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Autore: Serpentina    24/04/2014    7 recensioni
Lei: ha deciso di dedicarsi anima e corpo al lavoro, nonostante una migliore amica determinata a ravvivare la sua vita sentimentale, "più piatta dell'elettrocardiogramma di un cadavere". Dopo una cocente delusione, ha deciso di fare suo il mantra: "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte".
Lui: strenuo sostenitore del motto "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte". Il suo obiettivo è fare carriera, non ha nè tempo, nè voglia di perdersi dietro ai battiti di un organo che, per lui, serve soltanto a mandare in circolo il sangue.
Così diversi, eppure così simili, si troveranno a lavorare fianco a fianco ... riusciranno a trovare un punto d'incontro, o metteranno a ferro e fuoco l'ospedale?
Nota: il rating potrebbe subire modifiche.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'United Kingdom of Faith'
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Bentrovati! Com’è stata la vostra Pasqua? Serena e cioccolatosa, spero. Pubblico oggi perché domani è festa e mi concedo una scampagnata con gli amici.
Come da copione il capitolo non mi convince fino in fondo, ma spero vi piaccia tanto da muovere le dita sulla tastiera e dirmi cosa ne pensate.
Enjoy!

 



Simply the Best




“L’amore a prima vista spesso non è che una svista.”
Roberto Gervaso

Nonostante la giovane età, nella sua vita Franz Weil si era trovato davanti a situazioni sgradevoli di ogni genere, e le aveva sempre affrontate di petto, con coraggio, pensando ai pro derivanti dall’osare e relegando i contro in un angolo remoto della mente.
Non era preparato, però, ad affrontare questa prova: riallacciare i rapporti con Faith.
Le sue precedenti relazioni non erano finite, erano semplicemente scivolate nel nulla: la ragazza di turno si rendeva conto di venire dopo lo studio, prima, il lavoro, poi, lui confessava che era vero e tanti saluti. Una rottura incruenta.
E’, quindi, comprensibile che fosse del tutto impreparato a gestire le emozioni che si dibattevano nel suo animo; era sempre stato convinto che le grandi passioni tormentate fossero appannaggio esclusivo del gentil sesso, invece aveva scoperto che un uomo innamorato entrava in possesso di un’ampia sfera emotiva, inimmaginabile a chi non aveva mai provato un simile sentimento.
All’inizio aveva negato, adducendo i pretesti più stupidi per giustificare il continuo pensare a Faith, anche al di fuori dell’ospedale, il nodo allo stomaco quando lei lo trattava con indifferenza o lo ignorava (il che, ultimamente, accadeva spesso), il senso di rabbia che lo pervadeva quando qualcuno la sfiorava, o la abbracciava, il fatto che, nonostante lo detestasse, non avesse avuto il coraggio di riciclare il suo regalo di Natale, un orrendo paio di “touch gloves”, guanti che consentivano di usare il touch screen senza doversi congelare le mani.
Aveva chiesto aiuto ai suoi amici: doveva venirne fuori, il suo rendimento ne stava risentendo, così come la sua salute mentale. Robert l’aveva esortato a “non fare lo struzzo, mettere la testa sotto terra non serve a niente”, Chris aveva sproloquiato sul potere dell’amore di rendere le persone migliori (argomentazione convincente, visto che, da quando frequentava Erin, aveva improvvisamente dimostrato una profonda conoscenza del galateo e un impensabile animo romantico), Harry, più pratico, aveva usato un esempio a lui congeniale.
–Husky, l’amore è come la deglutizione: la fase cefalica è volontaria, puoi fermarla, ma appena il bolo raggiunge la faringe… game over, va giù nell’esofago! Se avessi voluto avresti dovuto agire all’inizio, allo stadio di semplice interesse, ormai è tutto inutile.
–Non ci credo! Deve esserci un modo!- aveva risposto lui. –Non posso andare avanti così: io che cerco il suo perdono e lei che si diverte a tormentarmi!
–Dubito si stia divertendo- aveva asserito Robert. –Ti sei comportato malissimo con lei, è ovvio che tenti, come te, di “farsela passare” e, allo stesso tempo, di farti mettere nei suoi panni.
–Ma ci sto male, cazzo!- aveva protestato Franz.
Gli altri tre si erano scambiati occhiate d’intesa e avevano risposto come un solo uomo –Avresti dovuto pensarci prima!

