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Autore: Mikhael98    18/04/2014    2 recensioni
"Non ho mai creduto nelle fiabe.
Sapevo che mai nessun principe mi avrebbe riportato la scarpetta, nessun cacciatore mi avrebbe salvata dal lupo, e nessuno mi avrebbe risvegliata con un bacio."
Questa storia è scritta da Mikhael98 e KitsuneLarissa.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alois Trancy, Ciel Phantomhive, Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo so, sono di un ritardo non spaventoso, di più. Chiedo perdono, ma ho avuto molto da fare con la scuola, quindi ci impiegherò parecchio ad aggiornare... Comunque sia, auguro buona lettura per chi leggerà. 

Uno scatto alla porta, poi, fui libera. Appena ritrovai sull'uscio la mia gemella le corsi incontro, per poi abbracciarla forte e affondare il viso tra i suoi seni, proprio come fanno i bambini con le loro mamme. Tra le sue braccia mi sentivo al sicuro, in fondo, lei a volte mi faceva un po' da madre, ed io lo facevo a lei, soprattutto la tenevo a bada. Lei ricambiò la stretta, mi passò una mano fra i capelli, e disse a bassa voce:
-Su, è tutto a posto, Hiky.
La fissai nei suoi bellissimi occhi, di un verde scurissimo dalle venature dorate, cercai la serenità lì, e la trovai. Mi stava sorridendo, cosa al quanto rara, solitamente per farle spuntare un sorriso ci voleva molto, però in quel momento era davvero rassicurante.
-Ci ospiteranno qui.
Sentenziò, sciogliendo l'abbraccio e volgendo lo sguardo su un bel ragazzo, più basso di me, il quale annuì. Lo esaminai da dietro Kurai, intimidita, notando un'espressione fiera e severa, da adulto, che io non avevo mai avuto, l'avevo sempre e solo vista in volto ai miei genitori e mia sorella; era quello sguardo color cobalto che sembrava aver visto troppo a farmi pensare questo. Dietro al ragazzo v'era un uomo altissimo, tanto che per guardarlo in volto dovetti alzare la testa, lo stesso che avevamo inseguito nel roseto. Al ricordo della mia gemella tutta rossa fra le sue braccia quasi scoppiai a ridere: per quanto potesse mascherare i suoi sentimenti a tradirla c'erano sempre quelle guance che si coloravano di porpora ogni qual volta si sentisse in imbarazzo, anche se non sembrava era molto timida. Quindi quel tipo era il maggiordomo del nostro ospite... La faccenda si stava facendo interessante, senza contare che volevo sapere cosa ci facesse nel nostro giardino. 
-Chiedo umilmente perdono per averla chiusa in quella stanza, lady Hikari.
Si scusò con un lieve inchino. Impallidii.
-C-c-come fa a sapere il mio nome?
Balbettai arretrando, incominciai a stringere forte il braccio della mia gemella, facendole male. Lui sorrise.
-Ho sentito sua sorella chiamarla.
Spiegò, con il sorriso ancora sulle labbra.
-Sebastian, occupati delle nostre ospiti, io ho delle faccende da sbrigare.
 Il ragazzo se ne andò senza saluti nè convenevoli, pareva al quanto scocciato, che maleducato...
-Perdonate il mio padroncino, non è abituato a ricevere ospiti...
Disse il maggiordomo.
-Lo vedo...
Borbottò sottovoce Kurai, le tirai una gomitata e lui sorrise divertito.
-Suppongo vogliate cambiarvi, indossate quegli abiti da ieri e ci avete dormito. Chiamo subito la cameriera, se ne occuperà lei.
Fece per andarsene, ma mia sorella lo fermò parlando.
-Non ce n'è bisogno per me, posso cambiarmi anche da sola... Piuttosto, io e Hikari non abbiamo altri cambi... Cosa indosseremo?
Stette immobile ad ascoltarla, senza voltarsi, infine ci guardò, sorridendo come sempre.
