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Autore: MadLucy    23/04/2014    3 recensioni
Il principato di Dorne -l'unico a non essere stato sottomesso dai Targaryen.
Lancia del Sole -la capitale dove vengono orditi nuovi intrighi, che scuoteranno Westeros.
Un sole rosso trafitto da una lancia -lo stemma che raffigura le armi predilette dai dorniani.
Mai inchinati, mai piegati, mai spezzati -il motto implacabile di una famiglia implacabile.
Loro discendono dalla stirpe della leggendaria principessa guerriera dei Rhoynar, Nymeria; loro sono i Martell. E vogliono partecipare al gioco del trono.
|raccolta di one-shot/flashfic sull'ottava grande casata di GoT|
#1: Elia Martell
#2: Oberyn Martell
#3: Doran Martell
#4: Ellaria Sand
#5: Arianne Martell
#6: Quentyn Martell
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Arianne, Martell, Elia, Martell, Oberyn, Martell, Vipere, delle, Sabbie
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Doran
Doran Martell.



Distrazione.














Sei sempre sembrato più vecchio. Fin da quand'eri bambino, il biondo dei tuoi capelli lasciò posto a fili di cenere, come gocce di pioggia, a striarti fino alle guance magre. Le tue labbra aride formulavano sempre parole forbite e banali convenzioni, mentre i tuoi occhi vagavano a seguire il destino dei pulviscoli, a danzare pigri nell'aere; a catturare responsi e nutrire quelle tue pupille antiche. Scostavi la tracotanza con assennatezza e la superbia con distrazione, avvolto in una foschia d'irreale, seduto alla finestra, in attesa di qualcosa che il tuo sguardo cercava in un'impronta di inquietato tormento.
Sei sempre sembrato più vecchio. Eri un figlio docile ma non esemplare, silenzioso per natura, obbediente per indifferenza, più indolente che compito. Vivevi la noia senza soffrirla, quasi segretamente affascinato, con l'inerte pazienza degli alberi. Taciturno ma non scontroso, rimanevi in disparte, ad osservare, a scrutare, a sviscerare, in contemplazione d'una verità segreta intessuta nell'aria e irradiata dal sole. Qualcosa, fra i tuoi lineamenti lievi, della tua pelle logora, nella tua anima in sospeso, ricordava l'autunno.
È quella verità ad invecchiarti, a uccidere la giovinezza nei tuoi occhi, ad affievolire la voce, spandere il sorriso, prosciugare la salute? La continua conferma di quella verità, la controprova che trapela dalle parole delle persone e dallo scroscio dell'acqua.
La caducità è la tua costante. Succede quando qualcosa sguscia via dalle dita, senza prima dare alla mano la possibilità d'accettare di lasciare la presa. I tuoi genitori, ombre confuse riflesse in una pozza d'acqua. La vita scorre fra le tue caviglie senza coinvolgerti nè trascinarti via: tu sei ancora lì, alla finestra, a guardare ed aspettare.
Sulle tue spalle gravavano le aspettative di due eredi morti, di tutti quelli che probabilmente non sarebbero mai nati: due volte hai visto la vita crescere nel ventre di tua madre, due volte l'hai sentita urlare per affermarsi al mondo, e poi gocciolare via, sotto lo sguardo vacuo e torvo dei regnanti di Dorne. Ma dove va, la vita, quando fugge da quei corpi bluastri e freddi? Parevi seguirne il percorso con il tuo sguardo assorto, nel disegno delle dune e nei sospiri del vento. Morti quei piccoli sconosciuti, eri tu a dover placare l'emorragia di gioia avvelenata. Tu stavi a guardare, senza dire nulla.
Quando per la terza volta la felicità bussò alla porta, non ti degnasti d'aprire. Quando per la terza volta quel grido vitale riecheggiò in ogni sala di Lancia del Sole, formulasti una cupa profezia. Non durerà a lungo - avevi imparato a non crederci più. Essa era destinata ad abbracciare la tua intera esistenza -l'aveva già abbracciata. Nessuno ci credette: Elia sopravvisse, un fiore nel deserto, che spintona la sabbia e vince l'ardore per distendere i suoi petali. Ricordi come appariva ai tuoi occhi offuscati? Piccola, discreta, calma, una pacata presenza rasserenante che allontanò l'attenzione del popolo da quel primogenito così distratto. Forse speravano che fosse lei a diventare la loro regina. Forse sarebbe stato meglio così.
