Note
Solite note, solite cose da dire.
L'avventura comincia (ma anche no!)! Tutti pronti e tutti belli!
Oggi non è la giornata delle note, s'è capito.
Un bacione a tutti<3
Quant'è bella giovinezza
«Sorella mia!»
Impegnata com’era nel mercanteggiare su una camicia in
vendita presso il banco delle stoffe, Porpora di Vallesanta non
notò nemmeno con la coda dell’occhio suo fratello
che, di gran carriera, le si avvicinava scansando i presenti a suon di
gomitate.
«Porpora!», le gridò nelle orecchie,
quando fu abbastanza vicino per abbracciarla. «Sono
tornato!»
Per risposta, lei sospirò rumorosamente, lasciando cadere un
paio di monete nella mano del mercante che prontamente le
consegnò la camicia con un gran sorriso.
«Perché, ti eri allontanato?»,
ironizzò poi la ragazza.
Orso la lasciò andare con un po’ di disappunto di
fronte a tanto disinteresse.
«Mi avevano portato al Bargello!»,
commentò, offeso.
Porpora scosse il capo.
«Ti posso assicurare, fratello mio: nessuno se
n’era accorto!»
Lo superò velocemente, rimettendosi a camminare per la
strada con la camicia nuova sotto braccio e una borsa di patate a
tracolla sulla schiena.
Orso la raggiunse con due balzi.
«Ho dato spettacolo?», chiese, ingenuo.
«Ho visto armate marciare con più
discrezione.»
«Scommetto che ti sei divertita.»
Porpora si lasciò sfuggire un risolino, prima di voltarsi
verso il fratello e sorridergli, strizzando l’occhio sotto la
frangetta.
«Da morire!»
Orso alzò le spalle, bonario, dopodiché le prese
la borsa con le patate e se la caricò in spalla. Si sentiva
ancora in colpa per averla lasciata sola un giorno intero, nonostante
lei non desse segno di averne in alcun modo avvertito il peso.
Mentre procedeva lentamente verso Ponte Vecchio, Orso si chiese con che
tipo di fiorentino sua sorella avesse potuto aver passato la notte. Uno
ricco e galante, magari? O forse uno povero ma dalla grande arguzia?
Probabilmente aveva solo minacciato qualche povero malcapitato,
spaventandolo a morte per ottenere un pagliericcio asciutto.
La guardò precederlo sul ponte, i capelli sciolti sulle
spalle e le mani cacciate in tasca come se stesse per estrarre il
borsello e comprarsi metà delle carni esposte sul ponte.
Aveva un che di minaccioso, a guardarla bene, nonostante la statura
minuta e il faccino rotondo.
Orso ridacchiò.
Aveva una sorella buffa!
«Devo dirti una cosa», considerò poco
dopo, mentre Porpora puntava a passo spedito verso una fila di salcicce
affumicate.
Lei gli rispose con un “mh” neanche troppo sentito.
«Mi sono innamorato.»
Porpora si bloccò talmente di scatto che Orso quasi non fece
in tempo a fermarsi a sua volta, rischiando ci inciampare in lei e di
finire col naso per terra.
«Tu hai fatto cosa?», sibilò sua
sorella, lanciandogli una delle occhiate più terrificanti
che Orso ebbe mai modo di sperimentare nella sua intera esistenza.
Titubante, il ragazzo deglutì.
«Beatrice de’Medici mi ha salvato»,
spiegò, mentre il sorriso si faceva strada sul suo volto e
il suo pensiero volava alla giovane dama. «Mi ha liberato dal
Bargello, mi ha chiesto di rivederla! Domani, davanti a Santa Maria in
Fiore! Sarà così bello!» Si
esibì in quella che poteva essere una giravolta, chinandosi
poi per schioccare un bacio fugace sulla fronte di Porpora.
«Dovresti vederla: è così
bella!»
Sua sorella seguì tutto lo spettacolo con un sopracciglio
alzato, incrociando le braccia sul petto quando si trattò di
dover commentare. Diede un grosso sospiro, dopodiché scosse
il capo con rassegnazione.
«Meno male che è una
de’Medici», disse, sciogliendosi in un sorriso e
avvicinandosi al ragazzo per abbracciarlo con sincera gioia.
