Capitolo 1: Bucaneve: Nuove Speranze
-Ehy mammina! Guarda come nevica! Andiamo a giocare?- dissi io nella speranza di far tornare mia madre di buon umore.
Niente. Tutto ciò che vedevo nei suoi occhi era solo tristezza con un leggero accenno di rabbia ed incredulità.
Mio padre ci aveva lasciate, abbandonate e, oltretutto, per la seconda volta. Ne ero certa… mia mamma non avrebbe mai più perdonato Philip.
Non volevo vedere quella povera donna piangere ancora e, anche se faceva male sapere che non avrei mai più rivisto mio padre, cercavo di mantenere il sorriso sulle labbra per portar via un po’ di dolore a Cathrine, la mia mamma.
Alcuni giorni prima avevano bisticciato molto, urlandosi contro a vicenda. Sì, per quelle litigate ci rimanevo male, soprattutto essendo una bambina di appena 5 anni compiuti a febbraio.
La figura di mio padre non ce l’avevo ancora ben chiara, poiché non era mai stato poi così presente nella mia vita. A parte ciò sapevo che mi sarebbe mancato  osservare le sue fossette mentre leggeva il giornale in salotto, mi sarebbero mancati i suoi occhi blu come il mare in tempesta…mi sarebbe mancato LUI…
-Diana…- disse la donna dopo vari minuti di silenzio –non buttare mai i tuoi sogni al vento, MAI! Lotta per loro fai di tutto per realizzarli e non far dire alle persone che non potrai mai farcela, perché non è così! Mi hai capita?- dopo questa frase annuii e scoppiammo tutte e due in lacrime.
Mia madre si alzò dalla poltrona sulla quale era seduta, si avvicinò al davanzale della finestra e prese il vaso nel quale c’era un piccolo bucaneve e me lo porse.
-Non perdere mai la speranza piccola mia…- dopo queste amorevoli parole svenne, perse i sensi. Dopo tutto si fece buio, sentii solo una sirena, probabilmente quella dell’ambulanza e iniziai a piangere. Persi la memoria. Mi risvegliai allo U.K. Hospital, ma non ricordavo niente, perciò andai nel panico. Non riuscivo a riconoscere nulla e nessuno. Ogni giorno i medici mi rimpinzavano di flebo e di farmaci per farmi stare calma e per farmi ricordare quelle orribili giornate.
Solo quando arrivavano i volontari dell’associazione Smile & co. Per far ridere e giocare i bambini malati, compresa me, riuscivo ad avere momenti di spensieratezza.
Dopo un mese in quell’ospedale mi fecero uscire.
Di Cathrine e Philip non seppi più niente, mi dissero solo che non riuscivano più a rintracciarli; mi avevano ferita entrambi.
Fui affidata alla famiglia Jonson composta da Eric ( un uomo alto e magro con gli occhi che sembravano quasi di colore viola e brizzolato), Margareth (una donna bassa, grassa con i capelli biondi e molto vanitosa), Claire (una ragazza più grande di me di ben quattro anni, magra e slanciata e con dei capelli neri meravigliosi!).
Questa famiglia non mi trattava poi così bene: Eric mi picchiava sempre e Margareth mi insultava. L’unica con un po’ di cuore era Claire che mi difendeva quasi sempre, beccandosi anche qualche sberla per me.
Dopo questa esperienza mi chiusi a riccio.
A scuola sono stata vittima di bullismo, non fisico, ma psicologico.
Se prima parlavo molto dicendo sempre la mia opinione ora non lo facevo mai, se prima ero perseverante e costante ora ero timida ed insicura.
EEHILAAAA!!!!
Come andiamo ragazze/i??
Vi ho incuriosito con questa nuova storia?
Tranquille/i il nostro salvatore arriverà tra un paio di capitoli!!!
Un abbraccio grande, grande ------ symy