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Autore: Mary_la scrivistorie    19/04/2014    3 recensioni
Dal testo: Tom non si sorprese. Non si scompose. Non si arrabbiò. Magari doveva esserne felice. Una distrazione in meno, e poteva sterminare ogni mezzosangue. Ma non funzionava così. Lui non l’avrebbe dimenticata, lui non avrebbe superato la vita senza di lei. La distruzione non gli sembrò una prospettiva allucinante: senza Suzanne poteva creare il caos più orribile. Eppure, l’amore che l’aveva inaspettatamente contagiato del suo effetto letale, fuggir via in un baleno! Nessun’emozione sgattaiola via. Lui più di tutti lo sapeva. Ma in quella prigione di cuore sarebbe rimasto per il resto della sua inutile vita.
Quarta classificata al contest “Di Serpi ed Enigmi - Tom Riddle contest” indetto da Delirious Rose sul forum di EFP.
Genere: Malinconico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Schegge di vetro…

Non v’è nulla al mondo dolce come l’amore; e dopo l’amore, la cosa più dolce è l’odio. [Henry Wadsworth Longfellow, The Spanish Student, 1843]

Quel passeggiare lento al tramonto di Hogwarts, è questo che mi manca durante il trimestre estivo…eppure la libertà di pensiero non l’ho raggiunta ancora, manca qualcosa, un bagliore dorato, acceso di passione…
Estratto dagli appunti segreti di Tom Riddle; 13/06/1944
 