-Non si preoccupi, il padroncino dovrebbe aver conservato ancora qualche abito della defunta madre, che saremo lieti di donarle. Infine, una lady come lei dovrebbe lasciare questo lavoro alle cameriere.
-Anch'io posso cambiarmi da sola, sul serio, non la disturbi.
Mi intromisi. Il suo sguardo cadde su di me. Notai che le iridi non erano più rosse come quella volta, ma di un marroncino rossiccio.
-Come vuole, my lady.
Si inchinò e tornò per la sua strada. Sospirai di sollievo. Stavano succedendo cose strane...

-Hikari, non è normale tutto questo. 
Iniziò a dirmi Kurai una volta rientrate nella stanza in cui eravamo state imprigionate.
-Prima ci rinchiudono qui dentro, poi ci accolgono come ospiti! Senza contare che quel maggiordomo era nella nostra proprietà! E poi... I rami di rose che si contorcono, la terra che manca da sotto i piedi, una caduta che ci fa capitare qui! Sto parlando di eventi sovrannaturali!
Esclamò tutto d'un fiato. Riprese a respirare esausta, lasciandosi cadere sul materasso che l'aveva ospitata durante la notte. Aveva ragione, tutto ciò era molto poco normale, però come potevamo chiedere spiegazioni? Quel ragazzo non sembrava molto disponibile, mentre il maggiordomo era altrettanto misterioso... Riflettei, e pensai che forse valeva la pena tentare, avrei provato a chiedere a Sebastian
-E poi... Tu lo sai vero che non sei capace a infilarti i vestiti da sola?
Terminò di nuovo la mia gemella. Cosa c'entrava questo?
-Neanche tu se è per questo!
-Non è vero.
Aveva ragione, lei ne era capacissima, ma in quel momento non mi era andata molto di dargliela vinta.
-Mi aiuterai tu a metterlo?
Domandai infine con un visetto da cucciolo.
-Sì.
Rispose compiaciuta. Odiavo quando faceva così: voleva sempre avere ragione, e spesso ce l'aveva veramente... 
-Lady, posso entrare?
La voce sensuale di Sebastian rieccheggiò da dietro la porta, facendomi cadere dalle nuvole dei miei pensieri. Appena gli concessi il permesso, lui entrò, portando con sè due abiti bellissimi, che appoggiò sul letto che mi aveva ospitata durante la notte.
Vedendolo meglio, mi accorsi che quel maggiordomo era veramente un bel uomo, con dei modi di fare gentili, un sorriso rassicurante e una sorta di aura che ti fa sentire bene. Stargli accanto mi provocava felicità, ma anche imbarazzo. Ritrovarsi quegli occhi, marroni con sfumature rosse, addosso imbarazzava e, al contempo, onorava.
-Grazie!
Dissi con una vocina innocente, quella che usavo con le persone con le quali non avevo un rapporto stretto.
-Di niente, d'altronde, questo è il mio lavoro.
Rispose, sorridendo malizioso. Era una mia impressione o mi stava facendo la corte? Sembrava proprio così. Perciò rimasi impalata a fissarlo, fino a quando non fece per uscire dalla stanza, e si fermò sull'uscio, parlando senza voltarsi.
-Non si preoccupi, lady Lileworth, vedrà che presto la situazione le parrà più chiara.
E uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
-Io...
Mi voltai verso la mia gemella, la quale stringeva i pugni lungo i fianchi, e i cui muscoli del viso si contraevano in una smorfia.
-Lui...
Sentivo che sarebbe scoppiata, mi aspettavo un urlo, qualcosa del genere.
-Ha... Sentito... Quello... Che ho... detto.
Riuscì solo a dire con un filo di voce, vedevo che le mancava il respiro, il suo petto si alzava e abbassava velocemente, alla ricerca della pace.
-Kura-chan, non fare così, magari è stata una semplice coincidenza!