«Altrimenti chi me lo riservava, il posto in prima fila alla
tua impiccagione?»
Orso s’imbronciò, scostandosi
dall’abbraccio con espressione offesa.
«Sputi veleno!», esclamò, atterrito.
«Sei più acida del nonno!»
«Attento a come parli, Orso!», ribatté
lei, lasciando perdere la carne per incamminarsi verso la locanda dove
dividevano un vecchio e pulcioso letto. «Altrimenti finirai
per farla tu, la fine di quel lurido decrepito!»
Quella notte, sotto la lurida coperta che li riparava dal freddo,
parlarono a lungo. Orso raccontò di Beatrice e Porpora
rimase ad ascoltare, immobile contro il petto di suo fratello che la
scaldava dalla notte.
Quando finalmente lui finì le sue storie, lei prese un lieve
sospiro, affondando il naso nella sua camicia e accoccolandosi sotto la
coperta.
«Promettimi che non ci andrai», mormorò,
senza staccare gli occhi dal materasso.
«All’incontro, intendo.»
Orso si prese un istante per pensare.
«Credi che ti abbandonerei?», rispose, poi, limpido.
«Lo credo.»
Silenzio.
«E poi, dormire senza di te non mi piace.»
«No, neanche a me.»
«Resterai con me, allora?»
Orso sorrise, lasciando sul capo della sorella un lieve bacio prima di
chiudere gli occhi e concedersi uno sbadiglio.
«Te lo prometto.»
“Beatrice!”
Come un boato lontano, un riecheggiare di colpo di cannone, la voce del
Magnifico giunse alle orecchie della giovine, mentre questa stava stesa
sul letto con un libro fra le mani.
Rotolò sulla pancia, appoggiando i gomiti al materasso e
portando un cordoncino di seta rossa fra le pagine, così che
l’ira del fratello non le facesse perdere il segno.
La porta si aprì con un tonfo secco, lasciando entrare un
Lorenzo paonazzo in volto, così arrabbiato che per un attimo
Beatrice ponderò l’eventualità di
uscire dalla finestra.
Se l’elevata altezza non l’avesse uccisa, ci
avrebbe pensato il fratello.
“Non s’usa più bussare,
Lorenzo?” domandò con educata impertinenza,
sorridendo candidamente al maggiore della casata.
Questi però non si fece abbindolare; chiuse la porta, prima
di avanzare verso il letto, puntandole contro il dito
“Stavolta hai passato il segno, signorina.” Lo
sgridò con un tono da maestrino che le costò
quasi una risata con conseguente punizione.
Nonostante ciò, Beatrice ebbe la forza di mettersi seduta,
fingendosi del tutto estranea a qualsivoglia accusa.
“Non capisco a cosa vi state riferendo, fratello
mio.” Gli disse con garbo, appoggiando il libro sul comodino.
Lorenzo s’infiammò nuovamente “Credi che
io sia un idiota, Beatrice?!”
“Non intendo ne tenzonare ne disquirrere la vostra comprovata
intelligenza.”rispose acutamente lei, alzandosi dal letto e
portandosi in piedi a distanza di sicurezza, con le mani dietro alla
schiena “Però una delucidazione riguardo questo
ingresso d’effetto m’aiuterebbe molto.”
Il Magnifico fece un paio di passi avanti, incrociando le braccia sul
petto e guardandola cupo in volto “Quando stamane sei corsa
da me a scongiurarmi d’essere clemente con un giovane, non
t’ho dato il benestare per farlo scarcerare!”
disse, riprendendo a urlare. Alzò le braccia, in un gesto di
pura stizza, prima di guardare sua sorella come se fosse una pazza
“Non s’ha da pensare che in Fiorenza la giustizia
la si regali! È stato visto dalla città rubare e
rapirti, benedetta ragazza! Cosa pensi che dirà il popolo
nel vederlo vagare per le strade?”
“Nulla, nessuno si ricorderà del suo volto
domani.” Rispose a tono la ragazza, prima di sospirare,
risedendosi sul letto stanca “Voi avete detto che sareste
stato clemente, o forse era solamente il compiacimento a parlare, visto
che la vostra amante era appena sgattaiolata fuori dal palazzo. Dovrei
chiedervi favori in momenti più opportuni, la prossima
volta.”