Tom Riddle stava lavorando. Da Magie Sinister, regnava sempre il più assoluto silenzio. Nessuno metteva piede in quel negozio, di giorno. Tutto era deserto, la quiete assumeva caratteristiche sempre più tenebrose. Era un lavoro davvero primordiale. Lo stipendio permetteva appena a Tom di pagare le bollette del suo piccolo appartamento, lì vicino. Persino Burke si autocommiserava per quell’incarico. Infatti, mentre stava conversando con il figlio Caleb, si era lasciato sfuggire – magari un lieve accenno, ma per l’ottimo udito del giovane dipendente era stato abbastanza – una faccenda insolita, una sorta di doppio lavoro. Tom era stato tentato dal rivelare ogni dettaglio al suo capo, il signor Sinister, ma aveva cambiato ben presto idea. Primo, era Burke il suo superiore e, per quanto lo odiasse, era frutto del suo unico e modesto guadagno. Secondo, non voleva suscitare rancore senza una ragione plausibile. I Burke erano Purosangue, ed era meglio assecondarli alla devozione che all’odio più cruento.  Un improvviso grido ruppe bruscamente i pensieri di Tom. Un grido di puro orrore. Il ragazzo uscì fuori, abbastanza allarmato. Che fosse venuto lui? Ma no, la morte di quel babbano era stata mascherata alla perfezione. Aveva utilizzato un coltello, non la sua fidata bacchetta. Eppure, fuori sembrava tutto calmo. Si allontanò di circa 30 metri e li trovò. Il suo primo pensiero fu di perplessità. Il secondo, di disgusto. Un suo coetaneo – lo riconobbe anche se era buio! Quello sfrontato di un Macnair – stava chino sopra una ragazza giovane e terrorizzata, rannicchiata in un angolo. Lui cercava di tirarla in piedi, oltre che a sfilarle i vestiti.
«Andiamo, mezza babbana! Spogliati e mostrami ciò che mi puoi offrire.», sghignazzava lui, mentre le sfiorava i lunghi capelli biondi impregnati di sangue. La ragazza aveva battuto la testa.
Era uno spettacolo osceno eppure meraviglioso. Di ripugnante, c’era l’atteggiamento prepotente e abusivo di Macnair, il suo essere violento, il suo provocare negli altri profondo orrore. Di stupendo, c’era la supremazia, quel senso che ti dominava quando ti divertivi a opprimere gli altri, intrappolarli in una prigione psichica, e osservarli esibire la loro sofferenza. Inoltre, la ragazza era di una bellezza davvero unica, e, anche se Tom preferiva non essere influenzato dagli ormoni, pensò a come fosse da nuda. Non privata di abiti. Privata di ogni vincolo, di ogni protezione, privata di tutto ciò che aveva rappresentato la sua vita. Questa nudità era quella che ti creava un immenso senso di soddisfazione. Tuttavia, Macnair era troppo ottuso per comprendere il vero piacere di un’aggressione. Lui cercava soltanto di conservare il suo ruolo nel branco, seppur faticando.
Tom s’intromise: «Macnair.»
Il ragazzo alzò gli occhi e inquadrò Tom. «Ah, sei tu, Tom. Cosa ti porta qui?»
Tom guardò la ragazza. Sembrava così fragile e pura…non aveva mai visto donne simili. Le femmine erano tutte sfrontate, spigliate, traditrici e nettamente inferiori all’animo maschile. Tom ne aveva avute, di spasimanti, e le aveva ripudiate tutte con disprezzo e paura. Quella ragazza era così sconvolta, inoffensiva e innocente…Mai aveva potuto osservare un candore simile. Una parte di lui gli urlava di intervenire, l’altra di osservarla soffrire e immergersi nel mondo della violenza e del peccato.
«Le urla di questa ragazza.», osservò, con freddezza disumana.
Macnair borbottò: «Si sono sentite? Forse è meglio che le tappi la bocca, così non dirà nulla mentre mi divertirò…»
Tom percepì una leggera fitta al petto. Non avrebbe voluto assistere. Non avrebbe dovuto assistere. Non era pronto perquesto. A lui non importava niente del genere femminile, ma questa volta era diverso. La ragazza era diversa. Sentiva che doveva rimanere lì, accanto a lei. Represse quell’istinto del tutto estraneo a lui, e notò: «Macnair, allontanati da lei, o ti ammazzo con le mie mani.»
Macnair sembrò sinceramente spiazzato. «Cosa?»
Tom ripeté: «Allontanati da lei, o ti ammazzo. Anzi, già che ci sei, non azzardarti più a toccarla, lurido e viscido verme.»
L’altro sembrò confuso: «Se la vuoi tu, Riddle, aspetta il tuo turno. Sai quanto ci ho messo per convincere Rowen – seppur mentendo – che avevo buone intenzioni con questa? E il mio lavoro sarà giustamente ripagato.»
Tom rise, glaciale. Oddio, alcuni Purosangue erano la feccia dei Serpeverde. Se Salazar avesse saputo in cosa sprecavano il proprio tempo i suoi discendenti…! Li avrebbe uccisi tutti. Nessun’eccezione. E lui non si sarebbe lamentato. Individui come Macnair era meglio eliminarli all’istante. Così, non avrebbero disonorato la loro Casa, la più nobile e affascinante.
«Io non voglio proprio nulla, Macnair. Soltanto, sai quanto mi dispiaccia ricorrere alle mie maniere forti, giusto? Perché sembra che tu voglia fare il bambino cattivo
