{ Naive Purity }
Alle
sette di sera, ogni giorno, Sasuke faceva il bagno.
S'immergeva
in una grande vasca bianca colma d'acqua, le bollicine di
sapone si allontanavano l'una dall'altra simili a cariche elettriche
respinte,
e attendeva.
Il
capo immobile stava ritto, seguendo la linea della schiena bagnata,
pronto a non farsi cogliere impreparato se Itachi fosse entrato di
sorpresa,
salutandolo con un cenno che lui, solo lui, avrebbe potuto vedere.
Mentiva
al suo corpo quando l'acqua si faceva troppo fredda per poter
essere utilizzata, ripetendosi che, se avesse iniziato a tremare, si
sarebbe sporcato
[ E Itachi l'avrebbe voluto, un otooto sporco? ].
Usciva,
allora, asciugandosi lentamente, consumato dall'attesa e dal
gocciolio dell'acqua che scandiva il tempo passato.
Mentre
percorreva a piedi nudi il corridoio, sapeva che lui, nascosto,
lo stava spiando.
Con
grande cura, controllava di non aver lasciato minima traccia di
sporco, che fosse polvere o fango; era consapevole comunque che una
volta
incontrato lo sguardo di Itachi, a cena, ciò non sarebbe
bastato.
Sasuke,
ogni giorno, alle sette di sera, faceva il bagno. E
controllava e ricontrollava se fosse sporco. [ Se Itachi non gli
prestava
attenzione, era per quello. Solo per quello. ]
***
«Sasuke.»
Aveva
uno strano modo, di
chiamarlo: le labbra si schiudevano appena, senza dar modo di vedere il
movimento rapido della lingua contro il palato.
Quando
talvolta lo
chiamava, Sasuke non distoglieva mai lo sguardo dalla sua bocca.
«Sì,
Aniki?»
Correva
verso di lui, le
piante dei piedi nudi a terra, l'espressione esaltata nascosta con una
certa
ereditata abilità; o forse acquisita - perché no?
- dal grande sensei ch'era
stato Itachi, in quegl'anni.
Sasuke
aveva paura di
avvicinarsi troppo, come se, d'un tratto, avesse potuto respingerlo
come una
bollicina sporca sul pelo dell’acqua.
[
L'Aniki era così pulito, l'Aniki odiava così
tanto lo sporco. ]
«Sto
uscendo, Sasuke.» -
affermò, scrutandolo blandamente.
Ricordava
che, quando il
fratello l’aveva aiutato ancora a fare il bagno, non aveva
mai provato alcuna
sorta di timore.
Aveva
iniziato a temerlo
dopo aver assistito ad un suo allenamento - uno scherzo, per Itachi -
ed essere
rimasto incantato dall'attitudine spiccante del fratello.
Quel
corpo così
immacolato, al contatto con il suo, lo rendeva sempre troppo
miseramente
sporco.
Sempre.
Troppo.
«Vuoi
venire?»
Alla
fine si scordava di
tutte quelle paranoie sciocche, si scordava perché era
Itachi a fargliele
scordare.
Quando
ogni sera, poi, tornava
ad attenderlo, si sentiva inevitabilmente più sporco del
giorno precedente.
Con
il tempo maturò la
convinzione che Itachi lo facesse persino a posta, per metterlo alla
prova, per
pulirlo. Ed era senz'altro un bene avere un nii-san
come lui, così attento,
così buono.
Correndo
ancora [ ancora
] verso di lui, non provò nient'altro che una sensazione di
sollievo.
«Certo,
Aniki.»
Lo
ammirava segretamente,
scorrendo con le pupille febbricitanti sulla pelle bianca e candida del
fratello maggiore, saggiando con il pensiero il contatto freddo e duro
che
avrebbe provato toccandolo.
Non
che quell'immagine che
aveva creato di lui corrispondesse necessariamente al vero, ma tendeva
ad
avvicinarsi ogni giorno di più, piano, senza sbiadire.
Non
lo colpiva affatto il pensiero
che quella stessa immagine sfregata più e più
volte con il sapone potesse
perdere colore. [ Itachi era pulito, sempre, sempre. ]
Camminavano.
I
sassolini delle strade
stridevano contro la suola delle scarpe: non c'era altro rumore, se si
fosse
escluso quello dei saltelli incostanti di Sasuke.
