Il
nulla di R.
I
(Vuoti cosmici)
Io davvero ci ho
provato. Davvero ho provato a far ricombaciare tutti i pezzi, a
sforzarmi di credere che in un modo o nell'altro quella disastrosa
forza attrattiva che mi teneva insostenibilmente legata a lui si
dissolvesse nel nulla.
Da sola.
Ho provato.
Ed è sempre stato così: ho
provato, ho pensato, ho immaginato. Dio, se penso
a quell'egoismo, a quel narcisismo, a quell'involontario egocentrismo
che mi spingevano sempre più giù nel vuoto. Nel
nulla.
Non è mai stata una sensazione consapevole
quella di negare me stessa, di ritenermi giusta, al posto giusto. Di
condannare le ingiustizie, di sperare di avere sempre ragione, di
essere superiore, di camminare euforica sperando che quella fosse
felicità.
Ho sempre sperato, ho sempre illuso, ho sempre sottovalutato.
"Siate amici, rispettatevi, non abbiate la
necessità di avere sempre ragione".
Ed ecco il risultato.
Io ti odio, Rabastan Lestrange.
Ho provato a capirti, ho provato a non soffrire. Ho finto. Era come se
parlassi a vuoto, come se restassero ad ascoltarmi le
mie stesse parole.
Riuscivo a comprendere il momento preciso in cui uscivano dalla mia
bocca e tu le rigettavi via.
Ci sono cose che pesano, che colpiscono anche un cuore di
piombo.
Quel fastidio che mi spinge sulle costole, che mi perfora
come un milione spine su un cuore di paglia.
II
(Segni)
E non serve essere
sani se poi vivere é tragico. E non serve vedere
segni dappertutto, coincidenze in ogni minimo avvenimento, illudersi,
prendersi momenti di pausa, combattere bugie con altre bugie, offendere
con altre offese. Dicevano bene gli altri alle spalle che non ci
saremmo mai bastati l'uno con l'altro, che non sarebbe servito a nulla
allungare le distanze, porre per una volta fine a quel patetico
teatrino che era la nostra storia.
Ed è anche estremamente patetico aver preso parte a una
farsa, altrettanto degradante poterla guardare con gli occhi di uno
spettatore.
Mi avvicino lentamente al divano verdastro - quello per cui abbiamo
litigato animatamente tre anni fa - e lo guardo come se non ci fosse un
domani.
Respira lentamente ed è sudato sulle
tempie.
Lo bacio delicatamente sulle labbra e posso sentire quel sapore
inconfondibile di febbre, le mani fredde, le tempie calde. Stamattina
non ha fatto la barba. So che è sveglio, so che sta facendo
finta di dormire.
Dicono che il tempo passi e si porti via anche le persone: i
lineamenti, i vizi, le ossessioni. La voce.
Ma Rabastan è sempre quello di prima. Ha sempre il vizio di
lasciare il bicchiere mezzo pieno, di piegare il tappeto ai piedi del
letto in due, di lasciarsi un po' di dentifricio alla vaniglia sulle
labbra, di legarsi la cravatta troppo stretta e di aver paura del
sangue.
Perché quella non era una paura, era un vizio.
Rabastan Lestrange era emofobico per scelta.
III
(Squarci)
Ogni tanto si fa
strada tra le congetture della mia mente il pensiero di aver fallito.
Ho sempre pensato che in qualche modo a Rabastan desse fastidio il mio
successo. Non ha mai smesso per un attimo di storcere le
labbra in un'espressione indefinita quando gli
parlavo felice di un articolo, una cosa da nulla, anche una virgola
fuori posto. Un verbo coniugato male da un pivello, il caffé
caduto sulla camicia bianca nuova, di come mi mancasse durante le ore
lavorative, di come lo pensassi e di come fossi ossessionata dal suo
profumo.
Rabastan ha finto bellamente.
Rabastan sorride e ti confonde.
Rabastan ti accoltella quando meno te lo
aspetti.
