Note generali:
Questa
è una
traduzione di una storia originale dell’autrice earlgreytea68, che potete trovare al
link: http://archiveofourown.org/works/1021303/chapters/2031525
Capitolo 1
La baita era
sprovvista di televisione o libri. O, per lo
meno, il salotto lo era. Cosa aveva fatto
Sherlock tutto quel tempo? Beh, impazzire lentamente era,
John suppose, la
risposta. E John lo stava seguendo, mentre si aggirava furtivamente per
ogni
centimetro della baita in cerca di qualcosa da fare. Dietro la porta
della
camera da letto era tutto misteriosamente silenzioso, e John resistesse
al
sospetto, che tentava di farsi strada, che Sherlock fosse scappato
uscendo
dalla finestra. Invece, John cercò di sforzarsi di rimanere
calmo e
focalizzarsi sul mantenere il fuoco acceso nel camino così
che la baita non
sarebbe diventata insopportabilmente fredda e nel cercare di non
pensare a
quanto fosse affamato. Masticò un’altra barretta
proteica e considerò che, se
Sherlock non fosse stato d’accordo ad andar via al
più presto, si sarebbero
trovati in grossi problemi riguardanti il cibo. John
desiderò non essersi
fermato dal prendere altre provviste quando si era reso conto di quanto
fosse
vicino a Sherlock, ma era stato così impaziente di arrivare lì, di vederlo.
In più non si aspettava che Sherlock si trovasse in un stato
così tragico da
non avere abbastanza roba da mangiare all’interno della
baita. John si fece una
tazza di tè e si disse di pensare a qualcos’altro.
Ma l’unico argomento a cui
il suo cervello fosse un minimo interessato era Sherlock, e John non
poteva
fermarsi dal ritornarci inesorabilmente sopra. Aveva ferito Sherlock.
L’aveva
devastato. Senza saperlo. Senza pensarci. Aveva causato molti
più danni di
quanto avesse realizzato, e non aveva idea di come avrebbe potuto
sistemare le
cose. Non aveva idea se Sherlock gli avrebbe mai dato la
possibilità di farlo.
E
com’era diverso da come John
pensava sarebbe andata. Aveva pensato che avrebbe trovato Sherlock e
sarebbe
stato lui a dover accettare le scuse. Con amore, ovviamente,
perché ogni
accenno di rabbia si era da tempo trasformata in sollievo, ma comunque,
pensava
che sarebbe stato Sherlock a
preoccuparsi di dover sistemare le cose, non il contrario.
E come poteva
non aver mai pensato in
che condizioni avrebbe trovato Sherlock? Sapeva dalle sue lettere che
Sherlock
era un disastro, ma in qualche modo non era stato in grado di
immaginarselo.
Aveva pensato che Sherlock sarebbe ritornato in se stesso dopo averlo
visto,
arrogante e intoccabile e suscettibile. Forse Sherlock non era morto
quel
giorno sul marciapiede, il duro guscio esterno si era frantumato. Era
un
insieme di doloranti, esposte vulnerabilità su cui John
aveva, sbagliando,
speso ben poco tempo a preoccuparsi di quanto avrebbe chiaramente
dovuto. Non
si sarebbe mai perdonato per non essersi preoccupato maggiormente per
Sherlock,
o sulle cose di Sherlock di cui si sarebbe dovuto preoccupare, non
semplicemente se avesse mangiato o dormito o stesse pensando di
riprendere a
drogarsi, quanto se il suo cuore si stesse spezzando per colpa sua. A
John non
era mai passato per la mente di preoccuparsi di quello.
Il suono della
porta della camera da
letto che si apriva nella stanza silenziosa fu così
rumorosamente assordante
che John saltò. Spostò lo sguardo dai guizzi
delle fiamme nel camino.
Sherlock stava
in piedi nell’ingresso,
ancora vestito nel completo che aveva indossato quella mattina, il che
sembrava
una vita prima. Era stato buio per ore, ma
l’oscurità in Siberia arrivava
presto, quindi John non aveva idea dell’orario effettivo. Si
era forzato a
nascondere l’orologio dentro il proprio zaino
perché altrimenti l’avrebbe
guardato ogni minuto, e non sarebbe stato d’aiuto.