 
***

Faith non se la passava meglio: sembrava che forze oscure congiurassero contro di lei. Aveva studiato gli orari di Weil e obbligato il Grande Capo a cambiarle i turni al solo scopo di evitarlo come la peste polmonare (la precisazione era d’obbligo: la forma bubbonica aveva solo l’ottantacinque per cento di letalità), eppure i suoi sforzi risultavano vani: la perseguitava con la sua presenza, quell’irritante espressione da bimbo beccato con le mani nel vasetto della marmellata e il profluvio di scuse, scuse che avrebbe accettato, se lui non l’avesse ripetutamente ferita nell’orgoglio.
Quel pomeriggio, nonostante la pioggia battente e l’umore tetro, si era ritrovata nel salotto di casa Cartridge a sorseggiare tè insieme ad Abigail, Bridget e un manipolo di insipide dame dell’alta società. Detestava con tutto il cuore quegli eventi frivoli e vani, ma se presenziando avrebbe potuto evitare che Abigail si concentrasse di nuovo sulle sue manie matrimonialiste, si sarebbe votata al martirio. La sorreggeva il pensiero che tra qualche ora sarebbe stata spaparanzata sul divano di Diane a guardare ‘Genital Hospital’.
“Mi sento sola tra i gambi di sedano”, aveva pensato, quando le apparentemente adorabili signore l’avevano letteralmente assalita. Faith aveva impiegato meno di dieci secondi per intuire la ragione di tale ingiustificata simpatia nei suoi confronti: era l’alternativa più consona. Bridget, con il rossetto scarlatto, l’abito vedo-non-vedo e la linea spessa di eyeliner alla Cleopatra esprimeva una sensualità e una personalità effervescente che le spaventava, mentre lei, col suo sorriso di circostanza perfezionato negli anni, la timidezza e il pugno di ferro abilmente camuffato da guanto di velluto, dava l’idea di essere dimessa e rispettabile.
“Chissà, forse temono di trovare Bridge a letto con uno dei loro mariti... spero di no per lei: ha troppo buon gusto!”
Tra le varie ospiti illustri spiccava per sgradevolezza Mrs. Ryan, un’avvenente ventisettenne dai natali sconosciuti, divenuta la terza donna più ricca del regno in seguito al matrimonio con Carter Ryan, noto uomo d’affari e, da un paio d’anni, socio di Brian e suo padre. Stando ai commenti malevoli delle altre, Mrs. Ryan aveva accalappiato il danaroso marito con la sua abilità di contorcersi intorno a un palo…. non che le importasse: non giudicava le persone in base al mestiere che svolgevano (purché fosse legale), e sarebbe stata ben felice di fare amicizia con lei, se avesse avuto un carattere amabile; invece era ignorante e maleducata, e né il matrimonio, né la gravidanza, che ostentava con sfacciata superiorità, l’avevano resa più trattabile.
Stava servandosi una seconda tazza di tè, quando si trovò davanti agli occhi una tazza; non si stupì di scoprire che apparteneva a Mrs. Ryan, che aveva mandato la sua schiavetta personale Olivia Ashford a riempirla.
–Incinta o no, non è giusto che schiavizzi chi le sta intorno- sibilò Faith mentre riempiva la tazza di liquido ambrato.
–Ecco cosa succede se sposi un uomo che ha l’età di tuo nonno: diventi una stronza viziata- rispose Olivia arricciando il naso lungo e puntuto.
–Mi duole contraddirti, ma, considerato il livello di stronzaggine, mi sa che è congenita- replicò Faith, per poi aggiungere –L’hai tollerata anche troppo. Lascia che metta io la testa tra le fauci della tigre.
–A tuo rischio e pericolo.
Faith le sorrise e si avviò verso la gestante, che si era sdraiata su una chaise longue. Faith adorava le chaise longue, sebbene non avesse mai considerato seriamente l’idea di acquistarne una. Porse all’altra il tè e attese un ringraziamento che non venne.
Irritata da quel modo di fare insolente, sputò –Prego, è stato un piacere.
Non seppe mai se Mrs. Ryan avesse scelto di ignorare la provocazione, oppure se non avesse colto l’ironia, fatto sta che rispose –Sei amica di Brian Cartridge, vero?
–Sì, e con ciò?
–E’ un bel tipo, vero?
–Dipende dai punti di vista- sibilò Faith, domandandosi dove volesse andare a parare quella donna.
Mrs. Ryan le rivolse un’occhiata di sufficienza e sospirò –Ci sei andata a letto.
Faith, appellatasi al proprio sangue freddo, ringhiò –Non sono la prima e non sarò l’ultima. Non capisco, però, il motivo di tanto interesse.
–Semplice curiosità. Brian è socio di mio marito e, in un certo senso, anche mio… non so come avrei fatto senza di lui.
Faith deglutì a vuoto: il tono che aveva usato le diede i brividi, e le rotelle del suo cervello cominciarono a muoversi per decifrare il mistero che si celava dietro quelle parole.
Il mistero, l’intrigo l’avevano affascinata sin da neonata; crescendo, aveva semplicemente alzato il livello, passando da ‘Basil l’investigatopo’ a gialli di spessore, che le permettevano di esercitare la propria perspicacia. Aveva intrapreso la carriera medica, tra i vari motivi, perché ritrovava nel suo lavoro gli stessi elementi di un giallo: una vittima (il malato), degli indizi (segni e sintomi) e un colpevole da scovare (la malattia) con l’ausilio delle celluline grigie e della tecnologia (esame obiettivo, esami di laboratorio e strumentali).
–Brian sa essere molto generoso- disse, sperando che una replica neutra avrebbe invogliato l’altra ad abbassare la guardia e spiegarsi meglio.
–Molto. Diciamo pure che sì dà senza riserve- ridacchiò Mrs. Ryan, per poi aggiungere, osservando accigliata il ventre appena pronunciato, che sarebbe diventato sempre più prominente. –Che palle! Non vedo l’ora di scodellarlo, così potrò riprendere la mia vita!
Faith non rispose, abbozzò un mezzo sorriso e si allontanò con mille domande che le frullavano nella testa.

