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Autore: hiromi_chan    18/04/2014    4 recensioni
Un drago decaduto propone una sfida a Merlin e Morgana: il primo dei due che riuscirà a portargli il cuore umano di un Principe dei Draghi si vedrà esaudito un desiderio come ricompensa. In occasione del duello si aprono nuovamente le porte che collegano il regno della magia con la Terra. Merlin si lancia nella sfida per poter mettere piede nel mondo delle misteriose creature umane e dare una svolta alla sua vita, mentre Morgana ha in serbo dei piani più oscuri.
L'ignaro Arthur, erede al trono inglese, viene coinvolto nella gara come bersaglio diretto. Ma come possono gli stregoni, che per natura non conoscono l'amore, riuscire a catturare un cuore umano che palpita e prova emozioni? E se poi Morgana decide di fare le cose in modo letterale e di riportare a casa quel cuore su un piatto d'argento, cosa farà Merlin?
Era profondamente egoista, l'amore degli esseri umani. Pretendeva di possedere il cuore dell'altro, pretendeva di possederlo tutto, alienando da esso qualunque altra cosa non appartenesse a quel sentimento.
[Merthur]
ATTUALMENTE IN REVISIONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Drago, Merlino, Morgana, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Note

 

Merlin, parlando con Arthur, passerà dal “voi” al “tu” e viceversa non per una mia svista, ovviamente xD quanto per una svista di Merlin stesso, che vedrete, avrà altro a cui pensare rispetto al modo più corretto di rivolgersi ad Arthur.

Se ci avete fatto caso, poi, ogni tanto ho riportato i pensieri diretti di Merlin in corsivo, e anche lì lui si riferisce sempre ad Arthur senza usare il “voi”. Perché, nella dimensione personale e intima dello stregone, il principe è semplicemente il suo Arthur.

Il titolo del capitolo è una citazione da “La spada nella roccia”: “Questa faccenda dell'amore è una cosa potentissima. È la forza più potente sulla terra!”

Terza cosa, il punto di vista di Merlin riprende da dopo la scoperta dell'incidente, quindi da prima del confronto con Morgana che avete trovato nella parte finale di “Cuore di strega”.

Alla fine trovate anche un piccolo extra relativo a una cosa che verrà detta nel capitolo... spero che vi faccia sorridere!

 

 

 

 

(x)

 

 

Capitolo tredici: Questa faccenda dell'amore è una cosa potentissima
(+ extra: Arthur e i suoi “due o tre” messaggi)

 

 

 

 

Dalla mattina prima, quando quella giornalista in rosa gli aveva annebbiato il mondo con le sue devastanti notizie, Merlin non aveva ancora smesso di piangere.

Gaius si era preso cura di lui con un'attenzione estrema, chiedendo in cambio nulla se non una conferma che si sentisse bene. Lo stregone non era riuscito a rivolgergli nemmeno una parola. I suoni non venivano fuori che in modo sconnesso dalla sua bocca, graffiandogli la gola come spine acuminate.

Le lacrime, Merlin aveva presto imparato, erano un amaro rimedio che il suo corpo s'illudeva di contrapporre al dolore: con la scusa di lavare via ciò che uno si portava dentro, le lacrime scavavano un percorso fino agli occhi, strappando la pelle e riportando alla luce, nel tragitto, cose che credevi da tempo dimenticate.

Se fosse riuscito ad aprirsi con Gaius, Merlin gli avrebbe detto che non stava meglio, adesso. Se possibile, stava ancora peggio. L'immensa preoccupazione per Arthur gli schiacciava l'aria nel torace ogni momento, senza dargli tregua.

La famiglia reale aveva richiesto la discrezione più assoluta su quanto era accaduto. Così, dal giorno prima, la televisione non aveva aggiunto molto alle rassicurazioni sulle condizioni del principe che, a quanto pareva, non erano gravi. Merlin, benedetto da un attimo di respiro tra i singhiozzi, ne aveva avuto la conferma da Gaius: il mentore, riuscito a mettersi miracolosamente in contatto con Leon che era in ospedale, aveva riferito un messaggio da parte della guardia del corpo: «Di' a Merlin di non preoccuparsi».

Lui aveva riso nervosamente, piegandosi poi in due sul materasso per i crampi, e da lì non si era più mosso.

Come faceva a non preoccuparsi, se la sua magia sembrava averlo momentaneamente abbandonato, e se non sapeva quando sarebbe tornata da lui? Non si era staccata del tutto da Merlin, non era morta, lo sentiva. Solo, l'aveva lasciato a sé stesso, come se i sentimenti di cui si era riempito avessero occupato troppo posto, offendendola, portandola a ritirarsi in un antro nascosto.

«Avanti» si era ritrovato a pregarla nel cuore della notte, il naso pieno, la testa che gli scoppiava, «ti scongiuro. Almeno per vedere Arthur. Almeno con il Diamante.»

Era stato inutile. L'unico risultato che lo stregone aveva ottenuto era stato quello di ritrovarsi a mordere il cuscino, per non farsi sentire da Gaius.

Era cieco, adesso, impotente, inutile. Senza magia, lui... non valeva molto.

Era così arrabbiato con se stesso, così deluso.

Senza magia non valeva niente, non valeva niente perché aveva promesso di proteggerlo (se l'era ripetuto talmente tante volte – proteggere Arthur, proteggere Arthur, proteggere Arthur), ma come avrebbe mai potuto farlo se era privo della sua maggiore risorsa? Ed era vero che avrebbe fatto di tutto per avere Arthur al sicuro, incantesimi o meno, ma...

Alla prima occasione di vero pericolo, non era nemmeno stato lì con lui.

Si era trattato solo di parole, allora? Le sue promesse erano tanto vuote quanto era schiacciante il senso di colpa?

Sull'onda del rimorso, Merlin doveva aver pianto tutte le lacrime messe da parte nel corso del tempo – e dovevano essere veramente tante, perché proprio non volevano saperne, di fermarsi.

Non poteva credere che il destino di Arthur fosse quello, e che il destino di Merlin, intrecciato col suo, fosse di restare a guardare mentre moriva. Molte lacrime erano scese silenziosamente a quel pensiero, mentre lui stringeva in un pungo la miniatura di Kilgharrah, la stretta tanto serrata da lasciargli segni sul palmo.

Lo odiava, quello stupido drago di plastica. Gli ricordava Arthur, perché era stato lui a lanciarlo a Merlin, quella volta sull'uscio di casa, e perché allo stesso tempo gli ricordava la maledizione che pendeva sopra la testa del principe come una lama.

Cadeva una lacrima perché Merlin era stato ingenuo, ne cadeva un'altra per il modo in cui affogava, sommerso da troppe cose, e poi un'altra ancora per la persona che era stato. Prima, quando non poteva sapere, non poteva sentire.

Fino a pochi mesi fa era stato così ignaro. Addirittura all'inizio quasi era arrivato a pensare che Arthur se lo sarebbe meritato, questo. Che se era destino, beh, non ci si poteva fare nulla – ed era stato così eccitato all'idea del Duello, all'idea di trovare una strada sua, e se ci andava di mezzo un Principe dei Draghi, in fin dei conti, sarebbe andato bene. Sarebbe stata una condanna triste, ma inevitabile.

Cos'era la perdita di una vita in confronto a un'avventura, se quella vita era immeritevole e destinata dall'inizio a una tale conclusione?

Sapere che la mente che aveva partorito idee del genere era la sua gli faceva venire da vomitare. E vomitò, e l'unica cosa a cui pensò fu quel “Che pena, povero ragazzo” che Gaius aveva mormorato tempo prima.

Non si era reso conto di quanto fosse stato terribile, allora, non capire niente di tutto questo; e vomitare in bagno, in un modo quasi perverso, era comunque più soddisfacente che sapersi in quella condizione.

Meglio sentirsi piccolo e colpevole, meglio sentirsi un disastro, un verme, se prima era stato ancora peggio e nemmeno l'aveva capito. Era veramente spaventoso, non riuscire ad avere la vera consapevolezza del sentimento. Acquistarla per poi tornare sui propri passi e guardare la persona che si era stati un tempo, beh, lo stava dilaniando internamente.

 

ʘ

 

Alle prime luci dell'alba la testa canuta di Gaius fece capolino da dietro la porta. Merlin si voltò dall'altra parte, ma l'uomo, risoluto nella sua premura, appoggiò una tazza di tisana fumante sul comodino e poi si sedette ai piedi del letto. Le ginocchia scricchiolarono nel movimento e lui soffocò un'esclamazione sottovoce. Lo stregone buttò fuori l'aria dal naso, tendendo la linea arida delle labbra.

«È una specie di sorriso, quello che vedo?» disse l'uomo.

Merlin scosse appena la testa sul cuscino. No, non avrebbe potuto sorridere, adesso.

«Eppure, sai, sarebbe un bene se fosse un sorriso» continuò Gaius. «Il dolore è così che si combatte, a poco a poco.»

Lo stregone tirò su col naso e, dopo molti lunghi momenti di silenzio, disse, con una voce roca che non riconobbe: «E alla fine si riesce a sconfiggerlo, il dolore?»

«No» rispose l'altro, allungando la mano sulla sua testa in un gesto un po' incerto. «Una cosa del genere non sparisce, non davvero. Ma si impara a conviverci.»

Si andava avanti. Sì, l'aveva sempre saputo che gli esseri umani erano in grado di fare questo. E se all'inizio, in quel periodo che ormai gli sembrava distante da lui un universo, l'aveva trovato orribile, ora aveva capito tutta la forza che c'era dietro.

Ma andare avanti, lasciando indietro Arthur?

No, impossibile. No. Lui quella forza non l'avrebbe mai avuta, nemmeno se in quello stesso momento il suo cuore fosse stato al cento per cento umano.