Cercando
di andare al
passo con il fratello, finiva sempre per stancarsi; di tanto in tanto
recuperava la distanza saltellando, smettendo solo una volta
più vicino; lo
affiancava con un mezzo sorriso stirato.
Itachi
stringeva le mani
nelle tasche.
Benché
Sasuke facesse un
gran numero di rumori, non gli aveva mai prestato più di
qualche secondo. In
quel lasso di tempo, però, ricambiava il mezzo sorriso
stirato con uno
identico, dalla stessa piega delle labbra e del suo contorno.
«Dove
andiamo, Aniki?» -
chiese a quel punto il più piccolo, schiarendosi la voce [
macchiata ] ridotta
ad una vibrazione del vento.
Alzò
i suoi occhi grandi
convinto di incontrare lo sguardo inespressivo del fratello - gli occhi
vuoti,
neri, quasi privi di pupilla -, ma non trovò altro che un
profilo dal contorno
definito, con il mento alto.
Ebbe
l'impressione di
dover ripetere la domanda, così come, nello stesso momento
in cui aprì la bocca
per porgergliela, capì che avrebbe continuato a non
rispondergli e a mostrargli
quel profilo irraggiungibile.
Sbuffò
silenziosamente.
«Se
tu oggi non tornassi a
casa, Sasuke, ti dispiacerebbe?» Itachi si fermò.
Non rimase alcun rumore,
nell'aria, a fare da sfondo a quella scena.
Il
cielo non era altro che
una macchia grigiastra, nulla che potesse rendere onore al suo Aniki.
«Certo
che no, Aniki.»
«Quindi...»
- replicò il
fratello maggiore, - «Non ti spiace per la kaa-san e il
tou-san?»
Sasuke
aggrottò la fronte,
le sopracciglia si sfiorarono appena.
Scosse
la testa, senza
capire.
«Oggi
verrai con me,
otooto.» - sussurrò Itachi, riprendendo a
camminare, - «Ad allenarti.»
Sasuke,
in quel momento,
non riuscì a sorridere.
Nemmeno
un po'.
Rideva
[ rideva ]
scordandosi che lui, ogni giorno, alle sette di sera, faceva il bagno e
attendeva Itachi.
Quella
sera sarebbe stato
sporco, molto più sporco delle altre sere.
E
Itachi l'avrebbe odiato.
***
Gli
shuriken ferivano gli
alberi scrostandone la corteccia e penetrando nel legno in colpi rapidi
e privi
di rumore. Sasuke non riuscì ad estrarne nemmeno uno,
finché non si tagliò e
nascose la mano in una tasca.
Itachi
guardava il suo
operato, fingendo di sorridere.
«Otooto,»
- chiamò, alzando
la katana in alto, - «vuoi provare?»
La
sua voce reincarnava
quel suono simile ad un sibilo che gli shuriken non avevano espresso; i
ninja
riuscivano a coglierlo facilmente e Sasuke fu felice di esserlo o,
perlomeno,
di diventarlo.
Avrebbe
atteso ancora, per
la voce di Itachi.
La
katana aveva
l'impugnatura calda - l'immagine che aveva della sua pelle, del calore
del suo
Aniki, non corrispondeva - e il piccolo Uchiha strinse le dita attorno
ad essa.
La
ferita che s'era fatto
in precedenza la macchiò di sangue, le gocce scivolarono
lungo la lama lucida.
Ebbe
l'istintivo impulso
di chinarsi e ripulirne la superficie, ma l'immagine di Itachi che,
ogni
giorno, affilava e ripuliva la katana bloccò le sue
ginocchia: rimasero ferme,
piegate in una posizione dolorosa.
Aveva
sporcato la
katana di Itachi.
«Ti
sei fatto male,
Sasuke?»
Lasciò
cadere l'arma,
voltandosi verso il fratello maggiore.
Alzò
gli occhi, sicuro di
incontrare il suo profilo, invece si scontrò con le sue
sopracciglia
corrucciate e la sue labbra schiuse in una domanda non posta.
La
sola parola che gli
veniva in mente era una delle tante che non avrebbe mai potuto
appartenere al
vocabolario che Itachi usava con lui. La ruga sottile che compariva
sulla sua
fronte, però, gli era del tutto nuova [ preoccupazione
].
