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Autore: Evillinnie    17/07/2008    6 recensioni
«Cosa?» Il labbro inferiore di Sasuke non tremava a dovere, così come gli incisivi non si atteggiavano a morderlo per bloccare quella paura che non c'era.
«Li ho uccisi io, otooto, io, io, io.»
E, poi, fra le pause del silenzio, lui lo sentiva. Sasuke lo sentiva.
«Sono stato io ad eliminare la tua famiglia, Sasuke.» Pausa. [ Tic-toc-tic-toc ]
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L’incubo infinito di Sasuke Uchiha, la sua ossessione, i suoi ricordi: parole dimenticate sommate in un’unica fanfic. [ Itachi/Sasuke ]
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Prima classificata sul YFC.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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          { Naive Purity }

Alle sette di sera, ogni giorno, Sasuke faceva il bagno.

 

S'immergeva in una grande vasca bianca colma d'acqua, le bollicine di sapone si allontanavano l'una dall'altra simili a cariche elettriche respinte, e attendeva.

 

Il capo immobile stava ritto, seguendo la linea della schiena bagnata, pronto a non farsi cogliere impreparato se Itachi fosse entrato di sorpresa, salutandolo con un cenno che lui, solo lui, avrebbe potuto vedere.

 

Mentiva al suo corpo quando l'acqua si faceva troppo fredda per poter essere utilizzata, ripetendosi che, se avesse iniziato a tremare, si sarebbe sporcato [ E Itachi l'avrebbe voluto, un otooto sporco? ].

 

Usciva, allora, asciugandosi lentamente, consumato dall'attesa e dal gocciolio dell'acqua che scandiva il tempo passato.

 

Mentre percorreva a piedi nudi il corridoio, sapeva che lui, nascosto, lo stava spiando.

 

Con grande cura, controllava di non aver lasciato minima traccia di sporco, che fosse polvere o fango; era consapevole comunque che una volta incontrato lo sguardo di Itachi, a cena, ciò non sarebbe bastato.

 

Sasuke, ogni giorno, alle sette di sera, faceva il bagno. E controllava e ricontrollava se fosse sporco. [ Se Itachi non gli prestava attenzione, era per quello. Solo per quello. ]

 

***

 

«Sasuke.»

Aveva uno strano modo, di chiamarlo: le labbra si schiudevano appena, senza dar modo di vedere il movimento rapido della lingua contro il palato.

Quando talvolta lo chiamava, Sasuke non distoglieva mai lo sguardo dalla sua bocca.

«Sì, Aniki?»

Correva verso di lui, le piante dei piedi nudi a terra, l'espressione esaltata nascosta con una certa ereditata abilità; o forse acquisita - perché no? - dal grande sensei ch'era stato Itachi, in quegl'anni.

Sasuke aveva paura di avvicinarsi troppo, come se, d'un tratto, avesse potuto respingerlo come una bollicina sporca sul pelo dell’acqua.

[ L'Aniki era così pulito, l'Aniki odiava così tanto lo sporco. ]

«Sto uscendo, Sasuke.» - affermò, scrutandolo blandamente.

Ricordava che, quando il fratello l’aveva aiutato ancora a fare il bagno, non aveva mai provato alcuna sorta di timore.

Aveva iniziato a temerlo dopo aver assistito ad un suo allenamento - uno scherzo, per Itachi - ed essere rimasto incantato dall'attitudine spiccante del fratello.

Quel corpo così immacolato, al contatto con il suo, lo rendeva sempre troppo miseramente sporco.

Sempre. Troppo.

«Vuoi venire?»

Alla fine si scordava di tutte quelle paranoie sciocche, si scordava perché era Itachi a fargliele scordare.

Quando ogni sera, poi, tornava ad attenderlo, si sentiva inevitabilmente più sporco del giorno precedente.

Con il tempo maturò la convinzione che Itachi lo facesse persino a posta, per metterlo alla prova, per pulirlo. Ed era senz'altro un bene avere un nii-san come lui, così attento, così buono.

Correndo ancora [ ancora ] verso di lui, non provò nient'altro che una sensazione di sollievo.

«Certo, Aniki.»

Lo ammirava segretamente, scorrendo con le pupille febbricitanti sulla pelle bianca e candida del fratello maggiore, saggiando con il pensiero il contatto freddo e duro che avrebbe provato toccandolo.