Poi venne Oberyn. In una notte rovente, in cui una luna rossa sanguinava sudore, in cui le stelle abbacinavano come visioni e l'afa s'inerpicava sulle pareti del palazzo fino a consumarle, Oberyn.
Urlava forte, fortissimo, come se volesse annunciare la propria nascita all'intero creato. Così forte che per un secondo esitasti nel pronunciare la tua benedizione. Ma poi ti giunse spontanea alle labbra, come una foglia autunnale cede al tocco del vento: non durerà, non durerà a lungo.
L'amavi con l'intensità tormentosa degli spasimanti senza speranza, Oberyn. Non facevi sentire la tua voce, eppure il tuo sguardo lo seguiva sempre, nelle sue capriole nella sabbia e nelle sue fughe fra le lenzuola delle principesse, perchè i tuoi occhi erano gli occhi di Dorne. Osservavi dall'alto Oberyn ed Elia, ancora fanciulli, giocare negli stagni dei Giardini dell'Acqua, la pelle tenera dietro le ginocchia candida come zucchero, l'elastica dolcezza delle gambe snelle e delle membra diafane, la trama dei loro capelli liquefatti che s'intrecciavano come alghe a pelo dell'acqua, la maniera in cui i nasi imperlati di gocce si scontravano goffamente -farfalle, piccole graziose farfalle. Vicino alle fiamme, falene.
Sovrapponendola a quell'immagine di bucolica euforia, la guerra pareva una sciocchezza.
E quel giorno Oberyn te lo disse, scherzando, con la sua beffardaggine che tagliava le persone a metà. -Vuoi una vita tranquilla, non è vero, Doran?-
Una vita tranquilla.
La tua voce scricchiolava come pergamena. -Sogni banali per un ragazzo banale.-
A questo Oberyn non seppe rispondere.
Mellario fu l'unico scherzo crudele che il destino riuscì a giocarti. I tuoi occhi, così avvezzi ad osservare, colsero la volubile morbidezza della sua bocca livida, la profusione di riccioli inanellati a vorticare su se stessi, quella maniera di guardarti così diversa da quella di chiunque altro, e per lei un altro infatti volevi essere. Per un attimo, cedesti alla facile impressione che la tua profezia volesse risparmiarla, almeno lei, così lucente, differente, nuova. Pretendesti, supplicasti soltanto il lusso di poterle dire sei mia, quelle due parole proibite: le pronunciasti, e per tutto il resto della vita le ricordasti come la tua migliore bugia. Non potevi avere una madre, un padre, nè Oberyn, quel fratello tanto amato, nè la piccola Elia dal portamento grazioso e il sorriso sapiente d'ingenuità, tutti loro come gocce di rugiada sulle dita, a scivolare sempre più giù.
La tua profezia vi trovò e ti punì, tanto, forte, turpemente. Eri solo uno spettatore: non avresti dovuto intrometterti. Doran Martell non avrebbe mai dovuto alzarsi dalla sua postazione alla finestra. Cercando d'andare incontro a quel che stavi aspettando, avevi soltanto rallentato la sua venuta. Il disprezzo negli occhi di Mellario sfrigolava come sangue sulla sabbia di Dorne.
-I miei figli, Doran. Sono i miei figli.-
No, sono i vostri, ma vedi? se n'era già dimenticata. Tu masticavi il suo astio senza rispondere, colpevole di non assomigliare abbastanza a quel riflesso negli occhi di tua moglie, la prima volta ch'ella ti aveva visto. Non credeva certo che suo marito fosse così distratto. Aveva capito. Avevi capito. No, lo avevi sempre saputo.
Poi Mellario se ne andò, lasciandoti in compagnia del solo freddo sulle tue labbra, l'ombra della sua ira proiettata sul granito di Dorne come una minaccia. Lei fu la prima.
La seconda fu Elia, Elia la ragazza dal sorriso saggio e il cuore bambino, ghermita dai draghi, che svanì fra le loro fauci -la malia delle scaglie scintillanti finì presto, forse troppo, e tu l'avevi sempre saputo, ma avevi continuato a fissare il mondo dall'alto, inamovibile, ad aspettare. Non vedesti mai il suo sangue.