«No,
Aniki.» - balbettò,
sfregando la mano contro i pantaloncini; si dipinse su di essi una
macchia
informe e rossastra, su cui Sasuke evitò di posare gli occhi.
«Fammi
vedere.» - ordinò
appena, prendendo la mano del fratellino. L'aprì lentamente,
guardando il suo
braccio disteso e tremante.
Lavò
la ferita con l'acqua
della sua tanica, inconsapevole che il cuore di Sasuke stesse gioendo
tanto
quanto il giorno in cui il tou-san s'era complimentato con lui, dopo
che aveva
compiuto la Goukakyuu no Jutsu.
Gli
fasciò la mano con un
fazzoletto bianco.
«Devi
fare attenzione,
otooto,» - sussurrò Itachi, impugnando saldamente
la katana, - «un giorno sarà
tua e squarcerai gli alberi al mio stesso modo.»
La
lama fendeva l'aria con
un moto circolare: sembrava dividerla in tante sfere, separate a loro
volta
all'infinito. Quando finalmente si scontrò con un albero,
non vide che polvere.
La
katana scivolava fra le
schegge, nella carne del tronco, ferendo quanto più
possibile contenuto in
esso. [ Gli sfuggiva la parola, in quel momento. Proprio non gli
veniva. ]
U
c c i d e r e.
Itachi
continuò ad
allenarsi per molte ore.
Non
cadeva una sola goccia
di sudore dalla sua fronte chiara, e i vestiti erano freschi e asciutti
esattamente come all'inizio del loro viaggio.
Sasuke
rimase ad osservare
con le ginocchia strette al petto ed il mento poggiato su questi.
I
vestiti aderivano alla
sua pelle e la sua schiena era accaldata e umida.
Quel
contrasto così netto
fra lui e suo fratello continuò a martoriare la sua mente,
finché non si
addormentò, scivolando di lato.
***
Sasuke
aveva sempre odiato
i dormiveglia.
Percepiva
con chiarezza
che il suo braccio destro - piegato sotto il petto e subente il suo
peso -
oltre a lamentarsi per il dolore, era quasi completamente paralizzato.
Lo
scostò, stringendolo fra le dita.
Il
fazzoletto bianco di
Itachi aveva delle macchioline rosse, ancora una volta distolse lo
sguardo.
Si
puntellò sui gomiti,
affondando in qualcosa di morbido; dopo vari tentativi
riuscì a mettersi a
gattoni e intuì di aver dormito su un giaciglio di stracci
morbidi, dal sottile
odore di detersivo.
Sbadigliò,
stropicciandosi
gli occhi.
Era
sera. Non c'era che
qualche accenno di luce, nel cielo.
A
quell'ora, a casa, la
kaa-san canticchiava in cucina, preparando la cena; il profumo dei suoi
manicaretti invadeva ogni stanza, cosicché era raro che lei
dovesse chiamare
per avvertirli di scendere.
L'Uchiha
arricciò il naso,
ma non percepì altro che lo stesso tenue odore di sapone.
Si
alzò in piedi, gettando
all'aria quei panni legati fra loro, strappandoli - sentì il
suono, e gli
sfuggì un sorriso quando s'accorse che qualcosa conservava
ancora le proprie
sembianze - l'uno dall'altro, urlando.
Correndo,
si rese conto di trovarsi in una casa
disabitata, costituita da un solo lungo corridoio che dava a quattro
misere
stanze, due delle quali erano chiuse a chiave.
Il
suo giaciglio si
trovava in una delle sue stanze aperte; aveva intuito che ce ne fosse
anche
un'altra dalla porta socchiusa e dalla luce aranciata che schiariva il
pavimento buio del corridoio.
Sorpassò
il tratto di luce
divaricando le gambe, con l'intento di spiare l'interno nell'esatto
momento in
cui il suo piede destro si fosse trovato a mezz'aria.
«Entra.»
L'ombra
che il suo
corpicino disegnava sul corridoio era immensa, sin troppo nera per
trovare una
benché minima scusa per non entrare nel bagno di Itachi.
Schiuse
la porta, che
emise un cigolio pigro e lento.
Itachi
giocherellava con
la manopola dell'acqua calda, gli occhi puntati saldamente su di essa,
sulle
sue incanalature biancastre e sul cerchio rosso applicato sul pomo come
se non
fosse un'aggiunta, ma semplice parte di esso, come sangue.
