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Autore: Nereis    18/04/2014    6 recensioni
In una città spazzata dai gelidi venti siberiani, tra complessi metallurgici e gas tossici, palazzine fatiscenti e immense distese di neve, si snodano le vicende della solitaria Gali e dell’amico Stepan. Stanchi di una vita grigia e claustrofobica, perennemente oscurata dall’incombente minaccia della morte, per Gali e Stepan è giunto il momento della ribellione. Ma andarsene non è poi così facile …
"Ogni giorno, verso le due del pomeriggio, un bagliore rischiara il cielo. Si tratta di pochi attimi, poi il buio torna a richiudersi sulla città. In quei momenti esco all’aperto, vado nella tundra e aspetto. Guardo il cielo illuminarsi e la Nadezhada profilarsi nella nebbia.
Sorrido.
Nadezhada significa “speranza” ed è la speranza che mi guida, ogni giorno, sotto questa perenne coltre di fumo, a Norilsk".
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un lungo inverno
 

L’aria era gelida.
Stepan camminava lentamente, le mani affondate nelle tasche del piumino. Se ne stava curvo sotto il vento freddo, fissando il suolo con lo sguardo attento del cacciatore. Nonostante sia proibito raccogliere bacche e funghi nel raggio di trenta chilometri intorno alla città, in molti sono disposti a trasgredire le regole stabilite dalle autorità pur di racimolare qualche soldo.
Ormai a Norilsk nessuno fa più caso all’inquinamento. Non che non si sappia (anzi, conosciamo fin troppo bene i rischi che corriamo), ma si preferisce fare finta di niente, vivere come si può e ritenerci fortunati se riusciamo a campare fino a cinquant’anni.
Del resto, nonostante le frequenti lamentele a proposito del freddo, della neve e dell’aria malsana, noi amiamo la nostra città, tanto che le rare volte che ci concediamo una vacanza finiamo pure per sentirne la mancanza.
– Avevo così tanta nostalgia di casa! – esclamano le persone di ritorno dall’aeroporto.
Casa …
Guardai Stepan chinarsi e strappare un fungo da terra. Nonostante il freddo e la nebbia, eravamo usciti lo stesso anche quel pomeriggio. Presto sarebbe arrivato l’inverno, il sole sarebbe calato e il buio e il gelo avrebbero inghiottito la città per tre mesi. Perciò intendevamo passare quanto più tempo possibile all’aperto, prima della notte polare.
– Buon mal di stomaco! – esclamò Stepan sollevando il fungo in aria come in un brindisi, per poi infilarlo in un sacchetto di plastica.
Io ridacchiai e aguzzai lo sguardo a mia volta. Stepan è più bravo di me, ha occhio e torna sempre a casa col sacchetto pieno. A me invece la raccolta annoia e mi distraggo facilmente.
Dopo un quarto d’ora in cui ero riuscita a raccogliere una misera manciata di bacche, mi arresi, preferendo lasciar vagare lo sguardo per la tundra grigia e sconfinata, una distesa di terra dura e inaridita, disseminata di arbusti secchi e sassi. In lontananza, sotto una coltre di fumo nero e opprimente, si ergeva la Nadezhada, un colossale stabilimento che, insieme agli impianti di nichel e di rame, costituisce il complesso minerario e metallurgico più imponente al mondo, il Norilsk Nickel.
Mio padre, insieme a circa la metà degli abitanti di questa città, lavora lì. Adescati dalle attraenti aspettative dell’industrializzazione e dalle allettanti promesse del governo, gran parte di questa gente si stabilì a Norilsk negli anni Settanta, spesso con l’intenzione di trattenersi per quattro o cinque anni, il tempo di fare un po’ di soldi e poi ripartire.
– Si finisce per rimanere intrappolati in posti come questi – dice sempre mio padre, tornando dal lavoro con le mani indolenzite e i baffi ghiacciati.
Girovagammo in cerca di bacche per un’oretta ancora, poi il freddo si fece pungente e il vento troppo forte per stare fuori. Stringendoci nei piumini, il naso affondato nelle sciarpe, tornammo in città dove aspettammo un taxi. Questo arrivò dopo una decina di minuti e infreddoliti io e Stepan ci gettammo all’interno dell’abitacolo.
Cento rubli – disse il conducente avvicinando la mano col palmo verso l’alto. Pagammo con gli ultimi spiccioli che ci erano rimasti e ci rannicchiammo sui sedili posteriori, sfregando le mani per recuperare la sensibilità delle dita.
Durante il viaggio non parlammo. Eravamo troppo stanchi per poter dire qualsiasi cosa. Stepan fissava la città sfrecciare oltre il finestrino, la fronte appoggiata al vetro appannato. Sembrava perso in chissà quale riflessione e aveva un’aria dolce e malinconica, gli occhi calmi e profondi e i lineamenti distesi, immerso in un’estraniazione quasi spirituale.