Dietro Sherlock
la camera era buia, e
John non si era preoccupato di accendere le luci nel salotto, quindi
l’unica
luce proveniva dal fuoco, e oscurava più che mostrare
qualcosa.
“Sei
ancora qui.” disse Sherlock. Il
suo tono era vacuo, illeggibile.
“Certo.”
rispose John. “Te l’ho
detto: non ho intenzione di andar via.”
“E
c’è anche l’ovvio fatto che siamo
bloccati dalla neve.”
“Pensavo
che forse te ne fossi andato
tu.” disse John.
“Siamo
bloccati dalla neve.” ripeté
Sherlock, e John trasalì.
“Vuoi
che me ne vada?” chiese,
odiando quanto pensasse di conoscere la risposta.
Sherlock si
mosse attraverso la
stanza, senza guardarlo. Si sedette con attenzione accanto a John sul
divano,
senza toccarlo, e guardò il fuoco pensieroso. John
notò che stava stringendo la
sua lettera. Ci si aggrappava con tutte le sue forze, in
realtà. Era
spiegazzata dove il suo pugno la stringeva. John spostò lo
sguardo dalla
lettere al profilo di Sherlock ma non riuscì a percepire
nulla.
Sherlock si
leccò le labbra e ingoiò
e disse, a voce così bassa che John dovette avvicinarsi,
“No.”
John si prese un
momento per
assorbire la cosa. Era qualcosa, pensò. Era un inizio.
“Okay.” disse,
lentamente, pensando con intensità. “Bene. Ne sono
felice.” fece silenzio, e lo
sguardo di Sherlock rimase fisso sul fuoco, e quando John decise che
Sherlock
non avrebbe detto nient’altro, suggerì, con
cautela, “Senti. Abbiamo bisogno di
cibo...”
“Non
posso tornare a Londra.” si
intromise Sherlock con decisione, molta di più di quella che
aveva usato per
dire a John di non andar via.
La mente di John
si tirò un po’
indietro a quella frase. Voleva chiedere, Come,
mai? e nello stesso momento realizzò che non gli
importava. Se Sherlock non
sarebbe mai riuscito a tornare a casa allora John sarebbe rimasto in
Siberia
con lui per il resto delle loro vite. Sarebbe stato certamente migliore
del
tornare indietro a Londra senza di lui. Disse, con voce calma,
“Okay. Va bene.
Rimarremo qui. Per tutto il tempo che vorrai. Ma avrò
bisogno di uscire e
procurarci del cibo.”
Sherlock fece un
profondo, tremante
respiro. “Mi è mancata la tua terribile
cucina.”
John voleva
piangere dal sollievo per
la meravigliosità di
quell’insulto. Si sforzò di comportarsi
normalmente. “La mia cucina non è
terribile.”
“Mi
è mancato il modo in cui riesci
sempre a bruciare il pollo arrosto che cerci di preparare.”
“Il
pollo arrosto è difficile.”
John si difese
automaticamente, chiudendo gli occhi perché poteva sentire
come il suo tono di
voce fosse sommerso dal peso di quanto gli erano mancate quelle
conversazioni.
“Non
lo è, davvero.” replicò
Sherlock, e la sua voce suonava piena di lacrime come quella di John.
“È
scienza, John.”
John si
schiarì la voce e aprì gli
occhi e fu sollevato quando la frase successiva sembrò molto
più leggera. “È il
tuo modo per richiedere che ci arrostisca un pollo per
domani?”