Non che quell'immagine che aveva creato di lui corrispondesse necessariamente al vero, ma tendeva ad avvicinarsi ogni giorno di più, piano, senza sbiadire.

Non lo colpiva affatto il pensiero che quella stessa immagine sfregata più e più volte con il sapone potesse perdere colore. [ Itachi era pulito, sempre, sempre. ]

Camminavano.

I sassolini delle strade stridevano contro la suola delle scarpe: non c'era altro rumore, se si fosse escluso quello dei saltelli incostanti di Sasuke.

Cercando di andare al passo con il fratello, finiva sempre per stancarsi; di tanto in tanto recuperava la distanza saltellando, smettendo solo una volta più vicino; lo affiancava con un mezzo sorriso stirato.

Itachi stringeva le mani nelle tasche.

Benché Sasuke facesse un gran numero di rumori, non gli aveva mai prestato più di qualche secondo. In quel lasso di tempo, però, ricambiava il mezzo sorriso stirato con uno identico, dalla stessa piega delle labbra e del suo contorno.

«Dove andiamo, Aniki?» - chiese a quel punto il più piccolo, schiarendosi la voce [ macchiata ] ridotta ad una vibrazione del vento.

Alzò i suoi occhi grandi convinto di incontrare lo sguardo inespressivo del fratello - gli occhi vuoti, neri, quasi privi di pupilla -, ma non trovò altro che un profilo dal contorno definito, con il mento alto.

Ebbe l'impressione di dover ripetere la domanda, così come, nello stesso momento in cui aprì la bocca per porgergliela, capì che avrebbe continuato a non rispondergli e a mostrargli quel profilo irraggiungibile.

Sbuffò silenziosamente.

«Se tu oggi non tornassi a casa, Sasuke, ti dispiacerebbe?» Itachi si fermò. Non rimase alcun rumore, nell'aria, a fare da sfondo a quella scena.

Il cielo non era altro che una macchia grigiastra, nulla che potesse rendere onore al suo Aniki.

«Certo che no, Aniki.»

«Quindi...» - replicò il fratello maggiore, - «Non ti spiace per la kaa-san e il tou-san?»

Sasuke aggrottò la fronte, le sopracciglia si sfiorarono appena.

Scosse la testa, senza capire.

«Oggi verrai con me, otooto.» - sussurrò Itachi, riprendendo a camminare, - «Ad allenarti.»

Sasuke, in quel momento, non riuscì a sorridere.

Nemmeno un po'.

Rideva [ rideva ] scordandosi che lui, ogni giorno, alle sette di sera, faceva il bagno e attendeva Itachi.

Quella sera sarebbe stato sporco, molto più sporco delle altre sere.

E Itachi l'avrebbe odiato.

 

***

 

Gli shuriken ferivano gli alberi scrostandone la corteccia e penetrando nel legno in colpi rapidi e privi di rumore. Sasuke non riuscì ad estrarne nemmeno uno, finché non si tagliò e nascose la mano in una tasca.

Itachi guardava il suo operato, fingendo di sorridere.

«Otooto,» - chiamò, alzando la katana in alto, - «vuoi provare?»

La sua voce reincarnava quel suono simile ad un sibilo che gli shuriken non avevano espresso; i ninja riuscivano a coglierlo facilmente e Sasuke fu felice di esserlo o, perlomeno, di diventarlo.

Avrebbe atteso ancora, per la voce di Itachi.

La katana aveva l'impugnatura calda - l'immagine che aveva della sua pelle, del calore del suo Aniki, non corrispondeva - e il piccolo Uchiha strinse le dita attorno ad essa.

La ferita che s'era fatto in precedenza la macchiò di sangue, le gocce scivolarono lungo la lama lucida.

Ebbe l'istintivo impulso di chinarsi e ripulirne la superficie, ma l'immagine di Itachi che, ogni giorno, affilava e ripuliva la katana bloccò le sue ginocchia: rimasero ferme, piegate in una posizione dolorosa.

Aveva sporcato la katana di Itachi.

«Ti sei fatto male, Sasuke?»

Lasciò cadere l'arma, voltandosi verso il fratello maggiore.

