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Autore: Lauretta Koizumi Reid    20/04/2014    2 recensioni
C’è qualcosa che mi fa impazzire più del freddo. Più dei topi o dell’oscurità, più delle urla e dei pianti di Peeta, delle botte e delle domande delle guardie e dei carcerieri. Ed è una semplice domanda: perché sono viva? Perché non mi uccidono e basta? Non servo a nessuno, sanno che non collaborerò, non hanno nulla per farmi davvero del male. Sono un fantoccio rotto e inutile in una cella. Ma forse è questa la mia punizione... la vita. Nonostante tutto.
Johanna Mason, Distretto 7. Prigioniera di Capitol City per un tempo che ella non può contare. In un luogo terrificante. Che forse, però, si può immaginare.
Genere: Dark, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johanna Mason, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non appena riapro gli occhi il mio respiro è superficiale e affannato. Però c’è, e questo vuol dire che Capitol City non ha ancora il mio cadavere in braccio. Ma il terrore che provo, che ho provato poche volte in vita mia, ancora mi annega i sensi.

Ora Johanna, apri bene gli occhi e dimmi cosa vedi.
E’ una stanza semibuia, piccola e rettangolare. Una grata di metallo sul soffitto altissimo fa filtrare la luce. In un angolo intravedo una lastra di ceramica con un buco in mezzo. Il pavimento è irregolare e bagnaticcio, e io ci sto rannicchiata sopra. In un altro angolo, un materasso, o ciò che rimane di esso, è addossato alla parete. Le pareti sono formate da mattonelle. Non c’è altro.

Ora Johanna, apri il naso e dimmi cosa senti.
Ma non vorrei mai averlo fatto. Un tanfo prepotente di sudore e capelli lerci mi arriva alle narici. Inoltre sento un puzzo di fogna, probabilmente originario della latrina all’angolo, se di latrina si tratta. Respingo un conato di vomito e continuo a respirare.

Ora Johanna, apri le orecchie e dimmi cosa senti.
Così, stesa per terra, non sento proprio nulla. Un inquietante silenzio. Niente.
Capisco che dovrò alzarmi, per riuscire a intuire altro. Con immane fatica mi rimetto in piedi. A parte il male alla testa, la nausea, la debolezza e un piede gonfio va tutto bene.

Noto che la porta è a grate, chiusa da un catenaccio, e la luce perciò entra anche da lì. Fuori dalla porta c’è solo un corridoio lungo e stretto, illuminato da alcune luci al neon. E poco più in là delle grate, c’è una sedia.

Dove c’è una sedia, c’è anche un uomo. Una guardia. Un carceriere.

Ispeziono la latrina, che sembra funzionante. Il materasso è sfondato e corroso, e un paio di scarafaggi passeggiano lungo l’imbottitura che ha straripato. Osservando la luce che filtra dalla grata sul soffitto, credo sia sera. Ma di che giorno? Come faccio a saperlo?

Mi appello all’unica cosa di me che potrebbe aver sentito lo scorrere del tempo, cioè il senso di sete e la crescita delle unghie. Ho molta sete, questo è certo, ma non da morirne. Le mie unghie non sono più lunghe di quando ho lasciato l’arena. Forse è passato un giorno, massimo due.
 
Le mie orecchie si rizzano quando sento un lamento. Proviene da qualche parte, ma non so da dove.
E non lo saprò mai, perché la porta a grate si apre con forza, e si palesano due Pacificatori senza casco.
- Ben svegliata, Mason! Adesso noi ci divertiamo un po', che ne dici?

Vorrei dimostrarmi coraggiosa e forte, ma lo strattone che viene dato ai miei capelli è troppo forte, e urlo.

Il pacificatore mi prende e mi attira al suo volto, sempre tenendo stretti miei capelli come una mazzo di fiori.
- Vedo che abbiamo la voce, eh? Ottimo, il presidente è ansioso di ascoltare cosa avete da dire tu e quell’altro. Sul perché l’Arena è esplosa, perché tu abbia tolto a Katniss Everdeen il rilevatore....ha tanti difetti, ma non la stupidità. Sì, lui pensa che ci possa essere stato qualcosa come una cospirazione....anche da parte tua, Johanna Mason, la dura e forte Johanna, che non ama nessuno e che nessuno ama...sembra incredibile, vero?

Ho poca saliva nella bocca, ma la uso per tirare uno sputo addosso all’uomo, che finisce sul suo naso, mancando l’occhio.

La sua espressione diventa rabbiosa e mi trascina dentro una stanza bianca. Vedo altri Pacificatori, e arnesi strani. Riesco a formulare un unico pensiero coerente: mi tortureranno.

E la mia mente cerca di correre al giorno in cui gran parte dei vincitori chiamati a morire nell’Arena, intinse il proprio indice destro nella vernice rossa e lo poggiò su una pergamena, la quale sanciva fedeltà al patto della rivoluzione. Con tutti gli annessi e connessi del caso
  
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