Sherlock lo
guardò, e John non se lo
aspettava, e la forza di tutta quell’attenzione quasi lo fece
cadere di lato. “Non
voglio rimanere qui.” disse con disperazione. “Non
posso tornare a Londra, e
non voglio stare qui, e –”
“D’accordo.”
disse John, con calma,
perché pensava che Sherlock avesse disperatamente bisogno di
una calma fermezza
al momento. La sregolatezza di Sherlock aveva sempre forzato John a
reagire con
tranquillità, e John cadde facilmente nella vecchia
abitudine. “Andremo da
qualche altra parta, allora. Posso suggerire qualche posto al
caldo?” John
pensò all’Afghanistan e aggiunse frettolosamente,
“I tropici? I caraibi?”
Udì
Sherlock espirare lentamente, gli
occhi ancora fissi su di lui. “Una vacanza?”
suonava scettico.
“Chiamala
come preferisci.” replicò
John, “Ma solo Cristo sa che entrambi ne
meritiamo una.”
Sherlock rimase
in silenzio per un
momento, e dopo annuì. Quando parlò di nuovo il
suo tono era sbrigativo, e
suonava maggiormente come il suo vecchio io. “Ti hanno
seguito?”
John scosse la
testa. “Sono stato
attento.”
“Ma
Mycroft è meticoloso. Avrà notato
che hai lasciato il paese.”
“Sapeva
che stavo venendo a cercarti.
Ho lasciato che mi seguisse in Argentina. Dopo ho preso una falsa
identità.”
“Dove?”
chiese Sherlock, suonando
curioso al fatto che John avesse anche solo pensato ad una cosa simile.
“Dallo
stesso tipo che ti ha dato la
tua. Personaggio incantevole.”spiegò John,
sarcasticamente, perché il coglione
l’aveva minacciato con un coltello immediatamente dopo averlo
visto e solo un
bel mucchio di soldi gli avevano fatto cambiare idea.
Sherlock
roteò gli occhi per il disgusto,
e John si sentì come se avessero raggiunto molta
più normalità tra di loro nel
mezzo di un paio di frasi di quanto si sarebbe immaginato.
“Se l’ha detto a te,
lo dirà agli uomini di Mycroft, e nessuno di noi due
è al sicuro. Dovremmo
prendere nuove identità.”
Non volendo
turbare Sherlock adesso
che sembrava finalmente più simile a se stesso, John ci
pensò prima di dire, “Va
bene. Se vuoi, lo faremo. Ma posso chiederti che pericolo
c’è nel far sapere a
Mycroft che stai bene? È preoccupato per te.”
Sherlock
grugnì. “No, non lo è.”
“Sei
suo fratello. Certo che lo è.”
“Ti
è sembrato preoccupato, quindi?”
“Sì.
Non nel modo in cui le persone normali
sarebbero preoccupate, ma, sai, nessuno di voi due è
particolarmente normale
nell’esprimere –” John si interruppe,
pensando che forse non sarebbero dovuti
rientrare nel campo minato che erano le emozioni di Sherlock.
“Ad ogni modo,
non era preoccupato, era triste. Pensava tu fossi morto.”
“Doveva
pensarlo.”
“Beh.
Ben fatto, immagino.”
Sherlock lo
guardò per un secondo. “Ma
tu non l’hai fatto.”
“Non
ho fatto cosa?”
“Non
hai pensato che fossi morto.”
John lo
guardò di rimando. “L’avevo
già pensato una volta. È uscito fuori che
è stato un grande errore. Tendo a non
fare lo stesso errore due volte.”
“Non
posso occuparmi di Mycroft.”
disse Sherlock, dopo un momento.
“Mi
accerterò che non ci dia
fastidio.” John promise.
Sherlock lo
guardò, e l’aria si fece
improvvisamente carica di tensione, e John realizzò di colpo
tutto quello che c’era
in sospeso tra di
loro.
“Ti
fidi di me?” chiese, terrorizzato
dalla risposta.
Sherlock lo
guardò per qualche
silenzioso secondo in più. E dopo disse,
“Sì. Okay. Sì.” e poi si alzò e
andò dentro la camera da letto.