Andai da lei a consolarla, ma con un gesto mi allontanò delicatamente.
-Non ho bisogno di essere tranquillizzata. Sarà come dici tu, oppure ha origliato.
Parlò, tranquilla, con tono pacato. Aveva una voce acuta con gli estranei, spesso la si poteva definire "dolce", solo poche persone conoscevano il suo vero lato, e tra quelle c'ero anch'io. Con me aveva un tono basso, tranne quando voleva chiedermi qualcosa, allora sapeva fare degli occhioni da cucciolo che ti scaldavano il cuore. Sorrisi tra me e me. Era proprio una tipa strana.
-Allora, ci hanno portato due vestiti: quale scegli?
Domandò, cambiando discorso, e diventando spensierata, allegra, cambiando umore di punto in bianco. Capitava anche a me.
-Mmmmh...
Faceva sempre scegliere a me, poteva essere dura quanto voleva, però era sempre premurosa, anche se non voleva ammetterlo.
-Bianco!
Esclamai, prendendo il vestito di sangallo, con le spalline decorate da ricami di fiorellini, candido come la neve e la mia pelle. Adoravo il contrasto che avrebbe creato con la mia cascata di boccoli neri. A mia sorella rimase quello nero, anch'esso di sangallo, ma con le maniche più lunghe, mentre le mie si limitavano a due striscioline di decori. 
-Allora io prendo questo!
Sentenziò allegramente, poi, mi venne incontro.
-Bene, ora girati.
Ordinò, prendendomi per le spalle e facendomi voltare. 
-Ti levi il vestito da sola? Così io ti metto l'altro.
Chiese.
-Sì, tranquilla, fin lì ci arrivo da sola! Devi solo slacciarmelo!
La sentii trafficare con i bottoni e i fili, fino a quando non rimasi con solo il corpetto, allora lei prese l'altro abito e mi fece alzare i piedi per potermici porre a centro; lo tirò su, quindi rifece lo stesso lavoro prima, ma al contrario. Si allontanò soddisfatta, mentre io mi guardai allo specchio. L'abito era stretto al busto e si allargava dai fianchi, ricadendo morbidamente e coprendomi le gambe, toccando terra. Aveva una gonna ampia, anch'essa decorata da ricami di fiori, i quali incorniciavano anche la scollatura, che mi scopriva molto il petto.
-Stai benissimo.
Si complimentò con me, da dietro, nel riflesso la vedevo intenta a infilarsi l'altro abito, anche lei stava d'incanto. La stoffa aderiva solo sui seni, per poi allargarsi in una vaporosa gonna, lunga fino ai piedi, e sugli avambracci, allargandosi morbidamente ai gomiti, formando così uno strascico abbastanza lungo, che le arrivava ai fianchi. Era bellissima, eppure si guardava allo specchio insoddisfatta. Alla fine scrollò le spalle, quindi uscì dalla stanza. La seguii correndo, mentre lei camminava a passi svelti per il corridoio, sfuggevole come un'ombra. La chiamai, e solo allora si fermò, voltandosi poi lentamente, nera come la pece.
-Che c'è?
Sbottò scocciata. 
-Dove stai andando? Non credo ci convenga scorrazzare per questa casa!
La rimproverai sottovoce: temevo che quel maggiordomo ci sentisse un'altra volta. Sbuffò.
-Tu stattene ferma, io ho intenzione di scoprire cosa ci facciamo qui.
Fece per voltarsi, ma io la bloccai di nuovo, parlando.
-Non crederai mica che ti lasci da sola?
-No, ma se magari per una volta lo facessi eviteresti di ficcarti nei guai.
-Ma così ci finirai tu!
-Solito pessimismo.
-No, solito buonsenso!