Alzò gli occhi, sicuro di incontrare il suo profilo, invece si scontrò con le sue sopracciglia corrucciate e la sue labbra schiuse in una domanda non posta.

La sola parola che gli veniva in mente era una delle tante che non avrebbe mai potuto appartenere al vocabolario che Itachi usava con lui. La ruga sottile che compariva sulla sua fronte, però, gli era del tutto nuova [ preoccupazione ].

«No, Aniki.» - balbettò, sfregando la mano contro i pantaloncini; si dipinse su di essi una macchia informe e rossastra, su cui Sasuke evitò di posare gli occhi.

«Fammi vedere.» - ordinò appena, prendendo la mano del fratellino. L'aprì lentamente, guardando il suo braccio disteso e tremante.

Lavò la ferita con l'acqua della sua tanica, inconsapevole che il cuore di Sasuke stesse gioendo tanto quanto il giorno in cui il tou-san s'era complimentato con lui, dopo che aveva compiuto la Goukakyuu no Jutsu.

Gli fasciò la mano con un fazzoletto bianco.

«Devi fare attenzione, otooto,» - sussurrò Itachi, impugnando saldamente la katana, - «un giorno sarà tua e squarcerai gli alberi al mio stesso modo.»

La lama fendeva l'aria con un moto circolare: sembrava dividerla in tante sfere, separate a loro volta all'infinito. Quando finalmente si scontrò con un albero, non vide che polvere.

La katana scivolava fra le schegge, nella carne del tronco, ferendo quanto più possibile contenuto in esso. [ Gli sfuggiva la parola, in quel momento. Proprio non gli veniva. ]

U c c i d e r e.

Itachi continuò ad allenarsi per molte ore.

Non cadeva una sola goccia di sudore dalla sua fronte chiara, e i vestiti erano freschi e asciutti esattamente come all'inizio del loro viaggio.

Sasuke rimase ad osservare con le ginocchia strette al petto ed il mento poggiato su questi.

I vestiti aderivano alla sua pelle e la sua schiena era accaldata e umida.

Quel contrasto così netto fra lui e suo fratello continuò a martoriare la sua mente, finché non si addormentò, scivolando di lato.

 

***

Sasuke aveva sempre odiato i dormiveglia.

Percepiva con chiarezza che il suo braccio destro - piegato sotto il petto e subente il suo peso - oltre a lamentarsi per il dolore, era quasi completamente paralizzato. Lo scostò, stringendolo fra le dita.

Il fazzoletto bianco di Itachi aveva delle macchioline rosse, ancora una volta distolse lo sguardo.

Si puntellò sui gomiti, affondando in qualcosa di morbido; dopo vari tentativi riuscì a mettersi a gattoni e intuì di aver dormito su un giaciglio di stracci morbidi, dal sottile odore di detersivo.

Sbadigliò, stropicciandosi gli occhi.

Era sera. Non c'era che qualche accenno di luce, nel cielo.

A quell'ora, a casa, la kaa-san canticchiava in cucina, preparando la cena; il profumo dei suoi manicaretti invadeva ogni stanza, cosicché era raro che lei dovesse chiamare per avvertirli di scendere.

L'Uchiha arricciò il naso, ma non percepì altro che lo stesso tenue odore di sapone.

Si alzò in piedi, gettando all'aria quei panni legati fra loro, strappandoli - sentì il suono, e gli sfuggì un sorriso quando s'accorse che qualcosa conservava ancora le proprie sembianze - l'uno dall'altro, urlando.

Correndo, si rese conto di trovarsi in una casa disabitata, costituita da un solo lungo corridoio che dava a quattro misere stanze, due delle quali erano chiuse a chiave.

Il suo giaciglio si trovava in una delle sue stanze aperte; aveva intuito che ce ne fosse anche un'altra dalla porta socchiusa e dalla luce aranciata che schiariva il pavimento buio del corridoio.

Sorpassò il tratto di luce divaricando le gambe, con l'intento di spiare l'interno nell'esatto momento in cui il suo piede destro si fosse trovato a mezz'aria.

«Entra.»

L'ombra che il suo corpicino disegnava sul corridoio era immensa, sin troppo nera per trovare una benché minima scusa per non entrare nel bagno di Itachi.

Schiuse la porta, che emise un cigolio pigro e lento.