Trascorsero dei minuti senza che nessuno aggiungesse altro, tra i respiri pesanti del più vecchio e quelli quasi inudibili di Merlin.

«Lei si chiamava Alice» disse a un certo punto il mentore.

Merlin lo guardò senza chiedere nulla; aveva già capito. Lì ricurvo sul bordo del suo letto, Gaius sembrava così vecchio e così addolorato. Un raggio di luce picchiava sul suo viso nascondendo la sua espressione in un'ombra grigia.

«Si chiamava Alice, la donna che rubò il mio cuore» disse flebile. «L'amavo così tanto, e ancora la penso con così tanto affetto... Per lei persi la magia... ne ero innamorato pazzo. Quel suo sorriso dolce...»

Ogni parola smezzata era pronunciata con reverenza, piena di sentimento, di un'intimità tale che Merlin si sentì a disagio e dovette distogliere lo sguardo.

«L'amavo così tanto che quando si ammalò giurai che avrei fatto di tutto per non perderla, Merlin. Di tutto. Ero pronto a tutto.»

Lo stregone sentì formarsi un nodo in gola, ed ebbe paura.

«Non avevo ancora perduto completamente la mia magia, allora. Me ne restava poca... sufficiente, però, perché potessi fare ricorso alle Noci Lacrima.»

«Cosa sono?» disse Merlin, la sua coscienza che rispondeva già «Non sono niente di buono».

Gaius sospirò pesantemente, portandosi una mano sulla fronte rugosa. «Manufatti magici appartenenti al mondo Sidhe. Estremamente potenti e pericolosi. Ne avevo una scorta nel mio studio di guaritore nel Regno. Per qualche ragione, le portai con me sulla Terra insieme a molti altri rimedi magici.»

Dopo una lunga pausa che traboccava sofferenza, riprese. «Vedi, quando una fata muore, le lacrime delle sue sorelle che la compiangono vengono raccolte da queste stesse creature. Mischiate alla polvere delle ali della deceduta, compattate con la magia Sidhe, danno origine alle Noci Lacrima.»

«La magia delle fate è oscura. È paragonabile alle forze dei druidi – Gaius, che cosa... ?»

Il mentore gli portò una mano sulla spalla, per confortarlo o forse per impedirgli di alzarsi.

«Una Noce Lacrima contiene sofferenza pura. Sentimento. E il dolore è forte come l'amore. Una Noce ha l'effetto di concentrare la magia senza cancellarla, perché è intrisa dell'antico potere delle fate. Raccoglie tutta la magia di uno stregone e la espelle dal corpo in modo violento.»

«L'unica opportunità che un mezzo stregone ha per mettere insieme un potere sufficiente a salvare qualcuno» disse funereo Merlin. Poteva solo immaginare quali fossero le conseguenze. Espellere la magia in quel modo...

«Ingoiare due Noci raddoppia la potenza, ma l'effetto è letale» gli lesse nel pensiero Gaius. «Il corpo di uno stregone non accoglie bene la magia Sidhe. Io ne usai una.»

Merlin annuì. «Funzionò?»

Gaius scosse la testa. «Era troppo tardi.»

Lo stregone si nascose nelle lenzuola. La voce del mentore arrivò ancora a lui come da un'altra dimensione.

«Non me ne sono mai pentito. Sarei morto se non ci avessi provato. Dopo, mi sono sentito come morto anch'io. Ma non è così... lei non avrebbe voluto che mi lasciassi andare. Era talmente piena di voglia di vivere...»

 

ʘ

 

Merlin si raggomitolò intorno al suo dolore, abbassando le palpebre con fierezza. Un sospiro tremolante accompagnò le lacrime che gli bagnavano le labbra, salate sulla sua pelle che era come sabbia.

La porta della stanza si aprì cigolando sui vecchi cardini.

Lui gemette debolmente, ancora ad occhi chiusi. «Gaius» disse, «fa male.» Era scioccante come tutto ciò che provava lo potesse esprimere con così poche parole.

I passi dell'altro mentre si avvicinava al suo letto erano meno instabili del solito, pesanti, misurati.

Merlin si portò una mano sul petto, sbrindellando ancora di più la maglia. «Non riesco a respirare bene.»

Il materasso si piegò sotto un secondo peso, quello di un uomo dalla presenza ferma, rassicurante... calda.

Lo stregone inspirò con furia mettendosi seduto, girò il busto, tese le mani avanti verso di lui e c'era Arthur tra le sua braccia, ora, c'era Arthur. C'era Arthur, Dèi, era vero, e Merlin si aggrappò a lui incastrando il viso sulla sua spalla, il naso sul suo collo.

Arthurarthurarthur.

Ora sì che riusciva a respirare meglio.

«Ciao» mormorò sorpreso il principe, quasi una risata. «Questo assalto devo prenderlo come un segno della tua delusione perché non sono Gaius? Offff-» disse, soffocandosi alla fine quando Merlin lo strinse forte, forte...

«Arthur.» Nel suo nome c'era proprio tutto quello che Merlin sentiva il bisogno di dire.

Il principe si mosse, un po' a disagio, ma ancorò una mano al fianco di Merlin, l'altra che prendeva a scorrere su e giù sulla sua schiena in maldestre carezze. Un pochino ruvida nei movimenti, ma con tutto il palmo aperto, le dita tese.

Merlin singhiozzò, e ridendo tra le lacrime si accomodò meglio tra le braccia dell'altro. Era meraviglioso, non riusciva a crederci. Arthur stava bene, era tornato da lui sano e salvo e ora lo stava stringendo, ed era tanto vicino che poteva bere il suo calore. Era meraviglioso, meraviglioso.

«Se continuerai così penserò che sei felice di vedermi sul serio» disse la voce roca del principe.

Merlin gli si schiacciò addosso il più possibile, torace contro torace, perché voleva sentirlo, voleva averlo con lui in ogni modo, completamente.

Il petto di Arthur si alzò una volta di troppo. Un respiro sorpreso; il battito del suo cuore nelle orecchie di Merlin, o di tutti e due i loro cuori; la pelle calda sotto le sue dita; il corpo di Arthur stretto nel suo abbraccio. Era tutto così familiare e al contempo così nuovo, così sufficiente perché Merlin pensasse che era ciò che aveva sempre desiderato. Una cosa di cui aveva sentito terribilmente la mancanza, pur non avendola mai conosciuta davvero. Ora lo capiva.

«Sì, sono felice, sono felice...»

«Oh» disse Arthur, muovendosi appena (e Merlin, per scongiurare l'ipotesi che si allontanasse da lui così presto, gli allacciò le mani alla vita senza pensarci per un secondo). «Mmmh-beh. Beh, mi fa piacere vederti tanto... entusiasta» continuò, dandosi un tono spavaldo, «considerando che fino ad adesso mi hai completamente ignorato e non ti sei nemmeno degnato di venire in ospedale.»

«Cosa?» Lo stregone si tirò un po' su, ma senza mollare la presa.

L'altro stava scandagliando il suo volto con un'aria decisamente scettica.

«Arthur, non sapevo nulla! Non ci facevano sapere nulla, non lasciavano avvicinare nessuno all'ospedale e stavo per venire comunque, anche se poi sono stato male, i-»

«Non li hai letti, vero? Quei... due o tre messaggi che ti ho mandato. Non hai la minima idea di cosa io stia parlando, non è così?»

Merlin scosse la testa lentamente, le guance che si colorivano d'imbarazzo al ricordo di se stesso che, preso dallo stordimento post bacio, lanciava il cellulare nel cassetto per poi dimenticarlo lì, preso dalle sue ansie.

Arthur scoppiò a ridergli in faccia senza ritegno. «Avrei dovuto immaginarmelo. Qualche volta è come se tu venissi da un altro mondo» disse, portandosi una mano sulla fronte. La tirò via con un respiro affilato tra i denti quando toccò per sbaglio un cerotto che aveva vicino alla tempia.

«Oh, Arthur» disse Merlin, sentendosi uno stupido per averlo notato solo ora. «Ti sei fatto male. Cosa sono, punti?»

«Mh-mh. Zoppico anche un po'. La caviglia non è messa molto bene, ma per il resto è tutto a posto.»

Merlin fece del suo meglio per ingoiare l'enorme masso che gli chiudeva la gola. «Ma cos'è successo di preciso?»

«Hai presente quell'inaugurazione alla quale sapevi da due settimane che avrei dovuto partecipare? Quella che ti sei perso perché hai, ne sono sicuro, dormito troppo?»

Merlin mise su il broncio, sentendosi, oltre che colpevole, anche un po' infastidito dal tono di ripicca.

«Beh, è venuto giù il soffitto del teatro» spiegò semplicemente Arthur. «E io, in un gesto eroico, ho salvato Morgana da un calcinaccio che, invece che cadere sulla bella testa, ha atterrato me.»

Morgana?

Merlin drizzò le spalle, sentendo un'ondata di rabbia bollente montargli dentro e stravolgergli lo stomaco. Se avesse scoperto che, in qualche modo, c'era lei dietro tutto quanto...

«Merlin?» Arthur corrucciò le sopracciglia, notando il cambiamento della sua espressione.

Lo stregone si sforzò di rasserenarsi. Non avrebbe dato al principe quella preoccupazione. Del resto, gli bastò osservare il suo volto così stranamente provato per mettere da parte, per il momento, qualunque altro pensiero.

D'istinto, allungò la mano per accarezzare il lato ferito del suo viso. Non volendo fargli male, però, si risolvette ad incastrare le dita tra i capelli biondi intorno all'orecchio e al collo. «Mi dispiace, avrei dovuto essere lì.»

Arthur rimase preso in contropiede. «Non avresti potuto fare molto in ogni caso.»