Macnair fece per ribattere, ma Tom gli aveva già rotto il setto nasale con un pugno ben assestato. Il ferito cadde in ginocchio, tuttavia si rialzò rapidamente e scomparve nella notte tetra.
La ragazza guardava Tom, orripilata. Quando lui le si avvicinò, lei scalciò e gridò: «Sono una mezzosangue! Sono una mezzosangue! Lasciami, lasciami, ti prego! Non vale la pena sprecare le tue energie su di me, sono una sporca…»
Tom la zittì, posandole il dito freddo sulle labbra tiepide. «Non lo dire, ti prego. Comunque, anch’io lo sono. Non temere. Io ti salverò.»
Lei singhiozzò: «Doveva essere un appuntamento galante, diceva Elisabeth. E invece, mi voleva…»
Tom la guardò: «È tutto finito, adesso.». Molti dubbi stavano sfociando nella sua mente. Perché l’aveva salvata? Aveva commesso una sciocchezza. Da quando in qua aveva un cuore? Lui stesso si considerava spietato impenetrabile.
La ragazza gli lanciò un’occhiata completamente terrorizzata. Tom poté osservare che i suoi occhi erano di un azzurro acceso, limpido. Un colore che lo fece vacillare. Il suo viso era delicato, a cuore. Era ferita sulla fronte e su uno zigomo, e sanguinava. Quanto alla testa, aveva una piccola emorragia. Niente di irrisolvibile, a meno di non contare il tempo. Doveva guarirla al più presto. L’unico edificio in cui poteva farlo era il negozio. La portò negli appartamenti superiori, dove vivevano Burke e Sinister. Con una forcina, trovata per caso nella tasca del suo giaccone, riuscì ad aprire la porta. La luce era accesa, ciò costituiva una pessimo fatto. E, difatti, eccolo davanti a lui, elegante nei suoi abiti raffinati. Caleb Burke. Forse era rientrato prima da un’uscita. I suoi capelli erano di un biondo grano, gli occhi verdi, da tigre.
«Bene, bene, Riddle. Mio padre ne sarà contento. Il suo dipendente che entra senza permesso in casa sua, accompagnato da una mezzosangue? Non è un mistero l’odio che nutro nei tuoi confronti, ma tu mi faciliti le cose! Adesso basterà una telefonata e voilà, il ragazzo perfetto bellissimo sarà licenziato in un batter d’occhio!», sfoderò un sorriso soddisfatto.
Fu in quel preciso istante che la ragazza, ferita e inoffensiva, la mezzosangue, lanciò qualcosa contro la faccia del ragazzo. Una spazzola per capelli. Caleb stramazzò a terra, inerte. Senza dubbio, era stato ferito gravemente. Il suo volto era tutto un rivolo di sangue schiacciato contro il pavimento.
La ragazza afferrò la bacchetta e la puntò contro Tom: «Te l’ho detto. Sono una mezzosangue. E non mi fido di voi stupidi Serpeverde.»
Lui alzò le mani, in segno di resa. «Se vuoi uccidermi, ragazza, fa’ pure. Almeno prima di morire ho compiuto una buona azione.»
Lei non ci cascò. «Oddio, Riddle, pensi che sia così stupida? Ho visto troppe ragazze piangere il tuo amore, credi che non abbia mai intuito come te la sei spassata con loro? E perciò: cosa ti ha trattenuto dal fare lo stesso con me?»
Tom si puntò il dito al cuore, irato. «Mi dispiace deluderti, ragazza, ma non ho fatto proprio niente. E non è necessario che tu mi creda.»
Lei abbassò la bacchetta, inchiodandolo con il suo sguardo privo di malizia e colmo di onestà. «È la verità?», chiese, esitante.
Lui annuì, e le domandò: «Qual è il tuo nome?».
La ragazza continuò ad analizzarlo: «Suzanne. Suzanne Rogers. Nessun Suzie. Nessun Anne. Sono di Corvonero.»
Tom abbozzò un sorriso. La conosceva, naturalmente. Aveva notato la sua grazia ogni giorno, la sua bontà ogni ora, la sua onestà ogni minuto. L’aveva vista sempre tra Rowen ed Elisabeth, due Serpeverde abbastanza forti.
«Non vedo perché dovrei rovinare il tuo bellissimo nome con ottusi nomignoli.», disse. Ma che gli prendeva? Non riusciva a comprendere. Posò la mano sulla propria bacchetta. Un solo gesto, seppur avventato e irreversibile, avrebbe soddisfatto questa sua inquietudine. L’avrebbe salvato. Ma lui non capiva ancora il guaio in cui stava per cacciarsi. Semplicemente, non lo sapeva. E ciò avrebbe causato una profonda trasformazione in lui.
Suzanne lo fissò. I suoi capelli biondi erano stati ripuliti dal sangue incrostato e non erano più di quella curiosa sfumatura vermiglia. Aveva la pelle di alabastro, e tutto in lei aveva un fascino innegabile, a partire dal dolce arco delle sopracciglia sino alle gambe lunghe e snelle.
Tom si riscosse da quegli orridi pensieri. Si stava interessando a una ragazza irraggiungibile, che avrebbe estratto dalla sua anima la parte peggiore di lui e l’avrebbe demolita.
«Ti accompagno a casa?»
«No. Ci arrivo da sola.», rispose. Fu un sollievo per entrambi. «Riddle?»
«Sì?»
«Grazie di avermi salvato.»
Furono queste parole ad innescare in lui un sorriso immediato, anche se lo represse subito.
***
Trascorsero sette giorni, tre ore e sedici minuti. Contavo il tempo senza comprendere né la ragione né in che modo…soltanto, non vedevo l’ora di incontrarla di nuovo.
Estratto da una lettera indirizzata a se stesso; 20/06/1944