Itachi giocherellava con la manopola dell'acqua calda, gli occhi puntati saldamente su di essa, sulle sue incanalature biancastre e sul cerchio rosso applicato sul pomo come se non fosse un'aggiunta, ma semplice parte di esso, come sangue.

Il piccolo Sasuke si fermò sull'orlo della vasca, chiedendosi se quel verbo usato dall'Aniki non si fosse semplicemente riferito alla stanza, ma anche alla candida vasca bianca.

«Entra.» - ripeté dolcemente, accomodandosi nell'acqua; la schiena, che fino ad un momento prima era stata dritta e attenta, scivolò comodamente all'indietro, lasciando emergere per riflesso il ginocchio sinistro.

Il suo otooto si spogliò di spalle, infilandosi nella vasca rapidamente. Itachi finse di non aver notato il rossore innaturale che aveva imporporato il viso del fratello.

Respirò.

Le braccia deboli di Sasuke erano incrociate al petto, un gesto quanto più bizzarro in una vasca da bagno; gli occhi erano calati sulle bollicine di sapone, in attesa che un qualsiasi discorso spezzasse il silenzio.

 

«Li ho uccisi.»

Non che quel silenzio fosse poi così fastidioso, nient’affatto!, ma esprimeva così bene la sua mancanza di parole che sembrava riuscire quasi a tangere l'indifferenza di Itachi.

Era un silenzio doloroso.

«Cosa?» Il labbro inferiore di Sasuke non tremava a dovere, così come gli incisivi non si atteggiavano a morderlo per bloccare quella paura che non c'era.

«Li ho uccisi io, otooto, io, io, io.»

E, poi, fra le pause del silenzio, lui lo sentiva. Sasuke lo sentiva.

«Sono stato io ad eliminare la tua famiglia, Sasuke.» Pausa. [ Tic-toc-tic-toc ]

Percepiva le lancette dell'orologio marciare nel loro spazio circolare. Le immaginava, ignorando le parole ossessive dell'Aniki.

«Sono io ad essere sporco, otooto. E tu... tu...» I suoi lineamenti si confusero e si fusero facilmente con i suoi.

L'otooto lo guardava - si guardava - ed il suo sguardo era del tutto inespressivo.

Quando, poco dopo, si ritrovò nella stessa posizione di Itachi, tornò a ridere. Buttò il capo all'indietro, incurante di non stare ritto e del pericolo di essere colto impreparato.

Non c'era una sola bollicina di sapone, nell'acqua.

Si specchiò, e - del volto di quel bambino che era - non trovò altro che sé stesso, all'età di dodici anni – senza più infanzia.

L'orologio, appeso al muro, segnava le sette di sera.

Sasuke non smise un solo attimo di ridere, portandosi qualcosa al polso sinistro [ della fasciatura bianca non rimaneva che il ricordo delle macchie rosse ].

Ben presto l'acqua si tinse di rosso, e della risata dell'unico Uchiha rimasto in quella casa non si dipinse altro che un sorriso semiaperto, leggermente tirato.

 

Sasuke, alle sette di sera, ogni giorno, faceva il bagno. E controllava e ricontrollava se fosse sporco. [ Se Itachi non gli prestava attenzione era per quello, solo per quello: il suo corpo era sempre inesorabilmente troppo pulito. ]

 

 

N\A

Mi permetto di puntualizzare alcuni aspetti di questa fan fiction.

Sasuke sogna. Un sogno – incubo, per la precisione – che domina nell’intero testo fino alla fine, rendendo il risveglio persino parte di esso.

Si risveglia nella postura di Itachi, ammirandolo ancora dunque, e si taglia le vene non volendo ferire solo sé stesso ma anche l’immagine di Itachi in quella stessa posizione.

Il suo sogno rispecchia desideri e paure, pertanto è la sintesi di anni passati a convivere con essi e con la figura del suo Aniki, il che spiega perché non appare come un sogno confuso e privo di reale significato.

Infine c’è il dominio dell’ossessività, che percorre interamente la fanfic.

La dedico al mio forum. E ad Alexia, perché le voglio un mondo di bene e perché ho intenzione di convertirla allo yaoi. >.>

Inoltre spero vogliate visitarlo, ci terrei veramente molto: Fanfiction Contest.

Ja ne!

L-

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