Ai piedi del tuo trono, Oberyn sputava il suo veleno. Non potevi fargli questo; eppure lo facesti.
-Devo ricordarti il motto della nostra casata, Doran?- La voce di tuo fratello era aspra.
No, non doveva. Nessuno lo sapeva meglio di te. Neppure Oberyn.
-In questo momento, l'usurpatore banchetta nella Fortezza Rossa con i Lannister, riempiendo i boccali con il sangue di Elia e dei suoi figli!- L'appello d'un fratello, il suo.
La sentenza d'un re, la tua. Oberyn non avrebbe mai capito la differenza.
In fondo, nemmeno tu eri capace di perdonarti. A volte, avresti voluto impedirti di comprendere il mondo come una storia già letta.
Ma eri solamente uno spettatore, e osservavi, e aspettavi. Non ti fu difficile immaginare tua sorella morta: la prima volta, l'avevi fatto il giorno della sua nascita.
E quella notte in cui Oberyn si presentò da te sconvolto, pallido come solo la comprensione della morte può rendere, lacrime a segnargli le guance, e balbettava.
-Non le ricordo... non ricordo più le parole della sua canzone... la sua canzone, Doran! Cosa diceva la sua canzone?!-
Aveva pianto nel tuo grembo, quella notte, Oberyn, che pur con figlie a carico e lancia in mano era rimasto un bambino derubato. L'evidenza ti riconosceva come il più forte, d'un tratto, la stoica sapienza della pietra immemore vinceva ogni lama.
Non fare così, avresti voluto sussurrargli, tanto te ne andrai anche tu, proprio come lei. Ma non avrebbe capito. Oberyn non voleva mai capire.
E Oberyn se ne andò, il terzo, mentre le sue figlie urlavano vendetta e Dorne piangeva lacrime di sangue. E tu? Tu niente, osservavi il mondo soffrire da dietro il vetro della finestra, ed aspettavi. Nelle tue pupille non c'era più la speranza d'arrivare -soltanto la paura di perdersi.
La bufera si schiantava sui cadaveri inerti e sulle spalle erette, il sangue dei nemici si sposava nei campi di battaglia deserti, il fuoco rideva consumando il suo pasto, e tu rimanevi lì. A guardare.
Mentre Arianne piangeva un padre che non l'amava, tu ti chiedevi cosa sarebbe successo quando anche la solitudine ti avrebbe abbandonato, lì, ad osservare, ad aspettare.
Perchè le tue dita ordivano le vicende e sbrogliavano le vicissitudini di quel regno che si sentiva ignorato; perchè il tuo cuore silenzioso aveva inghiottito i singhiozzi pur di dare ai tuoi figli l'opportunità di conoscere il mondo e stringere salde amicizie; perchè le tue labbra non avevano mai dimenticato la forma soffice di quelle di Mellario di Norvos, nè ne avevano cercato delle altre per compensare quella mancanza; perchè la tua prudenza incenerì il furore per farti compiere le scelte giuste e celò le tue lacrime fino a sfibrare le guance; perchè i tuoi occhi non avevano mai visto il sangue di Elia, ma i tuoi sogni te l'avevano sempre raccontato; perchè Oberyn non era soltanto il padre delle Vipere delle Sabbie, ma anche tuo fratello; perchè i tuoi occhi osservavano le mosse dei nemici oltre il mare, governando la guerra come si governa una scacchiera. Perchè tu amavi Arianne come si ama quell'ultima speranza che sguscia via dalle dita, senza prima dare alla mano la possibilità d'accettare di lasciare la presa.
Ma nessuno se ne accorse, no. Nessuno si accorse mai di nulla. Forse, in fondo, non era il re a peccare di distrazione.



































Note dell'Autrice: Voglio molto bene a Doran. Provo uno strano affetto per lui. E' una creatura così fragile e forte.
E questo era il terzo Martell! Spero che la one-shot vi sia piaciuta. La prossima volta sarà il turno di Ellaria Sand, che, pur non essendo proprio una Martell, io ho sempre visto come la moglie di Oberyn. Non lo è ufficialmente, ma lo è spiritualmente, ed è questo l'importante.
Grazie a tutti per aver letto, spero mi farete sapere le vostre opinioni!
Lucy
  
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