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Autore: Silver Shadow    17/04/2014    1 recensioni
Okay questa è la mia seconda fanfiction e io sono tipo "aiuto" (?) La scrivo per tutti gli appassionati di Percy Jackson che è un pezzo della mia vita. E' ambientata fra La maledizione del titano e La battaglia del labirinto, ed è incentrato sul dolore dei ragazzi dopo ciò che è successo in quella vecchia discarica degli dei. In quanto a Percabeth non attiene del tutto alla storia del libro ma a me piaceva così; spero piaccia anche a voi. Chu! >
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson, Talia Grace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I
La scuola iniziava seriamente a disturbarmi, giunti ad aprile. Cioè, più degli altri anni. Il nervosismo per la vicinanza dell’estate mi provocava continuamente fitte allo stomaco. Mi prenderete per pazzo ad avere così paura dell’estate, ma dell’ultima che avevo passato non avevo bei ricordi.
 Sognavo il viso di Bianca ogni notte. I suoi capelli e il colore dei suoi occhi, e quello stupido momento in cui ho accettato di lasciarla andare. Il momento in cui, inconsciamente, l’ho condannata a morte. In tutti gli incubi in cui lei non c’era –pochissimi quindi – c’era suo fratello Nico. L’espressione straziata mista a un odio che non avrebbe dovuto mai conoscere. Che io avevo provocato.
“Avevi promesso che l’avresti protetta”, continuava a ripetermi. E lo ripeteva due volte, tre volte,cento volte.. E mi svegliavo urlando da sogni che sapevo non essere solo sogni, sperando che da un momento all’altro mia madre sarebbe piombata nella mia stanza e mi avrebbe stretto forte finché tutto non sarebbe finito.
E invece l’unica persona che travolse la mia porta fu il responsabile del piano del dormitorio maschile – nonché bidello – della mia nuova, stupida e pidocchiosa scuola, con le ciabatte a coniglietto, un pantalone del pigiama scolorito e stropicciato e una sudicia canotta bianca che lasciava in mostra le sue braccia pelose e muscolose. Mi squadrò con quel suo fare altezzoso e mi scoccò un’occhiataccia di disprezzo con i suoi occhietti piccoli cattivi, storse la bocca in una smorfia che lo fece sembrare ancora più brutto, e dopo qualche secondo sbuffò.
- Non capisco perché ogni volta che succede qualcosa di insolito devo venire a controllare. E ancora di più, non capisco perché le cose insolite succedono sempre nella tua stanza, Jackson. –
Non aveva tutti i torti. Non era la prima volta che mi svegliavo urlando in piena notte, anzi.  Ma erano successe cose anche più strane. Una volta mi aveva trovato a combattere contro uno scorpione che aveva tranquillamente fatto casa sulla mia scrivania. Stavo per affettarlo con il righello non potendo estrarre Vortice, quando Bott (il bidello, appunto) è entrato in camera e ha aspirato lo scorpione. Probabilmente avrebbe aspirato anche me, se non fosse stato irregolare. O illegale.
- Mi scusi Bott, ho avuto un incubo. -
- Beh dì ai tuoi incubi di calmarsi, perché non ne posso più di svegliarmi ogni notte per accertarmi che tu sia vivo. D’altra parte, neppure me ne importa se sei vivo. -
Uscì dalla stanza sbattendo la porta, senza aggiungere altro.
Bott mi ricordava il mio vecchio patrigno Gabe. Sicuramente lo detestavo allo stesso modo. O quasi. Beh, comunque lo odiavo abbastanza da portarmi tre dita ad artiglio al petto e poi spingerle verso l’esterno in un antico verso di scongiuro che mi avevano insegnato.
Dopodiché provai a dormire, ma ovviamente dopo il mio incubo non riuscii, così mi alzai e, dopo che il rumoroso russare di Bott mi ebbe confermato che stava dormendo, scesi al piano di sotto.
L’idea iniziale era di prendere un bicchiere d’acqua in cucina e restarmene un po’ calmo e in silenzio finché non mi fosse tornato il sonno, ma capii che avrei passato una notte in bianco quando vidi Annabeth affacciata alla finestra del corridoio. La luce della luna e dei lampioni che percorrevano il perimetro del cortile esterno della scuola illuminavano il suo visto, stagliato dalle strette strisce di legno che percorrevano la finestra in orizzontale e in verticale. Sembrava non essersi accorta di me, così ne approfittai per guardarla meglio. Era visibilmente stanca e doveva essere lì già da un po’ di tempo. Mi chiesi a cosa stesse pensando.
- Notte insonne? – domandai.
Lei sobbalzò e si voltò verso di me,ma non mi mise a fuoco immediatamente, sia perché era buio, sia perché non era ancora abituata a vedermi in un periodo dell’anno che non fosse l’estate.
Il padre di Annabeth aveva acconsentito a farla studiare nella mia stessa scuola, così se c’era qualche pericolo avrebbe colpito un solo posto e non due, e poi insieme ce la saremmo cavata meglio. E beh, anche perché vederla ogni giorno non mi dispiaceva affatto. Sorrisi divertito quando la vidi accigliarsi e gonfiare le guance, proprio come faceva prima di darmi una strigliata.
- Ti sarei grata se la prossima volta non mi arrivassi alle spalle in piena notte, Testa d’Alghe – replicò, infastidita.