 
***

Nel frattempo, in un ufficio nei sotterranei del Queen Victoria Hospital, Astrid Eriksson stava tirando le somme della settimana insieme al suo vice e braccio destro, il dottor King.
–Nessun progresso, Julian?
–Nessuno- rispose lui, scuotendo il capo sconsolato. –Se proprio volessimo essere ottimisti, potremmo dire che sono in fase di stallo. Nessuna nuova, buona nuova.
–Spiegati meglio.
–Sono giunti a un tacito accordo di non belligeranza: tollerano di stare nella stessa stanza, a patto di non essere soli.
–Conosci la mia politica, Julian: vivi e lascia vivere. Per me puoi pure essere un serial killer, basta che svolga alla perfezione i tuoi compiti- asserì Astrid, ergendosi in tutta la sua ragguardevole altezza, accresciuta dai tacchi, l’unico vezzo femminile che si concedeva sul lavoro. –Normalmente lascerei correre, ma la tensione che aleggia in reparto sta contagiando tutti come un miasma infettivo. Dobbiamo intervenire!
Il dottor King, perplesso, chiese –Dobbiamo?
Dobbiamo- ripeté decisa Astrid. –Useremo una tattica a tenaglia: tu acchiappi al lazo lui, io lei. Questa storia deve finire!

 
***

–Weil! Posso parlarti un secondo?
–Ehm… certamente, dottor King- esalò Franz, terrorizzato, pensando “Fa che non mi licenzi!”
–Non qui, nel mio ufficio- rispose l’altro, lo condusse nella stanza attigua a quella occupata dal primario, chiuse la porta e disse –Credo concorderai con me che i preamboli sono inutili e fastidiosi- “Oh, cazzo, vuole davvero licenziarmi!”, pensò Franz, sbiancando. –Solamente un cieco sarebbe rimasto all’oscuro delle… chiamiamole dinamiche… tra te e la dottoressa Irving.
–Dottor King…
–Lasciami finire. Non devi giustificarti: spesso ce ne dimentichiamo, ma siamo esseri umani…
–Mi perdoni se la interrompo, dottor King, ma non credo di aver capito bene: non mi sta licenziando?
–Licenziando?- esclamò l’altro tra le risate. –Santo cielo, no! Sarei pazzo a mandarti via! Qualche défaillance può capitare, a tutti, in qualsiasi, ehm, occasione, l’importante è rialzarsi da uomo. Non c’è nulla di male nel sentirsi abbattuti se una storia va a rotoli, ma fatti questa domanda: credi che oggi sarei vice-primario, se mi fossi lasciato distogliere dalle mie aspirazioni a ogni delusione amorosa?
–Io… credo di no, signore- sospirò Franz, chinando il capo.
–Esatto- confermò King. –Hai la stoffa per diventare qualcuno, Weil, non perdere di vista i tuoi obiettivi. Parafrasando Astrid: segui il cervello, perché il cuore… può portare fuori strada.
–Lo terrò a mente- asserì Franz, immensamente più allegro, ora che aveva la certezza di conservare il posto.
–Questa è l’espressione che voglio vederti in viso, d’ora in poi!- esclamò King, facendogli segno di andare. –Anche perché… la Irving non mi pare un’amante delle facce da cane bastonato!

