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Autore: alexisvampira    23/04/2014    2 recensioni
Che ne è stato davvero di Haymitch, mentre Panem cadeva nella rivoluzione? Che ne è stato di Effie?
Una storia parallela agli eventi narrati nell’ultimo capitolo della saga, che ne riprende le fila e le narra dal punto di vista amaro di un vincitore dimenticato. Perché mentre il mondo va in fiamme, ognuno è lasciato a combattere la sua battaglia. E a fare i conti con se stesso.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Effie Trinket, Haymitch Abernathy
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Angolo autrice
Si. Sono tornata (per dolore o gioia di molti, questo non voglio saperlo). Torno con la "mia" Effie. E credetemi...il mio stato mentale è ottenebrato tanto quanto il suo. Capitolo che mi da insoddisfazione, lo confesso: l'ho riscritto almeno un paio di volte e ancora continuo a vederlo come il prodotto insipido delle abbuffate post pasquali.
Poi migliora (e si, qui sto parlando più a me stessa che a voi).
Mi rendo conto che forse potrà sembrare un capitolo strano, quasi poco evoluto. Così come i pensieri di una Effie che sembra "tornare indietro".
Ma si può lasciare la propria vita, qualunque essa sia, senza rimpianti? Io ho sempre creduto di no.
Buona (spero) lettura.

CAP. 11 - (SENZA) COLPA

(POV EFFIE)
Passi. Uno scalpiccio concitato che rimbomba tra le pareti vuote della stanza.
Mi tiro faticosamente a sedere mentre ciò che resta della mia gonna in raso struscia malamente sulle ruvide lenzuola del letto. Capisco che è stata una cattiva idea quando la testa comincia a girarmi vorticosamente e un dolore sordo e persistente si espande dalla mia tempia lungo tutta la spina dorsale.
È da molto tempo che non guardo la mia immagine riflessa in uno specchio, ma sono sicura che ai lati della fronte si sono formate due ampie chiazze scure per via delle bruciature degli elettrodi.
“Non se ne andranno mai” penso sconsolata.
Le coprirò con del trucco, per fare in modo che nessuno le noti, ma quando lo toglierò rispunteranno.
Quando sarò sola la sera e mi guarderò allo specchio, saranno sempre lì.

All’improvviso mi sento profondamente stupida.
Ho smesso di contare questi giorni di prigionia quando i pacificatori hanno smesso di venirmi a prelevare dalla cella per le mie sessioni quotidiane di elettroterapia. Probabilmente non dovrò più preoccuparmi del trucco o dell’aspetto; probabilmente non dovrò più preoccuparmi di guardare la mia immagine riflessa in uno specchio.
E tutt’a un tratto mi sento inspiegabilmente sollevata.

Il rumore sordo che mi ha svegliata poco fa continua a martellarmi nelle orecchie. Insistente, fastidioso e, per una volta, così profondamente reale.
Ultimamente non ho fatto altro che nutrirmi di allucinazioni: immagini scintillanti di un mondo creato su misura per me; ripensandoci adesso, mi sono nutrita di illusioni tutta la vita.
Mi ripetevano spesso che da questo mondo tutto ciò che non si aveva si poteva pur sempre ottenerlo.
Sono cresciuta con questa convinzione e ci ho costruito attorno tutto il mio universo.

Volevo diventare una escort dei distretti, ma mi dissero che avevo un aspetto troppo acerbo per essere considerata adeguata. E così ho ottenuto tutto ciò che mi serviva per poter essere ritenuta all’altezza.
Capitol City mi ha sempre dato gli strumenti per essere ciò che dovevo: parrucche elaborate per nascondere la semplicità dei capelli, un trucco vistoso per coprire il colorito pallido, tacchi alti per confondere la bassezza del mia figura.
Questa città ha preso i miei sogni e mi ci ha catapultato dentro, rendendomi protagonista della mia personale fiaba. Non posso mentirmi su questo: Capitol City mi ha trasformato in tutto ciò che volevo essere.
E non riesco a biasimarmi per averglielo lasciato fare.

Una volta Haymitch mi disse che nessuno può rimproverare un tarlo perché rovina il legno, nutrendosi di esso.
L’ho sempre trovata una frase sciocca e priva di raffinatezza. Un’improvvisa fitta di dolore mi assale così ferocemente da farmi spuntare le lacrime.
Ma non piangerò: e non per il trucco, o per l’orgoglio, o per la paura che qualcuno possa vedermi; è che non si può piangere, mentre si arriva finalmente a dare un senso alle cose.

A strapparmi dai miei pensieri arriva un melodia mal assortita di voci e spari. Un grido lontano che non vale la pena di ascoltare. Un insistente clangore metallico comincia a provenire dalla serratura della mia porta che ormai da troppo tempo ha smesso di aprirsi.
“Che sia finita?” penso; e d’improvviso mi ritrovo a sperarlo, semplicemente con tutte le mie forze.
Mi chiedo come sia morire. Sarà stupido, ma è una cosa a cui non ho mi dato importanza.
Ricordo un facoltoso signore molto a modo che conoscevo: si era fatto modificare il profilo genetico, e per anni non aveva mai smesso di sembrare giovane; io avevo sorpassato l’adolescenza e lui continuava a vivere in una vecchiaia senza tempo.
Questa città mi avrebbe dato anche questo: un’eternità inconsapevole. Di me stessa. E degli altri.

E io glielo avrei lasciato fare.

Perché è questo che sono: il tarlo di Haymitch; senza colpa per aver rovinato il tavolo, pur avendolo distrutto lo stesso.
Le lacrime tornano a pizzicare agli angoli dei miei occhi e questa volta non riesco a trattenerle.
Oh Effie, com’è che non si poteva piangere, quando si arriva a dare un senso alle cose?

I rumori alla porta sono cessati del tutto. Il suono del silenzio fa da sfondo ai miei singhiozzi soffocati.
Il mio mondo sta venendo a prendermi e io non vedo l’ora che lo faccia.
È stato un errore. È stato tutto un errore.
La porta si aprirà e io tornerò a essere al centro della mia vita.

“Smettila dolcezza, il tuo pianto mi annoia”. La voce della persona che più mi ha deluso è anche quella che più rivoglio indietro. Rivoglio la mia vita, perché è l’unica che conosco.
Se non hai un’illusione puoi sempre ottenerne una, in fondo.

Lo spiraglio di luce che mi investe il viso, finisce per bruciarmi gli occhi. Tra le fitte di dolore scorgo sagome scure che si avvicinano velocemente alla mia figura accasciata per terra. Il suono distante di una sirena risuona inascoltato fra i muri della stanza.
Il mio mondo è tornato a prendermi.
E piango. 
  
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