L’urto
La
partita era terminata cinque a tre, a favore della squadra di
Maurizio.
I
ragazzi si stavano giusto complimentando con lui per il gran
risultato.
“Complimenti
capitano! Sei stato grande!” si congratulò il più vicino, con una pacca ben
assestata sulla spalla.
“Già...
hai giocato meglio del solito, bravo!”.
“Coraggio,
dicci il tuo segreto!”.
“Quale
segreto, Bruno?" lo esortò Maurizio, vagamente perplesso.
Non
capiva, o forse fingeva di non capire.
“Chi
ti ha trasmesso tutta quest'energia?” domandò Bruno,
ammiccando.
“Lo
so io. Secondo me ha trovato la ragazza!” provò uno.
“Ma
che...? No, lasciamo perdere. È meglio se non lo dico: non mi credereste mai…”
si giustificò.
E
dopo altri dieci minuti passati a sentire i complimenti e le assurdità che
sparavano i suoi compagni, Maurizio tornò a casa.
Si
fece una doccia veloce, giusto per togliersi il cattivo odore di sudore sulla
pelle, e lo fece in fretta perché aveva ancora intenzione di parlare con la
sorella Lavinia.
Lei
era chiusa nella sua stanza, con la radio a tutto volume. Lui spalancò la porta
e si avvicinò a quell'aggeggio infernale, pigiando il pulsante di chiusura e
irritando la sorella.
“Ehi!
Che cosa hai fatto? Riaccendila subito!” gli ordinò
perentoria.
“Sorellina...
noi due dobbiamo parlare. Siediti buona buona nel letto e ascoltami, dai!” le
disse lui, parandosi di fronte, con le braccia incrociate al petto e l'aria da
duro.
“No-o!
Potevi farlo prima, quando non stavo facendo nulla, invece di andartene a quella
stupida partita!” replicò a tono.
“La
finisci? Non è una cosa stupida. E poi... ti confesso che l'ho dedicata a te e
ho vinto...” ammise.
“E
allora?! Pensi che questa tua vittoria mi farà cambiare idea?”.
Levò
gli occhi al cielo, esasperato da tanta cocciutaggine.
“Vuoi
ascoltarmi una buona volta, invece di interrompere sempre il
discorso?!”.
“No,
sei tu che devi ascoltarmi: esci subito fuori dalla mia stanza, non sono
dell'umore giusto per parlare! Ahia... la caviglia... è colpa tua se adesso mi è
tornato il dolore!” sbraitò.
Era
troppo: Maurizio le si avvicinò, le tirò una sonora sberla e poi la fece sedere.
Si mise davanti a lei, la faccia china e tanto vicina da poter sentire il suo
respiro.
“Mi
dispiace, Lavinia, ma era l'unico modo per calmarti. Fammi parlare, ti prego!”
la supplicò, davvero pentito di essere ricorso alle maniere
forti.
Lei
cercò di divincolarsi, di alzarsi, ma lui la teneva ferma premendo sulle
gambe.
“Sorellina,
io ti voglio bene, okay? Non immagini quanto. Ci passiamo solo due anni... ti ho
vista crescere... da piccoli facevamo tutto insieme, persino dormire nello
stesso letto, perché tutto il giorno non bastava. Perciò non capisco, non
comprendo proprio perché tu, crescendo, abbia cambiato bruscamente
atteggiamento, allontanandoti da me. È impossibile che sia solo per gli amici
che frequento: tu lo sai che ho sempre tentato di
difenderti!”.
“Non
è vero! Sei un bugiardo...” strillò lei, scuotendo irritata il capo, per nulla
colpita da ciò che aveva detto quel – a suo parere – ruffiano del
fratello.
“Non
è una bugia, accidenti!” esclamò incredulo.
“Senti,
mi stai facendo male alle gambe, ne ho pure una ingessata. Se non mi molli
subito, mi metto a urlare sul serio, così mamma e papà accorreranno subito
a-”.
“A
fare che?! – questa volta gli toccò alzare il tono della voce, interrompendola.
– Non ti sto facendo niente, sei tu a essere dura di comprendonio! Almeno
spiegami da dove nasce il tuo odio per me... avanti, dillo apertamente!” la
spronò.
“Vuoi
davvero saperlo? Va bene... te lo dirò, ma prima fammi alzare”, sembrò
cedere.
Maurizio
ubbidì. Stavolta fu Lavinia a tirargli una sberla, lasciandogli persino il segno
delle cinque dita.
“Questo
è per avermi fatto male, brutto viziato che non sei altro! Perché è questo che
sei: hai tutto quello che desideri dalla tua vita!” dichiarò.
Maurizio
era sempre più sbigottito, mentre si accarezzava la guancia colpita.
Fu
con un’espressione frustrata che replicò: “No, Lavinia. Non è così… non ho più
il tuo affetto, la tua comprensione”.
“Mi
spieghi come diavolo fai a non capirmi? Eppure è semplice, ho già detto
tutto quello che dovevo per farti arrivare alla verità! Vuoi che ti dia ragione
anche se non ce l'hai? È questo?!” gli chiese spiegazioni,
gesticolando.
“Allora
sei stupida! La viziata qui sei tu, non io. Apri gli occhi finché sei in tempo!”
l’avvertì.
Si
guardarono in cagnesco per qualche minuto, finché i genitori non li chiamarono
per la cena in tavola.
“Continuiamo
il discorso dopo, sorellina…” disse semplicemente, pronto a voltarsi per uscire
dalla stanza.
“Per
quanto mi riguarda, io ho concluso”, affermò, lapidaria.
Maurizio
cambiò idea e la tirò a sé per il braccio. “No, non abbiamo
concluso!”.
Fu
così che avvenne. A Lavinia si sfilò il braccialetto dal polso e cadde a terra:
tutti e due, fissandolo, si chinarono a raccoglierlo e le loro teste si urtarono
tanto che caddero a loro volta.
Quando
si ripresero dalla botta, i loro occhi si incrociarono per un attimo, giusto il
tempo di rendersi conto di quello che era successo.
Continua…