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Autore: ElenCelebrindal    18/04/2014    1 recensioni
Questa è la storia della vita di Legolas. Da quando era un bambino fino alla sua partenza per le Terre Immortali. Bambino, ragazzo e adulto, tutto quello che ha passato assieme a suo padre Thranduil, le sue amicizie e i suoi scontri, tutto riunito in questa fan fiction.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Legolas, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nani al Reame Boscoso

Piccola, minuscola premessa: perdonatemiiiiiiiiiii!! So che vi ho fatto attendere per un tempo a dir poco indecente, ma ho dovuto aspettare l'uscita del DVD de "La Desolazione di Smaug" per riuscire a scrivere tutti i dialoghi in maniera decente... E volevo aggiungere che siamo andati naturalmente avanti con i tempi, ovvero siano saltati dalla Conquista di Erebor da parte di Smaug all'arrivo dei Nani nel Reame Boscoso. Vi lascio alla storia, ci vediamo nelle note!

“Legolas, attento!”.
Il grido di Tauriel fece voltare appena in tempo il principe, che si abbassò per evitare le mortali tenaglie di un ragno, colpendolo poi con uno dei suoi coltelli.
La creatura cadde al suolo, morta, e subito dopo l’elfo udì delle urla concitate provenire da un punto non troppo distante da dove si trovavano lui e alcuni elfi di guardia.
Senza pensarci due volte, Legolas salì sui rami di un albero vicino e corse nella direzione di quelle grida, individuando subito un ragno che si calava a terra grazie al filo della sua ragnatela.
Impugnò più saldamente l’arco e saltò, afferrando la ragnatela e gettandosi sopra il ragno, che finì violentemente a terra mentre l’elfo scivolava lungo un leggero pendio, fino a ritrovarsi di fronte ad un gruppo di Nani.
Puntò una freccia al viso del più vicino, che riconobbe come Thorin Scudodiquercia: “Non credere che non ti uccida, Nano. Lo farei con piacere”, disse, mentre tutti gli altri elfi accerchiavano i nani, puntando le frecce contro di loro.
Thorin lo guardò con aria di sfida, ma un altro urlo fece contrarre i suoi lineamenti in preoccupazione, mentre un altro Nano, biondo, gridava: “Kili!”.
Legolas voltò la testa nella direzione da cui provenne l’urlo, e vide la chioma rossa di Tauriel tra le fronde.
Il principe diede un’ultima occhiata, poi ordinò: “Perquisiteli”.
Ogni nano venne perquisito, nessun arma o altro oggetto che poteva servire a quello scopo venne lasciato in mano loro.
Legolas pensò ad uno di essi, che aveva una folta barba rossa, e trovò un medaglione che sembrava d’argento.
Il nano protestò: “Ehi, Rìridammelo, è una cosa privata”.
Il principe aprì il medaglione, dov’erano contenuti due piccoli ritratti, abbastanza brutti: “Chi è questo, tuo fratello?”, domandò.
“Quella è mia moglie”, replicò il nano, piccato.
“E cos’è quest’orrenda creatura? Un orco mutante?”.
“Quello è il mio piccolino, Gimli!”.
Legolas sollevò un sopracciglio, lievemente disgustato, ma poi si accorse che Tauriel era appena arrivata, spintonando un altro nano.
Le si avvicinò: “Gurth in yngyl bain?” (I ragni sono morti tutti?), domandò.
Lei spinse il nano lontano e rispose: “Ennorner gwanod in yngyl na nyryn” (Si ma altri torneranno).
Il principe strinse gli occhi, e lei continuò: “Engain nar” (Si fanno più audaci).
Si allontanò da lei e controllò che tutti fossero stati perquisiti, e allora Elros gli si avvicinò, tra le mani una spada: “Legolas”, disse, mentre gliela consegnava, prima di tornare al proprio posto.
Legolas la prese, osservandola: “Echannen i vegil en vin Gondolin” (È un’antica lama elfica). Lanciò uno sguardo a Thorin, davanti a lui.  “Magannen nan Gelydh” (Forgiata dai Noldor).
