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Autore: Raheela Orbeli    22/04/2014    3 recensioni
Poi c’era sempre lei. Lui la chiamava la Sconosciuta perché non ricordava chi fosse, ma sapeva che lei era importante. Doveva essere una sua parte, perché ne sentiva la mancanza, nel suo cuore. La denominava anche come Luce, perché era l’unica parta del suo passato che non era adombrato completamente, la sentiva, la percepiva ma non la raggiungeva. Mai.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
-Eugenio Montale.

Tulipani. Cosa gli ricordavano i tulipani? Avevano un qualcosa di familiare, legato al suo passato, ma poi, cos’era il passato? Ogni ricordo era ricoperto di una patina oscura, come un vetro di una macchina dopo la pioggia. Solo che per lui era sempre temporale, era costantemente solo, in balia di sensazioni remote. Piccoli brandelli di luce che erano sempre oscurati dal buio.
Quella parola però gli era rimasta nella mente. Vedeva quel fiore nei suoi sogni, le sue chiare tonalità rappresentavano il caleidoscopio di pensieri altalenanti che lo tormentavano. Poi c’era sempre lei. Lui la chiamava la Sconosciuta perché non ricordava chi fosse, ma sapeva che lei era importante. Doveva essere una sua parte, perché ne sentiva la mancanza, nel suo cuore.  La denominava anche come Luce, perché era l’unica parta del suo passato che non era adombrato completamente, la sentiva, la percepiva ma non la raggiungeva. Mai.
Sai cosa simboleggia questo fiore, Antonio? L’amore che sboccia , l’amore nuovo. L’amore eterno. Siamo noi due, Ant. Tu mi hai trovato, io ti ho salvato e saremo insieme per sempre. Ricorda.  Per sempre, amore mio.
Quelle parole lo perseguitavano in continuazione, perché non ricordava quell’amore, perché il suo “per sempre” sembrava già finito? E lei dov’era, era sparita con il gelo invernale che distrugge i fiori? Sepolta dalla neve?
Voleva distruggere ogni cosa, desiderava correre, correre fino a dissolversi, fino a non esistere più, per essere solo un vago ricordo. Non poteva, non ci riusciva perché la realtà lo colpiva come se avesse ricevuto uno schiaffo in faccia: era vecchio.  Se si fosse mosso, le giunture avrebbero iniziato a scricchiolare, come se stesse per andare in pezzi, il fiato gli sarebbe mancato, un uomo in cerca di aria mentre sta per annegare.
Sapeva che prima non era così, era una convinzione. Come il fatto che lui si chiamasse Antonio, solo che il prima era così offuscato…
Esisteva solo il dopo, e non era bello. Per niente. Il dopo premetteva tante cose, non si poteva stare bene con se stessi senza sapere il passato. L’uomo senza passato è come un cieco, brancola nel buio. E lui era così, un cieco senza ricordi. Senza famiglia, senza amore.
Poi la vide quella foto, sul comodino, vicino al letto, dove di solito dormiva. Non sapeva neanche se fosse in camera sua ma quella foto gli apparteneva. Come aveva fatto a non vederla prima?. C’era una ragazza, leggiadra, con la pelle diafana in pieno della sua giovinezza. Il sorriso innocente di chi deve ancora scoprire il mondo, il volto dolce e rilassato ne erano la prova. Provò a confrontarlo con il suo, di volto. Era pieno di rughe, pelle morta che scendeva dal suo viso, come se volesse scappare da lui. Era un mostro, lui non era quella pelle morta, si sentiva così vivo, era un turbine di emozioni dentro di sé. Una folgorazione lo illuminò in quel momento, quella giovane ragazza era Luce, la sua Luce, la Sconosciuta del suo cuore. Era seduta su un prato di fiori. Tulipani.
E fu allora che avvenne. Ogni cosa tornò al suo posto, come piccoli pezzi di puzzle, Luce era Maria, la sua donna, sua moglie. Era colei con cui aveva condiviso la giovinezza fatta di lunghe passeggiate vicino al mare, cinema e baci rubati per non farsi vedere dai genitori troppo poco permissivi. Era colei che, da adulta, era stata la madre dei suoi figli. Parte di lui, come si chiamavano? Non lo ricordava. Nulla era importante ora, perché Maria era tornata da lui per l’eternità. Rivide lei mentre gli sorrideva il giorno del loro matrimonio, sembrava un angelo. Felice in quel vestito vecchio di generazioni, che la sua stessa madre le aveva donato piena di speranze per il futuro di quel piccolo bocciolo da poco fiorito.  Portava in mano dei fiori, simbolo della speranza e si avvicinò a lui sicura perché, tra loro, era lei quella forte, l’aveva sempre saputo.
Solo che non esistevano solo i ricordi belli, erano presenti anche quegli brutti, che facevano piangere e appesantire l’animo. Ricordò ogni cosa, non soltanto i teneri momenti di amore, ma anche quelli di dolore. Vide la sua dolce Maria, quella ragazza energica e solare, trasformarsi in un relitto umano, un po’ come lui in quel periodo. Vide l’ultimo respiro esalare dalle sue rosee labbra, quelle che aveva baciato con tanto amore e devozione per anni. Inutile. Lei aveva promesso, sarebbero stati insieme per sempre. Eppure l’aveva abbandonato, lui era fragile senza di lei, non poteva andare avanti. Era lei quella che lo sollevava su nei momenti di sconforto che le strappava sempre un sorriso. Il dolore era insopportabile. Incontenibile, senza precedenti, una morsa vorace che gli attanagliava lo stomaco per non lasciarlo andare. Ogni cosa si offuscò, non era possibile che Maria fosse morta, non poteva crederci, preferiva sognare una realtà diversa da quella effettuale, non avrebbe fatto così male. Per questo decise: si abbandonò all’oblio, perché i ricordi non servivano a nulla senza la sua Luce.
 
Poiché ho descritto la storia di un amore, voglio dedicare questa piccola “cosa” al mio, di amore. Giselle, la mia mogliah, o wifeh, perché fa figo u-u ti adoro troppo, grazie per esserci sempre per me. Per fortuna che ti monopolizzavo sempre la bacheca di Facebook (lo faccio ancora, no?) altrimenti non ci saremo conosciute e non avrei potuto apprezzare la persona speciale che sei.
 
Detto questo, parlo della storia, l’ho voluta mettere oggi perché sono i miei due anni qui su Efp *suona una trombetta (?)* e volevo festeggiare postando qualcosa, visto che l’ispirazione mancava da tanto. Questa storia l’ho scritta di getto, forse ci saranno errori di grammatica *prega* o altro, ma dovevo metterla, è incentrata sulla demenza senile perché è una problematica che mi sta a cuore, spero di averla trattata bene. Anche se sono molto arrugginita.
Malandrina Prongs.

 
 
   
 
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