tu possedessi un’intera farmacia.”

Sherlock rimase zitto per un momento. Poi disse, “Sto bene. Ma penso che mi sentirei meglio se potessi fumare una sigaretta.”

“Fuori.” disse John, gentilmente.

“Hmph.” fu la risposta di Sherlock, per poi tornare ai suoi pensieri.

Era così normale – così normale – che John si chiese se stesse sognando. O se avesse sognato per tutti i sei mesi precedenti. E non voleva che fosse, necessariamente, così normale, il tornare indietro esattamente a com’era stato prima. Aveva passato sei mesi desiderando che avesse fatto sapere a Sherlock cosa provava verso di lui. E Sherlock aveva apparentemente speso l’intera durata della loro conoscenza rimpiangendo di non avere l’abilità di esprimere come si sentiva. John era riluttante a lasciare che le cose tornassero ai vecchi schemi, ad ignorare tutto ciò che aveva imparato.

John camminò per la stanza, si chinò sul letto, e passò una mano sulla testa di Sherlock prima di posare un bacio sui suoi folti capelli troppo lunghi. Sentì Sherlock trattenere il respiro in una reazione sorpresa, e John lasciò le sue labbra premere contro di lui e chiuse gli occhi e ringraziò lo stesso Dio, se esisteva, che l’aveva lasciato in vita in Afghanistan, per il miracolo di quella seconda occasione con Sherlock. Promise a quel Dio di non perderla come l’aveva persa la prima volta.

“Ti amo.” disse John, prima di raddrizzarsi e lasciare la stanza. Poteva percepire la sbalordita sorpresa di Sherlock dietro di sé, e John pensò che andasse bene. Sherlock poteva non dirglielo di rimando ancora, ma alla fine ci sarebbero arrivati. Alla fine Sherlock gli avrebbe creduto. Alla fine entrambi avrebbero preso l’importanza di quelle parole per garantite, un’affermazione inconfutabile come il colore del cielo.

John si distese sul divano, guardò il fuoco, e ascoltò il silenzioso pensare di Sherlock nell’altra stanza. Infine si addormentò con un sorriso sul viso.

****

Sherlock lasciò che John scegliesse la destinazione. John scelse Anguilla perché era la prima in ordine alfabetico e John non voleva pensarci più di tanto. Sherlock concordò volentieri ma fu teso per la durata dell’intero viaggio. Usarono i loro passaporti falsi sotto insistenza di Sherlock, e il nervosismo di Sherlock fece pensare a John che era felice che Mycroft li stesse probabilmente tracciando. Sherlock aveva detto di essere dietro alla rete di Moriarty, e certamente Sherlock era stato quasi ucciso da loro in Argentina; John non aveva alcun desiderio di incontrarli. Beh, non era vero. Avrebbe felicemente picchiato chiunque avesse messo mani e proiettili su Sherlock, ma non mentre stava tentando di fargli mantenere la calma.

John affittò una macchina. Sherlock, in maniera inusuale, si rifiutò di guidare e cedette le chiavi a John. John guidò e guidò e guidò, il più lontano che l’isola potesse permettergli, e Sherlock rimase in silenzio, lo sguardo che non lasciò mai la monotonia dell’isola che passava dal finestrino della macchina.

John lasciò la macchina nel parcheggio dell’hotel che aveva prenotato e fu contento quando si rese conto che era isolato esattamente com’era promesso sul sito. Sherlock si guardò intorno con grande curiosità e seguì John all’interno, e John fu sollevato dal vedere che sembrava interessato al luogo. Diede il suo falso nome e una falsa carta di credito e gli fu data la chiave della casa con due stanze che aveva affittato. Sherlock lo seguì fuori sul sentiero dell’hotel, passando davanti gruppi di villette finché finalmente non ne rimase una sola, isolata, costruita sul margine della spiaggia di sabbia bianca. Era un posto piccolo e adorabile, con un’irresistibile vista dell’oceano sotto il cielo azzurro, ma quello che John pensava che Sherlock avrebbe apprezzato era quanto fosse esposta. Impossibile avvicinarsi di soppiatto lungo la spiaggia che non offriva alcuna protezione. Non c’erano altre persone intorno, e avrebbero visto immediatamente chiunque avesse tentato di avvicinarsi.