Quanto si sbagliava. «Avrei potuto impedirti di fare stupidi gesti eroici, tanto per dirne una.»

«Impossibile» ghignò, aggiungendo, tronfio, «e poi lo so che ti piaccio così, gesti eroici compresi.»

Merlin rise. Dèi, Arthur lo mandava fuori di testa. Riusciva benissimo a immaginarselo che si fiondava al salvataggio di quella che credeva essere sua cugina. Ma l'avrebbe comunque fatto per chiunque altro, perché era avventato, coraggioso, stupido e buono. Buono, buono, buono. Il cuore di Merlin crebbe di tre misure, reclamando per sé tutto il suo petto (poi non c'era da stupirsi che la sua magia andasse in sciopero). «È vero, mi piaci così» ammise, annuendo.

Arthur lo fissò per qualche secondo, l'espressione impenetrabile. «Uh. Cioè, già. Giusto» disse con indifferenza, ma inciampò sulle parole mentre un tenue rossore iniziava a spandersi lungo il ponte del suo naso.

Merlin era così felice, e così provato e stanco, e traboccante di, ugh, tutto, che aveva una voglia matta di baciarlo, adesso. Di incollarsi a lui e non staccarsi mai più, e di toccarlo dappertutto, per sincerarsi che fosse sano e salvo, o semplicemente perché poteva.

«È carino che ti metta in imbarazzo una cosa del genere» disse ad Arthur, coprendogli l'orecchio con la mano che ancora teneva al lato del suo viso.

La faccia di Arthur si contrasse come se avesse appena masticato un limone. «Ma quale imbarazzo?»

Lo scoppio della risata di Merlin si fermò di colpo quando la sua magia, evidentemente poco contenta della situazione, gli mandò una fitta allo stomaco che lo fece piegare in avanti.

«Ehi, come ti senti?» domandò in fretta il principe, il braccio che era volato a circondargli le spalle.

Merlin sospirò, appoggiandosi automaticamente contro di lui. Ormai poteva farlo, no? Arthur non l'aveva buttato giù dal letto, quindi significava che poteva. «Mi sento come uno che è stato pestato per un giorno intero.»

«Si vede, hai una faccia» commentò poco galantemente l'altro, dandogli delle pacche di compatimento. «Credevo che avessi solo pianto per me per tutto il tempo, invece vedo che stai male per davvero.»

«Siamo un po' presuntuosetti.» Grazie agli Dèi aveva il viso nascosto sul suo collo, perché la vampata di caldo che sentiva poteva solo significare che fosse arrossito.

Arthur dopo, sorrisino da schiaffi ben in vista, sistemò i cuscini contro la spalliera del letto e lo aiutò a mettersi seduto più comodamente possibile, senza trattenersi dal commentare che era lui, lì, quello che avrebbe dovuto essere accudito («Io ti accudisco tutti i giorni» gli ricordò Merlin, «se per una volta ricambi il favore, non ti sprechi mica.»).

Rimasero per un po' immersi in un confortevole silenzio, il principe ancora mezzo arrampicato sul materasso, la gamba della caviglia infortunata ora stesa accanto a Merlin. Non aveva dato alcun segno di volersi alzare, e allo stregone la cosa andava più che bene. Chiuse gli occhi, lasciandosi invadere da un inebriante stato di pace che non era riuscito a raggiungere da molte ore. Si sentiva devastato, ma felice fin nelle ossa. Andava bene, così. Andava bene.

Per quanto, però, sarebbe andato bene?

E ad Arthur – ad Arthur andava bene, era questo che lui voleva? No, Merlin sapeva bene cosa Arthur avrebbe dovuto volere, in quel momento.

«Non dovreste stare qui, adesso» gracchiò, gli occhi ancora chiusi. Le sue dita, sotto le lenzuola, andarono a stringere convulsamente la stoffa dei pantaloni del pigiama.

«Quindi, secondo il mio valletto, non posso neanche avere qualche ora libera per riprendermi dallo shock di un incidente che avrebbe potuto essere-»

«No, intendevo. Uh. Dovreste andare a far sapere anche agli altri che state bene. A Gwen, voglio dire.»

Il rumore di Arthur che si muoveva appena, facendo strusciare le coperte, quasi fece venire a Merlin voglia di guardarlo. Ma resistette alla tentazione, perché era più facile parlare in quel modo, senza avere davanti al naso quella sua tipica espressione da dodicenne imbronciato.

«Dovrei andare da Gwen

«Sì, uhm. Gwen. Sarà preoccupatissima, e credo che al momento non sia nemmeno nei dintorni, quindi non saprà nulla, come me fino a poco fa, e ho pensato...»

«Oh. Beh, verrà a sapere tutto tra poco, come il resto della nazione, suppongo. Sai, telegiornale, internet, eccetera.»

Merlin ingoiò a vuoto e aggiunse, sopra le sue forze: «Sì, ma... ecco, penso che a Gwen piacerebbe saperlo prima. Magari si sta uccidendo nel dubbio. Magari è talmente in pensiero che-»

«Merlin» disse il principe, inclinando la voce verso la sua tonalità seccata. «Sono sicuro che lei sappia cavarsela da sola. Tu invece, al momento, non resisteresti un minuto senza la mia presenza accanto a te. Sono appena uscito dall'ospedale, la prima cosa che ho fatto è stata venire qui, e non voglio vedere nessun altro per qualche ora – di certo il paese potrà fare a meno di me per qualche ora, no? Cosa di cui, nel tuo caso, dubito fortemente. Inoltre non ho la minima intenzione di muovermi di un solo centimetro, perché mi va fa male ovunque» e sottolineò pateticamente l'ovunque, «quindi non vado da nessun altro, non faccio nient'altro e resto qui.»

Lo stregone si voltò di scatto verso di lui, allora, esasperato. Perché doveva sempre rendergli tutto difficile, questo somaro che lo squadrava come fosse andato fuori di testa? Teneva le braccia incrociate al petto, pure, come se fosse lui quello che doveva spiegare le ovvietà all'altro. Come se non fosse lui, quello che, uscito dall'ospedale, aveva ignorato la donna perfetta per fiondarsi dal suo valletto. Facendogli pensare che, forse, c'era la possibilità...

«Innanzitutto, vi ricordo che non sapete prendervi cura nemmeno di voi stesso, e nemmeno per i vostri bisogni fondamentali» rimbeccò rabbiosamente, «quindi escludo che la vostra presenza qui mi sia di qualche aiuto.» Menzogna enorme, svergognata menzogna. «Inoltre, Gwen-»

«Insomma, che c'entra adesso Gwen?» alzò la voce Arthur.

«C'entra per quello che c'è tra voi due, e c'entra che non è giusto che tendiate a dimenticarvi di un fatto del genere, perché non si gioca con queste cose, Arthur, e uno deve essere chiaro, e se una ragazza prova dei sentimenti per voi che voi ricambiate è solo corretto rassicurarla sulle vostre condiz-»

«Aspetta, che?» fece Arthur, smarrito, alzando le mani a mezz'aria. «Cos-Gwen. Cosa? No!»

Merlin strinse le labbra, guardandolo di sottecchi. «No?» disse, poco convinto. Ma il suo battito cardiaco aveva preso a sconquassarlo da dentro con un ritmo frenetico e scoordinato, un ritmo che gli diceva «Ragazzo, sei un idiota».

«No» gli fece eco il principe, scuotendo piano la testa, le sopracciglia corrucciate.

«Il...» Merlin serrò con così tanta forza la presa sul pigiama che le unghie gli affondarono nella carne. «Il vostro cuore... non è suo?”

Arthur si grattò il collo, chiaramente imbarazzato. OhDèiohDèiohDèi. Quello era importante, era molto importante, quella risposta poteva cambiare tutto. Se Arthur ammetteva che il suo cuore non era di Gwen e non lo sarebbe stato, allora il piano di Morgana non avrebbe avuto alcun fondamento, e il principe sarebbe stato salvo almeno da quel punto di vista. E forse Guinevere poteva anche essere la donna più compatibile per Arthur, ma il cuore, oh, il cuore umano non segue logiche – e se al cuore di Arthur non fosse importato un bel niente della compatibilità massima con quella donna?

«Una volta, tempo fa, direi... mi piaceva molto, sì» ammise, e Merlin, che pure lo sapeva, affondò impietosamente, scivolando giù verso le coperte.

Ma Arthur andò avanti, con sempre maggiore difficoltà e sempre più velocemente. «Però ormai è passata da un pezzo. La nostra storia. Cioè. Non è nemmeno mai iniziata davvero, direi. Comunque non è mai stato quello che si potrebbe definire... uhm.»

«Vero amore?» finì per lui lo stregone, che non voleva permettersi il lusso di credere a quello che stava ascoltando fino a che non avesse avuto la conferma definitiva.

Arthur grugnì, fissando il soffitto. «Già. Lei non è... non è lei la mia... ehm...» e fece degli ampi gesti in aria con una mano, «... Non è la mia metà.»

«Oh.»

Qualcuno liberò un branco di farfalle direttamente nello stomaco di Merlin.

Il cuore di Arthur non è di Gwen, il piano di Morgana fallirà, Arthur sarà al sicuro, la compatibilità non è tutto, Arthur sarà al sicuro, al sicuro, al sicuro, posso tenerlo al sicuro, il cuore di Arthur non è di Gwen – Arthur non ama un'altra.

«Perché ridi, adesso?» disse il principe, diffidente al massimo livello.

Merlin piantò il proprio volto verso la finestra, oltre le tende bianche. Fiocchi di neve avevano preso a cadere lentamente, completando il quadretto perfetto che si vedeva dalla sua camera – la stanza con il balcone stile vittoriano e le grosse tende rosso scuro. Si morse la lingua.