Spostò lo sguardo su Thorin, abbassando la spada: “Dove l’hai presa?”, gli domandò.
“Quella mi è stata data”, rispose lui, con un tono che al principe non piacque.
Gli puntò la spada alla gola: “Non solo un ladro, ma anche un bugiardo. Enwenno hain!” (Catturateli!), ordinò poi, e gli elfi condussero, non con troppa grazia, i Nani fino al palazzo.
Attraversarono il ponte e condussero i nani fin dentro le sale, mentre Legolas ordinava: “Holo in ennyn”.
Si fermò per qualche istante, perplesso, poiché sentiva che c’era qualcosa di strano alle sue spalle; si voltò, ma non vedendo nulla, riprese a camminare, e i portali si richiusero immediatamente dietro di lui.
Diede ordine che tutti i Nani venissero rinchiusi nelle segrete del palazzo, e osservò Tauriel che parlava con il nano che aveva salvato, cercando do ignorare gli altri che continuavano a lamentarsi e a rivolgere parole scortesi e villane: “E non vuoi perquisirmi? Potrei avere di tutto nei pantaloni”, disse quello.
Tauriel lo guardò: “O niente”, poi chiuse la porta della cella.
Il nano osservava un po’ troppo l’elfa, così Legolas le chiese: “I Nogoth… amman e tîr gin?” (Perché il nano ti fissa?).
Tauriel rispose: “Ú-dangada? E orchal be Nogoth… pedithig?” (Chi può dirlo? È abbastanza alto per un nano, non trovi?).
Poi si allontanò in fretta, come fuggendo da qualcosa, mentre il principe replicava: “Orchal eb vui… mal uvanui en” (Più alto di alcuni, ma non meno brutto).
Guardò male quel giovane nano, prima di afferrare Thorin per un braccio per portarlo personalmente da suo padre, nonostante i tentativi del nano di liberarsi dalla sua presa.
Una volta davanti al trono, Legolas lasciò andare il nano, affidandolo alla sorveglianza di due guardie, e si portò al fianco del padre, che gli porse lo scettro prima di alzarsi e fermarsi alle spalle del nano.
Sollevò la testa e restò in silenzio qualche istante, prima di prendere la parola, voltando la testa: “Qualcuno immaginerebbe che una nobile impresa sia imminente. Impresa per riavere una terra natia e annientare un drago”.
Si voltò, tenendo le mani dietro la schiena, e si avvicinò a Thorin: “Personalmente, sospetto un motivo molto più prosaico. Tentativo di furto, o qualcosa di quel genere”.
Si chinò di lato, per arrivare a guardare negli occhi il nano, per poi raddrizzarsi e camminare all'’indietro fino a fermarsi accanto al trono: “Hai trovato una via per entrare. Cerchi quello che farebbe convergere sopra di te il diritto a regnare. Il gioiello del re. L’Arkengemma”.
Un sorriso gli increspò le labbra, per poi sparire così com’era apparso: “È preziosa per te oltre ogni cosa. L capisco questo. Ci sono gemme nella Montagna che anch’io desidero. Gemme bianche, di pura luce stellare. Io ti offro il mio aiuto”.
Un sorriso di scherno apparve sulle labbra del nano: “Ti ascolto”.
“Ti lascerò andare, solamente se restituisci quello che è mio”.
“Favore per favore”, disse Thorin, dando le spalle al re e allontanandosi di poco.
“È la mia parola. Da un re a un altro”.
Il nano sembrò riflettere, ma poi scosse lievemente la testa, prima di dire, a voce alta: “Io non mi fiderei che Thranduil, il grande re, onori la sua parola. Dovesse la Fine dei Giorni incombere su di noi!”.
Si voltò, indicando con un gesto rabbioso prima Thranduil e poi sé stesso: “Tu sei privo di ogni onore! Ho visto come tratti i tuoi amici. Siamo venuti da te, una volta, affamati, senza dimora, a cercare il tuo aiuto. Ma tu ci hai voltato le spalle. Tu ti sei allontanato dalla sofferenza del mio popolo e dall’inferno che ci ha distrutti!”.
Sentendo quelle parole, Legolas rivide chiarissimo davanti ai suoi occhi il giorno del primo arrivo dei Nani di Erebor in quella foresta.
 