Sherlock camminò per tutte le stanze della villa. John lo lasciò fare, dandogli spazio, versandosi un bicchiere dello champagne di benvenuto che era stato lasciato a riposare nel salotto e uscì fuori nella veranda che avvolgeva il complesso. Si appoggiò alla ringhiera e guardò verso l’oceano. Il sole splendeva, la temperatura era perfetta, soffiava una leggera brezza, e John si sentiva ottimista.

Sherlock uscì nella veranda e John si voltò a guardarlo. Senza dire una parola, Sherlock si avvicinò e si appoggiò alla ringhiera, la schiena posata al palo più vicino a John. Osservò l’intera spiaggia. C’erano un paio di visitatori che prendevano il sole, ma erano ad una certa distanza. Sherlock sembrò non prenderli in considerazione, voltandosi verso John, e si rilassò visibilmente, tranquillizzandosi davanti i suoi occhi. Sorrise, un sorriso genuino, non uno pieno di paura e rimpianti e tristezza, e John pensò che fosse il primo di quel tipo che vedeva. Si ritrovò a sorridere di rimando.

“Ti ritroverai tutto abbronzato.” fece presente Sherlock. “Allo stesso modo di quando ci siamo incontrati.”

“Se non finirò per bruciarmi accidentalmente.” John replicò di buon umore.

“I tuoi capelli si schiariranno di nuovo per colpa del sole.” Sherlock sembrava deliziato alla prospettiva.

John voleva chiedere per quanto tempo Sherlock intendesse restare lì, ma decise che non gli importava. C’erano posti peggiori dove essere intrappolati che una piccola spiaggia sulla punta di un’isola dei Caraibi.

Disse, delicatamente, “Forse imparerò a fare immersioni. Ho sempre voluto farlo.”

“Ma certo. John Watson: avventuriero. Se tu fossi nato nel quindicesimo secolo, ti saresti imbarcato con Colombo.”

“Se tu fossi nato nel quindicesimo secolo, mi avresti detto che ero un idiota per aver bisogno di una barca per provare qualcosa che tu avresti già provato con la scienza.”

“Ma avrei dovuto conoscere l’astronomia per provarlo.” si inserì Sherlock.

John rise. “Ti insegnerò l’astronomia, ho deciso.”

“È un modo davvero esagerato per dirmi che mi ricorderai che la Terra ruota intorno al Sole, un fatto che non ho mai dimenticato da quando hai deciso di condividerlo con il resto della popolazione.”

“Ti insegnerò più di quello.”

“Conosco anche l’ordine dei pianeti. E che c’è un qualche dibattito su Plutone.”

“Come lo sai?”

“Ho avuto un po’ di tempo ultimamente.” Fece Sherlock, gli occhi che si spostarono a guardare l’oceano. Dopo si schiarì la gola e forzò lo sguardo a tornare su John e della casualità nel suo tono. “Comunque, con questo abbiamo esaurito la tua conoscenza dell’astronomia.”

John diede un’alzata di spalle e sorseggiò lo champagne. “Non significa che non possiamo comunque guardare le stelle.”

“Non conosci le costellazioni.” disse Sherlock, sorridendo.

“Sono abbastanza convinto della mia abilità nel poter trovare la cintura di Orione, ti dirò.” rispose John, formalmente, divertito dai botta e risposta della conversazione.

Sherlock portò indietro la testa sul palo e chiuse gli occhi, crogiolandosi al sole. Sembrava pericolosamente felice, e John pensò, con l’inizio di una sorta di triste realizzazione, che era possibilmente la prima volta che vedeva Sherlock sembrare così felice. “Beh, aspetto con ansia la lezione, allora.”

John sorseggiò lo champagne e guardò l’oceano per un momento, per poi tornare a guardare Sherlock. Mosse tentativamente un piede, toccando la gamba di Sherlock.

“Mmm?” chiese lui, senza aprire gli occhi.

John fu contento che Sherlock non avesse sussultato al contatto. “Non addormentarti in quel modo.”

“Non è che mi ‘addormento’ ovunque, John.” protestò Sherlock, assonnato.

“Sei completamente al sole; prenderai un’ustione e farai le macchie, specialmente con la tua carnagione.”

“Sempre il babysitter” mormorò Sherlock.

“Il tuo? Sì. Sempre.” John toccò di nuovo la sua gamba. “Sono serio. Se devi appisolarti, vai all’ombra.”

Sherlock aprì gli occhi e guardò seriamente verso John. “Se mi addormentassi, che faresti tu?”

John sostenne il suo sguardo e disse, sinceramente, “Terrei d’occhio la situazione per essere certo che nessuno si avvicini a te.”