Mi tappò la bocca, facendomi cenno di star zitta con l'altra mano, nel frattempo mi spostò di lato, mettendomi in un angolo buio del corridoio. A quel punto sentii dei passi, molto leggeri, se non fossi rimasta in silenzio probabilmente non mi sarei mai accorta di quella presenza. Ci volle poco prima che potessimo vedere a chi appartenessero, e non mi stupì scoprire che fosse Sebastian la persona dalla quale ci stavamo nascondendo, d'altronde, anche Kurai pareva aspettarselo, lo capii vedendo sul suo volto un lieve sorriso compiaciuto, lo stesso che scorsi su quello del maggiordomo, il quale sembrava non aver notato la nostra presenza. Stette immobile, con un'aria serena, in piedi nel bel mezzo del corridoio, poi estrasse un orologio da taschino, lo stesso che aveva in mano quando lo avevamo visto e inseguito nel nostro roseto. Sospirò.
-Ah, è tardi per la colazione, ladies.
A quelle parole rabbrividii, il terrore si impossessò di me, come quando avevo visto l'ombra nera dagli occhi rossi. Indietreggiai per la paura, scontrandomi contro mia sorella. Avevo gli occhi sgranati ed il mio sguardo tremolava, come del resto ogni mia consapevolezza sulla realtà. 
Era lui quell'ombra nera, era lui che ci aveva condotte lì, lui aveva fatto sì che il terreno svanisse per poi farci cadere in una sorta di mondo parallelo, lui sapeva, e le coincidenze non esistevano. C'era un motivo per cui ci eravamo ritrovate lì, nascondevano qualcosa, ne ero certa, come lo era sin dall'inizio Kurai, che non avevo ascoltato, data la sua spiccata diffidenza verso tutti, ma aveva avuto di nuovo ragione. 
Rimasi immobile, paralizzata, nell'oscurità, al sicuro, anche se sapevo che Sebastian mi aveva scoperta, sapeva della mia presenza, non riuscivo a muovere un muscolo per la paura. Mia sorella, invece, a passi decisi e rapidi, si buttò a capofitto nella luce mattutina del corridoio, mostrandosi di fronte al maggiordomo corvino; teneva lo sguardo fisso su di lui e stringeva i pugni, sembrava agitata. 
-C'è qualcosa che non quadra.
Mormorò, abbassando lo sguardo, per poi rialzarlo fiera.
-Qui, c'è qualcosa che non quadra, anche in te- indicò con l'indice l'uomo alto- c'è tutto che non quadra.
Terminò la frase, la sua voce tremava, eppure ostentava un atteggiamento severo e coraggioso. "Stupida sorellina." pensai, era sempre la solita. Feci un passo avanti, ero intenzionata ad avvicinarmi a lei, non potevo lasciarla sola, non avrei permesso che affrontasse da sola quel pericolo. Mi feci coraggio e la raggiunsi, posizionandomici accanto.
-Dicci la verità, Sebastian!
Esclamai a pieni polmoni, scaricando la tensione che si era appropriata del mio corpo, ormai percorso da tanti brividi. 
Rimanemmo tutti immobili, senza dire nulla, come se il tempo si fosse fermato, con degli scambi di sguardi, severi da parte di Kurai, impauriti da parte mia, impassibili da parte sua. Infine, il servitore sorrise, il suo era uno strano ghigno innaturale, le estremità della bocca erano sigillate, solo al centro si apriva quel sorrisetto demoniaco, che ci rivolgeva quasi divertito.
-Io... Sono solo un mero maggiordomo, my ladies. E questa è solo la villa di un conte, tutto qui.
Disse con quel tono cordiale che utilizzava sempre. 
-Bugiardo!
Sentii esclamare da una vocina accanto a me, quella della mia gemella; quando mi voltai a guardarla vidi il suo volto tirato in una espressione di pura rabbia, probabilmente mista a paura.
-Sei un bugiardo! Tutto ciò non è normale! Come ci siamo arrivate qui?! Cosa sei veramente?!