- E poi il divertimento di stare nella nuova scuola insieme dov’è? – mi appoggiai alla finestra dove stava lei, guardando fuori, in silenzio. Non disse nulla ma si appoggiò accanto a me allo stesso modo, e restammo così per un po’. Sapevo benissimo che stavamo fingendo. E lo sapeva anche lei. Sapeva perfettamente che avevamo bisogno di nasconderci dietro un sorriso per non parlare di ciò che era successo a Bianca. Anche se non capivo benissimo questo nostro evitare di parlarne, perché pensavo che se fossimo stati in due ad affrontare il problema sarebbe stato più facile, avremmo potuto aiutarci. Ma lei sembrava fuggire con ogni scusa tutte le volte che mi avvicinavo, anche per errore, all’argomento. Ma in quel posto, in quel momento,sapevo che non poteva scappare.
- Annabeth, perché fingiamo? – domandai, alla fine.
Lei drizzò la schiena accigliandosi nuovamente, ma stavolta un’espressione di dolore percorse il suo viso.
- Fingiamo cosa? – mi rispose, facendo la finta tonta.
- Dai Annabeth, lo sai. Evitare di parlare di quello che è successo a Bianca non servirà a portarla indietro. O a cancellare ciò che è stato – le dissi, in tono quasi implorante.
- E a cosa servirebbe parlarne? A cosa servirebbe dirti quanto mi sento colpevole di tutto ciò che è accaduto? – la voce le tremava. Temevo che si sarebbe messa a piangere da un momento all’altro.
Ma cominciavo a non capire.
Perché avrebbe dovuto sentirsi in colpa, se l’unica persona a cui una colpa avrebbe potuto attribuirsi ero io? La voltai in fretta verso di me e l’abbracciai senza darle tempo di protestare o di spingermi via. E mi sorpresi molto quando non tentò di spintonarmi nemmeno una volta. Anzi, mi avvolse i fianchi in una stretta leggera, con le sue braccia piccole e ossute. Sentivo le orecchie andarmi in fiamme e il viso completamente scottante. Mi staccai imbarazzato, sperando che il buio nascondesse il rossore.
- Ehm – riuscii a dire. Annabeth non si era allontanata del tutto dai raggi di luna che filtravano dalla finestra, così notai che anche lei era rossa. Mi forzai di non sorridere.
- Forse hai ragione, Percy – mi fece, d’un tratto seria, tornando a guardare fuori. – Forse nascondersi non servirà.. Non per molto, almeno. Alla fine è proprio questo che tutti loro vogliono. Crono, Luke. Che ci indeboliamo. Perché se succede sarà più facile per loro velocizzare la realizzazione del piano. -
Pensavo avrebbe detto qualcos’altro, ma in silenziò tornò a farsi strada tra noi. Notai che la sua voce si incrinò quasi impercettibilmente quando pronunciò il nome di Luke, e sentii un po’ di rabbia in un angolo del mio cervello. Sapevo che infondo teneva ancora a lui nonostante tutto quello che aveva fatto e nonostante tutto quello che era successo per colpa sua. E non riuscivo proprio ad accettarlo.
Stavo pensando a cosa poter dire per spezzare il silenzio o comunque per sollevarla un po’ su di morale, quando la sentii riprendere a parlare.
- Quando siamo partiti per l’impresa, sapevo che qualcosa sarebbe andato storto. Non so dirti perché, ma me lo sentivo. Avevo questa sensazione appiccicata addosso come l’aria umida d’agosto che ti si incolla alla pelle durante le lezioni di tiro con l’arco su al Campo. La morte di Bianca mi ha traumatizzata, ma la reazione di Nico mi ha lasciato una specie di vuoto. E’ come se avessi assorbito i suoi sentimenti, come se quella che ha perso una sorella fossi io e non lui. E da allora ho continuato a sentirmi così. – scosse la testa come se volesse convincersi che quella cosa non era vera, e io ascoltavo in silenzio. La realtà era che anche io avevo provato la stessa cosa e non riuscivo a liberarmene. Perciò feci l’unica cosa intelligente (intelligente nel mio linguaggio, stupida in quella di qualsiasi altro essere umano sano di mente e non) che mi venne in mente in quel momento. La presi per mano e la tirai via con me, trascinandola nel piano del dormitorio dei ragazzi.
Lei mi seguiva affannando e camminando a grandi passi, senza capire.
- Percy, che diamine stai facendo? Lo sai che è proibito venire qui per le ragazze! – mi disse sussurrando,  spazientita, per non farsi sentire. Ma la ignorai.
Continuai a camminare lungo il corridoio, poi mi fermai davanti alla mia camera e aprii la porta, continuando a trascinarmi dietro Annabeth. Quando chiusi la porta, la lasciai.
- Stanotte dormi qui – annunciai.
- Che cosa hai detto? – il rossore colorì di nuovo le sue guance e la sua espressione era un misto tra imbarazzo, incredulità e stupore. Ma non le diedi tempo di contraddirmi, anche perché le palpebre avevano cominciato ad essere pesanti e io volevo solo dormire. Forse era il sonno a farmi agire in quel modo, ma non avevo voglia di rifletterci in quel momento. La feci accomodare nel letto, accanto al muro, e mi sdraiai dall’altro lato, coprendo entrambi con le coperte. La sentii borbottare per un po’ alle mie spalle, qualcosa tipo “chi me l’ha fatta fare” o roba così, e mi addormentai poco dopo, col sorriso a fior di labbra. Quella notte non ebbi incubi.
  
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