«Mi viene da ridere perché non vi facevo così romantico.»

«Se la cosa esce da queste quattro mura, sei morto.»

«Mmh» mugugnò lo stregone, la spina dorsale che sembrava quasi sparire dal suo corpo mentre lui scivolava sempre più giù, mollemente.

Voleva continuare a guardare oltre il vetro (a Ealdor era già caduta la prima neve?), quindi fece forza sui gomiti, tentano di rimettersi dritto con scarso successo. Si afflosciò ancora più in basso, ormai quasi completamente steso, e la stanchezza si fece sentire più che mai. Poteva quasi percepire le occhiaie che gli rigavano gli occhi inariditi; tuttavia, doveva essere davvero pazzo, ma poteva giurare di essersi sentito poche volte così felice in vita sua.

Le mani di Arthur tornarono sulle sue spalle con una consuetudine che gli strizzò i polmoni. Mentre il principe lo rimetteva seduto, Merlin accantonò velocemente l'idea di ammirare la neve per lasciare, invece, che la testa indugiasse nella direzione opposta. Era così esausto che non risultava strano, appoggiarsi sulla spalla di Arthur. Strusciare un po' la guancia contro la sua maglietta per farsi posto, beh, neanche quello era strano. Era bello, anzi. E molto piacevole.

«Va meglio?» disse il principe al suo orecchio, piano.

«Molto meglio.»

«Allora resto per un po', se non hai altre sciocchezze con cui ribattere. Perché, come mi pare ovvio, la mia presenza qui è assolutamente necessaria. E poi sta nevicando. Non voglio uscire. Prenderei freddo, non mi fa bene nelle mie condizioni.»

Testa di fagiolo. «Sì, restate.»

«Qui invece è caldo.» Ed era vero, si era formato davvero un tepore piacevole tutto intorno a loro due. «Solo qualche minuto, poi vado via. Merlin...»

«Sì, resta.»

 

ʘ

 

Qualche minuto, tradotto dal linguaggio Pendragon, comprendeva tutta la mattina e si prolungava fino al pomeriggio inoltrato.

Gaius, dopo essere entrato nella stanza e aver beccato Merlin schiacciato addosso a un Arthur appisolato, ricomparve con due tazze di tisana, le lasciò sul comodino senza dire una parola e poi sparì misteriosamente per tutto il giorno.

A un certo punto Arthur uscì dal dormiveglia e iniziò a insistere perché guardassero dei cartoni animati («Quando si sta in convalescenza si guardano sempre i cartoni animati. Ma in che mondo vivi, Merlin?»). Quindi procedette a spostare il vecchio computer del paleolitico di Gaius su un carrellino che di solito ospitava delle piante. Durante l'operazione per angolarlo verso il letto, riuscì a intrecciare i cavi un milione di volte e perfino a far quasi cadere lo schermo. Imprecò copiosamente e Merlin rise molto, almeno fino a quando Arthur sbraitò dicendo che gli faceva troppo male la caviglia per andare avanti e lui dovette accorrere in suo soccorso, finendo col sistemare lo schermo da solo.

Quando tornò a letto trovò che il principe aveva occupato parecchio spazio rispetto a prima. Stava, in realtà, spalmato su più della metà del materasso, che già di per sé non era molto grande. Così finì che Merlin dovette appoggiarsi di nuovo sulla spalla di Arthur, con un braccio di questo che gli circondava tutta la schiena – per ottimizzare gli spazi, ovviamente.

Guardarono “La Bella e la Bestia” perché Merlin, non è possibile che non l'hai visto, “La Principessa e il Ranocchio” perché è decisamente sottovalutato, “Rapunzel” perché la Disney ha ritrovato il suo brio, “Toy Story” perché adesso ci vuole un cartone da ragazzi e basta con la roba sdolcinata, “Il Re Leone” perché è il mio preferito...

Dopo questa maratona, Merlin era sicuro di tre cose: numero uno, poteva capire, finalmente, come mai Elena dicesse che Arthur sembrava un maledetto principe Disney, visto che aveva gli occhi grandi, la mascella squadrata, le spalle larghe ed era coraggioso e un po' idiota. E visto che poi, beh, era un vero nobile dal sangue blu.

Numero due, non gli sarebbe dispiaciuto rimanere per l'eternità a guardare cartoni animati tra le braccia di Arthur, specie quando, fino a poche ore prima, aveva pianto l'anima per la paura vertiginosa di averlo perduto per sempre.

Numero tre, quelli della Disney non ci erano andati tanto lontano, con la storia del bacio di vero amore che spezza ogni incantesimo. In effetti era abbastanza ovvio, se Merlin ci pensava: l'amore cancella la magia, quindi un bacio d'amore cancella la magia, comprese le maledizioni lanciate su ignare principesse.

Rabbrividendo un po' alla sciocca riflessione, lo stregone si chiese se Kilgharrah non avesse bisogno proprio per questo del cuore di un Principe dei Draghi umano. Di Principi dei Draghi potevano essercene alcuni ancora in circolazione per il Regno, ma se si trattava di creature che non sapevano amare, il loro cuore di certo non poteva avere il potere di assorbire malie e maledizioni esterne.

Però, c'era un Principe dei Draghi che stava cancellando la magia di qualcuno, in quel momento esatto. E con la sua sola presenza, con il solo fatto di star stringendo quel qualcuno accanto a sé, le dita appoggiate alla base della sua schiena.

'Mai perdita della magia fu più dolce' pensò Merlin, mordendosi l'interno della guancia.

La sua magia non aveva dato altro segno di vita oltre qualche calcio occasionale che gli faceva dolere, a turno, il fegato e i reni. Probabilmente non aiutava la ripresa restando lì, con il profumo del dopobarba di Arthur che si attorcigliava dentro di lui a ogni respiro.

Quant'era buono, quel profumo...

Comunque.

Approfittando della concentrazione estrema con la quale il principe stava guardando “La spada nella roccia”, Merlin tese le dita della mano sinistra in modo incerto. Nessun formicolio magico rispose al suo appello, e lo stregone sentì le proprie labbra piegarsi all'infuori in una smorfia triste.

Era davvero spiazzante ritrovarsi di colpo in questo stato. La magia aveva sempre fatto parte di lui; era sempre stata lì, a scorrere nelle sue vene insieme al suo sangue. Adesso, ripresosi dal panico per l'incidente di Arthur, poteva percepire bene l'entità della mancanza. Una sensazione fastidiosa stava iniziando ad instillarsi con decisione in lui. Era come uscire di casa e accorgersi di avere ai piedi una scarpa e una ciabatta.

Ovviamente non rimpiangeva nulla. Avrebbe solo dovuto abituarsi alla ciabatta.

«E adesso che ti prende?» lo richiamò Arthur, facendolo oscillare con poca delicatezza fino a che non se lo schiacciò, senza tanti complimenti, sul suo petto.

Merlin sbatté le palpebre, ritrovandosi a pochi centimetri dal profilo del principe. Era bello, le sue labbra erano molto belle, ed era bella pure quella spruzzata di lentiggini quasi invisibile che aveva sul naso. Sì, alla ciabatta avrebbe decisamente potuto abituarsi.

«Uhm. È questa cosa della scoiattolina. Mi dispiace per lei, tutto qua.»

Arthur fece un verso neutrale e tornò allo schermo, dove al momento il giovane principe Artù era stato trasformato in uno scoiattolo e aveva fatto innamorare di sé un'ignara scoiattolina. La creaturina non aveva la più pallida idea che il suo amato non avrebbe mai potuto ricambiare i suoi sentimenti perché apparteneva a un mondo diverso, un mondo nel quale non ci si innamorava affatto delle scoiattoline.

Rimasero a guardare in silenzio fino a che, alla fine, l'incantesimo che aveva trasformato Artù si ruppe. La poverina innamorata, dopo aver perfino salvato la vita al suo amato, prese tristemente coscienza della forma reale del ragazzo, così incompatibile con la sua, e se ne andò piangendo.

Merlin provò un dolore al petto che lo fece sentire patetico. Sì, era vero che gli dispiaceva per quell'animaletto. Anzi, il destino che le era toccato non gli piaceva proprio per niente.

«Mica ti rimetterai a piangere per uno scoiattolo, adesso» lo prese in giro Arthur.

Merlin lo guardò male. «No. È solo che lo trovo deprimente e molto triste, va bene?»

Arthur rise. «Poi ero io quello romantico. Lo sai, vero, che non si può sempre avere un lieto fine?»

Merlin lo fissò, gli occhi grandi, le mani abbandonate sul grembo.

Non dire così, ti prego. Non dire così.

Il principe fece schioccare le dita sulla sua fronte e lo stregone si lamentò, fissandolo a bocca aperta.

«Beh, almeno è riuscita a salvare il suo principe, no?» continuò Arthur con casualità. «Ha fatto una cosa molto nobile. Col tempo si dimenticherà il dolore, e le rimarrà la consapevolezza di aver salvato la vita della persona che amava.»

Non dirmi così anche tu... Io non potrei mai dimenticarti.

Non io.

Merlin chiuse la bocca sonoramente, senza distogliere lo sguardo dal bel profilo dell'altro.

Si chiese se questo sarebbe stato sufficientemente d'aiuto alla scoiattolina per affrontare le notti lunghe e solitarie passate sveglia nel suo nido. Si rispose che sì, lei se lo sarebbe fatto bastare, poiché se non avesse amato affatto quell'essere umano, non avrebbe mai nemmeno pensato di salvarlo. E dunque ciò che aveva perso era niente in confronto a ciò che aveva guadagnato...

Ma questo non avrebbe mai cambiato il dolore per aver perduto qualcosa di così importante. Una sofferenza del genere ti accompagnava per sempre.

Artù, invece, avrebbe dimenticato la triste storia della scoiattolina, non era così?