 
***

–Ciao, Faith- trillò Astrid, intrufolatasi nello spogliatoio a fine turno, quando era sicura di trovarla da sola. –Devo assolutamente chiedertelo: dove hai preso quelle scarpe? Sono stupende!
–Questi?- domandò Faith, indicando gli stivaletti di pelle decorati. Secondo lei non avevano nulla di speciale, erano comodi e discretamente carini, ma non avrebbe mai osato contraddire il Grande Capo. –Li ho presi in Italia, l’ultima volta che sono andata a trovare mia cugina Bianca.
–Peccato, speravo di potermeli procurare- gnaulò Astrid, fingendosi dispiaciuta.
–Se le capitasse di andare a Firenze…
–Purtroppo no. C’è un congresso, la settimana prossima, però si terrà a Milano- sospirò Astrid. –Non mi piace Milano, mi ricorda troppo Londra.
–A me non dispiace- replicò Faith. –Ma non ci vivrei.
A quel punto, la Eriksson decise che l’introduzione era durata abbastanza: Faith aveva abbassato la guardia. Era il momento giusto per colpire.
–Sai, avevo pensato di portare te e Franz, ma un uccellino mi ha detto che non vi sopportate- cinguettò.
–Dov’è la novità?
–Mi era parso che, nelle scorse settimane, aveste appianato le vostre divergenze- celiò Astrid.
–Spazzare la polvere sotto il tappeto non equivale a pulire il pavimento- ribatté Faith. –Dubito seriamente che riusciremo a…. trovare un punto d’incontro.
–Non dire così, Faith! Un congresso internazionale non vale forse un piccolo sacrificio?
–Non ce la faccio. Mi ha offesa troppo gravemente. Scusi, prof, proprio non ci riesco, se gli sto troppo vicino io…- mormorò Faith, e lacrime silenziose solcarono le sue guance. Le asciugò, ma altre presero il loro posto, scivolando sul suo volto: aveva giurato a se stessa di non piangere, ma le sue ghiandole lacrimarie non erano d’accordo. –Scusi. Sono proprio stupida. La prego, non mi butti fuori!
Vedendola per la prima volta piccola e fragile, Astrid sospirò, le mise un braccio sulle spalle e si adoperò per tranquillizzarla.
–Faith, se avessi buttato fuori tutti quelli che sono scoppiati a piangere davanti a me, a quest’ora il reparto sarebbe deserto!
–V-Vuol dire c-che è riuscita a far piangere… il dottor King?
–Oh, sì! Gli dissi che mi era utile quanto un buco del culo sul gomito, e lui scappò in bagno a piangere e non mi rivolse la parola per una settimana- ridacchiò la svedese. Faith, pur continuando a versare lacrime, curvò le labbra nella pallida imitazione di un sorriso, al che le disse –E’ lui a perderci. Stimo parimenti te e Franz, siete i miei migliori allievi, ma ti rivelo un segreto: possiedi una dote di cui è privo. Franz è intelligente e talentuoso, ma pecca di presunzione. Tra due o tre anni avrai un avvenire luminoso avanti a te, Faith, poco importa se non ne farà parte. Vai per la tua strada; se vorrà, ti raggiungerà.
–Ha ragione. Sono stata stupida.
–Amare non è una stupidaggine, se non ti impedisce di perseguire i tuoi obiettivi. Cosa ti dissi, quando ci siamo conosciute?
Faith sbuffò una risatina, e rispose –Segui il cervello, perché il cuore non ti porterà da nessuna parte.
–Esatto- abbaiò Astrid, scattando in piedi. –Adesso asciugati le lacrime e sorridi. Fingerò che questa conversazione non abbia mai avuto luogo… se tornerai quella di sempre.
Stava per andarsene, soddisfatta, quando Faith la bloccò con una domanda.
–Prof, questo fantomatico congresso… è una sua invenzione, vero?
–Purtroppo sì. Avevo bisogno di spingere allo scoperto i tuoi veri sentimenti- rispose lei, le fece l’occhiolino e la lasciò illusa e delusa.