Ho visto Rabastan Lestrange
sparire di colpo. Ho chiuso gli occhi, li ho riaperti e guardavo una
comune persona con degli occhi profondi
e la barba nera sfatta, uno sguardo penetrante e qualcosa di famigliare
che mi sfuggiva dolorosamente.
Ed è stata quella consapevolezza, la consapevolezza di
essere anonima, di non provare più nulla, che ha frantumato
il mio cuore in mille pezzi.
Non tanto la fine, non tanto l'abbandono, non tanto il
distacco. La consapevolezza, la presa di coscienza, la
lucidità.
Amare e pensare di non essere ricambiati è la forma
più travolgente, pungente, dolorosa di...mancanza.
****
Intermezzi
(o
momenti di ordinaria anormalità)
«Io ti amo,
Rabastan. Ti amo. Ma tu non sei più quello di
prima. E io non ci ri riesco più, io non posso farlo. Ho
questo dannato peso che mi comprime sul petto, che mi tormenta in ogni
momento.
Non riesco più a soffrire se tu soffri, non riesco
più a essere felice se tu lo sei, non riesco più
a guardarti negli occhi...in me si attiva quel fottuto mezzo di
elaborazione del dolore, quello che ti spinge a non piangere, a non
mostrarlo, ad allontanarti, ad allontanare tutti i sensi di colpa.
L'elaborazione dell'abbandono.Ci sono cose che facciamo
involontariamente, non ce ne rendiamo minimamente conto.
Il tempo non porta via solo le persone, le case, le rose, i fogli di
carta, le parole, le cicatrici, le ferite aperte, il rosso, il nero,
l'inchiostro, le lacrime.
Le persone portano via le persone, le
chiudono in sé e le tengono rinchiuse per sempre. Di
proposito.
Io sto solo cercando di concentrarmi.
Di sparire come se non avessi rimpianti.
«Non resta più nulla».
Se dovessi scrivere le mie memorie, credo che tralascerei volentieri
questi dettagli. Odiavo profondamente me stessa, io l'ho sempre fatto.
Eppure, ho sempre messo il cuore e la mente in ogni minima cosa che ho
portato avanti, anche con lo schifo tra le labbra. Ho sperimentato cosa
significasse essere in bilico tra la ragione insostenibile e il cuore
che pulsava sangue troppo velocemente. Rabastan mi ha aumentato il
ritmo dei battiti cardiaci fin dall'inizio, ha fatto in modo che
impazzissi completamente. Senza muovere un dito.
Non è sempre colpa nostra.
«Dio santo, Rabastan. I tuoi non sono
sentimenti».
C'è un momento preciso in cui non c'è
più luce negli occhi di nessuno. Un momento in cui tutti
sembrano uguali in maniera disgustosa: stessa pelle, stessi occhi,
stesse parole, stesso cuore...stesso profumo.
Perfetto. Quello è il momento preciso in cui stai per cadere
nell'abisso della depressione più buia.
Ieri era così lontano da me,
nonostante fossi stata io ad andare via. Improvvisamente tutte le mie
difese non sapevano più di nulla. E nulla aveva
più senso.
Nulla aveva avuto mai senso. O forse ero stata io a non trovare mai un
senso in nulla.
Il nulla.
«Che cosa
non va in te?»
****
IV
Il nulla di R.
Credo di aver sempre ritenuto possibile il non appassire lentamente. Ho
sempre guardato le cose con un certo distacco, in effetti.
Di essermi convinta, in qualche modo, di restare eternamente giovane,
forse di non dover abbandonare la mente con cui ho sempre affrontato
tutto.
I pensieri e le parole, i discorsi e lettere scritte di nascosto dai
miei. Le
giornate calde di Luglio.
L'erba secca, le nuvole e le luci del tramonto. Rabastan.
L'abbandono.
Sono sempre stata brava a fuggire, ad
abbandonare le persone. Contraevo i muscoli, indurivo i pugni. I
rimpianti erano e sono fitte allo stomaco.