«Sai» disse improvvisamente Arthur, «era sempre questo che facevo, quando mi ammalavo da piccolo. Stavo tutto il giorno in camera mia a guardare cartoni animati. Mi ero convinto che fosse una specie di prescrizione del medico, che fosse una cura efficace» constatò con serietà. «Poi arrivava mio padre, stava un po' con me... non tanto, perché aveva da fare. Ma mi raccontava delle storie. Andava sempre così, quindi penso che potrebbe funzionare anche stavolta.»

Merlin sorrise, le palpebre appesantite da ore di lacrime e televisione. «Cartoni animati e storie del papà... è questa la ricetta del dottor Pendragon?»

L'altro annuì con un sorriso arricciato. «Me ne ricordo una che ti piace, ci scommetto. È tutta draghi e misteri, il massimo per un fissato di fantasy come te.»

Una nuova carica d'affetto inondò lo stregone, che rise sommessamente, accomodandosi meglio sulla spalla dell'altro.

Se questo era il modo che Arthur aveva per tirarlo su di morale, doveva ammetterlo, ci stava riuscendo in pieno. Si sentiva così ammorbidito e felice, felice in una maniera stranamente amara che gli inumidiva gli occhi.

«È una storia che riguarda questo palazzo» iniziò il principe senza aspettare altre conferme da parte di Merlin. Intanto muoveva goffamente la mano sulla sua spalla – la pelle lì, ora, bruciava a fuoco lento. Anche il suo cuore bruciava.

«Le mie fonti dicono che è una storia vera, mh? Quindi fai attenzione e ascolta bene, perché un giorno potrebbe tornarti utile per salvarti la vita.»

La voce della televisione si era ormai ridotta a un mormorio indistinto che, piacevolmente, solleticava l'orecchio di Merlin, mentre lui si immaginava Uther raccontare storie impossibili a un piccolo Arthur. Lo faceva accarezzandogli la testolina bionda, facendo sentire suo figlio, forse, meno solo del solito in quella stanza grande e quasi sempre vuota.

Ah, il suo principe fieramente triste che tratteneva i lacrimoni, aspettando la visita del padre come fosse stata quella del medico... Una cura dolce per un cuore ammaccato. L'unica che Arthur conosceva e che adesso, ingenuamente, stava somministrando anche a lui.

Merlin sospirò, e in quel momento si ripropose di conservare un pensiero gentile per Uther Pendragon, un giorno. Uno piccolino, però.

«Sentiamo la tua storia» disse piano.

«Umh, allora» disse Arthur, umettandosi le labbra. Poi parlò come se stese recitando a memoria una vecchia poesia, con una cadenza un po' imbarazzante, ma tenera. «Ti capita mai di venire svegliato nel cuore della notte da strani lamenti? Come se qualcuno, nascosto nelle profondità del palazzo, gridasse e piangesse... Beh, non sei l'unico. Una volta su questo terreno, al posto del palazzo, si ergeva un castello medievale. Sono ancora conservate le vecchie prigioni della fortezza, scavate sottoterra. Si dice che in quelle prigioni venne sepolta viva una creatura pericolosa e vecchia come la Terra.»

«Un drago?» indovinò Merlin, chiudendo definitivamente gli occhi.

Le parole di Arthur scivolavano nell'aria come miele. Era così bello, sentirlo parlare. Come quella volta che aveva tenuto il suo discorso, e il mondo intero era sparito, ed era rimasto solo lui, lui e la pioggia...

«Un drago, sì. In molti l'hanno cercato, scandagliando le profondità più nascoste delle segrete. Nessuno è mai riuscito a trovare alcuna traccia del prigioniero, ma i lamenti notturni non si sono fermati, e continuano tutt'ora.»

«Mh... Tu l'hai mai cercato?»

«Ovviamente. Il coraggioso, piccolo principe Arthur è andato molte volte in missione insieme ai suoi fidati cavalieri Gwaine e Lancelot. Brandendo le loro armi (di plastica, ma di plastica sopraffina), i prodi guerrieri hanno esplorato più e più volte il complicato intrico delle gallerie...»

«Gallerie...»

«Non è così facile orientarsi laggiù, sai, ci sono un sacco di vie secondarie e passaggi segreti. Una volta ci siamo pure persi e ci è dovuto venire a salvare Leon. Comunque. Dopo quell'episodio il re, in pena per la sicurezza del giovane principe, gli impedì di tornare ancora nelle prigioni.»

«Mmh... Immagino che non lo ascoltò.»

«Esatto. Lui e i suoi fedeli compagni ormai erano diventati esperti, e, senza farsi scoprire, continuarono ad andare in missione utilizzando il passaggio segreto che collegava il labirinto alle prigioni... Ci hai mai fatto un giretto, nel labirint- Merlin? Stai dormendo?»

«N-ooo... labirinto, ancora non ci sono... mh.»

«Meglio così. Anzi, sai che ti dico, non andarci. Ti ci perderesti di sicuro. Insomma, questo drago. Si dice che si tratti di una creatura molto triste, e che le prigionia che la costringe nei sotterranei possa essere spezzata solo da un principe...»

Arthur parlava, parlava, parlava. E mentre lo faceva, la mano di Merlin, fino ad allora rilassata sul proprio grembo, andò ad appoggiarsi sul fianco dell'altro. In quel momento, proprio prima di lasciarsi cullare nel sonno, lo stregone realizzò appieno che, se le cose a teatro fossero andate storte, non solo lui, ma il mondo intero avrebbe perduto Arthur. E questo era inconcepibile.

Chiunque avesse minacciato di far accadere una disgrazia del genere non meritava alcuna comprensione.

Morgana non meritava più alcuna comprensione.

Morgana non...

 

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«Insomma ne sei proprio sicuro? Sicuro sicuro?»

Arthur si passò il cellulare da un orecchio all'altro, la caviglia che affondava un po' di più nel cuscino. «Sì Gwaine, te l'ho già detto, non vengo alla festa. Sono ancora in convalescenza. Stasera non mi muovo di qui. E poi ormai è tardi, sono quasi le undici e mezzo.»

Lo sguardo gli cadde sul piede tristemente adagiato su un cuscinotto fin troppo imbottito. Una storta era pur sempre un infortunio. Se aveva voglia di starsene spalmato come una stella marina sul suo divano la notte del trentuno Dicembre, era piuttosto comprensibile, no? Per lo stress dell'incidente e tutto il resto. «Voglio solo stare tranquillo. Per quest'anno niente festeggiamenti esagerati. Se non esco, mio padre è più tranquillo e, di conseguenza, io sono tranquillo.»

«Non è che in realtà vuoi restartene tranquillo in compagnia di Merlin?» disse Gwaine.

Arthur buttò la testa all'indietro, grattandosi il naso. Non era molto comodo, quel poggia-gomiti. Decisamente troppo duro. Gli stava spezzando il collo. «Il modo in cui ho intenzione di passare la serata è solo affar mio, grazie tante dell'interessamento.»

«No, perché sai, in caso potrei darti degli ottimi suggerimenti-»

«Fermo. Non una parola di più» fece il principe, alzando un dito per aria.

«Mi capita di pensare ogni tanto che il nostro Merlin, per quanto sia adorabile nella sua aria da bell'innocentino, potrebbe in realtà essere uno di quei casi di trasformazione selvaggia a letto-»

«Dio, Gwaine!» ruggì Arthur, spiaccicandosi una mano sopra agli occhi.

L'altro abbaiò una risata. «Va bene, va bene, facciamo finta che non ci abbia mai pensato neanche tu. Comunque non mi vorrai negare di avere preparato almeno una cenetta romantica a lume di candela in camera tua. Ti conosco come le mie tasche, signor principe azzurro. Vedo già tutto apparecchiato, le luci soffuse...»

Arthur voltò la testa quanto la posizione glielo permetteva, fissando con un broncio il tavolino di legno intarsiato, imbandito con una cena per due. I piatti davanti a una delle due sedie erano ancora immacolati, il bicchiere asciutto, le posate intoccate. «Lui non è venuto, va bene?» brontolò.

«La musica smielata in sottofond... cosa?»

Pausa imbarazzante.

Arthur sbuffò, maledicendo mentalmente Gwaine perché lo stava costringendo ad ammettere ad alta voce la sconfitta. «Non avevamo preso accordi specifici, ma mi aveva detto che sarebbe tornato per il trentuno, prima della fine dell'anno, e io ho pensato-» tentennò. Aveva pensato male. «Beh, fatto sta che invece non so dove sia. Sono giorni che non lo vedo.»

Gwaine aspettò cinque o sei secondi di cortesia prima di scoppiare a ride. Era come averlo lì che ululava direttamente nel suo orecchio, Arthur riusciva proprio a vederlo.

«Bene, mi fa piacere che almeno qualcuno si stia divertendo.»

«Oh, andiamo, tesoro, non farla tanto lunga» disse Gwaine, riprendendosi a stento. «Una regale buca una volta ogni tanto non può che far bene al tuo ego da prima donna. Anche se la cosa mi puzza un po'. Che significa che sono diversi giorni che non vedi Merlin?»

Arthur si premette il ponte del naso, ripensando a come Merlin fosse comparso sull'uscio della sua stanza a un orario spaventoso della mattina del ventotto. L'aveva trovato, invece che con il vassoio della sua colazione, con un grosso zaino in spalla. Senza tanti preamboli, il valletto gli aveva chiesto il permesso per per poter andare a trovare sua madre per qualche giorno. Anche Gaius l'avrebbe accompagnato. Arthur non aveva potuto che dire di sì; da quando era arrivato a palazzo, Merlin non era mai tornato a casa sua. Gaius, d'altro canto, non si prendeva un giorno libero da... mai.