[flashback]
 
Erano in pochi, gli ambasciatori della loro razza, e con loro c’era proprio Thorin, che guidava i suoi con determinazione e la giusta dose di gentilezza e compassione.
Thranduil aveva esitato molto, prima di accoglierli, ma alla fine aveva dato ordine di aprire i portali delle sale.
Legolas era seduto accanto al trono del padre, su uno scranno posto lì apposta per lui, e osservava muto la scena, evitando qualsiasi parola e restando immobile, facendo vagare solamente lo sguardo su quelle figure, malandate e stravolte.
Fu Thorin a parlare, con un tono di voce quasi supplice: “Noi non riusciremo a sopravvivere in queste condizioni. Siamo senza una dimora, e il cibo scarseggia fra di noi, che non riusciamo a procurarci il necessario per vivere. Chi non è morto a causa del drago sta morendo ora, di fame e di stenti. Dacci il tuo aiuto, aiutaci a superare la nostra disgrazia. Sono venuto a supplicarti, letteralmente in ginocchio”.
Il giovane principe nano indossava ancora gli abiti che probabilmente aveva durante l’attacco di Smaug , perché erano malridotti e sporchi, e numerose macchie rosse (con tutta probabilità sangue) si notavano sulla scura stoffa blu.
Il padre sembrò valutare l’opzione di farli restare, almeno fino a quando non si fossero ripresi, ma dopo un tempo che parve interminabile pronunciò la sua sentenza, lapidaria: “Sono tentato di darti il mio aiuto, Thorin figlio di Thráin. Ma non ho intenzione di ospitarvi. Dei nani so che sono grandi guerrieri, e molto testardi, quindi non vedo motivo di farvi restare qui. Riuscirete benissimo a sopravvivere con le vostre sole forze. Ora andate via, prima che faccia intervenire le guardie”, ordinò secco, vedendo molti cominciare a protestare.
Legolas, pur non sopportando molto i nani lui stesso, fremeva leggermente.
Suo padre aveva appena rifiutato di ospitare i reduci dell’attacco violento di un drago, dopo averli anche abbandonati sul campo, e questo non gli andava giù facilmente.
Ma osservò lo sguardo costernato e furioso di Thorin al tempo stesso mentre si allontanava senza muoversi, e guardò i nani andare via da lì con sguardo impassibile, nascondendo le proprie emozioni.
 
[fine flashback]
 
Durò pochi attimi, appena la pausa che Thorin fece prima di sputare in faccia a Thranduil le parole nella sua lingua: “Imrid amrad ursul!” (Muori una morte di fiamme!).
Thranduil si arrabbiò, e chinò il busto fino ad arrivare al viso del nano: “Tu non parlarmi del fuoco del drago. Conosco la sua rabbia e la sua rovina”.
E in quel momento accadde una cosa che Legolas avrebbe sperato di non vedere mai più: il volto di suo padre si sfigurò, mostrando l’orribile sfregio sul suo viso, conseguenza della battaglia contro i serpenti.
Thorin arretrò impercettibilmente, mentre Thranduil diceva, con voce leggermente sofferente: “Io ho affrontato i grandi serpenti del nord”.
Poi si allontanò di colpo, e lo sfregiò svanì così com’era apparso.
Il viso del re tornò ad assumere la solita espressione: “Misi in guardia tuo nonno su ciò che la sua avidità avrebbe raccolto, ma lui non mi ascoltò”.
Prese a salire i gradini del suo trono: “Tu sei proprio come lui”.
Un gesto, e due guardie afferrarono Thorin per le braccia, trascinandolo giù per le scale.
Thranduil, in piedi davanti al suo seggio, disse: “Resta qui se vuoi, e marcisci. Cento anni sono un mero battito di palpebre nella vita di un elfo. Io sono paziente. Posso attendere”.
Poi si sedette, mentre Legolas osservava Thorin che veniva portato via, nelle segrete: “Sei sicuro di aver fatto la scelta giusta, adar?”, domandò al padre, porgendogli lo scettro.
Lui lo prese: “Si, assolutamente sicuro. Fra pochi giorni sarà la Mereth-en-Gilith, iôn nîn. Ordina a Tauriel che dovrà essere lei di guardia durante la festa”.
Legolas si alzò: “Sei sicuro di volerlo affidare a lei quel compito? Oggi ha combattuto bene, credo si meriti qualche ora di svago.”
“No, sarà compito suo”.
“Come desideri. Farò presente anche ad Elros di stare molto attento”.
“Legolas, dato che scendi di sotto, dì a Galion che fra non molto dovrà far riportare i barili a Esgaroth. Il vino è quasi finito, ne occorre dell’altro”.
“Provvedo subito, adar”.
Legolas scese fino alle cantine, dove sapeva trovarsi sia Galion che Elros e disse loro: “Galion, entro due giorni tutti quei barili vuoti dovranno già essere stati riportati a Esagaroth e ricondotti qui. Elros, le chiavi delle celle sono affidate a te, non permettere a nessuno di scappare”.
Il principe consegnò all'’elfo un mazzo di chiavi d’oro e si congedò, mentre Galion chiamava in suo aiuto un altro paio di elfi.
 