Tom bevve il suo caffè, leggendo il quotidiano, accuratamente ripiegato sopra il tavolo di marmo bianco. Si sorprese di osservare che l’omicidio era stato analizzato dalla polizia locale.

Wrudolf Chästle, anni 40, trovato morto sulla soglia di casa.
L’uomo, il cui negozio era nelle vicinanze di Bourdon Place, è stato accoltellato sul petto. Il resto del corpo non presenta danni fisici, anzi, è stato conservato alla perfezione. Chästle si era trasferito da poco a Londra da una città della Germania orientale. Si pensa che l’assassino abbia iniziato una specie di caccia-razzista, dato che le sue precedenti vittime erano di nazionalità olandese e peruviana.


Tipica dei babbani, l’ignoranza. E anche l’insistenza. L’omicidio del tedesco era opera sua, ma c’erano altri assassini per Londra; invece, la polizia minimizzava la faccenda ad un solo colpevole. Una cosa davvero stupida. Percorse con le dita bianche e affusolate il retro del giornale, la cui carta era liscia e umida di pioggia. I suoi pensieri corsero, inconsciamente, a lei.Tom sussultò. Basta. Doveva finire questa faccenda, anche a costo di mutilarsi il cuore. L’avrebbe allontanata; e qualora lei non gli avesse dato retta, l’avrebbe uccisa. Sì. Anche se lei, effettivamente, non lo aveva mai cercato. Il pensiero di Suzanne gli provocò una sensazione vertiginosa. Stavolta, non la cancellò. Lasciò che lo invadesse tutto, come la morfina che circolava nel sangue. Come una linfa, un siero vitale.
All’improvviso, qualcosa di caldo gli sfiorò i diti. Aprì gli occhi di scatto e osservò, dinnanzi a lui, una giovane donna. Gli sorrideva in modo seducente.
Tom la fissò con il suo sguardo grigio. La ragazza era minuta, dai folti capelli di seta nera e gli occhi a mandorla, di un dolce color cannella. Era carina, nel complesso. Forse un po’ troppo truccata – cipria, spezie orientali e un profumo molto intenso. Aveva un volto familiare, ma Tom non riuscì a collegare le sue conoscenze a quella ragazza. Lei sembrava il prototipo di femmina sfrontata e forte, coraggiosa e affascinante. Indossava abiti mimetici, da militare, e una visiera, che le scompigliava la frangia. Sfiorava le mani gelide del ragazzo con le sue.
«Tom Riddle.», cennò, sedendosi nella panca davanti al giovane.
Tom la guardò: «Come fa a conoscere il mio nome, milady
La donna ridacchiò: «Ho la mia buona rete d’informatori. Assassinio a Bourdon Place. Che caso curioso, no?»
Lei aveva intuito che lui c’entrava qualcosa. Tom doveva dissuaderla da quella prospettiva. Annuì: «Già, una tragedia. Un peccato. Quel buonuomo non conosceva neanche il posto.»
La donna strinse la mano di Tom e gli fece male. Aveva una potenza indescrivibile.
«Mos më thoni gënjeshtra, djalë. Non ti conviene.», sorrise.
Tom si divincolò dalla stretta: «Parla albanese?», chiese. Pochi stranieri conoscevano quella lingua. Tom l’aveva imparata da Rowen, l’amica di Suzanne.
La donna annuì stancamente: «Mio padre era un ambasciatore di origini albanesi. Venne a Singapore e conobbe mia madre. E tu, lo parli?»
Il ragazzo affermò: «Una mia amica ha padre coreano e madre albanese. Me l’ ha insegnato.»
«Dakord. Anzi, shumë i mirë.», sorrise lei.
Tom replicò: «Ajo është vrasës?»
La donna lo inchiodò: «Anche. Dipende dalle situazioni. Soltanto, mi piace definirmi hajdut. Io rubo. Rubo ideali, valori, oggetti concreti.»
Tom annuì: «Perché è qui?»
Lei parlò: «Innanzitutto, sono Linda O’Casey. Piacere. Sono qui per l’incidente di una settimana fa. Un tentato abuso sessuale diretto a Suzanne Rogers. E tu, Riddle, eri presente.»
Gli mostrò il video dell’aggressione. Macnair che picchiava Suzanne e dopo Tom che l’aveva salvata. Rivedere tutto suscitò nel ragazzo una rabbia incontrollabile. Avrebbe ucciso Macnair con le sue mani, l’avrebbe oppresso come lui faceva con gli altri.
«La polizia si è chiesta perché la ragazza non sia tornata a casa, dai Rogers. Pensano tutti che tu abbia fatto di quella ragazza un bottino da collezione. Quindi, il mio consiglio – più comando, ma la libertà di scegliere le conseguenze è solo tua – è di andare a casa Rogers e rassicurarli, magari portandogli la figlia sana e salva.», spiegò.
Tom annuì, distaccato. In realtà nella sua mente balenava l’autocommiserazione. Che senso aveva avuto la salvezza di quella ragazza che nemmeno gli era stata riconoscente? Che senso aveva avuto la brama di potere, se bastava una fanciulla a confonderlo?
«Farò come richiesto.», sibilò.
La ragazza si alzò: «I përkryer, Riddle.»
Senza dire più nulla, andò via dal bar.
Anche Tom uscì, e, consultando la sua mappa di Londra, raggiunse casa Rogers. Quei babbani dovevano essere abbastanza poveri, per una capanna del genere. Era in rovina: i muri erano pieni di crepe, le finestre erano rotte e la porta era crollata. Il ragazzo sentì che da quella casa proveniva la magia nera. Gli saltò in mente che forse Suzanne non era la ragazza innocua che aveva creduto.
Entrò, furtivamente. La luce era accesa, e tremolava. Il salotto sembrava ridotto a una ragnatela, e quando entrò in cucina, fu lì che l’orrore si concretizzò, accompagnato, come sempre, da un senso di fascino: la Morte aveva invaso la casa.
[You had the grace to hold yourself
While those around you crawled
They crawled out of the woodwork
And they whispered into your brain
They set you on the treadmill
And they made you change your name
And it seems to me you lived your life
Like a candle in the wind
Never knowing who to cling to
When the rain set in
And I would have liked to have known you
But I was just a kid
Your candle burned out long before]

