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Autore: DK in a Madow    25/04/2014    5 recensioni
[Completa!]
...mi obbligo a guardare il cielo ormai buio sotto il manto della notte, ricacciando indietro le lacrime che spingono tra le ciglia. Non un bagliore, nessun segno, solo un grande buco nero sopra le nostre teste.
Il cielo delle città non ha stelle.

*
- Ah sì? – chiedo, ostentando una sicurezza che non posseggo solo per non mostrarmi vile di fronte alla sua sfacciataggine – Ma tu chi sei?
Abbassa la testa, come presa alla sprovvista, le sue mani che afferrano la gonna del vestito stringendola nervosamente. Poi i suoi occhi tornano sui miei, così vivi, così irreali.
- Grace. – risponde in un soffio.
Accenno a un sorriso senza denti, le labbra serrate che danno forma ad un ghigno.
- Strano. – dico, dando un tiro alla mia sigaretta – Da come parli si direbbe il contrario.

*
Imparare a vedere con gli occhi del cuore e scoprire che la paura d'amare è grande quanto quella di morire, così forte da impazzire, ma capace di farti rinascere.
Una breve long nata quasi dal nulla e che è cresciuta tra le note di The Rain Song.
Come sempre, nessuna pretesa.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jimmy Page, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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9.

Nightmares

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Non farmi cadere.

- Non lo farò.

Deglutii, tremai, mentre il vuoto che si apriva sotto di me sembrava voler trovare spazio nel mio stomaco. La vertigine, fastidiosa compagna di sempre, quella volta sembrò trasformarsi nella più pericolosa delle nemiche.

D’istinto strinsi con forza la mano che sfiorava la mia sinistra, trovandola gelata come il vento che mi tagliava le guance.

- Posso fidarmi?

La mia voce, più sottile del solito, tremò come le cime dei pioppi intorno a noi che si stagliavano contro il cielo al crepuscolo come nervose macchie d’inchiostro su un vestito di velluto blu.

- Da morire. – sussurrò lei, cattiva.

Così, mentre il terrore iniziava a rompermi la schiena, mi voltai alla mia sinistra. Di fianco a me si stagliava quello che sembrava l’Eremita, ma quando abbassai lo sguardo sulle nostre mani, trovai la sua ridotta in ossa, scheletrica.

- Grace! – urlai, ma contro il vento sembrò un sussurro – Aiutami Grace!

La figura incappucciata voltò il capo.

Non riuscii nemmeno ad urlare quando mi accorsi che quello sotto il cappuccio era il volto di Grace, un ghigno che le tagliava la faccia e gli occhi bianchi come attraversati dalla nebbia. Allargò ancora di più quel sorriso cattivo, per poi strattonarmi e tirarmi giù, insieme a lei. Questa volta urlai, mentre il dirupo scorreva sotto di noi e le cime dei pioppi si avvicinavano a noi come se fossero state le braccia della Morte, pronta ad accogliermi.

Poi, la caduta si arrestò.

La mia guancia si trovava contro qualcosa di umido e freddo.

- Jimmy!

Balbetto qualcosa, un “sto morendo” che resta solo nei miei pensieri.

Una risata, dolce e comprensiva.

- Non ancora, Jimmy. Svegliati!

 

 

*

 

Tampa, Florida, 2 Giugno 1977

 

Chiudo gli occhi, inspiro profondamente.

Sembra che il mare mi stia entrando nei polmoni, lasciando una sensazione di leggerezza di cui avevo nostalgia. Una libertà da qualsiasi preoccupazione che ormai non provo da quasi un mese, da quando Robert e Richard mi ritrovarono addormentato nel bel mezzo di un giardino di Birmingham. Ne susseguirono giorni di febbre, tosse, di altri chili persi e una nube di silenzio che mi ha isolato da tutti fino ad oggi. Poi arriviamo qui, nel caldo della Florida, e mi rifugio in spiaggia, in un posto appartato, isolato. Solo io, il mare, il sole e Grace.