 
Thranduil attese a lungo l’arrivo del Capitano delle Guardie, rigirandosi tra le mani un calice di vino, ma quando non si fece vedere, anche se sentiva la sua presenza, disse: “So che sei lì, perché indugi nell’ombra?”.
Udì dei passi scendere le scale, e Tauriel finalmente fu dinanzi a lui: “Venivo a fare rapporto a te” disse, fermandosi e chinando la testa.
Thranduil quasi non badò a quel segno di rispetto: “Non avevo ordinato che quel nido venisse distrutto non più di due lune fa?”, disse, con tono di rimprovero.
Tauriel prese a camminare avanti e indietro: “Sgomberata la foresta come ordinato, mio signore. Ma altri ragni vengono su dal sud. Si riproducono delle rovine di Dol Guldur”.
Indicò il sovrano prima di riportare le braccia lungo i fianchi: “E se li uccidessimo alla fonte?”.
“La fortezza si trova oltre i nostri confini, ripulite le nostre terre da quelle laide creature. Fatelo”.
“E una volta messe in fuga? Cosa accadrà? Non si spargeranno in altre terre?”.
Thranduil stava cominciando a stancarsi dell’ostinazione dell’elfa: che diritto aveva lei di contraddire i suoi ordini?
Perciò disse, altezzoso: “Le altre terre non mi riguardano. Le fortune del mondo di solleveranno e cadranno ma qui, in questo regno, sapremo resistere. Ora obbedisci agli ordini”, aggiunse poi.
Tauriel chinò nuovamente la testa e oltrepassò il sovrano per andarsene, ma il re la fermò: “Legolas ha detto che ai combattuto bene, oggi”.
Fece una pausa: “Si è molto affezionato a te”.
Sentì la voce di Tauriel tremare leggermente quando rispose: “Ti assicuro, mio signore. Legolas mi considera solo un capitano della guardia”.
“Forse si, una volta. Adesso, non ne sono così sicuro”, ribatté Thranduil, constatando che Tauriel sembrava non essere sicura, data l’incertezza che aveva mostrato.
Lei disse: “Io non credo che tu concederesti a  tuo figlio di impegnarsi con un umile Elfo Silvano”.
Thranduil andò a versarsi un altro calice di vino: “No, hai ragione. Non lo farei. Tuttavia lui tiene a te. Non dargli speranza laddove non c’è. Ora va, sbrigati”, concluse.
 