Candle in the wind, Elton John.
***
Cosa può mai lasciare un vuoto incancellabile in un uomo? Forse l’amore, forse l’odio, forse il sangue. Quel rosso vermiglio che scorre in tutti noi, e alla fine, termina il suo percorso.
Estratto da un ritratto anonimo di Suzanne Rogers; 24/06/1944

Suzanne non piangeva mai. Tom la conosceva, da quella notte fitta di nebbia non aveva mai versato un’altra lacrima. Diceva che non ne valeva la pena. Anche nei ritratti che di solito lui le dedicava, mai una lacrima le sfiorava la pelle vellutata. Come Tom, credeva che piangere fosse una delle tante facce della debolezza umana, di quell’inevitabile vulnerabilità.
E anche in quel momento, tormentato e pieno di tensione, lei si trattenne, con un’espressione vacua sul volto di angelo.
Elisabeth era angosciata, piangeva come una ragazzina e diceva: «Poveri cari, poveri babbani! Non avevano fatto niente…»
Lei era una ragazza stupida per natura. Non aveva il senso dell’intuito, né tantomeno dell’astuzia. Era una ragazza paffuta, dai sottili ricci biondi e occhi color nero carbone.
Tom la disprezzava; e la cosa era reciproca, dato che le aveva spezzato il cuore anni prima.
Rowen abbracciava teneramente Suzanne, con fare protettivo. Di tanto in tanto le sussurava: «Suzie…Suzie, rispondimi. Adesso sono in cielo, è meglio che una vita minacciata, giusto?»
Rowen aveva i capelli corvini arricciati, gli occhi a mandorla e la pelle d’avorio. Era considerata molto graziosa, per gli standard dei Serpeverde. Aveva una faccia triste e sconsolata, specchio dell’anima dell’amica. Tom osservò il loro legame: sembravano unite da qualcosa d’innegabile, d’ineliminabile. Tutto ciò lo rendeva molto geloso. No. Non era geloso, era semplicemente infastidito. L’unica sensazione che lui scatenava era il timore, il rispetto colmo di taciuto terrore. Ecco.
All’improvviso, Suzanne parlò, con voce roca e spezzata: «Rowen, Elisabeth, per favore, andate.»
Le ragazze la fissarono come se fosse impazzita. Tom gradì la loro reazione, e le osservò fuggire impettite. Rowen si voltò, prima di uscire, rivolgendo a Tom uno sguardo in cagnesco, in cui veniva espresso tutto il veleno covato verso di lui.
Suzanne sospirò e lanciò un’occhiata ferrea al ragazzo: «Tom, hai deciso di torturarmi?»
Il ragazzo replicò: «Mai, Suzanne. Cosa te l’ha fatto pensare?»
Lei lo fissò, sprezzante: «Hai ucciso i miei genitori.». Quella frase, pronunciata molto piano, quasi in un sibilo di odio puro, gli fece comprendere. Lui, per lei, era l’assassino. Lui, per lei, era il suo persecutore. Lui, per lei, era una persona orribile.
«Non posso negare di essere un assassino, ma non ho mai torto un capello ai tuoi genitori. Lo giuro.», sbuffò lui, avvampando di nuova ira.
Suzanne mormorò: «E pensi che mi fidi di te, quando hai giurato davanti a tutta l’Inghilterra di non essere l’assassino di Chästle?»
«Non essere così meschina. Lui sapeva troppo, e andava eliminato. Il Ministero della Magia non se ne sarebbe mai occupato! E, sì, non voglio essere arrestato! Anzi, se vuoi, posso dirti anche chi è l’omicida dei Rogers!»
La ragazza sospirò e disse: «Io non voglio nulla da te. Vattene, e non ritornare mai più.»
«Perché sei così sicura della mia presunta crudeltà?»
«Sono una Veggente, Tom. E nel tuo futuro ho visto solo caos e distruzione.», rivelò lei, altera.
«Non me l’hai mai detto.», notò lui. Lei gli diceva sempre tutto.
«Forse perché non ti sei mai dimostrato degno di fiducia.»
«Beh, però una cosa la so. So che, prima del tuo arrivo, nulla mi sfiorava. Non un’emozione, non un contatto fisico. Ero imperturbabile, ero immobile, morto. E quando ho percepito te, invece, tutto è cambiato.», disse Tom, senza apparire né freddo né caldo. Neutrale.
Suzanne gli accarezzò la guancia, mentre lacrime le inumidivano gli occhi. Dunque, aveva pianto. E a causa sua. Non sapeva se costituiva un bene o un male.
«Sei certa che porterò solo caos distruzione
«Purtroppo sì.»
«Non voglio.», replicò bruscamente lui. «Aiutami tu, Suzanne.»
Lei storse la bocca in un piccolo sorrisino: «Posso provarci.»
Insieme. Lui assaporò tutta la parola, migliaia di volte. Lui l’amava, e lei, quantomeno, sembrava ricambiare a sua volta. Non si era mai sentito così felice. La gioia di una bramosia non contava più nulla; era qualcos’altro, adesso, a guidarlo. Non sapeva definirlo, ma era dirompente, devastante, colmo di emozioni positive. E Suzanne era l’unica che poteva regalargli questa speranza.
***
Luglio 1944: il Branco di Tom decide, in segreto, di uccidere Suzanne;
Agosto 1944: la strega sfugge alla sorte grazie al suo dono di Veggente, e corre a nascondersi in Albania;
Settembre 1944: Tom non vede Suzanne a King’s Cross, e ha paura;
***
Nella determinazione si cela il più grande dubbioseppur mutilato.
Frase dipinta sul muro di casa Riddle; 12/10/1944

Quando Tom la vide, corse ad abbracciarla. Finalmente. L’aveva trovata.
Tuttavia, Suzanne si scansò, rapida. Nessun accenno di emozioni. Un’espressione dura, distaccata. Una ragione inconsolabile. Cos’è successo?
«Cosa c’è?», chiese, esitante, lui.
Lei lo guardò: «Forse dovresti chiederlo al tuo branco. “La mezzosangue dev’essere uccisa”.»
Tom s’adirò, subito. CHI aveva cercato di ucciderla? L’avrebbe ammazzato, senz’altro.
«E sono riusciti ad uccidere Elisabeth, mia cugina, che mi ha seguito in Albania.», sussurrò in un rantolo spezzato.
Suzanne assunse la sua espressione vacua, come per la morte dei suoi genitori. Macnair. Era tutta colpa sua se adesso Suzanne stava soffrendo. E Tom non sopportava vederle il dolore negli occhi, specchio della sua anima disperata.
«Devo ucciderlo?», chiese Tom, gelido. L’avrebbe fatto, se lei l’avesse realmente desiderato.
«No. Ti dimostreresti al suo infimo livello. Però puoi fare una cosa. Per me.», replicò lei, addolcita. Guardò Tom, implorante.
«Cosa?», domandò il ragazzo, tagliente.
Lei gli scoccò tutto l’azzurro del suo sguardo. «Lascia il branco.»
Tom gemette: «Suzanne, non posso, l’ho fondato io.»
Lei lo baciò. Inavvertitamente. Lui cercò di essere delicato, non voleva farle del male, voleva proteggerla, accudirla. Caldo contro freddo. «Io credo che tu possa, con la determinazione giusta.»
«No, Suzanne, io…», iniziò lui, ma la ragazza lo zittì.
«Se non ne sei capace, siamo costretti a lasciarci definitivamente. Il mio mondo non può appartenere al tuo. Quindi, addio, Tom.»
Tom non si sorprese. Non si scompose. Non si arrabbiò. Magari doveva esserne felice. Una distrazione in meno, e poteva sterminare ogni mezzosangue. Ma non funzionava così. Lui non l’avrebbe dimenticata, lui non avrebbe superato la vita senza di lei. La distruzione non gli sembrò una prospettiva allucinante: senza Suzanne poteva creare il caos più orribile. Eppure, l’amore che l’aveva inaspettatamente contagiato del suo effetto letale, fuggir via in un baleno! Nessun’emozione sgattaiola via. Lui più di tutti lo sapeva. Ma in quella prigione di cuore sarebbe rimasto per il resto della sua inutile vita.
***
Nel tempo ci sono intermezzi; a volte bui, a volte luminosi. E quando il bianco si allaccia con il nero, è lì che lo spavento deve sopraffarti.
Estratto dall’anello dei Gaunt, inciso in caratteri minuscoli. 23/11/1946