Ormai non mi abbandona più e mi sono abituato al fatto che per lei finirò con l’impazzire per davvero. Nessuno la vede, solo io. Non parla con nessuno, solo con me. Sempre lo stesso vestito, sempre lo stesso sorriso. Una malinconia che si porta dietro come un segno di riconoscimento, che rende i suoi occhi sempre più blu, mentre la sua pelle non accenna ad abbronzarsi con l’avanzare dell’estate.

- Sei la Morte?

Deglutisco pesantemente, il mio petto nudo che trema, le mie gambe ossute che si piegano nervose. Una goccia di sudore scende dalla fronte, ma non di certo per il caldo soffocante.

- No. – dice con fermezza, continuando a camminare in punta di piedi sul bagnasciuga, le mani dietro la schiena come una bambina che gioca a campana – Avrei troppo da fare per stare con te. – aggiunge scherzosa.

- Giusto. – dico, grattandomi il mento – E allora?

- Allora cosa?

- Dimmi chi sei. – dico infastidito, picchiando un pugno nella sabbia.

- Se sapessi te lo direi. – sbuffa lei – Ma ormai ho capito che dobbiamo scoprirlo insieme.

- Tu sei matta. – rido sarcastico – Perché dovrei?

- Perché altrimenti lo diventi anche tu. – dice sedendosi di fronte a me.

- Mi ci stai già facendo diventare, ragazzina.

- Ah, adesso è colpa mia! – ride, stendendosi di fianco a me, il volto rivolto al sole.

È bellissima, eterea. Vorrei dirle che forse è un angelo, ma credo lo saprebbe.

- Sembri un’anima persa. – sussurro – Non sai da dove vieni, non sai dove vai.

- Ricordo chi sono. – dice, tenendo gli occhi chiusi – Ricordo perfettamente la voce di mia madre. Cantava bene. La mattina intonava sempre qualcosa della Fitzgerald o della James mentre preparava la colazione, poi si metteva ad intrecciarmi i capelli e a metterci dei fiori in mezzo, mentre mio padre mi dava un bacio sulla fronte e lo rivedevo solo la sera.

- Ti mancano? – chiedo.

- Sì. – annuisce, il suo tono che diventa serio – Mi manca l’odore di mio padre. Quando tornava a casa, profumava di terra e sudore. Aveva addosso l’essenza di tutta la fatica che aveva compiuto. Era un odore tutt’altro che fastidioso, mi trasmetteva forza e sicurezza.

- E tua madre? – chiedo, fissandole la punta del naso.

- Mi manca il rumore delle sue scarpe. – dice, aggrottando la fronte – Era il segno che c’era appena dietro alle mie spalle, pronta a proteggermi, oppure davanti a me per guidarmi. Una presenza costante sul mio cammino.

- Ami i tuoi genitori. – osservo, facendole aprire gli occhi.

- Sì. – sorride, voltandosi per guardarmi – Ho sempre sognato una famiglia come la loro. – e mentre lo dice, una luce che brilla di vita le passa negli occhi, il suo volto che parla di un sogno che l’avrebbe resa la persona più felice del mondo.

È bella. Da morire.

Una morsa allo stomaco, ma la ignoro.

- Cosa darei per baciarti ancora. – sussurro, una nota di tristezza che fa stonare la frase.

Fa di no con la testa, la sua bocca che si piega da un lato.

- Non permetterò che ti succeda qualcosa. – sospira, annegando lo sguardo nel mare, lontana da me, lontana da ciò che in questo momento ci sta tenendo così vicini da poterci quasi sfiorare con le mani.

- Ormai non mi spaventa niente. – rispondo severo – Ho già ricevuto tutto l’orrore che questa vita potesse darmi. Non ho paura.

Sospira, tracciando disegni immaginari nella sabbia con un dito, mentre i capelli le vanno davanti alla faccia, alcuni le si incastrano tra quelle labbra che non potrò più assaggiare. Sulla pelle bianca stanno passando dei brividi, lasciando sollevati i pori, mentre il vento ha iniziato a correre su di noi.

- Dovresti averne. – sussurra. La sua voce è così bassa che l’ho sentita appena tra le onde del mare. Sembrava l’eco di una voce sperduta negli abissi. Tale è la profondità con cui l’ha detto. Da sempre le parole di Grace mi sono sembrate insondabili, senza un briciolo di senso, azzardate, di una ragazzina fin troppo piena di sé, che crede di poter zittire un uomo con quattro stronzate inzuppate di enigmaticità.