Ho sempre sperato, ho sempre illuso, ho sempre
sottovalutato.
Anche io sono sempre la stessa.
«Ricominciamo dal principio. Era una nottata fredda,
sulla Torre d'Astronomia, e io ti odiavo con tutta me stessa.
Ricominciamo da lì. Magari proviamo a sorridere e
riprovarci. Magari proviamoci semplicemente. Magari proviamo a non
ingannarci. Magari».
La fine
Ho visto la neve
sciogliersi di colpo, di nuovo, tra le cartacce di vecchi diari, tra le
parole mai dette.
La sentivo bruciare
tra gli occhi. Puzzava di carne andata a male, era buia come un tunnel
senza uscita.
La fine.
"Rabastan mi piace perché legge in francese e beve
il caffé. Mi piace perché scrive minuscolo,
perché ancora annota le mie frasi sui taccuini di pelle, che
fanno tanto vintage. Quelli che danno un'aria seria.
Mi piace perché mi rifletto solamente in lui, nelle sue
parole, sulle sue mani biancastre e la sua pelle liscia.
Mi piace perché, perché...perché io lo
amo".
«Cosa c'è che non va in me?»
****
Beh, che dire, arriva
per tutti il momento di scrivere qualcosa di fortemente triste, fluff,
doloroso e tutte le altre cose assolutamente da pairing preferito. Per
la serie "vi amo, ma dovete morire per amore. Dovete soffrire!"
Nonsense. Diciamo che è da me.
Se non si fosse capito a dovere, il pairing è Rita
Skeeter/Rabastan Lestrange. Questa cosa era già stata
scritta molti molti mesi fa, rispecchia stati d'animo fortemente
negativi. Molto ermetica, molto da Rita e Rabastan. Per chiunque non
avesse mai letto qualcosa a riguardo: leggete e rivalutate!
Io li amo. Non è la prima volta che ci scrivo su,
per me è l'abitudine ormai. Ma capisco il non comprendere
tutto questo amore verso Rita. "Quella" odiata da tutti. "Quella"
giornalista da strapazzo. Ecco...
Infatti non c'è nulla da spiegare ulteriormente ^_^ A volte
si ama e basta. E se dovessi spiegarlo non saprei farlo bene in poche
righe. Evito molto prosaicamente ^_^'
Per quanto riguarda la struttura del testo, nella mia
testa ha seguito un filo narrativo ben preciso. In teoria "sarebbe" una
one-shot divisa
in vari momenti/titoli. Restano semplicemente i vari
momenti/aspetti/traviamenti (?) di un amore che è
già/quasi/ finito. Se non avete capito nulla, vi capisco. Vi
compatisco. ^_^'
Non è facile, per me, porre fine ad una storia
così importante: in ogni caso, ci aggiungerò
l'ancora della salvezza, il ricordo, il riprovarci, i vecchi appunti
dal diario di Rita. Poi, è mio dovere riportare le fonti di
alcune frasi:
"Siate amici, rispettatevi, non abbiate la
necessità di avere sempre ragione".(Celeste and
Jesse Forever)
Questa qui, questa commedia d'amore, è una delle
più belle che io abbia mai visto. Non ne vado per nulla
pazza (per le commedie d'amore), ma questa merita. Non è
come le solite. Dietro c'è una profonda psicologia
dell'abbandono e dell'amore. Guardatela! :)
"Ci sono cose che pesano, che
colpiscono anche un cuore di piombo".
"Ho visto la neve sciogliersi di colpo[...]"
(17 tir nel cortile, Verdena)
"E non serve essere sani se poi vivere è tragico"(
sempre i Verdena, Il nulla di O.)
P.S. Anche se io l’ho abbozzata ascoltando “Signs” dei Bloc Party…magari anche voi leggetela ascoltando quella canzone. Quella canzone, quella canzone è loro.
Un salutone ^_^