 
***

Quando Faith non era di turno, a meno che non avesse di meglio da fare, passava il tempo sui libri, di piacere o di studio.
Era immersa nella lettura quando udì il rumore del campanello. Aprì la porta e venne assalita da una sovreccitata Bridget, che le mise in mano un sacchetto della pasticceria di Melanie e si fiondò in cucina, prendendo alla lettera la formula di cortesia “fa come fossi a casa tua”.
–Buonasera anche a te, Bridget. Io sto benissimo, grazie dell’interessamento- sibilò Faith, contrariata, assumendo il cipiglio di un comandante sul campo di battaglia.
–Ne sono lieta- disse sbrigativamente Bridget. –Avanti, siediti, ho una notizia bomba!
Faith si morse la lingua: l’aveva invitata a sedersi in casa sua?
–B, a differenza tua e di Abby io ho del lavoro da sbrigare…
–Lo so, infatti è della dottoressa Irving che ho bisogno- la interruppe Bridget, quindi controllò il proprio aspetto in uno specchietto da borsa e si passò il rossetto sulle labbra.
–Ti serve un medico?- le chiese Faith, preoccupandosi all’istante. –Ti senti male? Vuoi che ti porti al Pronto Soccorso?
–Non è un male fisico, F, è più … un malessere dell’anima- sospirò l’altra, gettando la testa all’indietro con fare teatrale.
–Roba da colloquio psichiatrico, insomma. Che c’è?
–Come saprai, a Natale ho ricevuto gli alimenti arretrati dal mio secondo ex marito- trillò allegra Bridget. –Grazie a questi bei soldini, potrò finalmente ottenere ciò che Madre Natura mi ha negato: un lato B degno di me!
Faith, che stava masticando un boccone di rotolo alla cannella, rischiò di restarci secca dallo shock.
–Spero di aver capito male, B: vuoi rifarti il culo?
–Bingo! Il chirurgo che trasformò le mie noccioline in tette è all’estero, ma la sua segretaria mi ha raccomandato un certo dottor Marcus Best. Lo conosci?
–No, B- esalò Faith. –La chirurgia plastica non è il mio campo. Infatti mi domando: a cosa ti servo?
–Domani ho la visita preliminare e, per quanto sia elettrizzata, ho anche paura: è il mio corpo, non posso metterlo a cuor leggero nelle mani di chicchessia! Non sarai un chirurgo, ma sei comunque un medico, dunque decisamente più qualificata di me per giudicare un tuo collega. Vorrei mi accompagnassi, e, una volta fuori dallo studio, mi dicessi spassionatamente se questo Best ti sembra un professionista o un macellaio laureato. Ti dispiace?
Faith le strinse la mano e, sorridendo, rispose –E’ la prima richiesta sensata che mi fai in dodici anni di amicizia. Potrei mai rifiutare?