John
esitò, per poi estrarre il
proprio telefono e accenderlo. Prendeva un debole segnale e
scaricò un osceno
numero di messaggi in segreteria ed sms. John li ignorò
tutti, scrivendo un
solo messaggio a Mycroft. Sherlock sta
bene. Ha bisogno di un po’ di tempo. Se ci disturbi,
posterò sul blog ogni
singolo segreto di stato che conosco. John
aspettò che si inviasse, per poi
spegnere nuovamente il telefono. Guardò verso la stanza da
letto. La porta era
aperta, cosa che John considerò come un invito. O, almeno,
non come una
barriera.
Si
alzò e camminò lentamente verso
l’entrata
della stanza, volendo essere certo che Sherlock lo sentisse. Sherlock
aveva
acceso una lampada ed era seduto sul letto, le mani unite davanti le
labbra.
John voleva sapere a cosa stesse pensando.
Sherlock
voltò lo sguardo su di lui,
le sopracciglia che si alzarono in attesa.
“Quanto
dolore hai al momento?” John
chiese.
“Una
domanda curiosa considerando che
proviene dalla persona che ha gettato via tutti i miei
antidolorifici.”
Sherlock rimarcò, sarcasticamente.
“Ovviamente
ne ho tenuti alcuni. Non
sono senza cuore. Semplicemente non c’era alcun bisogno che
tu possedessi un’intera
farmacia.”
Sherlock rimase
zitto per un momento.
Poi disse, “Sto bene. Ma penso che mi sentirei meglio se
potessi fumare una
sigaretta.”
“Fuori.”
disse John, gentilmente.
“Hmph.”
fu la risposta di Sherlock,
per poi tornare ai suoi pensieri.
Era
così normale – così
normale – che John si chiese se
stesse sognando. O se avesse sognato per tutti i sei mesi precedenti. E
non
voleva che fosse, necessariamente, così normale, il tornare
indietro
esattamente a com’era stato prima. Aveva passato sei mesi
desiderando che
avesse fatto sapere a Sherlock cosa provava verso di lui. E Sherlock
aveva
apparentemente speso l’intera durata della loro conoscenza
rimpiangendo di non
avere l’abilità di esprimere come si sentiva. John
era riluttante a lasciare
che le cose tornassero ai vecchi schemi, ad ignorare tutto
ciò che aveva
imparato.
John
camminò per la stanza, si chinò
sul letto, e passò una mano sulla testa di Sherlock prima di
posare un bacio
sui suoi folti capelli troppo lunghi. Sentì Sherlock
trattenere il respiro in
una reazione sorpresa, e John lasciò le sue labbra premere
contro di lui e
chiuse gli occhi e ringraziò lo stesso Dio, se esisteva, che
l’aveva lasciato in
vita in
Afghanistan, per il miracolo di quella
seconda occasione con Sherlock. Promise a quel Dio di non perderla come
l’aveva
persa la prima volta.
“Ti
amo.” disse John, prima di
raddrizzarsi e lasciare la stanza. Poteva percepire la sbalordita
sorpresa di
Sherlock dietro di sé, e John pensò che andasse
bene. Sherlock poteva non
dirglielo di rimando ancora, ma alla fine ci sarebbero arrivati. Alla
fine
Sherlock gli avrebbe creduto. Alla fine entrambi avrebbero preso
l’importanza
di quelle parole per garantite, un’affermazione inconfutabile
come il colore
del cielo.
John si distese
sul divano, guardò il
fuoco, e ascoltò il silenzioso pensare di Sherlock
nell’altra stanza. Infine si
addormentò con un sorriso sul viso.
****
Sherlock
lasciò che John scegliesse
la destinazione. John scelse Anguilla perché era la prima in
ordine alfabetico
e John non voleva pensarci più di tanto. Sherlock
concordò volentieri ma fu
teso per la durata dell’intero viaggio. Usarono i loro
passaporti falsi sotto
insistenza di Sherlock, e il nervosismo di Sherlock fece pensare a John
che era
felice che Mycroft li stesse probabilmente tracciando. Sherlock aveva
detto di
essere dietro alla rete di Moriarty, e certamente Sherlock era stato
quasi
ucciso da loro in Argentina; John non aveva alcun desiderio di
incontrarli.