Mi sorpresi a guardarlo affascinata e mi affrettai a tornare a fissare il sedile di fronte, prima che lui se ne accorgesse. Da qualche tempo ormai Stepan aveva iniziato a esercitare inconsapevolmente un certo ascendente su di me. La cosa però mi metteva a disagio e speravo con tutta me stessa che passasse al più presto. Lo conoscevo da quando eravamo molto piccoli e sarebbe stato strano (e imbarazzante) ammettere che provavo qualcosa per lui. Arrivammo a casa presto e Stepan venne a cenare da me. Abitavamo nella stessa palazzina ed era ormai un’abitudine vederlo gironzolare per casa nostra. Sua madre era morta di cancro quando era molto piccolo e con suo padre non legava un granché.
Diniya, mia sorella minore, ci accolse con un sorriso.
– Gali! Stepan! Come è andata la raccolta?
– Produttivamente! – rispose Stepan agitando il sacchetto di plastica.
– Una meraviglia – bofonchiai gettandomi sul divano a peso morto e seppellendomi sotto una coperta di lana. – Faccio un pisolino, ricordatevi di svegliarmi in tempo per l’estate!
– Metà giugno può andar bene? – chiese Stepan in tono ironico e raggiungendomi sul divano.
– La mamma è andata da Mira, non ne avrà per molto credo –disse Diniya. – Siete tornati presto.
– Faceva un freddo del diavolo là fuori- risposi da sotto la coperta.
– C’era tanto vento? – chiese mia sorella spalancando gli occhi, speranzosa.
– No, non tanto. Mi dispiace deluderti Dina, ma domani non credo che annunceranno l’aktirovka
Mia madre tornò poco dopo e ci preparò una zuppa calda che trangugiammo tutti in un baleno. Poi io e Stepan andammo in camera mia.
Ci sdraiammo sul letto e restammo lì in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Improvvisamente Stepan si tirò su, i capelli biondi spettinati e la fronte aggrottata.
– Gali – disse guardandomi con occhi un po’ penetranti, – cosa hai intenzione di fare?
Mi misi seduta, guardandolo perplessa e per un istante ebbi paura. Forse aveva notato un cambiamento nel mio comportamento, nonostante io avessi sempre cercato di non destare sospetti …
– Insomma, abbiamo diciotto anni ormai, dobbiamo pensare al nostro futuro.
“Pericolo scampato!” pensai con sollievo.
– Ehm … non lo so … – mormorai confusa.
– Non ci hai mai pensato?
Certo che ci avevo pensato. Ci pensavo spesso, ogni volta che guardavo i tralicci scrostati della Nadezhada, i vapori che salivano dalla fabbrica di nichel e la tundra arida e morta, inquinata dai metalli pesanti. Ci avevo pensato quando avevo dato il mio primo bacio all’ombra delle tubature e quando da piccola mi divertivo a sguazzare sotto i getti dell’acqua di raffreddamento della centrale elettrica. Ci pensavo ogni volta che un amico o un conoscente si ammalava di cancro, sapendo bene che prima a o poi sarebbe capitato anche ai miei genitori.
E a me se fossi rimasta a Norilsk.
– Lo sai come funziona- dissi tristemente, – ci siamo intrappolati in questa città.
– No – Stepan scosse la testa con determinazione. – Lo è chi è convinto di esserlo.
Sorrisi di fronte a quel viso fermo e risoluto, quelle labbra dalla piega decisa, quella luce ribelle che aveva negli occhi. Quando Stepan aveva un’idea la portava sempre a termine. Avevo sempre invidiato quella forza, quella ferrea volontà con cui affrontava la vita. Lui credeva in se stesso ed era pronto a mettersi in gioco per essere felice.
– Vorrei essere come te – sussurrai, fissando con tristezza i fiori della trapunta.
Stepan mi prese il viso tra le mani, costringendomi a guardarlo.
– Ma tu sei come me.
Ecco, era il momento. Mi sarebbe bastato avvicinarmi di pochi centimetri per baciarlo e porre fine alla finzione che mi ero costruita addosso. Era inutile mentire a me stessa; io amavo Stepan e potevo dirglielo, potevo mostrarglielo, in quel preciso momento.
“Puoi farcela, Gali. Tu sei forte”.
Invece abbassai lo sguardo, ritraendomi.
– No – replicai. – Non sono come te.
Non lo ero affatto. Ero vigliacca, ero stupida e codarda. Non osai incrociare il suo sguardo, tornando a fissare la trapunta.
Stepan stette in silenzio per qualche minuto. Era arrabbiato? Deluso? Avrei voluto che mi sgridasse, che mi urlasse la mia debolezza in faccia e con quanto fiato aveva in gola … ma quel silenzio, no, non potevo sopportarlo.
– Ho intenzione di andarmene – disse infine. – Prima della notte polare.
Non dissi nulla, non lo guardai. Lui si alzò e lasciò la stanza. Sentii i suoi passi riecheggiare nel corridoio e la porta d’ingresso aprirsi e richiudersi con un tonfo.
Solo allora mi gettai sul letto, affogando le lacrime e la disperazione nel cuscino.
 