Lorenzo sbuffò una risata incolore, spostando lo sguardo
verso il soffitto “Sei esattamente come nostro nonno, lo
sai?”
“Mai complimento mi è stato più
gradito, Lorenzo. In verità temo che voi stiate esagerando.
Nessuno è come nostro nonno.” ‘nemmeno
Voi’, avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne.
“Credi di avere la verità in pugno, ma sei ancora
troppo giovane per comprendere cosa sia la legge e la
giustizia.” Lorenzo si avviò nuovamente alla
porta, bloccandosi su di essa “Ha sempre un prezzo, dovresti
saperlo.”
“Così come nessuna buona azione rimane
impunita.” Lo riprese lei, guardandolo fisso negli occhi. Poi
sospirò, sinceramente affranta “Non credevo di
avervi fatto un simile danno, fratello, per questo vi chiedo perdono.
Dragonetti poteva tener la lingua fra i denti ma poco
importa.”
“Non importa, Beatrice.” Rispose il Magnifico,
prima di sorride appena, in modo vagamente perfido
“Poiché non sei in grado di vivere ancora in modo
civile, ti sarà negata l’uscita da palazzo senza
di me o Giuliano.”
La giovane sbarrò gli occhi.
“Cosa?! Mi imprigioni a casa mia?!”
“Esattamente” fu la risposta dell’uomo,
prima di uscire, tenendo una mano sulla maniglia “Non potrei
più gironzolare per la città per molto, molto
tempo. Così imparerai il prezzo delle tue azioni e imparerai
a campare al mondo.”
Ignorando le obiezioni della ragazza, che era corsa sino
all’uscio per implorarlo di non farlo, Lorenzo fece per
chiudersi dietro la porta. Poi si bloccò, terminando con
un’ultima frase prima di sparire del tutto nel corridoio,
lasciandola sola “Comunque, Dragonetti non m’ha
detto nulla. Giuliano m’ha riferito cosa hai
fatto.”
Attonita per quella rivelazione, Beatrice fissò il legno
dell’uscio per diversi minuti, prima di rigettarsi sul letto,
livida di rabbia.
Giuliano l’avrebbe pagata cara per quel tradimento.
Che volesse difenderla era chiaro, ma andare a far la spia
così da Lorenzo…. Quale colpo basso!
“Lo dimostrerò io chi ha da imparare a campare al
mondo.” Disse scocciata, andando verso il cassettone e
recuperando un paio di pantaloni da cavalcata e qualche abito comodo.
Avrebbe dimostrato ai suoi fratelli che poteva benissimo arrangiarsi da
sola, che non era una bambina stupida da rimproverare o proteggere.
Magari, con un piccolo aiuto…
Quando Orso arrivò nei pressi di Santa Maria in Fiore stava or
Quando Orso arrivò nei
pressi di Santa Maria in Fiore stava ormai albeggiando e
l’aria umida della sera svaniva sotto i primi raggi solari
che sbucavano dai palazzi di Firenze.
Aveva lasciato la locanda nel bel mezzo della notte, dopo una breve
dormita che l’aveva destato ancora più stanco di
quando si era assopito, e si era diretto verso la piazza con tutta
l’intenzione di dare a Beatrice niente più che un
saluto.
Un saluto e poi sarebbe tornato a letto, pregando che Porpora non si
fosse svegliata nel frattempo e che quella sua uscita sarebbe passata
del tutto inosservata.
Era un buon piano; peccato che, ogni passo che compiva verso la piazza,
il solo pensiero di non poter dedicare che un’occhiata alla
sua bella mutava sempre più nell’ipotesi di
restare assieme a lei. Fuggire insieme, lontano da tutto …
Con un sospiro, Orso si sedette sulle gradinate della chiesa, prendendo
il viso tra le mani e lasciando la sua immaginazione libera di sognare.
Beatrice de’Medici lo voleva lì per mostrargli la
sua città, eppure, eppure non riusciva a smettere di
fantasticare. O di pianificare la loro romantica fuga dalla Toscana.