Beh, non era vero. Avrebbe felicemente picchiato chiunque avesse messo
mani e
proiettili su Sherlock, ma non mentre stava tentando di fargli
mantenere la
calma.
John
affittò una macchina. Sherlock,
in maniera inusuale, si rifiutò di guidare e cedette le
chiavi a John. John
guidò e guidò e guidò, il
più lontano che l’isola potesse permettergli, e
Sherlock rimase in silenzio, lo sguardo che non lasciò mai
la monotonia dell’isola
che passava dal finestrino della macchina.
John
lasciò la macchina nel
parcheggio dell’hotel che aveva prenotato e fu contento
quando si rese conto
che era isolato esattamente com’era promesso sul sito.
Sherlock si guardò
intorno con grande curiosità e seguì John
all’interno, e John fu sollevato dal
vedere che sembrava interessato al luogo. Diede il suo falso nome e una
falsa
carta di credito e gli fu data la chiave della casa con due stanze che
aveva
affittato. Sherlock lo seguì fuori sul sentiero
dell’hotel, passando davanti
gruppi di villette finché finalmente non ne rimase una sola,
isolata, costruita
sul margine della spiaggia di sabbia bianca. Era un posto piccolo e
adorabile,
con un’irresistibile vista dell’oceano sotto il
cielo azzurro, ma quello che
John pensava che Sherlock avrebbe apprezzato era quanto fosse esposta.
Impossibile avvicinarsi di soppiatto lungo la spiaggia che non offriva
alcuna
protezione. Non c’erano altre persone intorno, e avrebbero
visto immediatamente
chiunque avesse tentato di avvicinarsi.
Sherlock
camminò per tutte le stanze
della villa. John lo lasciò fare, dandogli spazio,
versandosi un bicchiere
dello champagne di benvenuto che era stato lasciato a riposare nel
salotto e
uscì fuori nella veranda che avvolgeva il complesso. Si
appoggiò alla ringhiera
e guardò verso l’oceano. Il sole splendeva, la
temperatura era perfetta,
soffiava una leggera brezza, e John si sentiva ottimista.
Sherlock
uscì nella veranda e John si
voltò a guardarlo. Senza dire una parola, Sherlock si
avvicinò e si appoggiò
alla ringhiera, la schiena posata al palo più vicino a John.
Osservò l’intera
spiaggia. C’erano un paio di visitatori che prendevano il
sole, ma erano ad una
certa distanza. Sherlock sembrò non prenderli in
considerazione, voltandosi
verso John, e si rilassò visibilmente, tranquillizzandosi
davanti i suoi occhi.
Sorrise, un sorriso genuino, non uno pieno di paura e rimpianti e
tristezza, e
John pensò che fosse il primo di quel tipo che vedeva. Si
ritrovò a sorridere
di rimando.
“Ti
ritroverai tutto abbronzato.”
fece presente Sherlock. “Allo stesso modo di quando ci siamo
incontrati.”
“Se
non finirò per bruciarmi
accidentalmente.” John replicò di buon umore.
“I
tuoi capelli si schiariranno di
nuovo per colpa del sole.” Sherlock sembrava deliziato alla
prospettiva.
John voleva
chiedere per quanto tempo
Sherlock intendesse restare lì, ma decise che non gli
importava. C’erano posti
peggiori dove essere intrappolati che una piccola spiaggia sulla punta
di un’isola
dei Caraibi.
Disse,
delicatamente, “Forse imparerò
a fare immersioni. Ho sempre voluto farlo.”
“Ma
certo. John Watson: avventuriero.
Se tu fossi nato nel quindicesimo secolo, ti saresti imbarcato con
Colombo.”
“Se tu
fossi nato nel quindicesimo
secolo, mi avresti detto che ero un idiota per aver bisogno di una
barca per
provare qualcosa che tu avresti già provato con la
scienza.”
“Ma
avrei dovuto conoscere l’astronomia
per provarlo.” si inserì Sherlock.
John rise.
“Ti insegnerò l’astronomia,
ho deciso.”