«Ero giovane e stupido, all’epoca, miei cari amici, non trovate?», commentò Tom, con una risata roca, che rimbombò per tutta la stanza. Si trovavano da Abraxas Malfoy, nel castello della sua famiglia. Lì, nella Stanza delle Cene, le pareti rilucevano di una bizzarra sfumatura turchese. Era un bell’effetto, rievocava in Tom le immagini del mare in tempesta.
Macnair scoppiò in una risata segretamente rancorosa: «Mi avete anche tolto il mio sfizio prelibato, mio signore. Comunque ho gustato la vendetta sui babbani.»
Tom gli rivolse un sorriso soddisfatto: «Eccellente, Macnair. Un lavoro accurato.»
Tutti, lì intorno, risero, escluso Rookwood. Aveva le nocche bianche, e un’espressione assorta. «Camil, gradiresti dell’idromele di Rosmerta?», chiese Tom, trasudando sarcasmo. Stava pensando alla mezzosangue dai capelli rossi, il suo seguace. Quella Tracy. Non che non potesse farlo, ma lui aveva ripudiato l’amore per la causa, e avrebbe gradito che gli altri facessero lo stesso.
Rookwood negò con il capo. «No, mio signore, grazie.». Stava tremando, il ragazzo. Tom sapeva che nel branco erano presenti degli anelli deboli, tuttavia non se ne preoccupava molto. Nagini era capace di intimorirli e infondergli la giusta dose di adrenalina, con il suo veleno modificato dalla Guaritrice Mackenzie.
Sospirò, melodrammatico. «L’amore vi sta prendendo tutti, cari amici. Prima lo avvelenerete, prima sarete forti e grandi.»
Quando la cena terminò, Tom ritornò da Magie Sinister, per mezzo della Materializzazione. Quella sera era il turno di Caleb. Quando il ragazzo lo vide, deglutì e disse: «Cosa ci fai qui, Riddle?». Quegli occhi verdi, che due anni prima aveva paragonato a quelli di una tigre, adesso sembravano di un gattino innocuo e implorante. Patetico.
Tom scoppiò a ridere. «Non è chiaro? Voglio licenziarmi.»
Caleb rilassò i muscoli del viso. Probabilmente, aveva pensato che volesse torturarlo. Ma no. Come avrebbe potuto? Dopotutto, era un Purosangue.
«Perfetto. Il documento?», domandò, appuntando qualcosa su un foglio macchiato di Sali di Algabranchia.
Tom gli rivolse un sorriso sprezzante e gli passò una lettera. «Ce l’ho qui, Caleb.»
Caleb lesse e, quando ebbe finito, impallidì. L’altro godette della sua paura.
«Sei un mostro, Riddle. Un autentico…», iniziò il giovane Burke, con la mascella contratta.
Tom gli tappò la bocca. «Devo esserlo. Tu hai insultato e maltrattato il mio unico amore, spregevole canaglia.»
Detto ciò, gli puntò la bacchetta addosso: «Avada Kedavra.»
Un raggio di luce color verde fluorescente colpì il figlio di Burke al petto, facendolo cadere di schiena.
Tom si sentì invincibile, e supremo. L’oppressione di quel vile gli strappò una risata incontrollata e isterica. Finalmente, giustizia era stata fatta. Burke non avrebbe detto nulla, ne era certo. Era vero, sangue di mago sprecato inutilmente era una tragedia, dato che gli umani si riproducevano come insulsi microbi, ma Caleb era uno di quegli individui totalmente snob e inflessibili…la sua morte era stata una gioia. Peccato che non potesse vedere la faccia di Burke dopo la lettura della lettera. Ma non importava.
Si chiuse la porta del negozio alle spalle, e proseguì per Bourdon Place.
***
L’eternità è appesa a questo momento.
Emily Dickinson

