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Autore: Francine    25/04/2014    7 recensioni
Saori aspetta. Perché sa che oramai è questione di tempo. Oramai ci siamo. La Guerra Sacra di questo secolo è al culmine, e lei può solo attendere. Attendere che il suo fato si compia. Forse, una volta per tutte.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Saori Kido, Sasha, Virgo Shaka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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Saga
 
 
e per battere il mio tempo 
l'ho dovuto vivere e 
mi ha rubato nel frattempo 
tutti quanti gli altri me
 
 
 


«Andiamo. Athena ci attende», ha detto il Sommo Sion dando inizio alla missione. E lui, il cuore gonfio di mille sentimenti, lo ha seguito. Su, lungo quel sentiero tortuoso che conduce alla luce. Al mondo dei vivi. Osservando. Gli ha fatto uno strano effetto trovarsi assieme a loro, su quella mulattiera di rocce grigie sotto un cielo color melanzana; più che l’idea di tornare alla vita, a respirare l’aria pura del Santuario, a vedere la luce delle stelle trapuntare il cielo, gli è sembrato strano trovarsi accanto al Cancro e ai Pesci come compagni d’arme, e non più come il Sacerdote e due suoi fedelissimi seguaci.
Per gli altri come sarà? Per il Sommo Sion come sarà?, si è chiesto il guerriero marciando alle spalle del vecchio Sacerdote. Non ha potuto fare a meno di fissare la schiena dell’uomo nel punto esatto in cui il suo braccio gli sfondò il costato. Ed uscì dall’altra parte del busto. Non c’è traccia del suo passaggio, eppure Saga ha sentito le mani lorde ed appiccicose del sangue del Sacerdote. Come tredici anni prima.

Ade ha ridato loro dei corpi perfetti. Senza ferite. Senza il peso dell’età. Giovani, forti, robusti. Possenti. Eppure Saga non sente l’energia crepitare sulla sua pelle. C’è il suo Cosmo, sì. Ampio, forte, doppio; ma manca qualcosa. Non percepisce l’armatura respirargli addosso. È un guerriero dentro una scatola di latta.
Saga sapeva che quello che stavano facendo fosse una pazzia. Eppure erano disposti a tentare il tutto per tutto, ad ingannare il dio della Morte pur di riuscire nel loro piano. Non si sono preoccupati degli Spectre che hanno marciato a poca distanza da loro, quanto bastasse perché non uscissero assieme a rimirar le stelle, ma sufficiente per ascoltare ciò che i sacri guerrieri di Athena avrebbero potuto dirsi. Si è concesso un sorriso. Quello che dovevano dirsi se lo sono detto prima di comparire di fronte a Pandora e alla sua arpa. Il Sommo Sion è stato chiaro. Aiolos non c’era, ma nessuno si è stupito di questa defezione.
«L’anima di Aiolos riposa nell’Elisio», ha detto il Pontefice guardando i suoi occhi, profondi come quel mare che sbatte senza resa sugli scogli di Kerkyra. «La sua presenza avrebbe reso poco credibile la nostra commedia. Non pensate anche voi?», ma Saga si chiede se davvero crederanno al loro voltafaccia. Non è morto con la testa sul grembo della dea, sussurrandole «Thliberòs… Thitò sighnomi», chiedendo perdono, a lei e ai suoi compagni, per aver permesso a quell’anima nera di annidiarglisi nel cuore?
Eppure.
Eppure.
Eppure.