 
***

Franz avvertiva l’ansia crescere, tramutarsi in panico. Aveva una montagna di lavoro da ultimare e doveva darsi una mossa, se non voleva tardare all’appuntamento con Ronda; non ce l’avrebbe mai fatta senza aiuto, e di chi altri poteva fidarsi, se non della Irving?
Il problema era che chiederle un favore lo metteva in agitazione: era indeciso sulle parole e il tono di voce da usare, e temeva una risposta negativa.
“No”, pensò, “Devo calmarmi, rimanere lucido, con lei non si scherza.”
–Irving?
–Sì?
–Ehm, senti… so che il turno è finito e vorresti andare a casa, ma vorrei chiederti di fermarti per un’ora o due.
–Non posso- rispose Faith tenendo lo sguardo fisso sull’armadietto.
–Non puoi… o non vuoi?
“Entrambe. Non voglio darti la soddisfazione di sapermi qui a lavorare mentre ti diverti e non posso rovinare i piani di Bridget!”
–Entrambe- sbuffò lei. Non era nei suoi piani che Franz lo venisse a sapere. “Pazienza: ormai sono in pista, devo ballare”. –La nota implorante nella tua voce mi ha intenerita, mi sarei anche trattenuta oltre l’orario… se non avessi un impegno, e, altrettanto importante, non avessi saputo da un uccellino che stasera ti vedi con la famosa Ronda.
–Che genere di impegno? Esci con qualcuno?- le chiese, sperando in una risposta negativa.
–Se anche fosse? Sono una donna libera- rispose, sibillina, scoccandogli un’occhiata maliziosa.
–Lo so- mormorò Franz, tracciando con le dita il profilo delle lettere sulla targhetta. –Credevo ci avresti messo più tempo a mettermi da parte.
–Ti credi insostituibile, eh? E’ un difetto comune a voi maschietti- ridacchiò Faith. –Comunque il tuo ego infantile può stare tranquillo: non è una serata romantica … almeno, non per me. Bridget è ossessionata dalla costante ricerca della perfezione, così mi ha chiesto di accompagnarla a visita da un chirurgo plastico e si è ripetuta una scena trita e ritrita: il deficiente non mi ha minimamente considerata, è rimasto folgorato dall’ammiccante semi-nudità della mia amica, l’ha sommariamente visitata, ha usato il pretesto del precedente intervento per guardarle e palparle le tette…
Da uomo, Franz si soffermò su quel particolare, che per Faith era di secondaria importanza.
–La tua amica pazza si è rifatta le tette?
“Non posso crederci”, pensò Faith, sconcertata. “Di tutte le cose che ho detto, gli è rimasta in mente questa!”
–Credevo avessi più occhio, Weil. La terza abbondante di B. è artificiale, così come naso e labbra.
–Non sono un grande osservatore- rispose lui con sincerità. –A dire il vero, non ho guardato le tette della tua amica pazza con molta attenzione. Preferisco le tue … anche se non ho ancora avuto l’onore di un incontro ravvicinato.
–Sono lusingata- sibilò Faith. –Potrei persino crederci, se non ti avessi sentito urlare, poche settimane fa, che ti faccio schifo e sono il genere di donna che si innamora di qualcuno solamente per trasformarlo nel suo bambolotto.
–Faith, credimi, se potessi tornare indietro ...
–Il punto, Franz, è che non puoi- lo interruppe lei, sforzandosi di conservare un atteggiamento freddo e distaccato. –Che le pensassi o meno, quelle parole sono uscite dalla tua bocca e mi hanno ferita. Fine della storia. Ti sia di lezione per la prossima malcapitata con cui uscirai: conta fino a cento, prima di trasformare i tuoi pensieri in parole.
–E’ per questo che esci con Bridget e il suo amico? Per ripicca?- ringhiò Franz.
–Se anche fosse? Non ti riguarda- rispose Faith. –Per tua informazione, comunque, Bridget è stata colta da un attacco di ‘Abbite’: quando il dottor Best l’ha invitata a cena, ha suggerito un’uscita a quattro. L’avrei impedito, ma, sfortunatamente, in quel momento mi trovavo in bagno- sibilò Faith, tirando con uno strattone la cerniera del tubino. –Prega che l’amico del dottor Best sia simpatico, perché non ho il dente avvelenato, ho tutti i denti avvelenati e una voglia matta di staccare la testa a morsi a lui e Bridget!
–Perdonami, ma voglio essere egoista ancora una volta: pregherò che questo tizio ti faccia pensare a me come all’uomo migliore sulla faccia dell’intero sistema solare!- replicò Franz, la aiutò ad allacciare il bracciale e azzardò un baciamano, prima di congedarsi con un inchino ironico, sorridendo nel constatare che Faith appariva accaldata, di sicuro non a causa del termosifone.