Mentre il giovane era ancora perso nelle frivolezze di un cuor
romantico, la bella de’Medici sgattaiolava con sapiente
discrezione fuori dal palazzo, senza farsi notare da nessuno. Aveva
imparato da anni i turni delle guardie, i cambi e la cadenza con cui la
servitù marciava nei corridoi, tanto bene da poter
aggiudicare un’uscita priva di ostacoli. Con i pantaloni di
pelle infilati negli stivalacci da sella e un mantello marrone scuro
calato sul capo, la giovine si godette la pace mattutina della
città ancora assopita. L’Arno era già
rumoroso, lungo i suoi argini, per l’allestimento delle
bancarelle, mentre il resto di Ponte Vecchio ancora pareva
dormicchiare. Le oreficerie e le macellerie erano chiuse,
così come il resto delle attività. Arrivare al
duomo fu semplice, visto che per le vie vi erano pochi mattinieri.
Trovò Orso già lì e un po’
si stupì: Non lo aspettava prima del meriggio, invero. Si
sedette in parte a lui, notando che non l’aveva notata.
Ridacchiò divertita, attirando così la sua
attenzione. Rise ancor di più davanti
all’espressione che gli affiorò sul viso.
“Lieta di rivedervi, messer Orso. Sono molto felice che vi
siate tenuto lontano dal Bargello, stanotte.” Disse allegra,
mentre la treccia di capelli castani le scivolava sulla spalla, da
sotto al cappuccio.
«Il piacere è tutto mio», rispose
prontamente Orso, sebbene la sua voce suonò strozzata e
nervosa, del tutto diversa da quella che aveva quando si erano
conosciuti.
Il ragazzo si torturò un poco le mani, inclinando il capo
mentre le sue goti si tingevano di un curioso rossore,
dopodiché deglutì e si decise a proseguire.
«Non pensavo di vedervi …
così», commentò, sfrontato, sforzandosi
comunque di sorridere. «Invero, non pensavo di vedervi
affatto.»
La ragazza alzò le sopracciglia stupita, prima di sporgersi
in avanti per poterlo guardare bene in viso, nonostante il cappuccio
calato sugli occhi “I Medici mantengono sempre le loro
promesse, io più di tutti!” Si scostò,
senza preoccuparsi di sembrar sfrontata a sorridere così.
Sembrava davvero un bravo ragazzo, qualcuno di cui potersi fidare. Si
morse il labbro indecisa, fingendo interesse in un vecchio mendicante
che stava avvicinandosi sempre più. Poi si decise.
“Conoscete un luogo, nei dintorni di Firenze, in cui posso
andare? Devo lasciare in fretta la città e anche se sono
piena di spirito di pura intraprendenza, sarei stupida a credermi anche
capace di arrangiarmi; sono nata e cresciuta in un palazzo, non mi sono
mai messa in strada da sola.” Prese un fiorino
d’argento dalla bisaccia, mettendolo nel bicchiere di metallo
del cieco che si prodigò nel ringraziarla per la
generosità, prima di allontanarsi.
Orso rimase a guardarla muovere qualche passo, dopodiché
balzò in piedi e si decise a seguirla, raggiungendola
rapidamente con qualche saltello.
«Un posto fuori città?», chiese,
facendosi pensieroso. «Posso chiedere perché una
signorina dovrebbe andarsene da una città bella come
Firenze?»
Non voleva suonare indisposto ad aiutarla o, peggio, ostile nei suoi
confronti, ma necessitava di capire, in qualche maniera. Di certo non
le avrebbe negato alcun appoggio. In fondo, quando si era recato
lì sapeva che c’era dell’altro, oltre il
visitare la città.
Beatrice passò un braccio attorno al suo, iniziando a
camminare silenziosamente nell’ozio mattutino. Lentamente, si
stava già recando verso San Lorenzo, per aggiudicarsi un
buon posto da cui lasciare la città.