«Mi dispiace chiedervelo così improvvisamente, ma non posso proprio evitarlo» si era scusato Merlin, agitando le mani. Allora Arthur aveva notato la fasciatura.

«Che hai fatto al polso?» gli aveva chiesto.

Il valletto aveva portato alla svelta il braccio dietro la schiena. «Niente, sono andato a sbattere. Contro lo spigolo dell'armadio. Comunque vi prometto che sarò tornato prima dell'anno nuovo. Il trentuno sarò al vostro fianco, come al solito.»

E così ora eccolo lì, Arthur; infortunato e solo, e imbarazzato per questo, ma ancora più irritato perché quell'essere solo significava essere solo senza Merlin. Di conseguenza, quindi, si sentiva ancora più imbarazzato.

Merlin gli aveva dato buca!

«Ci sarà da preoccuparsi?» chiese Gwaine, improvvisamente serio.

«Mh, no, no. Non l'ho chiamato per non disturbarlo, ma sta bene, io... gli ho mandato un messaggio per assicurarmene.»

«Oh» fece l'altro. Altra pausa e dopo giù un'altra grassa risata. «Arthur, Arthur, da quando ti prendi la briga di non chiamare qualcuno per non disturbarlo? Questo è oro puro.»

Arthur trovò miracolosamente la forza per non chiudere la chiamata all'istante. «È andato da sua madre» sferzò, ma successe che la sua voce si incrinò inaspettatamente alla parola “madre.”

«Sei così dolce, cazzo. Sei così dannatamente dolce, principessa» disse Gwaine, e per Arthur, che lo conosceva bene, era impossibile non sentire l'affetto e la sincerità dietro la presa in giro.

«Piantala» disse comunque, scacciando l'aria davanti a sé. «Non osare andare a ridirglielo, poi. Lo verrei a sapere, e questa umiliazione non me la merito proprio.»

«Dolce. Dolcioso. Dolciotto.»

«Faremo come se tutto questo non fosse mai successo. Per quel che concerne Merlin, probabilmente è già così. In questo momento si starà divertendo da qualche parte, mentre io sono qui a sorbirmi le tue cavolate. Magari è già pure tornato a Londra, e adesso è lì a quella vostra festa al Rising Sun, e vi state prendendo gioco di me tutti insieme. Ah, molto divertente.»

«Scusami, non riesco a sentirti bene. Il tuo piagnucolio da adolescente col cuore spezzato mi impedisce di ascoltare il resto.» Davvero, perché non aveva ancora chiuso la chiamata? «Comunque ti assicuro che Merlin non è qui. Oh, come? Elena dice che nemmeno lei l'ha visto né sentito. Ah, e ti saluta, anche se non te lo meriti, aggiungerei io.»

Il principe aprì la bocca per ribattere, ma proprio in quel momento la porta della stanza si aprì con un sonoro botto; a spalancarla fino a far sbattere il pomello contro il muro era stato niente meno che il suo valletto.

È venuto davvero...!

«Dio, Merlin!» ruggì Arthur, tirandosi su a sedere di scatto. Il respiro aveva iniziato ad accelerare – doveva essere per la sorpresa.

«È arrivato Merlin, ho capito bene?» rimbombò la voce di Gwaine.

«Sì, e mi hai fatto prendere un colpo» disse il principe, stando bene attento a parlare a voce alta, per assicurarsi che nessuno si perdesse neanche una singola parola. «Va bene che entra sempre quando gli pare senza chiedere permesso, ma questo è... esagerare?»

La sua tiritera si smorzò quando notò lo sguardo vacuo negli occhi dell'altro.

Merlin, le palpebre mezze abbassate e un sorrisino scemo, se ne stava tutto allungato contro lo stipite della porta, la mano ancorata alla maniglia. Non sembrava molto sveglio, al momento; anzi, sembrava parecchio più sfasato del solito, il che era tutto dire.

Se Arthur avesse prestato attenzione, si sarebbe accorto che, dall'altra parte del telefono, Gwaine stava dicendo qualcosa come “vallo a baciare e basta, mi sono quasi stufato di voi due,” accompagnato dal coro di “bacio, bacio,” di una Elena molto poco sobria.

Ma non ci stava facendo caso.

«Stai bene?» era invece impegnato a dire al valletto, mentre il telefono veniva abbandonato al suo destino sul divano.

Altro che niente Rising Sun. Se anche Merlin non c'era stato con Elena, poteva benissimo essere andato con qualcun altro – o essere andato a divertirsi da qualche altra parte, per quanto importava.

E ad Arthur non importava molto, no.

Merlin appoggiò la testa contro il legno e poi, con estrema concentrazione, si morse il labbro, procedendo a esalare una risatina in falsetto. No, ad Arthur non importava; era perché non poteva sopportarle di vederlo ridotto in modo così patetico che volò ad afferrarlo per il gomito, spostandolo dall'ingresso.

«Hai bevuto sul serio, razza di idiota! Senti che puzza» si lamentò, cominciando a fare pressione sulla sua spalla per spingerlo verso la stanza da notte.

L'odore dell'alcool stava iniziando a solleticargli fastidiosamente la gola e, va bene, forse non si trattava solo di quello. Forse era più che altro irritazione.

Merlin beveva? Non aveva mai bevuto davanti a lui. Merlin beveva e lo andava pure a fare senza di lui. E non sapeva gestire bene il... cos'era? Era odore di vino? Non sapeva gestire bene il vino, allora, se la testa che penzolava da una parte all'altra e le risatine sotto i baffi dicevano qualcosa.

«Non puzzo» puntualizzò il valletto, mettendo il broncio mentre il principe tentava di farlo avanzare in linea retta oltre il divano. «Morgana una volta ha detto che puzzo. Ha detto che puzza la mia magi- uhm. Ha detto che puzzo io. Non la magia. Io.»

Arthur cercò di farlo virare verso il letto, che sembrava lontano chilometri, ma ottenne un movimento stizzito nella direzione opposta («Ngh!» disse eloquentemente Merlin). Il principe si passò il braccio molle dell'altro attorno alle spalle, ed era proprio un cretino, ora; così, con il suo valletto buttato quasi a peso morto addosso a lui, la stessa persona con la quale aveva pensato di fare chissà cosa la notte dell'ultimo dell'anno. Non aveva considerato che Merlin preferisse andarsene in giro a ubriacarsi prima delle undici anziché stare con Arthur.

«Cos'è un bacio, in fondo?» si chiese, riuscendo a trascinare finalmente entrambi nei pressi del comodino.

Era stato lui a prendere l'iniziativa. Merlin l'aveva invitato ad agire, con quei suoi cioccolatini e quell'espressione dolce, onesta e acquosa sotto il vischio. Però poteva anche darsi che Arthur avesse capito male, che si fosse trattato tutto di un gigantesco equivoco e...

Il principe fece miracolosamente in tempo a strizzare gli occhi prima che l'indice di Merlin gli si infilasse in una palpebra, le altre dita che si aggiravano intorno alle sue narici. «Caz-!»

«Ehi, ehi, ehi, ascoltami, testa di fagiolo!» lo richiamò Merlin, prendendo a dargli dei deboli schiaffetti in faccia.

Arthur scostò il viso, riuscendo a imporsi la calma senza sapere come. Di certo per lo sforzo era diventato di un colore abbastanza simile al viola.

«Sai, sai, non puzzo mica. La mia mag-cioè, io, in realtà, il profumo è molto buono» si affannò Merlin. Sembrava tanto disperato nel fargli capire quel concetto che Arthur, anziché dargli un ceffone, dovette mordersi il dentro della guancia per non scoppiare a ridere istericamente.

«Niente puzza.»

«No?» si interessò, voltando il valletto perché fronteggiasse il letto.

Merlin scosse forte la testa per poi farla scivolare, con una certa grazia, nell'incavo del collo di Arthur, imitando la scena di qualche giorno prima. Il principe si immobilizzò, sgranando gli occhi.

«Pompelmo» mormorò Merlin, sognante, strofinando il naso freddo sulla sua pelle, cosa che, decisamente, l'altra volta non era successa.

«Whoa, ok, ok» scattò Arthur, rimettendogli dritta la testa con una spallata. «La situazione è più grave del previsto, andiamo a metterci sotto le coperte.»

«Sotto le coperte» disse a pappagallo Merlin, strusciando il fianco contro quello di Arthur a ogni movimento (e non lo stava facendo impazzire, nossignore). «Sotto le coperte? Oh, Arthur, sii gentile con me, ti prego» e si coprì il viso con la mano che non era avvinghiata alla sua felpa. «Sii gentile, non ho ancora mai fatto nulla, sotto le coperte.»

«Merlin!» scoppiò scandalizzato, ma anche, doveva ammetterlo, divertito.

Soprattutto perché il suo valletto sembrava seriamente impensierito dalla cosa del sotto le coperte, la pelle chiazzata di rosso dalla punta del naso fino alle orecchie. Il principe non aveva mai visto niente del genere, ed era – era davvero... ugh... adorabile no. Ma, sì, adorabile.

«Non temere, sono un vero gentiluomo» lo rassicurò allora, sentendo per qualche motivo il bisogno di dirlo ad alta voce. «Non mi approfitterei mai di una ragazza che non è in sé» aggiunse, angolandolo verso il piumone.

Merlin bloccò il movimento, raddrizzando invece la schiena per poterlo guardare con disapprovazione.

«Pardon, non mi approfitterei mai di un ragazzo che non è in sé. Di un ragazzo.»

Il valletto piegò le labbra impossibilmente in alto, lo sciocco sorriso che raggiungeva anche gli occhi, stringendoli agli angoli, incurvandoli.

«Ora, vuoi stenderti da solo o preferisci che ti scarichi giù come un sacco di patate?»