Athena lo sta aspettando. Sta aspettando proprio lui, Saga di Gemini. Nonostante tutto. E a quell'idea il suo sangue ha cantato, rombato, scrosciato nelle sue vene.
Con il ruggito potente delle fiere. La forza delle cascate. L’esplosione delle stelle.
Athena sapeva.
Athena avrebbe capito.
Questo ha detto loro il Sommo Sion e lui gli ha creduto. Ma ora che lungo il marmo immacolato del Santuario campeggia una lunga scia di sangue – dei nemici e degli amici – qualcosa, dentro di lui, vacilla.
Ora che la vede, bella come una visione, un fiore in boccio sul ciglio dell’eternità, lui sa che non può farlo. Non ce la fa. Nonostante i piedi gli gridino di proseguire. Nonostante manchi poco, pochissimo alla fine della sua missione. Della sua finta vita. Del suo dolore. Deve solo allungare le dita. Solo un ultimo sforzo. Eppure, non ce la fa.
Le cose non sono andate come aveva assicurato loro il Sommo Sion. Il piano non era questo.
Avrebbero finto di essere dei nemici.
Avrebbero finto di combattere i loro stessi compagni.
Avrebbero finto di consegnare Athena nelle mani di Ade e del suo esercito. L’avrebbero scortata personalmente nel cuore del Regno dei Morti. E lì, sarebbe iniziata la battaglia. Quella vera. Sarebbe stata una colossale messinscena. Avrebbero dovuto fare un po’ di teatro. Avrebbero distrutto gli scherani dell’Armata Infernale, bastava fare un bella recita. Essere convincenti. E lui è un maestro nell’arte di recitare. Un attore nato. Non è forse per questo che è riuscito a spacciarsi per il Sommo Sion per tredici, lunghi anni?

O quello, o una fortuna sfacciata, pensa, vedendola avanzare. Bella come l’aurora, tenera come una cerbiatta e terribile come un esercito a bandiere spiegate. Saga prega che si sia trattato di bravura personale; non per vanità, ma perché gli serve che la sua buona stella lo aiuti. Adesso più che mai.
«Vi stavo aspettando», dice la Fanciulla. La sua voce inciampa nel greco, ma il timbro è melodioso. Il canto dell’usignolo sul ramo del pesco, pensa Saga. Stregato. Non indossa la sua Armatura, ma gli occhi riverberano dello scintillio azzurro del metallo. Su quella terrazza ci sono otto persone, ma Saga sa che Athena sta parlando a lui. E questo lo terrorizza.

Cosa vuoi da me, Athena?

C’è sempre una notte stellata a far da sfondo ai loro incontri. Alle loro esistenze che si sfiorano. Si cercano. Si aspettano. Come due fidanzati.
Era una notte come questa quando il pugnale dorato vibrò sulla culla, e la luna si tinse di sangue.
Era oramai sera quando lo Scettro di Nike fermò la sua folle sciarada e lo Scudo di Athena gli purificò il cuore, scacciando il daimon dalla sua anima.
Ed è notte anche adesso, una notte cupa e densa e avvolgente come un mantello bagnato, come un incubo che la luce lontana delle stelle non fa che acuire.
C’è Kanon, accanto a lei. Il suo sbaglio più grande. Tra le mani, quel maledetto cofanetto. E Athena gli sta parlando. Gli sta dicendo delle cose che lui non capisce. Che lui si rifiuta persino di considerare. Non vuole sentire. Non le basta quello che ha fatto? Non le basta che abbia immolato Shaka e la propria anima, pur di avanzare di un altro passo verso di lei? Pur di essere credibile? Per la salvezza della Giustizia? Saga non comprende a quale gioco stiano giocando gli dei. Perché è tutto troppo assurdo. Troppo orribile per essere vero. Per non essere uno scherzo macabro. Una piccola, feroce vendetta di quel disgraziato di suo fratello. Ma la luce che scorge negli occhi di Kanon, la fermezza con cui l’altro gli conferma che sì, è tutto vero, gli allargano lo sguardo dal terrore.

No. Athena, no! Ti prego. Tutto. Ma questo, no.

Saga si getterebbe nudo nel fuoco se solo lei glielo chiedesse. Adesso. All’istante. Prosciugherebbe i mari e colmerebbe il cielo, per lei. Non sarebbe un peso. E quand’anche lei gli chiedesse di combattere da solo le schiere infernali, lui lo farebbe. Anche se non avesse avuto che mezza possibilità di farcela, da vivo. Figuriamoci da morto.
Ma lei non gli sta chiedendo niente di tutto ciò. Gli sta domandando una cosa ben più semplice, ma ben più orribile. Lei gli sta chiedendo di ucciderla. Di impugnare quell’arma maledetta e di conficcargliela nel petto. Nel cuore. Come avrebbe dovuto fare tredici anni fa. Come sarebbe riuscito a fare la sua parte malvagia se il suo vero io non avesse esitato, pregando che gli dei fermassero la sua mano, e se Aiolos non avesse intercettato la lama con la propria carne.
Saga non vuole ascoltarla. Non vuole perché non è questo che aveva prospettato loro il Sommo Sion. Perché lui non osa levare la mano su Athena. Non può farlo. Perché no, questo non lo libererebbe dal dolore di aver mosso guerra al Santuario. Per la morte di Aldebaran. Per il sacrificio di Shaka. Per la sconfitta di Death Mask ed Aphrodite. Per i Santi d’Argento che sono caduti lungo il cammino.