Invece no. Lei sa. Lo ha sempre detto, e più la conosco, più mi convinco che lei riesca a vedere oltre il velo di nebbia che il presente pone tra me e il mio domani. Sembra che lei riesca a sondare col suo osservare silenzioso fino al più intimo fremito del mio cuore, mettendolo a nudo, fino a renderlo evidente anche a me che cercavo d’ignorarlo.

So chi sei.

Lo ricordo ancora, il modo in cui lo disse, per poi scomparire nel buio di un parcheggio sperduto dell’America. Mi disse che veniva dal mio inferno quando, nel bel mezzo di un temporale notturno, le chiesi da dove venisse. E solo ora mi rendo conto di quanto fosse sincera, che il suo non era un modo impertinente per non darmela vinta, ma che stava parlando sul serio. Grace è stata sempre sincera con me. Il problema è che mi rifiutavo di capirlo.

- A cosa pensi? – mi chiede, apprensiva, notando il mio silenzio.

- Devo avere paura di te? – le chiedo, ma in realtà la sto implorando che mi risponda con un “no”.

Sorride, abbassa la testa.

- Hai sempre quest’aria malinconica. – le dico – Perché non torni a casa?

Alza lo sguardo, puntandolo dritto nel mio, ma senza l’ombra di sfida. Sembra solo una bimba alla quale ho chiesto qualcosa che non conosce.

- Ormai ho perso la strada Jimmy. – dice con voce rotta – E non posso più tornare indietro.

Aggrotto la fronte, le mie dita che si stringono nella sabbia.

Le sue parole mi scuotono dentro come un uragano, mentre intorno a noi il vento si è fermato e delle nuvole iniziano a raccogliersi all’orizzonte, trasformando il blu intenso del mare in un grigio che sa di catrame.

Le chiederei il perché di questa affermazione, ma in qualche modo lo so.

Non saprei spiegarmelo, ma sento di sapere la risposta alla mia domanda.

O forse perché, un’altra più difficile mi risuona nel cervello e grande è lo sforzo che faccio per dirla.

- È per questo che sei qui? – sussurro, guardandola intimorito – Potrei non tornare nemmeno io?

Questa volta non sorride, anzi. Il suo volto è una smorfia che sa di dolore, angoscia, di poca voglia di ammettere la verità. Poi torna a guardarmi.

Trattiene il fiato.

E poi, annuisce.

 

 

*

 

 

Mi son rinchiuso in albergo. Le insulse strade di Tampa intrise di mondanità hanno messo a dura prova il mio sistema nervoso. Così, dopo aver abbandonato la spiaggia, Grace e dopo aver sonoramente mandato a fanculo Cole che insisteva per andare a puttane insieme, ho recuperato la mia chitarra acustica, rifugiandomi all’ombra  del giardino dell’hotel.

Improvviso, le note scivolano via da sole, senza la mia volontà. Sono loro che guidano le mie dita. Lei, la Musica. Mia padrona. Dea generosa e crudele allo stesso tempo, capace di regalarti la più grande felicità e le più profonde delle delusioni.

La Musica è una mamma gelosa, che ti culla, ti accarezza, ma non ti protegge dai dolori. Lei preferisce curarli. La Musica mi ha dato tutto, anche il senso d’onnipotenza che mi porto dentro come un cancro, ritrovandomi così a mani vuote, così ingordo di successo da riempirmi solo di quello, restando solo.

O forse no.

- Ciao.

Mi volto alle mie spalle, il rumore dell’erba schiacciata accompagnata dagli stivaletti di Robert, il capo chino, le mani nelle tasche dei pantaloni, una sigaretta tra le labbra.

- Ciao Robert. – sorrido.

Non risponde. Semplicemente si siede a terra, di fianco a me, gambe incrociate e mento all’aria, uno sputo di fumo che va a finire nel cielo, sigaretta tra i denti.

- Anche tu stanco della solita vita da tour? – chiedo, giusto per cercare d’intavolare una conversazione.

- No. – sussurra – Sai perfettamente di cosa sono stanco.