Voleva davvero farlo? Il caso era così estremo? Suzanne non sapeva rispondersi. Si graffiò il braccio, cercando di pensare al dolore come a una ragione. Era ferita dentro, molto più profondamente. Pensò a Rowen. Di sicuro l’avrebbe angosciata, ma cosa poteva farci? Conosceva il destino del suo amato, e sapeva che entrambi non avrebbero vissuto insieme. Che senso aveva l’attesa? Aveva creduto a tutte le parole di Tom Riddle: pronunciate con distacco, leggerezza oppure rabbia. Non le aveva mai mentito. Quel Macnair avrebbe riso, vedendola sul culmine del terrore. Non aveva mai pensato a come fosse la morte. Magari era libertà, magari una specie di isola fantasma, piena di significato. Non lo sapeva e non le importava. Meglio morire che rimanere intrappolata in un misero corpo. Suzanne estrasse la scheggia di vetro, quella più affilata, e la osservò. Aveva fattezze cristalline, risplendeva come un prisma di leggera sfumatura argentea. La impugnò, deglutendo, e se la piantò nel cuore.
Ogni cosa perduta viene vinta, prima o poi.
Citazione di Tom Orvoloson Riddle; 21/12/1946
Tom la osservò a lungo. «Linda…Rowen
La ragazza si sistemò la frangia, con fare intimidatorio. «Proprio così, Riddle. Mi stupisco che tu te ne sia accorto soltanto adesso.», ridacchiò.
«Tu…hai voluto che vedessi il lavoro di Macnair con i miei occhi. Tu hai ucciso gli altri due babbani prima di Chästle. Tu hai ospitato Suzanne in Albania, a casa di tua madre.»
Rowen lo fissò: «Sì, è tutto vero. E adesso mi sono vendicata anche su Macnair.», sorrise, soddisfatta.
«Tu hai ucciso ben due babbani.», rammentò Tom, esterrefatto
Tom non riusciva a capacitarsene. Rowen, la ragazza saggia e introversa che era sempre rimasta in disparte…Lo aveva sorpreso. Non era una cosa semplice, affatto. Tom Riddle non veniva mai preso alla sprovvista. Accarezzò la sua bacchetta, esitante.
«Ho dovuto. Volevo far ricadere la colpa su di te, persuadendo Suzanne a lasciare stare il mondo in cui stava per immergersi. Suzanne aveva avuto delle visioni riguardo te e quella sera, mentre Elisabeth le aveva combinato un appuntamento con quelvile, decise di venirti a trovare da Magie Sinister. Quando tu la salvasti, decise di non dirti nulla. Era ossessionata da te, non la finiva più di parlare di Tom Riddle. Allora ho recitato la parte di Linda O’Casey – mi sorprende che tu non ti sia accorto dell’albanese, dettaglio intuibile – e ti ho detto di andare a casa Rogers. Lì avevo visto i cadaveri dei genitori di Suzanne, passandoci per caso. Ero molto arrabbiata, ma decisi di sfruttare l’angosciante occasione per incolparti. Eri stato il primo testimone dell’incidente, il potenziale assassino, ma neanche questo convinse Suzanne. Lei riesce a captare la verità e tu non mentivi. Allora, quando il tuo branco decise di ucciderla – e riuscì ad assassinare Elisabeth – le trovai rifugio in Albania. Era sconvolta, e io non sopportavo di vederla così. L’amavo. Le dissi che dovevamo ritornare, e lei, dopo mille lacrime, accettò. Quando ti vide, non ce la fece più. La confortai, ma non servì a nulla. Mi spezzò il cuore. Era innamorata di te, e io ero gelosa. Capii che per me non era come una sorella, ma molto di più. Peccato che lei amasse solo te.», spiegò, in lacrime.
«Amasse? Come amasse? Lei è…». Tom non poteva sopportare nient’altro. Suzanne era viva, era viva, era viva. Magari in quel preciso istante stava aspettando…chi? Tutte le persone a lei care erano morte, tranne Rowen.
Lo sguardo di puro odio che gli scoccò Rowen confermò la sua peggiore ipotesi. «Sì, Riddle. Si è suicidata.»
Tutto andò in frantumi. Tutto. Il cuore, la mente, lo stomaco, il fegato, le gambe, il viso. Al posto del cristallo prezioso che costituiva un cuore pulsante, c’erano solo schegge appuntite che lo ferivano. Tom voleva urlare. Possibile che l’unica persona che aveva amato in così poco tempo dovesse abbandonarlo? Forse era soltanto una tesi. Tom Riddle non doveva affezionarsi: il suo dovere era odiare distruggere. Avvelenare tutto il bello della vita. Nel tuo futuro ho visto solo caos e distruzione. Adesso capiva perché stava succedendo, e non voleva neppure contrastare la cosa. Desiderava che questa furia lo invadesse, lo portasse a tormentare insulse vite, lo trascinasse negli abissi più oscuri.
Rowen gli porse una lettera: «Si è suicidata perché non sopportava una vita lontano da te. E voleva credere nella luce.»

Caro Tom,
Probabilmente leggerai questa lettera molto dopo la mia morte. Io ti amo, Tom Riddle, da quel poco che ho saputo di te. Volevo che ne fossi a conoscenza, adesso che non sono più lì. Io mi struggo, a pensare che potrai sposarti e vivere felice. Non desidero una vita lontano da te. Spero che la storia della reincarnazione ci aiuti. Ti ho sempre amato, anche quando eravamo a scuola e tutto ciò che conoscevo di te era il tuo sguardo consapevole e saggio, che dentro conserva significato e ricordi. Mi dispiace farti soffrire, ma spero che tu capisca che la mia unica ragione di vita eri tu.
Addio,
Tua Suzanne


Tom pensò alla cenere. La cenere era ciò che rimaneva dopo l’esplosione di un fuoco. Ebbene, voleva ridurre tutto in cenere. Ogni cosa, fino a che si sgretolasse e perdesse il suo senso. Avrebbe distrutto tutto, tranne se stesso. Non avrebbe dato la soddisfazione a Suzanne di riaverlo, e di abbracciarlo. Lei lo aveva privato di tutto ciò che rappresentava per lui. E il ragazzo non poteva sopportarlo. Per Suzanne, pensò. Per lei avrebbe fatto di tutto, eccetto scusarla. Non poteva. L’amore era stato rimpiazzato da un profondo rancore. Tom desiderava la gloria, il potere. Voleva dimostrare alla mezzosangue di cosa era capace.
Rowen lo stava guardando, incuriosita. Probabilmente aveva percepito la rabbia in lui.
Tom le puntò un coltello alla gola.
Rowen comprese al volo. «Suzanne pensava che anche la tua anima si potesse salvare.». Sembrava così innocente…proprio come lei due anni prima. E Tom l’aveva salvata. Non avrebbe commesso lo stesso errore. No. Ritrasse il pugnale, per la prima volta con gli occhi che luccicavano. Riusciva a sentire la voce di Suzanne: Tom, tu sei meglio di così: dimostramelo. La ragazza che aveva amato con tutto se stesso rimaneva, tuttavia, una flebile apparizione, un ricordo. Suzanne non era più in vita. Eppure, anche Tom sapeva che poteva rientrare nella luce. Gli bastava evitare tutte le persone che vedeva, e così non le avrebbe distrutte. Suzanne avrebbe voluto che lui non facesse del male a nessuno. Un impeto di furia lo colse. Lei si era suicidata, lo aveva ripudiato. Le sue parole non contavano. Dopo che, con un colpo netto e preciso, colpì la gola della ragazza, Tom mormorò: «Lei era l’unica che poteva salvarla.»
Posseduto da questo fuoco avvelenato, osservò lo specchio alle proprie spalle. Si era rotto, ma a terra giaceva un’unica scheggia di vetro. Il suo cuore, in quel momento.