“È
un modo davvero esagerato per
dirmi che mi ricorderai che la Terra ruota intorno al Sole, un fatto
che non ho
mai dimenticato da quando hai deciso di condividerlo con il resto della
popolazione.”
“Ti
insegnerò più di quello.”
“Conosco
anche l’ordine dei pianeti.
E che c’è un qualche dibattito su
Plutone.”
“Come
lo sai?”
“Ho
avuto un po’ di tempo ultimamente.”
Fece Sherlock, gli occhi che si spostarono a guardare
l’oceano. Dopo si schiarì
la gola e forzò lo sguardo a tornare su John e della
casualità nel suo tono. “Comunque,
con questo abbiamo esaurito la tua conoscenza
dell’astronomia.”
John diede
un’alzata di spalle e
sorseggiò lo champagne. “Non significa che non
possiamo comunque guardare le
stelle.”
“Non
conosci le costellazioni.” disse
Sherlock, sorridendo.
“Sono
abbastanza convinto della mia
abilità nel poter trovare la cintura di Orione, ti
dirò.” rispose John,
formalmente, divertito dai botta e risposta della conversazione.
Sherlock
portò indietro la testa sul
palo e chiuse gli occhi, crogiolandosi al sole. Sembrava
pericolosamente
felice, e John pensò, con l’inizio di una sorta di
triste realizzazione, che
era possibilmente la prima volta che vedeva Sherlock sembrare
così felice. “Beh,
aspetto con ansia la lezione, allora.”
John
sorseggiò lo champagne e guardò
l’oceano per un momento, per poi tornare a guardare Sherlock.
Mosse
tentativamente un piede, toccando la gamba di Sherlock.
“Mmm?”
chiese lui, senza aprire gli
occhi.
John fu contento
che Sherlock non
avesse sussultato al contatto. “Non addormentarti in quel
modo.”
“Non
è che mi ‘addormento’ ovunque,
John.” protestò Sherlock, assonnato.
“Sei
completamente al sole; prenderai
un’ustione e farai le macchie, specialmente con la tua
carnagione.”
“Sempre
il babysitter” mormorò
Sherlock.
“Il
tuo? Sì. Sempre.” John toccò di
nuovo la sua gamba. “Sono serio. Se devi appisolarti, vai
all’ombra.”
Sherlock
aprì gli occhi e guardò
seriamente verso John. “Se mi addormentassi, che faresti
tu?”
John sostenne il
suo sguardo e disse,
sinceramente, “Terrei d’occhio la situazione per
essere certo che nessuno si
avvicini a te.”
Sherlock non
reagì in nessun modo
visibile, mantenne semplicemente lo sguardo calmo, e alla fine si
alzò senza
una parola. Entrò nella villa, e John tornò a
guardare l’oceano e prese un
altro sorso di champagne.
“John.”
John
girò la testa e si voltò a
guardare Sherlock, che era riapparso all’uscio della veranda.
Sherlock
esitò, e dopo disse,
lentamente, sembrando incerto, “Grazie. Tutto questo
è... adorabile.”
John
aspettò che la sua gola si rilassasse
abbastanza da poter dire, “Certo.”
Sherlock
annuì una volta e tornò
dietro nella villa.
****
Sherlock
dormì. John ordinò dal
servizio in camera e, quando
Sherlock
sembrò incline a dormire anche durante la cena,
mangiò da solo sulla veranda,
mantenendo l’attenzione vigile osservando la spiaggia in ogni
direzione, per
qualsiasi cosa che destasse sospetto. John pensò che
Sherlock avesse
probabilmente un disperato bisogno di dormire. Sospettava che Sherlock
non
avesse dormito molto bene per tutti i sei mesi in cui era stato morto.
E sapeva
che Sherlock non aveva dormito durante il volo, che era invece rimasto
sveglio,
vigile e teso. John conosceva parte di ciò che era stato
fatto a Sherlock; il
modo in cui Sherlock si comportava rendeva John riluttante dal volere
dettagli
più concreti, per paura che il suo cuore si sarebbe
completamente spezzato.