Sherlock non reagì in nessun modo visibile, mantenne semplicemente lo sguardo calmo, e alla fine si alzò senza una parola. Entrò nella villa, e John tornò a guardare l’oceano e prese un altro sorso di champagne.

“John.”

John girò la testa e si voltò a guardare Sherlock, che era riapparso all’uscio della veranda.

Sherlock esitò, e dopo disse, lentamente, sembrando incerto, “Grazie. Tutto questo è... adorabile.”

John aspettò che la sua gola si rilassasse abbastanza da poter dire, “Certo.”

Sherlock annuì una volta e tornò dietro nella villa.

****

Sherlock dormì. John ordinò dal servizio in camera e,  quando Sherlock sembrò incline a dormire anche durante la cena, mangiò da solo sulla veranda, mantenendo l’attenzione vigile osservando la spiaggia in ogni direzione, per qualsiasi cosa che destasse sospetto. John pensò che Sherlock avesse probabilmente un disperato bisogno di dormire. Sospettava che Sherlock non avesse dormito molto bene per tutti i sei mesi in cui era stato morto. E sapeva che Sherlock non aveva dormito durante il volo, che era invece rimasto sveglio, vigile e teso. John conosceva parte di ciò che era stato fatto a Sherlock; il modo in cui Sherlock si comportava rendeva John riluttante dal volere dettagli più concreti, per paura che il suo cuore si sarebbe completamente spezzato.

Quando Sherlock finalmente uscì fuori sulla veranda era buio e John stava guardando le stelle, cercando di individuare le costellazioni.

“Ciao.” disse, con allegria, cercando volutamente di fare in modo che Sherlock non si sentisse imbarazzato per colpa del lungo sonnellino.

Sherlock non disse nulla. Camminò a piedi nudi verso la ringhiera della veranda e si sporse, guardando per tutta la spiaggia buia. In lontananza, dalla direzione del ristorante dell’hotel, arrivavano deboli risate.

Sherlock si allontanò dalla ringhiera, gli occhi che si posavano ora sui resti del vassoio del servizio in camera.

“Temo che sia freddo ora.” disse John. “Ma c’è un po’ d’insalata lì che puoi mangiare . O un po’ di torta al cioccolato?” John si sarebbe accontentato se Sherlock avesse mangiato qualsiasi cosa.

Sherlock fece un suono di disinteresse, ma si chinò verso John e prese la bottiglia di vino che era stata ordinata con il pasto.

“Questa non l’hai aperta.” disse Sherlock.

“Sembrava sciocco stare seduto a bere vino tutto da solo.” rispose John.

Sherlock aveva presto il cavatappi. John lo guardò stappare il vino e versarne due bicchieri, prendendone uno e consegnandogli l’altro. John mise una mano sul braccio di Sherlock prima che potesse portare il bicchiere alle labbra.

“Non abbiamo brindato.” Fece John. “Porta sfortuna bere prima di brindare.”

“A cosa vuoi brindare?” chiese Sherlock.

“Ai lieto fine.” John rispose con fermezza.

Sherlock alzò le sopracciglia in un breve movimento, ma semplicemente tintinnò il suo bicchiere contro quello di John e prese un sorso, guardando indietro nella direzione del mare che si infrangeva dolcemente e inesorabilmente contro la riva. Si era tolto la giacca, ma era ancora vestito con sottili pantaloni scuri e una camicia bianca. John era sicuro che la camicia era stata pensata per essere perfettamente su misura - oscenamente su misura – com’era di solito l’abbigliamento di Sherlock, ma pendeva su di lui invece di stringerlo e il cuore di John doleva un po’ alla vista.

“Sei certo di non voler mangiare un boccone?” John provò di nuovo a convincerlo.

“Vieni a darmi una lezione di astronomia.” disse Sherlock, e scese i gradini della veranda andando verso la spiaggia.

John, sorpreso, si alzò e lo seguì. Sherlock si sdraiò con la schiena sulla sabbia, il bicchiere di vino poggiato vicino la sua testa, e John trasalì allo stato dei suoi vestiti.

“Finirai per rovinare quella camicia.” osservò John.

“Ci sono state tragedie peggiori, John.” replicò Sherlock con calma.