 
 
Nei giorni che precedettero la festa Legolas evitò accuratamente le segrete, ma scoprì che suo padre scese diverse volte a parlare con Thorin, cercando di farlo ragionare, ma ottenendo solamente cupi mutismi e insulti a mezza voce.
La Meret-en-Gilith fu di particolare magnificenza, quell’anno, e ogni elfo del Reame Boscoso era stato invitato a prendere parte ai festeggiamenti, tranne ovviamente le guardie di turno e Tauriel, che passeggiava per le segrete controllando i Nani.
Legolas la osservava da lontano, attento a non far percepire la sua presenza all'’elfa, tenendola d’occhio mentre si avvicinava alla cella del Nano che sembrava il più giovane, agli occhi del principe.
Stava giocando con qualcosa, una specie di pietra piatta, ma l’attenzione di Legolas era tutta per Tauriel, che si fermò lì davanti e chiese: “La pietra che hai in mano, che cos’è?”.
Perché Tauriel aveva deciso di parlare proprio con lui?
Il nano, dopo averla fissata per qualche secondo, rispose: “È un talismano. Un potente incantesimo l’avvolge. Se qualcuno oltre ai Nani leggesse queste rune sarebbe eternamente dannato!”, e tese la pietra in direzione di Tauriel, che fece per andarsene.
Legolas stava quasi per farsi salire un sorriso alle labbra, quando il nano aggiunse: “O no?”, e Tauriel tornò indietro, di nuovo di fronte alla cella.
“Dipende se credi in quel tipo di cose. È solo un ricordo, una pietra runica. Me l’ha data mia madre perché ricordassi la mia promessa”.
“Quale promessa?”.
“Che sarei tornato da lei”.
A quelle parole, Legolas sperò che l’elfa non credesse a quelle parole, che non cedesse alla pietà e andasse via, ma quando il Nano continuò a parlare, lei restò: “Si preoccupa, mi ritiene spericolato”.
“E lo sei?”.
“Nah”, fu la semplice risposta del nano, che stava cominciando a spazientire non poco il principe, che si stava perdendo i festeggiamenti a causa di quel’inutile discorso che aveva iniziato.
Lanciò in aria la pietra, ma non riuscì a riprenderla e quella cadde fuori, oltre le sbarre, lontano dalla sua portata, e l’elfa si chinò a riprenderla, osservandola.
“Sembra che stiate facendo una gran festa lassù”, disse il nano, guardando in alto.
Tauriel guardò a sua volta, e il principe fece un paio di passi indietro, celandosi meglio nell’ombra che avvolgeva le segrete, scarsamente illuminate da poche lampade dorate.
“È la Mereth-en-Gilith, la festa della luce stellare. Tutta la luce è sacra agli Eldar, ma gli Elfi Silvani adorano la luce delle stelle”, spiegò.
“Io l’ho sempre trovata una luce fredda, remota e molto lontana”, replicò il nano.
Legolas storse il naso: che cosa ne poteva sapere uno di loro della luce delle stelle, degli astri splendenti che Elbereth stessa aveva posto sulla volta celeste?
Quelle chiacchiere stavano cominciando davvero a infastidirlo, ma Tauriel sembrava non pensarla così, perché si sedette sui gradini accanto a quella cella, per ascoltare.
“Essa è memoria, preziosa e pura”, ribatté.