Quando Sherlock
finalmente uscì fuori
sulla veranda era buio e John stava guardando le stelle, cercando di
individuare le costellazioni.
“Ciao.”
disse, con allegria, cercando
volutamente di fare in modo che Sherlock non si sentisse imbarazzato
per colpa
del lungo sonnellino.
Sherlock non
disse nulla. Camminò a
piedi nudi verso la ringhiera della veranda e si sporse, guardando per
tutta la
spiaggia buia. In lontananza, dalla direzione del ristorante
dell’hotel, arrivavano
deboli risate.
Sherlock si
allontanò dalla ringhiera,
gli occhi che si posavano ora sui resti del vassoio del servizio in
camera.
“Temo
che sia freddo ora.” disse John.
“Ma c’è un po’
d’insalata lì che puoi mangiare . O un
po’ di torta al
cioccolato?” John si sarebbe accontentato se Sherlock avesse
mangiato qualsiasi
cosa.
Sherlock fece un
suono di disinteresse,
ma si chinò verso John e prese la bottiglia di vino che era
stata ordinata con
il pasto.
“Questa
non l’hai aperta.” disse
Sherlock.
“Sembrava
sciocco stare seduto a bere
vino tutto da solo.” rispose John.
Sherlock aveva
presto il cavatappi.
John lo guardò stappare il vino e versarne due bicchieri,
prendendone uno e
consegnandogli l’altro. John mise una mano sul braccio di
Sherlock prima che
potesse portare il bicchiere alle labbra.
“Non
abbiamo brindato.” Fece John. “Porta
sfortuna bere prima di brindare.”
“A
cosa vuoi brindare?” chiese
Sherlock.
“Ai
lieto fine.” John rispose con
fermezza.
Sherlock
alzò le sopracciglia in un
breve movimento, ma semplicemente tintinnò il suo bicchiere
contro quello di
John e prese un sorso, guardando indietro nella direzione del mare che
si
infrangeva dolcemente e inesorabilmente contro la riva. Si era tolto la
giacca,
ma era ancora vestito con sottili pantaloni scuri e una camicia bianca.
John
era sicuro che la camicia era stata pensata per essere perfettamente su
misura
- oscenamente su misura –
com’era di
solito l’abbigliamento di Sherlock, ma pendeva su di lui
invece di stringerlo e
il cuore di John doleva un po’ alla vista.
“Sei
certo di non voler mangiare un
boccone?” John provò di nuovo a convincerlo.
“Vieni
a darmi una lezione di
astronomia.” disse Sherlock, e scese i gradini della veranda
andando verso la
spiaggia.
John, sorpreso,
si alzò e lo seguì.
Sherlock si sdraiò con la schiena sulla sabbia, il bicchiere
di vino poggiato vicino
la sua testa, e John trasalì allo stato dei suoi vestiti.
“Finirai
per rovinare quella camicia.”
osservò John.
“Ci
sono state tragedie peggiori, John.”
replicò Sherlock con calma.
John si strinse
nelle spalle, pensò Che diavolo?
e si sdraiò con la schiena
sulla sabbia accanto a Sherlock, le teste che quasi si sfioravano. Il
cielo era
un tappeto affollato di stelle, niente affatto come il cielo di Londra,
quasi
terrificanti nel loro numero incalcolabile. John pensò alla
lettera di Sherlock
sull’Afghanistan, a Sherlock che studiava un cielo deserto e
straniero. John
desiderò improvvisamente espellere quella memoria solitaria
dalla testa di
Sherlock, voleva assicurarsi che Sherlock pensasse solo a cose positive
mentre guardava
il cielo sopra le loro teste.
“La
cintura di Orione.” spiegò John,
e la indicò. “Quelle tre stelle,
lì.”
Sherlock si
spostò ancora più vicino
a lui e aggrottò la fronte nella direzione che John stava
indicando. “Perché
sono la cintura di Orione?”
“Beh.