Urlò tutto d'un fiato, tanto che dovette riprendere respiro una volta finito. Le misi una mano sul braccio, per calmarla, ma lei mi allontanò. Attendeva una risposta, come me, ed io rimasi impalata ad osservare Sebastian, i cui occhi si stavano macchiando di rosso, come se una chiazza di sangue si stesse allargando, imbrattando l'iride color nocciola.
-Sono solo un diavolo di maggiordomo, my lady. Lasci che spieghi tutto una volta terminata la colazione, si sta facendo tardi.
Sussurrò lui in risposta, accompagnando le parole con un lieve inchino. 
-Come vuoi, tanto io sto morendo di fame!
Intervenni, sfoggiando un sorriso falso ma credibile, sapendo che, se non l'avessi fatto, Kurai avrebbe continuato all'infinito con questa discussione, senza riuscire ad ottenere risposta, o almeno, senza ottenere una risposta e una punizione. Perciò la strattonai da dietro, di nascosto dagli occhi, nuovamente color nocciola, di Sebastian, invitandola ad imitare la mia condotta. Fortunatamente mi ascoltò, per una volta non si comportò da testarda, quale era, ma assecondò i miei suggerimenti.
-Bene, la colazione è pronta, se volete seguirmi, ve la servirò subito. Ma prima... Lady Kurai, desidera anche lei la colazione?
Con mia grande sorpresa, mia sorella sorrise, rivolse una sorriso talmente abbagliante da sembrare vero, chiunque ci sarebbe cascato, anche se supponevo che Sebastian non potesse essere definito propriamente "chiunque", per questo mi sorpresi ancora di più quando lo vidi far finta di nulla, sorridere di rimando- anche se il termine più appropriato sarebbe "ghignare"- e voltarsi, per guidarci alla tavola dove sarebbe stata servita la colazione. Se c'era una cosa che mia sorella era brava a fare, quella era mentire, a differenza di me, che non ero assolutamente in grado di dire una bugia, neanche piccola, e per questo ci tornava sempre utile, salvandoci spesso da situazioni critiche, nelle quali io non avrei saputo dove arrancare per uscirne fuori. Qusta volta, però, ero stata d'aiuto, riuscendo a risolvere la questione, almeno temporaneamente. 

Seguimmo Sebastian fino a quella che doveva essere la sala da pranzo, dove ci fece accomodare a un tavolo imbandito con ogni sorta di dolce e manicaretto, alla cui vista non potei trattenere un'esclamazione euforica.
-Wow.
Fu l'unica cosa che disse Kurai. Ecco un'altra potenziale differenza tra me e mia sorella: lei e la sua indifferenza sapevano essere davvero molto odiose, mentre io sbandieravo al mondo ogni mia emozione. Per quanto la reazione della mia gemella dicesse tutt'altro, ero certa che anche lei alla vista di tutte quelle prelibatezze fosse rimasta sbalordita, ma per non darla vinta a Sebastian avrebbe nascosto questo e altro. 
-Forse la colazione che ho preparato non è di suo gradimento, lady Kurai?
Chiese addolorato il maggiordomo, ma nel suo sguardo v'era una sfida che io stessa riuscii a cogliere. Tutto quel cibo l'aveva preparato lui? Da solo? Come aveva fatto?! 
Kurai voltò piano il capo a guardarlo e gli rivolse un magnifico sorriso.
-Figurati, Sebastian, ha tutto un aspetto magnifico, certo che è di mio gradimento.
Rispose rassicurante. E nei suoi occhi lessi che la sfida era stata accettata. La mia sorellina si stava mettendo nei guai, come ero solita fare io. Mi chiesi come avrei fatto a tirarla fuori di lì...
-Ehm... Sebastian?
Richiamai intimidita l'attenzione dell'uomo, il quale si voltò a sorridermi. 
-Mi dica, lady Hikari.
Sentir pronunciare il mio nome da quelle labbra e quella voce sensuale mi fece rabbrividire e impallidire. 