Poi porse la pietra runica al nano: “Come la tua promessa. Sono andata lì qualche volta, oltre le foreste, sulle montagne, di notte. Ho visto il mondo cadere via e la bianca luce dell’eternità riempire l’aria”.
Anche il nano, però, aveva qualcosa da raccontare: “Io invece ho visto una luna di fuoco una volta. Si era levata al passo vicino a Dunland, enorme. Rossa e dorata era, riempiva il cielo”.
E continuò a parlare, ma Legolas ne aveva ormai abbastanza e indietreggiò ancora, fino ad arrivare alle scale, che salì velocemente, lasciandosi alle spalle la voce del nano.
Quel nano che aveva il coraggio di parlare con Tauriel di cose semplici, mentre lui non faceva altro che parlare di strategia, di battaglie e di formalità con l’elfa, confidandosi con lei ormai solo poche volte, troppo rare rispetto a quando si conoscevano solo come amici e lei non aveva un compito importante come Capitano.
Indossava ancora gli abiti da guardiano, ma siccome non aveva voglia di cambiarsi si tolse solamente l’armatura, gettandola in un angolo della stanza, prima di unirsi ai festeggiamenti.
Il padre lo raggiunse: “Legolas, dove sei stato fino ad ora? Non mi pare di averti visto, prima”.
“Ero solo sceso alle prigioni per un rapido controllo”, rispose.
“Non toccava a te, iôn nîn. Come mai sei andato? Non sarà Tauriel il motivo”.
“E se anche fosse?”, replicò Legolas.
Il padre lo trascinò in un luogo più tranquillo, prima di parlare: “Tu mi hai sempre assicurato che tra te e lei c’è solamente amicizia, ma da come la guardi, da come parli di lei, a me sembra che ci sia qualcos’altro nascosto dietro di questa. Lei non fa per te, Legolas, non farti illusioni.”.
“Come puoi dire a me una cosa simile? Se anche provassi per lei qualcosa che va oltre la semplice amicizia, perché vuoi ostacolarmi, adar?”, gli domandò Legolas, deluso dal comportamento di suo padre.
“Un umile Elfo Silvano, ecco cos’è Tauriel, seppur un grande Capitano. Tu sei il principe di questo reame, non puoi legarti a qualcuno come lei”.
Legolas non credeva alle proprie orecchie: “Non mi pare che tu abbia sposato una principessa”, disse, ma si pentì subito di quelle parole, perché Thranduil lo guardò con un’espressione colma di rabbia ma anche di tristezza: “Non parlare di tua madre in questo modo. Lei aveva sangue nobile nelle vene, era adatta ad un principe com’ero. Lei…”.
Il re si fermò, come incapace di continuare, e Legolas non aggiunse altro, voltandosi, ma udì un sussurro alle sue spalle, mentre si allontanava: “Le non ti ama, Legolas”.
Si diresse alle sue stanze, mentre una lacrima solitaria gli scendeva lungo la guancia.
Ma non erano state solo le parole del padre a ferirlo, no.
Era stato il comprendere, dopo anni, che Tauriel verso di lui non aveva provato altro che semplice amicizia, niente più che un amico era per lei.
Perché sapeva che mai suo padre gli avrebbe mentito.
Ma soprattutto, sapeva di aver sprecato il suo tempo, ad amare una persona che non l’aveva mai ritenuto qualcosa di più.
 