Il
piccolo Sasuke si fermò
sull'orlo della vasca, chiedendosi se quel verbo usato dall'Aniki non
si fosse
semplicemente riferito alla stanza, ma anche alla candida vasca bianca.
«Entra.»
- ripeté
dolcemente, accomodandosi nell'acqua; la schiena, che fino ad un
momento prima
era stata dritta e attenta, scivolò comodamente
all'indietro, lasciando
emergere per riflesso il ginocchio sinistro.
Il
suo otooto si spogliò
di spalle, infilandosi nella vasca rapidamente. Itachi finse di non
aver notato
il rossore innaturale che aveva imporporato il viso del fratello.
Respirò.
Le
braccia deboli di Sasuke erano incrociate al petto, un gesto quanto
più bizzarro in una vasca da bagno; gli occhi erano calati
sulle bollicine di
sapone, in attesa che un qualsiasi discorso spezzasse il silenzio.
«Li
ho uccisi.»
Non
che quel silenzio
fosse poi così fastidioso, nient’affatto!, ma
esprimeva così bene la sua
mancanza di parole che sembrava riuscire quasi a tangere l'indifferenza
di
Itachi.
Era
un silenzio doloroso.
«Cosa?»
Il labbro
inferiore di Sasuke non tremava a dovere, così come gli
incisivi non si
atteggiavano a morderlo per bloccare quella paura che non c'era.
«Li
ho uccisi io, otooto,
io, io, io.»
E,
poi, fra le pause del
silenzio, lui lo sentiva. Sasuke lo sentiva.
«Sono
stato io ad
eliminare la tua famiglia, Sasuke.» Pausa. [ Tic-toc-tic-toc ]
Percepiva
le lancette
dell'orologio marciare nel loro spazio circolare. Le immaginava,
ignorando le
parole ossessive dell'Aniki.
«Sono
io ad essere
sporco, otooto. E tu... tu...» I suoi lineamenti si confusero
e si fusero
facilmente con i suoi.
L'otooto
lo guardava - si
guardava - ed il suo sguardo era del tutto inespressivo.
Quando,
poco dopo, si
ritrovò nella stessa posizione di Itachi, tornò a
ridere. Buttò il capo
all'indietro, incurante di non stare ritto e del pericolo di essere
colto impreparato.
Non
c'era una sola
bollicina di sapone, nell'acqua.
Si
specchiò, e - del volto
di quel bambino che era - non trovò altro che sé
stesso, all'età di dodici anni
– senza più infanzia.
L'orologio,
appeso al
muro, segnava le sette di sera.
Sasuke
non smise un solo
attimo di ridere, portandosi qualcosa al polso sinistro [ della
fasciatura
bianca non rimaneva che il ricordo delle macchie rosse ].
Ben
presto l'acqua si
tinse di rosso, e della risata dell'unico Uchiha rimasto in quella casa
non si
dipinse altro che un sorriso semiaperto, leggermente tirato.
Sasuke,
alle sette di
sera, ogni giorno, faceva il bagno. E controllava e ricontrollava se
fosse
sporco. [ Se Itachi non gli prestava attenzione era per quello, solo
per
quello: il suo corpo era sempre inesorabilmente troppo pulito.
]
N\A
Mi
permetto di
puntualizzare alcuni aspetti di questa fan fiction.
Sasuke
sogna. Un sogno –
incubo, per la precisione – che domina nell’intero
testo fino alla fine,
rendendo il risveglio persino parte di esso.
Si
risveglia nella postura
di Itachi, ammirandolo ancora dunque, e si taglia le vene non volendo
ferire
solo sé stesso ma anche l’immagine di Itachi in
quella stessa posizione.
Il
suo sogno rispecchia
desideri e paure, pertanto è la sintesi di anni passati a
convivere con essi e
con la figura del suo Aniki, il che spiega perché non appare
come un sogno
confuso e privo di reale significato.
Infine
c’è il dominio
dell’ossessività, che percorre interamente la
fanfic.
La
dedico al mio forum. E
ad Alexia, perché le voglio un mondo di bene e
perché ho intenzione di
convertirla allo yaoi. >.>
Inoltre
spero vogliate
visitarlo, ci terrei veramente molto: Fanfiction
Contest.
Ja
ne!