John si strinse nelle spalle, pensò Che diavolo? e si sdraiò con la schiena sulla sabbia accanto a Sherlock, le teste che quasi si sfioravano. Il cielo era un tappeto affollato di stelle, niente affatto come il cielo di Londra, quasi terrificanti nel loro numero incalcolabile. John pensò alla lettera di Sherlock sull’Afghanistan, a Sherlock che studiava un cielo deserto e straniero. John desiderò improvvisamente espellere quella memoria solitaria dalla testa di Sherlock, voleva assicurarsi che Sherlock pensasse solo a cose positive mentre guardava il cielo sopra le loro teste.

“La cintura di Orione.” spiegò John, e la indicò. “Quelle tre stelle, lì.”

Sherlock si spostò ancora più vicino a lui e aggrottò la fronte nella direzione che John stava indicando. “Perché sono la cintura di Orione?”

“Beh. Lo sono e basta. Il resto di Orione è da qualche parte lassù.” Sherlock aveva ragione; avevano già esaurito la conoscenza di John in tema di costellazioni.

“Chi era Orione?” chiese Sherlock.

“Non lo so, in realtà. Un cacciatore, credo. È un mito greco.”

Sherlock rimase in silenzio accanto a lui per lungo tempo prima di dire, finalmente, “Guardarono tutto questo e si inventarono delle storie.”

“Chi?”

“Gli antichi greci. Un cacciatore nel cielo. Non lo capivano, così hanno inventato la storia di un cacciatore nel cielo. E dissero a tutti ‘Quella lì è la sua cintura.’ E non ha assolutamente alcun senso, ma ora, millenni dopo, stai ancora parlando di Orione e della sua cintura. Tutto ciò che abbiamo imparato sulle stelle, tutta la verità che conosciamo oggi, eppure c’è ancora la storia del cacciatore nel cielo.”

John sentì che Sherlock non stava affatto parlando delle costellazioni o dei miti greci, ma non voleva premere sul problema a meno che Sherlock non fosse pronto a discuterne. Così John rimase in silenzio e l’oceano si infranse contro la riva e la cintura di Orione splendeva sulle loro teste, così come aveva fatto per millenni.

“Dimmi un’altra costellazione” richiese Sherlock, alla fine.

“Finito. È tutto quello che so.”

Sherlock rise. “Dovresti scriverlo nel tuo blog. Lo rende più imparziale.”

“Oh, non pensi che il mio blog sia imparziale?”

“Devo menzionare ‘spettacolarmente ignorante’ di nuovo?”

“È successo una volta, Sherlock.”

“‘Iperattivo, maleducato, arrogante, e una vera e propria rottura di palle.’” citò Sherlock.

“Se ti ha infastidito così tanto, non avresti dovuto memorizzarlo.” sottolineò John, esasperato.

“Ho bisogno di sapere i pregiudizi che le persone potrebbero avere prima di incontrarmi.”

“Più che altro hai bisogno di sapere se sanno come sei veramente, così che quella spaventosa farsa di te pieno di finto fascino non possa funzionare su di loro.”

“Se è pieno di fascino, non può essere anche spaventoso.”

“No, è un’impresa speciale che solo tu puoi essere in grado di realizzare.” Ci fu un momento di silenzio. John azzardò, con attenzione, “Mi dispiace di non aver aggiornato. È solo che non avevo idea di cosa dire. Cosa avrei potuto dire... ?”

“Certo.” disse Sherlock, bruscamente. “No, ha perfettamente senso.”

John pensò che non avrebbe dovuto dire nulla. Si maledisse in silenzio, fissando le stelle.

Poi Sherlock disse: “Non è la tua migliore fotografia.”

John era confuso. “Scusa?”

“Quella sul tuo blog. Non è la tua migliore fotografia.”

John non sapeva come rispondere a quello, così rimase in silenzio.

 

 

 

Note della traduttrice:

Eccoci al primo capitolo dell’ultima parte di Letters. Avete capito bene, questa quinta e ultima parte comprende ben 14 capitoli, uno più bello dell’altro a parer mio. Entriamo nel vivo della storia, perché quei due devono decisamente iniziare a parlare e a capire come poter tornare quelli di una volta. Ci riusciranno?

Grazie alla mia beta, che come sempre mi aiuta a sistemare le cose e che anche stavolta mi ha permesso di postare in tempo il capitolo! Vi avevo detto che non vi avrei fatto attendere molto, e avrei pubblicato anche prima se non fossi partita per una piccola vacanza! Riguardo al prossimo aggiornamento, sicuramente la prossima settimana, anche se credo dovrò trovare un giorno in particolare così da darmi una scadenza. Suggerimenti ben accetti!

Alla prossima,

_opheliac

   
 
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