Non puoi chiedermi questo, Athena!

Eppure lui sa che è vero. Sa che Athena lo ha aspettato per questo motivo. Sa che ha speso i suoi ultimi minuti di vita attendendo il suo carnefice con la virginale paura della sposa. Nel suo chitone bianco. Pura e immacolata. Le manca solo la corona di fiori da metterle sui capelli. Lo ha atteso, perché lui è il suo mistico sposo. Lui è l’uomo che lei ha scelto per versare il proprio sangue. Non alla gloria di Imene, nel sacro mistero del talamo; ma sul candore del marmo di un Santuario spezzato, sventrato, sconquassato. Da quell’esplosione capace di disintegrare le stelle. Da quel colpo proibito che ha condannato lui e gli altri all’eterna damnatio memoriae.
Il pugnale è viscido e freddo tra le dita. Metallo che brucia come se fosse ancora nella fucina del Fabbro. È Athena a mettergli quell’arma tra le mani. Non sa neppure lui come. I suoi occhi sono persi in quelli di lei. Grandi. Dolci. Smarginati. Traboccanti di un amore così puro e assoluto che lui no, non sente di meritare. Saga si specchia in quello sguardo e vi cade. Annegando come Narciso nella fonte, alla ricerca di un doppio non da amare, ma da sacrificare. Di qualcuno che porti su di sé l’infamia del tradimento, la blasfemia del deicidio, il peso dell’ichor di Athena.

Non ne son degno. Le mie mani sono troppo lorde, Mia Signora.

Eppure, nel fondo della sua anima, Saga sa di essere l’unico che può assecondare il suo volere, che può esaudire il desiderio della dea. Ancora una volta, è lui l’ago della bilancia. Perché Athena ha sempre saputo che lui sarebbe stato l’unico a sporcarsi le mani, qualora fosse stato necessario. L’unico che avrebbe bevuto il calice fino alla feccia, stilla a stilla, lasciando a lei il vino ed il miele. L’unico da poter impersonare il suo sposo in quelle nozze simboliche, l’unico che avrebbe sopportato di violare uno sposalizio in bianco. Macchiandolo di sangue. Urlando contro il cielo. Ridendo e piangendo allo stesso tempo.
Eppure, questo pensiero non lo conforta. Non lo aiuta a sopportare il dolore che il pugnale gli causa, e delle dita sottili e bianchissime di Athena strette attorno alle sue. Perché Saga sa che è lui, la sposa. La vittima. L’agnello. Che osserva impotente la lama rivolgersi verso il candido collo di Athena alla ricerca assetata della giugulare da squarciare.
Aiutami, Saga. Accompagnami nel mio viaggio. Non lasciarmi da sola.
Questo pensa Athena, colpendo se stessa in questa notte disgraziata, il suo cosmo divino che gli esplode nella testa come un fuoco d’artificio. La luna volge altrove il suo sguardo d’argento mentre a terra si apre un lago rosso scuro, che risalta contro il marmo. Le stelle gridano. Il cielo si spezza. E lei cade. Lontano da lui.
E mentre un urlo – dolore, terrore, raccapriccio – gli muore in gola, troppo gelato per spezzare il silenzio irreale della notte – «Athena, tu sei la mia vita e io ti amo!» – e le sue mani non riescono ad afferrare la sua sposa, che già la Morte reclama a sé, Saga si chiede se è davvero questo, quello che Athena si aspettava da lui.
 
 
   
 
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