 
Qualche giorno dopo la festa, mentre Legolas era a colloquio con il padre assieme ad altri elfi circa degli altri attacchi avvenuti di recente, una guardia irruppe nella sala del trono: “Lyst in saim!” (Le celle sono vuote!), esclamò.
Il re scattò in piedi, mentre Tauriel si avvicinò: “Dov’è il custode delle chiavi?”, domandò, scendendo le scale.
“Giù nelle cantine”, rispose la guardia, seguendola assieme a cinque altri elfi.
Legolas le tenne dietro, e arrivarono appena in tempo per vedere la parte mobile del pavimento tornare al suo posto.
“Elros”, chiamò Tauriel.
L’elfo era con la testa poggiata sul tavolo, e sembrava completamente ubriaco, come Galion di fronte a lui.
“Elros!”, esclamò allora l’elfa, scuotendolo per una spalla.
Lui si svegliò di colpo, ma sembrò faticare per mettere a fuoco il Capitano, che disse: “Che cosa è successo, come sono scappati?”.
Ma Legolas non rimase ad ascoltare le scuse del custode delle chiavi; ordinò a Eäron di seguirlo e corse su per le scale, dirigendosi ad una delle uscite secondarie delle sale, quella che dava sul Taurduin, e da lì vide i tredici nani che, dentro dei barili, tentavano la fuga.
Ma il cancello del fiume non si sarebbe fatto sfuggire i prigionieri.
“Holo in ennyn”, ordinò, e Eärnor suonò il corno del pericolo, il cui suono si udì anche in lontananza.
Il cancello venne chiuso e Legolas ivi si diresse, mettendo mano alle armi perché aveva notato che sulle sponde del fiume si nascondevano delle creature che sperava di non vedere mai entro i confini sicuri del regno.
Stava ancora correndo in quella direzione, seguito da un piccolo gruppo di elfi, quando una delle guardie del cancello venne colpita alle spalle da una freccia e cadde, e il nano giovane che aveva visto parlare con Tauriel stava cercando di arrivare alla leva che apriva e chiudeva il cancello, ma una freccia lo colpì alla gamba.
Prima di giungere sul posto, notò solamente Tauriel che uccideva un orco che stava per attaccare quel nano, poi incoccò una freccia e sbucò fuori da un cespuglio, colpendo in pieno un orco che si trovava dinanzi a lui.
Molti altri ne uccise, prima di voltarsi e vedere che i Nani stavano scappando, ché il cancello era nuovamente aperto.
Gli orchi li inseguivano e Legolas si mise a correre dietro di loro, raggiungendo Tauriel e saltando giù dalla struttura che sosteneva ponte e cancello, seguiti dagli altri elfi.
Gli orchi erano molti, e si trovavano su entrambe le sponde del fiume, ma Legolas non se ne fece scappare neanche uno e, ad un certo punto, saltò sulle teste di due nani e continuò a combattere, muovendosi in quel modo per arrivare sulla sponda opposta e uccidere il resto degli orchi rimasti lì.
Stava combattendo contro uno di loro e, quando lo uccise, vide che un alto orco alle sue spalle l’avrebbe sicuramente ucciso se non fosse stato che Thorin avesse lanciato contro di lui una delle armi di quelle creature, salvandogli la vita.
Legolas lo guardò, incerto se ringraziarlo o meno, quando una freccia nera gli passò a pochi centimetri dal volto, evidentemente deviata da qualcosa.
Difatti, percepì la presenza di Tauriel alle sue spalle e voltò la testa, vedendo che l’elfa teneva stretto un orco puntandogli uno dei suoi pugnali alla gola: “Dartho”, (aspetta) ordinò.
“Ú-no hono, ho hebo cuin” (questo lo teniamo in vita).
“Portiamolo a palazzo, subito”, disse poi, avviandosi e voltandosi per essere certo di essere stato ascoltato.
Tauriel guardò ancora qualche secondo il fiume, poi seguì Legolas, trascinandosi dietro l’orco, che continuava a dibattersi e cercava di liberarsi, ma alla fine Legolas si spazientì e lo afferrò per la gola: “Ci penso io, vai avanti”, disse a Tauriel, minacciando poi l’orco con un dei suoi coltelli per farlo avanzare.
La strada per arrivare a palazzo non era lunga, ma i due impiegarono molto più tempo del solito a causa dell’orco, ma alla fine entrarono nelle sale e andarono al cospetto del re, che si alzò dal trono e si pose alle spalle del figlio, che costrinse l’orco in ginocchio senza allontanare la lama dalla sua gola, mentre Thranduil diceva: “Tale è la natura del male. Là fuori, nella vasta ignoranza del mondo, si inasprisce e si propaga un’ombra che cresce nel buio. Un insonne malanimo tanto nero quanto l’imminente muro della notte. Così è sempre stato. Così sarà sempre. Col tempo tutte le cose orrende si fanno avanti”.
