Anime & Manga > Lisa e Seya
Segui la storia  |       
Autore: Andrewthelord    20/04/2014    1 recensioni
Agghiacciante cross-over tra il film “Fracchia la Belva Umana” e l’anime “Kaitou Saint Tail” (Lisa e Seya).
È arrivato in Giappone il più importante dipinto del novecento italiano, un Osvaldo Paniccia originale. Non solo Saint Tail (Seya), anche la Belva Umana (Paolo Villaggio) è sulle sue tracce. Riusciranno Asuka jr (Alan) e il Commissario Auricchio (Lino Banfi) ad impedire l’ennesimo furto? E Giandomenico Fracchia (Paolo Villaggio) verrà ancora utilizzato dal suo sosia per i suoi loschi piani?
Non si tratta, come potrebbe sembrare, di una fan fiction nonsense, ma di una vera e propria storia in cui i personaggi sono loro stessi e non delle caricature.
Sono ben graditi i commenti, anche brevi!
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

49 Asuka

 

Dicono che i proverbi siano la saggezza dei popoli. Realtà della vita, sperimentate da secoli, che grazie a due parole messe in croce si fossilizzano per sempre in un breve aforisma. Nessuno può cambiarli, nessuno scalfirà uno iota di questa ricchezza tradizionale. Così, anche tra milioni di anni, quando sugli habitat orbitanti ci nutriremo di sostanze chimiche estratte dagli asteroidi, sarà sempre meglio un uovo oggi della gallina del giorno dopo. L’erba del vicino sarà sempre la più verde anche quando la nostra Terra sarà ridotta a un deserto inospitale, e l’ospite continuerà a puzzare come il pesce anche se osserverà tutti i dettami dell’igiene personale. I proverbi ci dicono che anche i ricchi piangono, che si stava meglio quando si stava peggio e soprattutto che quando i vecchi “non avevano niente allora avevano tutto”.

 

E c’hanno ragione. Perché la felicità non è una questione esogena, non viene da fuori. Non è che se stai bene allora sarai felice. E non è detto che se tu stia male allora sarai necessariamente infelice. Avere un conto in banca ripieno di zeri, una morosa uscita da America’s Next Top Model, un lavoro in una start up di Pasadena sono cose che aiutano, certamente. Ma non sono queste le origini, le cause della felicità. Così, non c’è da stupirsi se certi ricchi attori di Hollywood si rovinano con le peggio droghe o si impiccano nella rimessa del loro yacht e se certi bimbi africani sieropositivi alla vista di una palla di stracci sorridono come un napoletano di fronte a un presepe.

 

Asuka Daiki Junior era legato a una sedia di legno con corde e nastro adesivo. Quella sera aveva visto per la prima volta della sua vita un cadavere, quello del vecchio Vescovo, mentre aveva assistito in diretta, dall’altra parte della porta, all’uccisione di due onesti tutori della legge. Aveva commesso degli errori da poppante che gli sarebbero costati, in ogni accademia militare e in ogni scuola di polizia, l’espulsione con disonore. Peggio che peggio, era stato picchiato, gli avevano rotto il naso, gli avevano strappato un dente che diversamente si sarebbe portato con tranquillità nella tomba, gli avevano rotto una rotula e, soprattutto, gli avevano fatto perdere ogni dignità residua: se l’era in parte fatta addosso. Nulla in quel momento gli garantiva che ne sarebbe uscito vivo, e nulla – ancor peggio – gli garantiva che ne sarebbe uscito in modo dignitoso, sulle sue gambe, con la sua autonomia. Eppure era felice.

 

Era felice perché lì c’era la sua Meimi. C’era la sua Saint Tail. Entrata come un angelo animato da giusta ira in quel consesso di malvagità, era lì. Era lì per lui.

 

Meimi o Saint Tail? La testa gli pulsava. Il terrore e il dolore lo avevano fatto precipitare in uno stato di confusione completa. Aveva la febbre? Non avrebbe potuto dire se la temperatura del suo corpo fosse 32 gradi – ai limiti del congelamento – o 44. Sicuramente, tanto per chiarirci, non toccava la quota salutare di 37.

 

Confuso, girò il volto verso la ragazza che aveva appena gridato, con un ruggito da leonessa: «VOGLIO UCCIDERTI!!!».

 

Ma udì soltanto una stilettata fendere l’aria. Proveniva da dietro. La Belva? Aveva sparato con un silenziatore?

 

Volse nuovamente la testa, ma era come entrare in una galleria del vento. Non riusciva neppure a respirare. Non vedeva nulla.

 

«Fumogeni». La voce dalla Belva. Possibilmente ancor più gelida del solito.

 

Asuka provò a respirare, ma sentì altri proiettili passargli accanto. Chiuse gli occhi e pregò che tutto andasse bene, ma non fece in tempo ad iniziare la prima Ave Maria che sentì qualcosa tirargli i piedi. Un’ondata di vaniglia.

 

«Io». Bofonchiò. La ragazza era china su di lui. Ma chi era con precisione quella ragazza? La conosceva già. In quel magazzino pieno di paccottiglia e oggetti dimenticati, quell’esile corpo femminile era l’unico elemento di cui gli importasse davvero qualcosa. Il cuore gli batteva all’impazzata: quando si accorse che lo stava toccando, liberando in pochi istanti caviglie e polsi, con una carta da gioco affilata, da corde e scotch da pacchi gli sembrò di impazzire d’imbarazzo. Già. Ma chi era quella ragazza? A malapena si ricordava di chi fosse lui in quel mare di dolore e di confusione. La capitale del Canada? Sette per otto? Le virtù cardinali? Il vuoto. Ma quella ragazza la conosceva. E si lasciò, in quella nube di fumo, prendere di peso come un sacco di farina dalla buona mugnaia.