- E allora perché sei qui? – chiedo freddo, per poi stringere i denti contro la mia di sigaretta, le dita che impugnano più forte la chitarra – Ti prendi fin troppo fastidio per me.

Sorride sarcastico tra le labbra chiuse, lo sguardo infuocato mentre si volta a guardarmi.

- Stronzo. – ringhia – Sei solo uno stronzo, James Page. – continua, mentre il tono della sua voce si fa sempre più minaccioso – A furia di farti di eroina e magia nera ti sei fottuto il cervello, ma sono tutt’ora convinto che questo non sia un problema.

- Ah no? – dico, sputando via il mio mozzicone – E qual è? Sentiamo!

- Vuoi capire che non me ne fotte un cazzo di perdere un chitarrista, eh? – urla, le sue mani che conquistano le mie spalle e le inchiodano alla terra seccata dal sole – Il tuo genio, la tua pazzia, chiamala come cazzo ti pare, sono niente … niente … in confronto al Jimmy uomo che io vorrei accanto per questi e altri mille giorni, hai capito?

Si ferma, ma solo per riprendere fiato.

I miei tremori, invece, non si fermano affatto.

- Mi rifiuto di credere che la tua magia sia frutto della tua mente. Io lo sento il tuo cuore battere nella chitarra, lo sento, Cristo santo! – e così dicendo prende a scuotermi  forte – Ma non voglio nemmeno credere che le tue manie ti stiano fottendo anche l’ultimo segno della tua esistenza, Jimmy, porca puttana! – e questa volta mi lascia, rimettendosi a sedere, le mani fiondate nei capelli, i singhiozzi che gli scuotono il dorso ampio.

Io, invece, rimango immobile a fissarlo, i tremori scompaiono, mentre il cuore che ha menzionato sembra voler esplodere in gola.

- Credi io sia cattivo? – sussurro – Pericoloso?

- No. – afferma roco, asciugandosi le guance col dorso della mano – Non per me almeno, ma per te sicuro. Ho paura a lasciarti nelle tue stesse mani.

Deglutisco, le sue parole che sembrano pungermi il petto fino a iniettare fitte di dolore al cuore, i battiti che non accennano a rallentare, mentre la mia onnipotenza artificiale non fa altro che rendermi sempre più freddo, incredibilmente lucido, mentre Robert trema. Sembra che l’anima gli si stia contorcendo nel petto.

- Quella mattina. – tenta di dire, ma un colpo di tosse lo blocca – Quella mattina, a Birmingham, credevo fossi morto. – dice, recuperando fiato, fissando un punto impreciso di fronte a se. Sembra che mi stia ancora vedendo, ancora tra l’erba, addormentato, il respiro quasi inesistente, mentre una tavolozza di fiori mi circonda come una tomba – Il tuo corpo era così freddo tra le mie braccia che per un momento ho creduto davvero che fosse arrivata la fine.

Porta la sigaretta alle labbra con fare nervoso, le dita che tremano mentre aspira con avidità, la fronte che si arriccia. Sembra che voglia incamerare nei suoi polmoni tutto ciò che lo circonda, io che rimango muto a guardare, mentre i suoi occhi si perdono tra le palme del giardino. Una farfalla bianca volteggia nell’aria.

- Per fortuna mi sbagliavo. – riprende – Quando ti ho portato le dita alla gola, il tuo cuore sembrava scalciare. Tu non vuoi morire. – afferma, per poi guardarmi negli occhi – Ma sembra quasi che tu stia sfidando te stesso, che tu voglia portarti al limite per capire quanto sei bravo a non superarlo.

- Mi credi così incosciente? – faccio rauco, passandomi qualche filo di erba sotto le punte delle unghie.

- No. – sospira - È che vorrei capire quale colpa stai espiando. O quale dolore tu stia combattendo, di quale angoscia non riesci a liberarti.

Non riesco a rispondere.

Eppure con Grace era stato così semplice. Persino piangere non sembrava così umiliante di fronte al suo sguardo limpido. Confidarmi con lei è stato un qualcosa di naturale.

Con Robert, no.

Perché?

- Non lo so. – mento – Ho solo bisogno di farlo.