Legolas si rivolse all'’orco: “Stavate seguendo una compagnia di tredici Nani. perché?”.
L’orrida creatura, però, invece di rispondere disse: “Non tredici, non più”.
Legolas notò Tauriel guardare l’orco con una strana luce negli occhi, che all'’elfo non piacque per niente.
“Quello giovane, l’arciere dai capelli neri, l’abbiamo infilzato con una freccia Morgul. Il veleno ce l’ha nel sangue. Presto soffocherà”.
Il Capitano lo guardò con rabbia: “Rispondi alla domanda, sozzura”, ingiunse.
L’orco le rivolse alcune parole nella sua orrenda lingua, che Legolas tradusse come: “Io non rispondo ai cani, elfo-femmina!”, e Tauriel sguainò un pugnale, minacciando l’orco.
“Io non me la farei nemica”, disse il principe.
“Ti piace uccidere le cose, orco? Ti piace la morte? Allora lascia che te la dia!”.
Tauriel si avventò sull’orco, puntandogli il pugnale al petto, ma Thranduil la fermò: “Farn! Tauriel, ego! Gwao hi!” (Basta! Tauriel, lascia stare! Vai ora!).
L’elfa abbassò l’arma e, dopo essersi inchinata, andò via, mentre il re riprendeva a parlare con l’orco: “Non mi interessa affatto un nano morto. Rispondi alla domanda. Non hai nulla da temere, dicci quello che sai e io ti lascerò libero”.
Poi fu Legolas a parlare: “Avevi l’ordine di ucciderli. Perché? Cos’è Thorin Scudodiquercia per te?”.
“Quel nano mezzatacca non diventerà mai re”.
Il principe strinse gli occhi: “Re? Non c’è un re sotto la Montagna né ci sarà mai. nessuno oserà entrare a Erebor fintanto che il drago vive”.
“Tu non sai niente. Il tuo mondo brucerà”.
Legolas non capiva: cosa significavano quelle parole?
“Ma che cosa stai dicendo? Parla!”, ordinò.
Quando la creatura rispose, però, sembrava rivolgersi non più a Legolas, ma a suo padre.
“Il nostro momento si è ripresentato. Il mio padrone serve l’Unico. Adesso capisci, elfo? La morte è sopra di voi! Le fiamme della guerra sono sopra di voi!”.
La sua risata era sgradevole, ma durò il tempo di pochi attimi perché Thranduil con un solo, fluido gesto sguainò la spada e staccò la testa dell’orco, che rimase in mano a Legolas: “Perché l’hai fatto? Avevi promesso di liberarlo”, disse, lasciandola cadere a terra guardando il padre.
Quello rimase in silenzio per pochi istanti, prima di rimettersi al fianco del figlio: “Ed è così”, disse, mentre metteva un piede sull’orco, ormai morto: “Ho liberato la sua orrenda testa dalle sue miserabili spalle”.
Legolas lo guardò: “C’era altro che l’orco poteva dirci”, disse.
“Nulla di più poteva dire a me”, replicò Thranduil, rinfoderando la spada e cominciando a scendere le scale.
“Che cosa intendeva con le fiamme della guerra?”, gli domandò il principe.
“Che stanno per sguinzagliare un’arma talmente grande da distruggere ogni cosa davanti a sé”, rispose, per poi alzare la voce: “Sia raddoppiata la sorveglianza ai nostri confini, tutte le strade, tutti i fiumi. Nulla si muova che io non sappia. Nessuno entra in questo regno e nessuno lo lascia”, ordinò, prima di andar via.
Un paio di guardie recuperarono il cadavere dell’orco, mentre Legolas si dirigeva ai portali: “Holo in ennyn. Tiro i defnin hain na ganed en-Aran” (Chiudete i cancelli. Teneteli sigillati per ordine del re), disse, per poi voltarsi indietro.
Ma venne fermato dalla voce di Elros: “Man os Tauriel?” (Che dici di Tauriel?)
Legolas si arrestò, voltandosi leggermente indietro, perplesso: “Man os sen?” (Cosa dico di lei?), domandò.
L’elfo rispose, indicando il ponte: “Edevín eb enedhor na gû a megil. En ú-nandollen” (È andata nella foresta armata di arco e lama. Non è ancora tornata).
Legolas tornò indietro, fino ad uscire all'’esterno e guardare nella direzione indicatagli da Elros: perché era uscita?

Angolo dell'autrice

Se siete arrivati fin qui senza provare l'impulso di uccidermi, beh, tiro un sospiro di sollievo. Ma ora, come la volta precedente, facciamo una breve riflessione sulla storia
...
...
...
...
Bene, ora che avete riflettuto, posso passare a ringraziare Tina_Legolas e Clar52a per le recensioni e anche ge_gessica per avermi aggiunto tra gli autori preferiti (anche se ti ho già ringraziato di persona :3 )

Vi saluto, mellyn nin, al prossimo incontro!


Hannon le

ElenCelebrindal
 
   
 
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