Al suo arricciare del naso, Arthur sbuffò, procedendo ad adagiarlo, finalmente, sul piumone rosso scuro. Merlin, per niente collaborativo, si mosse piano piano, quasi si fosse trattato di una pericolosissima manovra mortale. Nel momento in cui la sua nuca toccò il cuscino, però, le labbra gli si schiusero lentamente in una muta esclamazione di piacere.

Arthur, paralizzato per una frazione di secondo dalla visione, dovette ripetersi che era un gentiluomo, e che non si approfittava dei ragazzi che non erano in sé. Anche se quei ragazzi avevano delle bocche quanto mai carnose e invitanti. Quando si tirò indietro, le dita dell'altro premettero sul suo collo, suggerendogli invece di avanzare.

«Merlin» lo ammonì con un ghigno, arrossendo a disagio mentre pensava quanto il bere rendesse il suo valletto ancora più testardo e senza pudore.

«Arthur, Arthur» lo chiamò Merlin, come se non l'avesse avuto a pochi centimetri di distanza. Dopo fece una cosa che ebbe il potere di far cadere la mascella di Arthur: sporse in fuori le labbra stile pesce rosso, allungandole verso di lui in quell'inconfondibile gesto universale...

Il principe non ce la fece più: scoppiò a ridere, le spalle che tremavano, la pancia che gli faceva male mentre si sistemava sopra Merlin, a gambe divaricate. Dio, se non lo faceva morire.

Merlin, tuttavia, non sembrava contento del risvolto ottenuto dal suo approccio sexy. «Non mi vuoi baciare?» chiese, la voce appena incrinata.

Arthur ammutolì, guardandolo: Merlin, così fiducioso e dolce tra le sue braccia e sue le ginocchia – occhi blu appannati, per il vino o per la tristezza amplificata dal vino stesso – capelli in disordine – ciglia lunghe – sopracciglia arcuate – lineamenti difficili, eleganti, duri di contro alla bocca piena, semi dischiusa per la delusione.

Ti voglio baciare come non ho mai voluto baciare nessun altro. Ti voglio come non ho mai voluto nessun altro. Ti voglio, così tanto, così tanto...

Cazzo.

Il principe chiuse gli occhi con forza, un lamento rassegnato gli scappò dalla bocca.

Non era che non lo sapesse. Non era che non l'avesse capito, che non avesse intuito fin quanto in profondità questa persona impossibile avesse scavato dentro di lui, costruendosi un piccolo nido nel suo cuore che non avrebbe lasciato mai più.

Quello che non aveva mai pensato era il fatto che fosse stato lui stesso a permettere che Merlin si prendesse quel posto.

Lo guardò di nuovo, l'affetto che lo sommergeva, lo trascinava via, gli mozzava il fiato, dolorosamente. Dovette richiudere gli occhi, era più forte di lui. Si sentiva tremare, non era mai successo, si sentiva tremare mentre sfiorava il naso freddo di Merlin con la punta del suo. Non gli era mai successo tutto questo. Non aveva mai immaginato che...

«Non così, ok?» disse, arruffando i riccetti neri sulla fronte di Merlin, facendo quasi violenza contro se stesso per impedirsi di far aderire il torace su quello di Merlin, che sciocchezza, vero? Eppure...

Sulle sue labbra sentiva il sapore di quel bacio sotto il vischio, ora, della sorpresa nel cogliere qualcosa da parte di Merlin – possibile che lo avesse voluto, che avesse voluto Arthur?

«È già talmente difficile per me far funzionare tutto in condizioni normali» borbottò, più a se stesso che all'altro. «E tu già ragioni poco, in condizioni normali. Non voglio sbagliare, va bene? Voglio fare le cose come si deve, con te.»

Merlin annuì, annuì e annuì, coprendogli l'orecchio con una mano, come aveva già fatto in camera sua. Quando Arthur aveva capito che voleva toccarlo – Merlin aveva voluto toccargli il viso, una carezza forse? Ma Arthur aveva avuto quel grosso cerotto sulla tempia, e allora Merlin gli aveva incastrato le dita proprio lì, dove le teneva adesso.

Il principe arrossì di nuovo, guardando a intermittenza dall'altra parte. Non era abituato a essere toccato così. Nessuno si era mai preso la briga di toccarlo con tanta disarmante tenerezza.

«Sì, Arthur, Arthur, sì, anch'io, sì, lo capisco» farfugliò Merlin, l'espressione di colpo quasi sofferente. «Tu sei il mio riflesso. Sei la mia metà mancante, sei-»

Oh, be'. Chiaramente era impegnato a portare avanti quel monologo assurdo dal suo mondo, l'idiota.

«Arthur, sai di pompelmo.» E con decisione gli prese le labbra, strizzandole tra il pollice e l'indice. «Sono come salsicce, queste. Grosse salsicce rosa.»

Arthur roteò gli occhi al cielo. Doveva essere caduto vittima di un incantesimo; nonostante quelle stupidaggini, non riusciva ancora a trovare la forza per allontanarsi. Merlin, sciocco e completamente insensato, lo attirava elettricamente a lui. Arthur aveva ancora più voglia di abbassarsi, adesso. Ma era un gentiluomo, lui, era un gentiluomo. E Merlin era ubriaco. E magari da sveglio non avrebbe voluto, anche se prima aveva – aveva voluto, e il modo in cui lo guardava ogni tanto, come se lo – come se – e come lo abbracciava, dio, come l'aveva stretto, sul suo letto...

«No» fece il principe, tappandogli la bocca per impedire a entrambi di fare qualcosa.

Merlin per protesta gli strizzò le labbra che ancora teneva tra le dita.

«Quando sarai lucido ne riparleremo. Se-se vorrai ancora. Va bene?»

«Io vorrò, Arthur, vorrò sempre. Perché sei il mio riflesso, la mia metà. Tu vorrai?»

Sembrava talmente serio. Peccato che fosse decisamente poco sobrio.

Il principe buttò fuori un respiro che, col senno di poi, avrebbe probabilmente definito più un singhiozzo. «Vorrò» disse, e si morse le labbra troppo forte. «Adesso dormi un po' qui, penso sia meglio che io vada sul divano.»

Dopo aver biascicato svogliatamente l'ultima sillaba, fece in tempo solo a voltarsi che Merlin si allungò di nuovo verso di lui, prendendogli il viso a coppa tra le mani. «Dimmi il tuo nome» disse, già come mezzo avvolto in un sogno.

Arthur gli fermò i polsi, sentendosi fiero del proprio sfoggio di pazienza. Domani avrebbe raccontato tutto al suo valletto, svergognandolo per bene. Avrebbe potuto alterare un po' la storia, o, magari, avrebbe proprio potuto dire le cose come stavano. Non dubitava che la reazione ottenuta sarebbe stata in ogni caso soddisfacente. «Adesso non ti ricordi più come mi chiamo. Non dovevo essere la tua metà, mh? Non ti ricordi nemmeno come si chiama, la tua metà.»

Non lo ripetè perché gli faceva cose strane al cuore, dirlo. La tua metà. No.

Ghignò comunque, stupidamente.

«No, no, dimmi il tuo vero nome. Il vero nome» protestò Merlin, tirandogli le orecchie. «Quando sai il vero nome di una cosa, quella può diventare tua per sempre» spiegò con grande solennità.

Il principe sbuffò, assecondandolo comunque. «Mi chiamo Arthur.»

Allora l'altro, sotto di lui, con lentezza si accese in un sorriso sconvolgente, come se gli fosse appena stata data la chiave per risolvere un problema di importanza inimmaginabile. I suoi occhioni blu, più umidi che mai, sembravano mandare lampi nell'oscurità avvolgente.

«Arthur... adesso sei mio» mormorò, tutto soddisfatto, e, cogliendo di sorpresa il principe (che non era assolutamente distratto da quel suo viso), lo tirò giù sul materasso, accanto a lui.

Poi procedette a fare del suo petto un cuscino, arpionando un piede dotato di calzino con i pasticcini intorno alla sua caviglia buona. «E io sono Emrys» sussurrò, una stanchezza felice nella voce. «Adesso sono tuo.»

Beh.

«Allora niente divano, deduco» disse Arthur al soffitto, il cuore che gli batteva a trecento all'ora. Magari questa parte non l'avrebbe raccontata. O almeno, avrebbe evitato di far riferimento al suo restare rigido sul posto come un pesce lesso.

Lui era un gentiluomo, ma cavolo, più di tutto in quel momento era un uomo. «Un uomo dotato di autocontrollo» si ripeté come un mantra, «che sa sopportare e sa quand'è il caso di stare fermi. Completamente.»

Che razza di tortura. Arthur non aveva mai sudato per una cosa del genere, non c'era dubbio.

Merlin intanto aveva abbandonato una di quelle sue braccia lunghe e magre magre intorno alla sua vita, così, come se non avesse avuto altro posto dove sistemarla. Il principe ingoiò la saliva.

«Mi dispiace tanto di non essere stato lì con te a teatro, mi dispiace tanto» sentì dire dopo qualche secondo.

E una voragine enorme si aprì dentro di lui. Anche se in quel momento parlare con il suo valletto era del tutto inutile, si ritrovò a dire, spinto da qualcosa di preoccupante che gli strizzava le viscere: «Te l'ho già detto, non devi scusarti».

«Ti voglio solo proteggere, Arthur» continuò lui senza ascoltarlo, la voce attenuata perché aveva la bocca attaccata alla sua maglia. «Voglio davvero tanto che tu sia sempre al sicuro, mi voglio prendere cura di te.»

Uhm.

«Non è giusto» brontolò, strizzando le dita intorno alla stoffa, (e, oh), «Ho sempre voluto proteggerti, e adesso non posso farlo come vorrei. Morgana ha detto che ti amo.»