Non dice nulla. Spegne la sigaretta contro il tacco dei suoi stivali e butta il mozzicone lontano, i suoi occhi che si perdono nel cielo, confondendosi di colore. Sembra stia cercando le parole giuste, capire se sia meglio contraddirmi o assecondarmi.

- Toccare il fondo prima di risalire, eh Jim? – afferma dopo pochi istanti di silenzio.

- Credo di sì.

- Ci porterai anche me? – chiede poi, freddo, pungente, un gancio dritto allo stomaco, tant’è che lo sento accartocciarsi sotto le costole, quando all’improvviso vedo qualcosa muoversi sullo sfondo, percepibile appena con la coda dell’occhio.

Un gelo improvviso e una nuvola che passa davanti al sole, il giardino che si veste d’ombra.

Grace.

Proprio lì, in piedi, sulla mia sinistra, una spalla poggiata ad una palma.

- Che succede? – chiede Robert, allarmato, prendendomi il mento tra le dita e costringendomi a guardarlo.

Di sfuggita, rivolgo uno sguardo veloce a Grace, in tempo per vedere i suoi occhi sgranarsi e il suo dito indice raggiungere le labbra, intimandomi di fare silenzio.

- Nulla. – rispondo, ma la mia voce trema e non inganna nemmeno me stesso.

- Sicuro?

Annuisco, mentre Robert passa con lo sguardo ogni metro quadrato del giardino, cercando la fonte della mia inquietudine, ma nulla. Ben tre volte il suo sguardo passa su Grace, quasi incontra quello di lei, ma lui sembra solo un cieco che si muove a tentoni. Nel frattempo, io continuo a guardare lei, cercando di farle capire cosa sto pensando e, quasi come se mi stesse parlando in un orecchio, sento la sua voce amplificarsi nella mia mente quasi per magia.

Lui non può vedermi. Solo ora ho capito il perché.

Dimmelo, Grace. Maledizione!

Ti aspetto a New York, Jimmy. È lì che io e te abbiamo iniziato.

Cosa? Cosa abbiamo iniziato io e te, Grace? Cosa è successo a New York?

- Sembrava avessi visto un fantasma!

La voce di Robert riecheggia allegra, sporcata da una risata, distaccando i miei pensieri da quelli di Grace.

- Cosa? – chiedo, disorientato, Grace che rimane lì dov’è.

- Jimmy, ti senti bene?

Una sua mano sulla spalla, Grace che ci guarda.

- Sì. – balbetto, recuperando un po’ di lucidità per poter nascondere l’inquietudine – Ho avuto un giramento di testa. È tutto ok.

- Sicuro? – chiede ancora, per esserlo lui.

- Sì, Robert, tranquillo.

Sorrido. Mi imita.

Poi si alza, mi da un ultimo sguardo e si avvia dritto, davanti a me. In direzione dell’albergo. Dove Grace è ancora ferma a guardare.

Una morsa allo stomaco, tra un po’ le sarà addosso.

La raggiunge. Ci passa accanto, ma non la vede.

È a New York la risposta. È lì che ti aspetto, James!
















Angolo della pazza:
Rieccomi! ^^
Ehm, sì. Sto cercando di risolvere la trama, vi giuro che ci sto provando! >.<
Ovviamente, i prossimi capitoli saranno ambientati a New York, ergo tenetevi pronte (?).
Nulla, in questa storia voglio che siate voi a interpretarla, se lo faccio io non vale! ^^'
Quindi, mentre mi leggo con tanta calma il mio Doctor Sleep nuovo di zecca (aaaaah, zio Stephen), aspetto con anZia i vostri pareri.
E vi lascio anche una foto (finalemente l'ho trovata) di colei che "presta" il volto alla mia Grace.
Barbara Palvin
bp

Jimmy, caro, poi non dirmi che non ti tratto bene! u.u
Bene, ringrazio Irene, che come sempre rimane in piedi per leggere i miei aggiornamenti ritardatari, e Zelda, la mia fedele lettrice. Grazie della tua impazienza. Mi ricompensa molto più di qualsiasi recensione.
Detto ciò, vi aspetto al prossimo capitolo.
Vi aspetto a New York.
Un abbraccio,

Franny
   
 
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