Lei era alla deriva e osservava lui, sospirando. Come poteva rassicurarlo? Come poteva dirgli che tutto il suo futuro operato era inutile, dato che potevano continuare ad amarsi? Aveva letto la lettera per Burke e, dopo l’orrore iniziale, aveva compreso di averlo ferito inequivocabilmente. Non poteva rimediare. Lo aveva fatto per il bene di entrambi. E adesso la odiava, lo sapeva. Tuttavia, lo avrebbe aspettato. E avrebbe aspettato il giorno in cui le loro schegge di vetro si sarebbero fuse, creando il cristallo.

“Caro signor Burke,
Mi licenzio. Spero che il mio regalo sia di vostro gradimento. Questo è ciò che farò a sua figlia, la piccolissima Chantal, se avrete lo stupido istinto di rivelare a qualcuno della morte di suo figlio e di ciò che le sto per scrivere.
Suzanne, sappi che io ti amo. E che, da quando te ne sei andata, ogni giorno vengo ferito al cuore da affilate schegge di vetro.
Eternamente tuo,
Tom Orvoloson Riddle”

 
Traduzione albanese/italiano (ho utilizzato Google Traduttore e un dizionario che avrà almeno 100 anni, quindi non prometto nessun’affidabilità alla lingua originale):
  1. Mos më thoni gënjeshtra, djalë: Non raccontarmi fandonie, ragazzo. Rowen è immedesimata in Linda e quindi finge di essere più grande di Tom Riddle.
  2. Dakord: Bene.
  3. Shumë i mirëOttimo.
  4. Ajo është vrasës?È un’assassina? Nella mia mente a Londra c’è una banda di Assassini chiamati appunto Murderers, e si chiede se lei ne faccia parte.
  5. HajdutLadra, in questo caso lei si definisce come rubatrice.
  6. I përkryerPerfetto.
 
 
NDA: Innanzitutto, benvenuti, cari lettori. Questo genere, diciamolo Suspence/Malinconico, non è proprio da me, ma ho voluto cimentarmi in qualcosa di diverso per il contest “Di Serpi ed Enigmi – Tom Riddle contest” indetto da Delirious Rose. Un complimento alla giudiciA per il contest, è davvero intrigante e, appunto, enigmatico. Con questa storia, volevo spiegare il perché della crudeltà di Lord Voldemort. Cioè, non mi bastava la causa dell’orfano mezzosangue rifiutato persino dai babbani, era troppo poco per un carattere così freddo e disumano (per quanto può esserlo) come il suo. Su Internet ho visto che molti lo abbinavano a Minerva, ma a me questa scelta sembra inappropriata. Perché lui odiasse i mezzosangue, era necessario che ne amasse una (vedi citazione iniziale, che non mi sono inventata xD). Quindi eccola qua, Suzanne Rogers, l’incantevole Veggente. Scaturita dalla mia mente acuta e penetrante. Ho cercato di non creare un Tom strappalacrime, cioè ancora duro, distaccato ma tormentato.
Io so che voi volevate leggere la lettera di Tom per Burke…lo so dal profondo del mio cuore (perché volevo leggerla anch’io)….e quindi ve l’ho messa, all’ultimo.
Anche se non era stato ordinato, ho scelto un prompt, ovvero la scheggia di vetro. Non è un lieto fine, credo che sia chiaro, ma è l’origine di ciò che Riddle diventerà.
La faccenda della lingua è stata ispirata dall’Albania, ovviamente. Anzi, è proprio da Rowen che Tom capirà che….(DON’T SPOILER)
Ho letto da poco Assassinio sull’Orient Express (Agatha Christie) per l’ennesima volta e credo che mi abbia influenzato. Ritroviamo Linda Arden nella mia Linda O’Casey – sulla pronuncia del nome sono fiscale, è [Læinda] –, soltanto che i ruoli sono invertiti: nel libro, Linda è l’attrice, qua è la parte.
Tra le canzoni svettano, oltre Candle In The Wind (morte dei signori Rogers):
- Bohemian Rhapsody, dei Queen (scena della morte di Rowen);
No One, di Alicia Keys (scena del suicidio di Suzanne);
Neutron Star Collision, dei Muse (primo incontro tra Suzanne e Tom);
Wish You Were Here, dei Pink Floyd (finale di Suzanne);
Tallulah, dei Sonata Arctica (scena del bar, insieme a Linda/Rowen);
Question Of Lust, dei Depeche Mode (bacio tra Suzanne e Tom);
I Will Always Love You, di Whitney Huston (lettera di Suzanne).
Per la traduzione di Candle In The Wind, beh, credo sia intuibile…
 
Spero di avervi conquistato, almeno in parte. Ringrazio tutti, e se davvero questa storia vi è piaciuta, lasciate pure una recensione! Ciao a tutti xD
   
 
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