 
***

Faith scrutava sospettosa l’uomo seduto di fronte a lei, domandandosi se Marcus Best soffrisse del disturbo da personalità multiple, oppure se avesse mandato all’appuntamento il suo gemello buono. In ogni caso, questa versione non le dispiaceva affatto.
Innanzitutto, contrariamente alle sue aspettative, non era entrato avvinghiato a Bridget, né avvolto dall’aura di presunzione tipica dei chirurghi. All’inizio non l’aveva riconosciuta, commettendo una gaffe epica, e Faith aveva colto la ghiotta occasione per deriderlo, poi, dopo una interminabile litania di scuse, si era complimentato con lei per la metamorfosi.
–I miracoli di un vestito decente e un filo di trucco- gli aveva risposto, arrossendo leggermente: si sentiva colpevole a ricevere complimenti dall’appuntamento della sua amica, specialmente perché Bridget era tirata a lucido, mentre lei si era limitata al minimo sindacale di eleganza: impeccabile, ma non da far girare la testa.
Marcus le aveva rivolto un’altra occhiata indagatrice, quasi che non credesse ai propri occhi, poi, di fronte alla timidezza di Faith e al mutismo del suo amico, si era impegnato a intavolare una conversazione, riuscendo, alla fine, a far sciogliere lo spesso strato di ghiaccio in cui era intrappolata la verve di Faith.
Il suddetto amico, Gavin, si rivelò la risposta alle preghiere di Weil. Era piuttosto carino, sebbene non ai livelli di Marcus (che era semplicemente il meglio), o di Franz, e Faith non aveva saputo a cosa attribuire la sensazione di pericolo che aveva provato non appena lo aveva visto…. finché non aveva aperto bocca.
Era peggio che antipatico… era una lagna continua! Non gli andava bene niente: la posizione del tavolo lo faceva sentire esposto in vetrina, il volume della musica era troppo alto, il fumo delle candele gli dava fastidio, la sedia era scomoda, il cibo troppo caldo, i condimenti troppo speziati, l’acqua non era abbastanza frizzante…
–E poi, senza offesa, Marc, passi lei- indicò Bridget –Ma dove l’hai pescata questa qui?- sbottò, indicando Faith, che lasciò cadere la forchetta sul piatto. –Non è un belvedere e ha una voce talmente fastidiosa che le rare volte che ha parlato mi ha fatto desiderare di essere sordo!
Fu la goccia che fece traboccare la Irving.
Incazzata come una iena, si voltò verso Gavin e sibilò, faticando a contenere il tono della voce per non trasformare il discorso in scenata –Senti, coso, ho sopportato la tua irritante presenza solo e soltanto per dare a Bridget la cena romantica che meritava, ma non sono disposta a tollerare insulti alla mia persona. Nessuno ti sta puntando la pistola alla tempia per costringerti a restare; se non ti piaccio, alza quel culo odioso e vattene, faresti un favore a entrambi.
Gavin non soltanto non si mosse di un millimetro, ma ringhiò –Pure stronza! Complimenti! Chi ti credi di essere?
Faith, raccolta tutta la faccia tosta di cui disponeva, sorrise e replicò velenosa –Non credo, so di essere colei che ti manderà a quel paese tra tre… due… uno… Vaffanculo!
Uscì dal locale, riempì i polmoni di fredda aria metropolitana, estrasse il cellulare dalla borsa e compose il numero di Demon; non fece in tempo a premere il tasto di chiamata, però, che qualcuno la fermò abbassandole la mano.
–Non dovresti essere dentro a fare il cascamorto con Bridget?- non gli consentì di rispondere, perché sbuffò –Già che sei qui, ne approfitto per scusarmi.
–Scusarti?- esclamò Marcus. –Semmai sono io a doverti delle scuse. Mi dispiace di averti sottoposta a una simile tortura, ma Gavin è il mio unico amico single…
–Chissà come mai!- sputò Faith sarcastica.
Marcus rise, avvampò e concordò almeno in parte.
–Effettivamente non ha un carattere facile….
–No! Davvero?- ribatté Faith, alzando gli occhi al cielo. –Ho incontrato alligatori più socievoli!
–Parola d’onore, esprimi le tue opinioni con una forza eccezionale!- commentò lui, ammirato. –Che fai domani?
–Non la balia di Gavin, poco ma sicuro- ringhiò la Irving, aggiustandosi la sciarpa.
–E… fare da “balia” a me ti sembra una prospettiva allettante?
–Mi vorresti come reggi-moccolo?- ululò, indignata.
–Mi sono espresso male. La tua presenza… escluderebbe quella di Bridget- spiegò Marcus.
–Non esco con i chirurghi, siete tutti uguali: insopportabilmente egocentrici, presuntuosi e perversi. Niente di personale, sono solo… un tantinello prevenuta.
–Un tantinello?- ridacchiò lui, per poi aggiungere –Adesso sì che mi sento offeso! Devi farti perdonare… uscendo con me domani.
–Levati quel sorrisetto compiaciuto dalla faccia, non prenderò in considerazione questa proposta- sbuffò Faith, mordicchiandosi le labbra.
Non ci voleva un genio per capire che si sentiva colpevole verso Bridget, appunto per questo Marcus si affrettò ad assicurarle che aveva la coscienza a posto.
–La lealtà è una qualità che apprezzo, tranne nel caso in cui mi impedisce di portarti a cena fuori. Hai indovinato, sono il tipico chirurgo presuntuoso: mi ritengo capace di incantarti almeno un po’ col mio bell’aspetto e il mio perfetto uso della lingua inglese. Perché? Perché sei diversa.
Il dottor Best non avrebbe potuto esprimersi peggio. Invece di mostrarsi lusingata, come si aspettava, Faith gli ruggì contro –Cos’è? Speri di includermi nel tuo libro paga? Non sarò perfetta, ma non mi farò tagliare e cucire a tuo piacimento! E poi vergognati: sei uscito con una mia amica! Tutti uguali, voi maghi del bisturi!
–Sai che mi stai fornendo ulteriori motivi per insistere?- ribattè. –Giochiamo a carte scoperte. Se Bridget mi ha attratto quando l’ho vista nel mio studio? Sì. Se mi attrae ancora adesso? No. Me l’aspettavo diversa.
–Ti piace parecchio questa parola- ringhiò Faith. –Cosa ha Bridge che non va?
Marcus si concesse una risatina, prima di appagare la crescente curiosità della combattiva Irving.
–Sono un chirurgo plastico che ha il vizio di mescolare lavoro e piacere; potrei essere la versione col camice di Brian Cartridge- Faith lo fulminò con lo sguardo per il riferimento al suo caro amico Brian. –Quello che mi manca, e che raramente trovo, è… compagnia, nel senso letterale del termine. L’altroieri, non mi vergogno ad ammetterlo, sono uscito con una delle mie pazienti, e… ho dovuto spiegarle il menu! Non è questo che voglio. Vorrei… non so spiegarlo, ma so che questo qualcosa non è Bridget. Può capitare a tutti una svista.
Faith rispose –Spero non te ne capitino al tavolo operatorio!
La lupa in fabula apparve in quel momento, e latrò –Ecco dov’eri finito!
–Colpa mia, B. Gli ho, ehm, chiesto di tenermi compagnia in attesa di Demon- mentì Faith, digitando in tutta fretta un sms in cui supplicava l’amico di venire a raccattarla.
–Oh, bene, così può dare un passaggio anche a me!- trillò l’altra. –Ormai l’atmosfera è rovinata, tanto vale tornare a casa.
Il fido Demon arrivò in un attimo, insieme all’inseparabile Jeff; prima che salisse in auto, però, Marcus salutò Faith e le bisbigliò all’orecchio, affinché nessun altro udisse –Pensaci, ok?
Mentre guardava la sua ombra farsi sempre più piccola man mano che si allontanava, Faith si disse che sì, ci avrebbe pensato.