 

«Stai qui, Asuka-kun. Qui non ti vedrà». La voce femminile sussurrava. Non c’era più fumo, ma faceva lo stesso fatica a respirare. Aprì gli occhi. Erano sempre nel magazzino, ma era per terra, dentro un armadio in parte scassato, avvolti da un’infinità di stoffe che sembravano piovere dall’alto. Cos’erano? Tute di lavoro? Tovaglie? Non capiva. La bocca gli pulsava come se gli avessero detonato al centro del palato una bomba a mano. Dal ginocchio non sentiva nemmeno più il dolore, tanto era gonfio. La testa gli girava come non mai, ma aver cambiato posizione e avere le gambe stese sul pavimento lo avevano sollevato, e non di poco. Sentiva un respiro su di lui. Respiro e vaniglia.

 

«Meimi», ansimò, fissandola. Era Meimi.

 

In Asuka cervello e cuore avevano sempre fatto a cazzotti. Fin da quando era bambino, il cervello aveva preso il volante dopo aver legato il cuore e dopo averlo chiuso nel bagagliaio. Ogni tanto, il secondo mugolava da dentro, offrendo i suoi pareri e spingendo il ragazzo verso quella o quell’altra risoluzione. Ma, ripeto, il volante della baracca ce l’aveva il cervello. Quella sera, però, il cervello era stato messo fuori gioco da un criminale italiano dal capello selvaggio vestito di bianco. E così, con calma e serenità, il cuore, liberatosi dalle corde delle consuetudini e dal bavaglio delle pare mentali, era libero di mettersi al volante del ragazzo fischiettando un motivetto che sapeva di montagna, acqua fresca ed erbette stagionali. «Meimi…». Era Meimi. Il cervello era steso a terra, suonato come una zampogna. E non poteva essere lì a fargli venire mille interrogativi. Non poteva ricordargli – a ragione – che Meimi era una pasticciona imbranata mentre Saint Tail era un genio. Non poteva suggerirgli in alcun modo che Saint Tail aveva un fascino di un tipo mentre Meimi era tutta un’altra persona. Non poteva girargli le carte in tavola. Così Asuka dovette accontentarsi, senza sovrastrutture, della banalità dei fatti. L’amore che provava per Saint Tail era identico a quello per Meimi, perché il suo cuore era lo stesso. Era stato ingannato? Era stato preso in giro? Avrebbe dovuto catturarla o imprigionarla? Ripeto: il suo cervello era stato pestato, legato e chiuso a chiave dentro il cesso di un Autogrill mentre il suo cuore, libero da freni, sfrecciava a 130 all’ora sull’autostrada della felicità. «Meimi… io».

 

La ragazza non si scompose neppure. Si limitò, con un dito di fronte alla bocca, ad invitare Asuka a starsene zitto. Ma la mano continuava a tremargli. E non era vergogna né paura. Solo la semplice voglia di fare a pezzi quello che l’aveva ridotto così. Improvvisamente, Asuka spalancò gli occhi come colpito da una scarica elettrica. «Tu…». Non potendo muovere le braccia, ancora troppo stanche per azzardare la benché minima flessione, fissò la spalla sinistra della giovane maga. La Belva non aveva sparato tutte le sue pallottole a vuoto. Un rivolo di sangue le cadeva giù per il braccio, la spallina del tutù era squarciata, mostrando la pelle e una vistosa ferita. Era stata colpita di striscio, ma era pur sempre stata colpita. Pareva non se ne fosse nemmeno accorta.

 

Quando la Belva lo aveva colpito, gli aveva cavato un dente e spezzato un ginocchio, aveva provato un’ondata di angoscia e di dolore. Ma nemmeno un briciolo di rabbia. Ora, vedendo la ragazza ferita, seppur lievemente, si accorse di avere una specie di gatto nello stomaco che si stava facendo le unghie sulle mucose delle pareti interne. Se avesse avuto il controllo del suo corpo, ora ridotto a una specie di inutile manichino, si sarebbe alzato e avrebbe svitato il cranio a quel criminale. Ma non poteva.

 

«Non è nulla», sussurrò la ragazza. Fece per alzarsi, poi, però, ad occhi chiusi, si chinò su di lui. Se l’era già fatta addosso: in caso contrario se la sarebbe fatta addosso in quel momento. Fu un istante. Un timido bacio sulla fronte sporca e sudata. Il classico bacetto che danno le mamme mettendo a letto i loro figli o le nonne quando salutano i nipotini con le loro labbra sbavanti. «Io», sussurrò il ragazzo, che si accorse con stupore che nessuna parte del corpo gli faceva più male. Altri due bacetti così e sarebbe andato in paradiso.

 

«Non muoverti», ripeté la ragazza. Continuava a tremare, ma era un tremore un po’ diverso. Era sempre rossa in viso, ma ora non erano solo lacrime. Gli diede un’ultima occhiata, si ricordò perché stava combattendo e tornò. Gli avrebbe fatto pagare tutto con gli interessi.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lisa e Seya / Vai alla pagina dell'autore: Andrewthelord