Fu Nikolai Urvantsev a scoprire i giacimenti di rame e nichel. Nel 1921 costruì una baracca di legno, che finì per diventare la prima casa di Norilsk. Gli scavi iniziarono intorno agli anni Trenta, grazie al lavoro dei deportati nei gulag. Lavoravano in condizioni disumane e forse senza di loro il Norilsk Nickel non sarebbe mai esistito.
Ora la Prima Casa è diventata un piccolo museo.
Ogni tanto vago per la tundra innevata pensando al passato, alle migliaia di persone che hanno perso la vita nel Norillag. Cammino e mi sembra di vedere schiere di forzati, stremati dalla fatica e dal freddo, con i picconi stretti nelle mani tremanti. Sono là, sferzati dal vento del Nord, centinaia di file di pallidi fantasmi, frammenti sbiaditi di un’epoca dimenticata.
Li guardo in silenzio, con venerazione.
La notte polare è arrivata. Senza Stepan, vivere in questo buio perenne è terribile. Le giornate si confondono, perdono senso così come la mia intera esistenza. Rinchiusa tra le quattro pareti domestiche, con la tormenta nera che infuria e fa scricchiolare i vetri delle finestre, mi sento persa, intontita. È come se fossi in prigione. Con lui il tempo scorreva più in fretta, passavamo le giornate a scambiarci libri, ascoltare musica. Ogni tanto portava la chitarra e la suonava in soggiorno, mentre io lo accompagnavo con la mia voce.
– Sei molto brava, Gali – diceva sempre con un sorriso sognante. – Dovremmo mettere su un gruppo rock.
Mi manca, ora. Penso a lui ogni giorno, quando sono sola e l’angosciante sensazione di vuoto mi assale all’altezza della gola, mozzandomi il respiro.
Mi scrive qualche volta, dice che Parigi, dove sta studiando musica, è stupenda.
– La visiteremo insieme un giorno. Ti porterò in Saint-Germain-des-Près, pranzeremo alla Brasserie Lipp e poi andremo a Montmartre, dove ci faremo ritrarre da un artista di strada. Cammineremo per le vie di Parigi cantando, urlando come folli e attirando l’attenzione dei passanti come solo noi due sappiamo fare.
Chissà, forse accadrà davvero, forse troverò la forza di scrollarmi di dosso questa città e questo squallore e andrò con lui a Parigi. Mi piace pensarlo, soprattutto quando fa freddo e la solitudine è così opprimente che mi viene da piangere.
– Forse … – sussurro a bassa voce di notte, quando la casa è sprofondata nel sonno e nel silenzio e io non riesco a dormire.
Ogni giorno, verso le due del pomeriggio, un bagliore rischiara il cielo. Si tratta di pochi attimi, poi il buio torna a richiudersi sulla città. In quei momenti esco all’aperto, vado nella tundra e aspetto. Guardo il cielo illuminarsi e la Nadezhada profilarsi nella nebbia.
Sorrido.
Nadezhada significa “speranza” ed è la speranza che mi guida, ogni giorno, sotto questa perenne coltre di fumo, a Norilsk.
 
 
 
Note
Cento rubli: equivalgono a poco più di due euro e a Norilsk corrispondono alla tariffa fissa per l’uso del taxi, uno dei mezzi di trasporto più usati.
Aktirovka: viene annunciato in caso di condizioni climatiche proibitive (la cosiddetta “tormenta nera”) e prevede la chiusura delle scuole.
Norillag: si tratta del campo di lavoro (o gulag) fondato da Stalin nel 1935 e chiuso nel 1956. 
  
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