Solo quando si sentì quasi strozzare per la mancanza d'aria, Arthur si accorse di aver saltato un respiro (o due, o diversi respiri). Aveva pure chiuso ancora gli occhi, li aveva chiusi, diamine. Non poteva fare così, quando, ovviamente, tutto ciò che stava uscendo dalla bocca di Merlin non era che una manciata di chiacchiere sconnesse. Era sciocco farsi prendere in questo modo, crederci. Tuttavia, senza pentirsene neanche un po', si sentì soffiare: «Ed è vero, quello che ha detto Morgana?»

Perché non ne era proprio certo, ma c'erano buone probabilità che stesse ricevendo una dichiarazione d'amore in piena regola. Non poteva immaginare in quale altro contesto qualcuno avrebbe potuto dire a un'altra persona certe cose – sempre se non si prendeva in considerazione lo stato semicosciente del ragazzo che aveva professato di volersi prendere cura di lui. Lo sapeva, ma questo non impediva che si sentisse lo stomaco nella gola e il battito del cuore che rombava ovunque, nelle orecchie, nei polsi, e non poteva trattenersi. Merlin è ubriaco, si ripetè, ubriaco. Ma in vino veritas, o qualcosa del genere, e poi – poi...

«Merlin» tentò di nuovo, dio, non ci capiva più niente, che cretino che era, «allora, è vero?»

«Nonègiustochenonpossoproteggertiperchéamo» disse, i suoni che scivolavano indistintamente gli uni su gli altri.

«Come?»

«Non preoccuparti, però, ho-ho trovato comunque il modo, anche senza magia, ho trovato il modo.» Sembrava tutto compiaciuto di questa sua misteriosa scoperta, il palmo aperto che prendeva a disegnare piccoli cerchi sul petto di Arthur. «Preferirei di no, sai. Però. Se fosse necessario...» E d'improvviso ci fu un cambiamento inaspettato: il suo tono divenne insopportabilmente grave, il suo tocco si fece incerto, debole. «Se io alla fine dovessi... Arthur? Poi tu mi dimenticheresti, non è vero?»

Ora, ufficialmente, qualunque cosa stesse passando nella testa del valletto non era affatto di suo gradimento. «Smettila, dai. Che stai dicend-»

«Gli uomini lo fanno, sai» continuò Merlin, come uno che spiega una verità universale a un ragazzino. «Gli uomini alla fine dimenticano, trovano la forza per andare avanti, e io... credo che questo sia giusto, anche se mi fa paura.»

Arthur cercò i suoi occhi, allora, sentendosi smarrito in un modo che gli piaceva assai poco. Pareva che nelle parole dette da Merlin ci fosse stato qualcosa di importante e di troppo triste, e questo era destabilizzante, ed era sbagliato – Merlin non doveva suonare così triste, nemmeno da ubriaco. Non era... Merlin.

Ma l'altro non lo stava guardando, teneva il viso abbassato, incollato al suo petto, così che Arthur potesse vedere solo la nuvola nera dei capelli spettinati e il lungo naso, e neanche questo gli piaceva.

Perché se c'era una cosa sulla quale il principe sapeva di poter contare, era che avrebbe potuto scorgere gli occhi di Merlin ovunque: che fosse in mezzo alla gente mentre teneva il suo discorso in libreria, o dall'altra parte della finestra quando parlavano al telefono, o in piedi accanto all'armadio mentre lui lavorava sulle carte sopra la scrivania, e poi si addormentava, e quando si risvegliava scopriva che Merlin non aveva lasciato la stanza, che era ancora lì. Era ancora lì.

Era questo, Merlin l'aveva abituato a questo, alla sua presenza costante, dunque era sua la colpa se adesso qualcosa stringeva i polmoni di Arthur con violenza; una sensazione simile alla vertigine di quando uno si sveglia nel cuore della notte e si sente nel nulla, sente il letto scivolare via – Merlin stava scivolando via...?

No. Arthur si diede dell'idiota. Ma se anche sentì le proprie dita stringere più forte la presa sull'altro, lo ignorò.

Non sapeva bene cosa stesse effettivamente succedendo, lì in quel letto; se fosse il caso di prendere sul serio le cose che stavano venendo dette e pensate, che erano state conservate con cura fino a quel momento. Non osava concretizzare di più, forse era po' ubriaco pure lui. Eppure una parte della sua coscienza, una parte importante e determinante, decise di prendere quei pensieri, quei secondi, e di tenerli stretti attorno al suo cuore. Sperando che non si trattasse di un'illusione, sperando di non star sbagliando come al solito.

Buttò fuori un esagerato quantitativo d'aria dalle narici che lo lasciò con la testa quasi vuota. Magari, impegnandosi, avrebbe potuto attribuire a quello la causa dei capogiri che sentiva. Portò la mano destra alla base del collo di Merlin, le dita della sinistra andarono ad intrecciarsi con il palmo che Merlin aveva appoggiato sul suo petto, in modo che fosse lì – che ci restasse. Almeno quello, almeno quello sì.

In fondo lui era uno che si muoveva parecchio, la notte, conquistando spazio e coperte come sul campo di battaglia. Sarebbe sembrato innocente a chiunque, quindi, se si fosse risvegliato accoccolato intorno all'intruso che aveva minacciato la sua supremazia del letto.

Soddisfatto delle attenuanti trovate, il principe sorrise, sistemandosi tra i cuscini e il suo valletto, nel tepore tenero di un abbraccio. Ecco, in questo modo... un po' più stretto ancora. Perfetto.

Merlin, messa da parte la fase malinconica della sua sbronza, approvò la scelta con un mugolio di nuovo sereno, chiudendo la mano sotto la sua.

Sparì ogni brutta sensazione. Arthur non dovette nemmeno lottare per porre dei freni ai suoi pensieri; non pensava niente. Semplicemente, restando così, con Merlin, passarono i minuti. A poco a poco il respiro calmo di Merlin lo acquietò in un modo tutto nuovo, battendo il tempo come una musica. Alla fine anche i fischi e gli scoppi dei fuochi della mezzanotte dell'ultimo dell'anno non furono che suoni lontani. Suoni secondari rispetto a quei respiri lunghi e profondi, coordinati con l'alzarsi e l'abbassarsi del proprio petto.

L'ultima cosa che Arthur vide, con la coda dell'occhio, furono le luci che baluginavano dal vetro, proiettandosi sul muro in forme distorte dalle tende. Era davvero come un sogno. Forse stava già sognando da molto senza esserne accorto.

«Ma chi ti ha fatto bere così tanto, mh?» sussurrò, sentendosi cadere dolcemente nel sonno più morbido e rassicurante di sempre. Sentendosi a casa.

«Papà...»

 

 

 

 

 

 

 

Note di revisione:

Mi sono resa conto, rileggendo, che avrei potuto esprimere meglio le intenzioni di Arthur nell'ultima parte. Non è che lui si stia sforzando di trattenersi dal saltare addosso a Merlin nel vero senso della parola (capiamoci, quello sarebbe abuso, eh). Ciò che per Arthur è difficile è non stringere Merlin tra le braccia, non tenerlo accanto a sé pur avendolo a un passo. Arthur è una persona civile, non gli verrebbe mai in mente di approfittarsi di Merluzzo quando non è pienamente in sé, e temo invece che dalle mie parole possa venir fuori altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

Extra: Arthur e i suoi “due o tre” messaggi

 

 

 

 

Da: Altezza Reale Testa di Fagiolo

Immagino che tu stia ancora dormendo. Mentre perdi tempo tra le braccia di Morfeo io qui ho avuto un incidente e ora sono in ospedale. Non posso chiamare o ricevere telefonate ma ti farò sapere perché tu possa tranquillizzare Gaius.

 

 

So che Gaius saprà mantenere la calma. Ma dato che so anche come ragiona il tuo cervello, immagino che tu ti sia spaventato comunque. Se riesco a scrivere dei messaggi significa che sto piuttosto bene, no?

 

 

Di' a Gaius che non c'è da preoccuparsi. Digli che devo passare qualche altra ora in ospedale per dei controlli, ma presto mi faranno uscire.

 

 

Digli che quando torno mi aspetto di trovare pronta una tazza fumante di quella sua tisana al finocchio e a dio solo sa che cos'altro ci mette dentro. E digli che non serve agitarsi, non è successo nulla.

 

 

Mio padre è insopportabile con tutto questo suo panico. La tua presenza qui è richiesta. Vieni a distrarlo. Scaricare la tensione su un subordinato funziona sempre.

 

 

Per una volta che ho bisogno di te qui, tu te ne strafreghi. Se stai giocando a Dungeons & Dragons sei licenziato all'istante.

 

 

Mi hanno messo su una sedia a rotelle. Di' a Gaius che non si preoccupi, se mi vede così su qualche ultim'ora. Mio padre ha insistito solo per fare un po' di scena quando uscirò dall'ospedale.

 

 

In realtà potrei abituarmici. Non a farmi vedere in giro sulla sedia a rotelle per raccogliere commiserazione, ovviamente. Ma ad usarla per spostarmi a palazzo e far impazzire papà e Morgana. Ce l'hai abbastanza forza per spingere una sedia a rotelle, poi? Problema tuo.

 

 

In effetti credo di stare ancora leggermente meglio da seduto, piuttosto che in piedi. Comunque è solo un piccolo indolenzimento della caviglia. Anche i migliori ci mettono un po' a riprendersi.

 

 

Sul serio, non c'è da preoccuparsi. Capito?

 

 

Sto venendo lì, zoppicando. Visto che sto facendo questo sforzo, farai meglio a fare almeno un po' finta di essere felice di vedermi anche tu.

 

 

Non che lo stesso valga per me, o nient'altro del genere, ovviamente.

 

   
 
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