“Ho avuto da ridire con mio fratello e vorrei stare in pace
per un paio di giorni. Fare un viaggio, magari. Vorrei tornare a
Bologna, che dopotutto non è poi così
lontana…. Tornerei, naturalmente, ma quando sarò
io a deciderlo, non Lorenzo.” Si interruppe, mordendosi la
lingua per tanta insolenza. Tutti amavano suo fratello e
così doveva rimanere, ma era così cocciuto alle
volte…. Insopportabile. “Vi chiedo scusa per tanta
insolenza, Orso. Vorrei semplicemente allontanarmi per un po’
dal mio cognome.”
Dal canto suo, Orso alzò un paio di volte le spalle,
mostrandosi comprensivo dinanzi a quel discorso del cui senso, invero,
aveva capito ben poco.
«Credo sia normale, volere una vacanza», rispose,
considerando che spesso lui e Porpora dovevano prendersi dei periodi di
pausa quando le guardie intensificavano la ronda al cimitero.
«Tuttavia, non conosco nulla di Bologna. Mia sorella
è stata a Imola qualche anno, però.
Può andar bene?»
Non che Porpora gli avesse mai raccontato di Imola, a dire il vero. O
dei suoi viaggi in generale.
«Ah, quando ero piccolo mio padre mi portò molte
volte intorno ad Arezzo!», ricordò, felice.
Conservava belle memorie di quel luogo. «Che dite?
Può andar bene?»
“No, Arezzo è sotto alla Repubblica di Siena, a
noi gemellata.” Disse pensierosa Beatrice. Di Imola non aveva
mai sentito parlare, ma poco importava. Sarebbe andata a Bologna, ormai
aveva deciso. Si staccò con gentilezza da Orso, incrociando
le mani sul ventre “Vi ringrazio per la compagnia, Messer
Orso. Ora immagino che sia ora di mettermi incammino se voglio arrivare
alle Torri entro due giorni. Vi auguro buona fortuna … A
meno che non vogliate farmi compagnia in questo piccolo
viaggio.”
Orso sospirò, scuotendo piano il capo.
«Che mai si dica che un Vallesanta ha lasciato da sola una
signora!», scherzò, sorridendo con fare gioviale.
Anche se di signore, lui, ne aveva lasciate tante. E sospettava, in un
certo qual modo, che durante i loro viaggi suo padre avesse fatto lo
stesso.
Non sindacò su tali pensieri e offrì di nuovo il
suo braccio a Beatrice, voltandosi verso la strada da cui erano venuti.
«Temo però che vi rallenterei»,
considerò. «Non posso partire senza lasciare una
riga a mia sorella. Mi ucciderebbe.»
Anche se lo farà comunque, aggiunse mentalmente, ma si
guardò bene dal dirlo ad alta voce: non era il momento di
fare considerazioni sulla sua sanguinaria sorella.
Beatrice annuì, più sorridente che mai
“Comprendo appieno e anzi, mi scuso; vi ho chiesto di lasciar
tutto e partire con me, come se non aveste affari vostri da sbrigare.
Sentitevi libero di scrivere quanto volete a vostra sorella, io mi
procuro qualche provvista per il viaggio!” Si strinse al suo
braccio sentendo la fremente eccitazione invaderla. “Dobbiamo
però lasciar Firenze entro la decima; dubito che Lorenzo si
accorgerà prima della mia fuga, ma Giuliano appena sveglio
viene sempre nella mia stanza a chiedermi se lo accompagno a fare una
passeggiata qui in centro; abbiamo ancora qualche ora, sfruttiamola al
meglio.”
«Non ci metterò un’ora»,
promise Orso, accondiscendente. «Ritroviamoci allo stesso
luogo di stamani prima dello scoccare della nona; vi prometto che
saremo a Bologna entro sera!»
Le baciò entrambe le mani in segno di reverenza,
dopodiché mostrò alla piazza un inchino fugace e
si avvio di buon passo verso la locanda ma preoccupandosi, di tanto in
tanto, di voltarsi per sorridere a Beatrice.
Non vedeva l’ora di mettersi in viaggio, magari verso una
nuova opportunità. Dopotutto chissà, a Bologna
qualcuno poteva aver bisogno di un imbalsamatore. In fin dei conti,
Porpora non era mai stata precisa sulla durata della loro vacanza a
Firenze.
Una settimana, due, che importava?
Sotto la protezione di Beatrice de’Medici, Orso si sentiva
intoccabile persino dal papa in persona.