-Hai... Veramente preparato tu tutto questo?
Domandai imbarazzata. Il suo sorriso si allargò.
-Certamente... D'altronde, se non fossi in grado di fare questo, che maggiordomo Phantomhive sarei?
Disse, quasi sogghignando. Kurai lo scrutò, poi iniziò a servirsi. Si appropriava di tutto ciò che al cioccolato fondente ci fosse, in effetti sapevo che detestava i dolci. Così, con mio grande piacere, a me rimaneva tutto ciò che di più dolce e nauseante ci fosse. Nel frattempo, Sebastian aveva preso due teiere diverse, entrambe bellissime: una bianca dalle fantasie floreali blu ed una nera dai ghirigori rossi. Dalla prima versò con eleganza un buon tè, che profumava di cannella, dentro una tazza dalle stesse fantasie; dalla seconda versò una tisana dall'aroma esotico, sempre in una tazza uguale. Poggiò delicatamente la prima tazza davanti a mia sorella e la seconda davanti a me. 
Vidi gli occhi della mia gemella sbarrati per un attimo, infine, socchiusi, e il suo volto disteso in un sorriso a labbra strette che però era il più sincero che avesse.
-Cannella...
Mormorò inspirando estasiata il vapore che si levava dal liquido caldo. Il suo sguardo di smeraldo e oro andò a perforare quello di Sebastian.
-Hai scelto un aroma che adoro... 
Proferì quasi con soddisfazione. 
Intanto io socchiusi gli occhi e mi abbandonai a quel profumo tropicale che sapeva di nostalgico, sopraffatta dall'ottima scelta di quell'uomo perfetto. 
-... Peccato che quello che preferisca in assoluto sia il tè al limone.
Quella frase terminata a mezz'aria spezzò l'equilibrio. Dovevo aspettarmelo, mia sorella aveva sempre doppi fini. Sulle labbra sottili di Kurai v'era un ghigno talmente leggero che non si notava, eppure ero certa che il maggiordomo l'avesse notato. Eccome se l'aveva notato.
Ma nulla cambiò.
Sebastian le sorrise.
-Il tè al limone era finito, lady, sono desolato di non averglielo potuto offrire.
Spiegò con dolcezza, una dolcezza che però era impossibile leggere in quegli occhi assottigliati color nocciola. Kurai sorrise di rimando, prendendo la tazza per il manico, tenendo il mignolo all'infuori. 
-Lo so, altrimenti me l'avresti portato. Vero, Sebastian?
Lui fece un lieve inchino, nascondendo così il ghigno che però sia io che mia sorella avevamo scorto.
-Certamente, my lady.
Dopo avergli lanciato un'ultima occhiata pungente, lei prese a sorseggiare il suo tè. Io rimasi impalata a guardarli, cercando di fare il punto della situazione. 
Si era stabilita una sfida tra quei due, stava nascendo una sorta di complicità di cui stavo iniziando ad essere invidiosa. Ma proprio mentre pensavo questo Sebastian posò il suo sguardo su di me, sorridendomi. Non potei fare a meno di impallidire e sfuggire ai suoi occhi, prendendo a bere la mia tisana. Ero tutta in subbuglio, il mio corpo tremava, la mia paura si intensificava.
Un maggiordomo perfetto, un padrone scorbutico e troppo giovane per vivere solo in una casa tanto grande, il terreno che sparisce sotto i nostri piedi, un roseto che non è il nostro... Dove eravamo? Chi erano quelle persone? 
Le parole di Kurai mi rimbombavano nella testa, ero certa che anche lei fosse preoccupata quanto me, però mi sedeva accanto e sorseggiava il suo tè come se nulla fosse. Quando colse i miei occhi su di lei si allontanò quel che bastava dal bordo della tazza, e mi sorrise. 
Quel sorriso stava a dire: "Vedrai, andrà tutto bene. Ci sono io con te".
  
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