Note autrice:
Milanesi e chirurghi (o aspiranti tali), non prendetevela, si scherza; Milano è una città stupenda e non tutti i chirurghi sono perversi (un po’ egocentrici e presuntuosi sì… altrimenti non riuscirebbero a reggere alla pressione!) e insopportabili.
Fatti i dovuti chiarimenti, lasciatemi dire che Franz ha un rivale, ma non temete, non se ne starà con le mani in mano. E Faith? Ha davvero messo una pietra sopra il capitolo Weil o sta semplicemente applicando il principio “chiodo scaccia chiodo”?
Toglietemi una curiosità: vi siete mai trovati in una situazione analoga a quella di Faith o di Marcus? In parole povere… siete mai usciti con qualcuno, per poi scoprire che non era la persona che credevate? Oppure, come in questo caso, avete notato un/a suo/a amico/a? Let me know, anche sulla mia pagina facebook.
https://www.facebook.com/francy.iann?ref=tn_tnmn
Grazie, come sempre, a chi legge, a Bijouttina ed elev, che hanno recensito il capitolo precedente, a demetriadevonne92, Piperilla, shekkosa e soffsnix, che seguono la storia, e a ilarya e NatalieGjoka, che la preferiscono. ^^
Au revoir!
Serpentina
 
 
 
 
 
   
 
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