Lo sono e basta. Il resto di Orione
è da qualche parte lassù.” Sherlock
aveva ragione; avevano già esaurito la
conoscenza di John in tema di costellazioni.
“Chi
era Orione?” chiese Sherlock.
“Non
lo so, in realtà. Un cacciatore,
credo. È un mito greco.”
Sherlock rimase
in silenzio accanto a
lui per lungo tempo prima di dire, finalmente, “Guardarono
tutto questo e si
inventarono delle storie.”
“Chi?”
“Gli
antichi greci. Un cacciatore nel
cielo. Non lo capivano, così hanno inventato la storia di un
cacciatore nel
cielo. E dissero a tutti ‘Quella lì è
la sua cintura.’ E non ha assolutamente
alcun senso, ma ora, millenni dopo, stai ancora parlando di Orione e
della sua
cintura. Tutto ciò che abbiamo imparato sulle stelle, tutta
la verità che
conosciamo oggi, eppure c’è ancora la storia del
cacciatore nel cielo.”
John
sentì che Sherlock non stava
affatto parlando delle costellazioni o dei miti greci, ma non voleva
premere
sul problema a meno che Sherlock non fosse pronto a discuterne.
Così John
rimase in silenzio e l’oceano si infranse contro la riva e la
cintura di Orione
splendeva sulle loro teste, così come aveva fatto per
millenni.
“Dimmi
un’altra costellazione” richiese
Sherlock, alla fine.
“Finito.
È tutto quello che so.”
Sherlock rise.
“Dovresti scriverlo
nel tuo blog. Lo rende più imparziale.”
“Oh,
non pensi che il mio blog sia
imparziale?”
“Devo
menzionare ‘spettacolarmente
ignorante’ di nuovo?”
“È
successo una volta,
Sherlock.”
“‘Iperattivo,
maleducato, arrogante,
e una vera e propria rottura di palle.’”
citò Sherlock.
“Se ti
ha infastidito così tanto, non
avresti dovuto memorizzarlo.”
sottolineò
John, esasperato.
“Ho
bisogno di sapere i pregiudizi
che le persone potrebbero avere prima di incontrarmi.”
“Più
che altro hai bisogno di sapere
se sanno come sei veramente, così che quella spaventosa
farsa di te pieno di
finto fascino non possa funzionare su di loro.”
“Se
è pieno di fascino, non può
essere anche spaventoso.”
“No,
è un’impresa speciale che solo
tu puoi essere in grado di realizzare.” Ci fu un momento di
silenzio. John
azzardò, con attenzione, “Mi dispiace di non aver
aggiornato. È solo che non
avevo idea di cosa dire. Cosa avrei potuto dire... ?”
“Certo.”
disse Sherlock, bruscamente.
“No, ha perfettamente senso.”
John
pensò che non avrebbe dovuto
dire nulla. Si maledisse in silenzio, fissando le stelle.
Poi Sherlock
disse: “Non è la tua
migliore fotografia.”
John era
confuso. “Scusa?”
“Quella
sul tuo blog. Non è la tua migliore
fotografia.”
John non sapeva
come rispondere a
quello, così rimase in silenzio.
Note
della
traduttrice:
Eccoci al primo capitolo
dell’ultima parte di Letters.
Avete capito bene, questa quinta e ultima parte comprende ben 14
capitoli, uno
più bello dell’altro a parer mio. Entriamo nel
vivo della storia, perché quei
due devono decisamente iniziare a parlare e a capire come poter tornare
quelli
di una volta. Ci riusciranno?
Grazie alla mia beta, che come
sempre mi aiuta a
sistemare le cose e che anche stavolta mi ha permesso di postare in
tempo il
capitolo! Vi avevo detto che non vi avrei fatto attendere molto, e
avrei
pubblicato anche prima se non fossi partita per una piccola vacanza!
Riguardo
al prossimo aggiornamento, sicuramente la prossima settimana, anche se
credo
dovrò trovare un giorno in particolare così da
darmi una scadenza. Suggerimenti
ben accetti!
Alla prossima,
_opheliac