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Autore: VandasGirls    25/04/2014    1 recensioni
Si nascose istintivamente dietro ad una delle molte scafallature di libri, prima di parlare con voce piccola e intimidita.
«Chi siete? Un ladro forse? Chiamerò le guardie se così è!» Cercò di darsi un tono, facendo anche la voce grossa sull’ultima frase, ma non uscì dal suo nascondiglio.
Ancora impegnato a fissare il soffitto, Orso sobbalzò, aprendo le mani dinanzi a sé ma non sapendo bene in che direzione voltarsi.
«Nossignora!», esclamò, trattenendo a stento uno strillo. «Sono un imbalsamatore!»

Prima che l'avvetura cominciasse, c'erano due ragazzini in vena di avventure. Prima della Contessa, c'era chi agognava la libertà, anche solo per un giorno, anche solo per assaporarne l'effimera essenza.
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitano Dragonetti, Giuliano Medici, Lorenzo Medici, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note

Solite note, solite cose da dire.

L'avventura comincia (ma anche no!)! Tutti pronti e tutti belli!

Oggi non è la giornata delle note, s'è capito.


Un bacione a tutti<3





Quant'è bella giovinezza

Capitolo secondo








«Sorella mia!»
Impegnata com’era nel mercanteggiare su una camicia in vendita presso il banco delle stoffe, Porpora di Vallesanta non notò nemmeno con la coda dell’occhio suo fratello che, di gran carriera, le si avvicinava scansando i presenti a suon di gomitate.
«Porpora!», le gridò nelle orecchie, quando fu abbastanza vicino per abbracciarla. «Sono tornato!»
Per risposta, lei sospirò rumorosamente, lasciando cadere un paio di monete nella mano del mercante che prontamente le consegnò la camicia con un gran sorriso.
«Perché, ti eri allontanato?», ironizzò poi la ragazza.
Orso la lasciò andare con un po’ di disappunto di fronte a tanto disinteresse.
«Mi avevano portato al Bargello!», commentò, offeso.
Porpora scosse il capo.
«Ti posso assicurare, fratello mio: nessuno se n’era accorto!»
Lo superò velocemente, rimettendosi a camminare per la strada con la camicia nuova sotto braccio e una borsa di patate a tracolla sulla schiena.
Orso la raggiunse con due balzi.
«Ho dato spettacolo?», chiese, ingenuo.
«Ho visto armate marciare con più discrezione.»
«Scommetto che ti sei divertita.»
Porpora si lasciò sfuggire un risolino, prima di voltarsi verso il fratello e sorridergli, strizzando l’occhio sotto la frangetta.
«Da morire!»
Orso alzò le spalle, bonario, dopodiché le prese la borsa con le patate e se la caricò in spalla. Si sentiva ancora in colpa per averla lasciata sola un giorno intero, nonostante lei non desse segno di averne in alcun modo avvertito il peso.
Mentre procedeva lentamente verso Ponte Vecchio, Orso si chiese con che tipo di fiorentino sua sorella avesse potuto aver passato la notte. Uno ricco e galante, magari? O forse uno povero ma dalla grande arguzia?
Probabilmente aveva solo minacciato qualche povero malcapitato, spaventandolo a morte per ottenere un pagliericcio asciutto.
La guardò precederlo sul ponte, i capelli sciolti sulle spalle e le mani cacciate in tasca come se stesse per estrarre il borsello e comprarsi metà delle carni esposte sul ponte. Aveva un che di minaccioso, a guardarla bene, nonostante la statura minuta e il faccino rotondo.
Orso ridacchiò.
Aveva una sorella buffa!
«Devo dirti una cosa», considerò poco dopo, mentre Porpora puntava a passo spedito verso una fila di salcicce affumicate.
Lei gli rispose con un “mh” neanche troppo sentito.
«Mi sono innamorato.»
Porpora si bloccò talmente di scatto che Orso quasi non fece in tempo a fermarsi a sua volta, rischiando ci inciampare in lei e di finire col naso per terra.
«Tu hai fatto cosa?», sibilò sua sorella, lanciandogli una delle occhiate più terrificanti che Orso ebbe mai modo di sperimentare nella sua intera esistenza.
Titubante, il ragazzo deglutì.
«Beatrice de’Medici mi ha salvato», spiegò, mentre il sorriso si faceva strada sul suo volto e il suo pensiero volava alla giovane dama. «Mi ha liberato dal Bargello, mi ha chiesto di rivederla! Domani, davanti a Santa Maria in Fiore! Sarà così bello!» Si esibì in quella che poteva essere una giravolta, chinandosi poi per schioccare un bacio fugace sulla fronte di Porpora. «Dovresti vederla: è così bella!»
Sua sorella seguì tutto lo spettacolo con un sopracciglio alzato, incrociando le braccia sul petto quando si trattò di dover commentare. Diede un grosso sospiro, dopodiché scosse il capo con rassegnazione.
«Meno male che è una de’Medici», disse, sciogliendosi in un sorriso e avvicinandosi al ragazzo per abbracciarlo con sincera gioia. «Altrimenti chi me lo riservava, il posto in prima fila alla tua impiccagione?»
Orso s’imbronciò, scostandosi dall’abbraccio con espressione offesa.
«Sputi veleno!», esclamò, atterrito. «Sei più acida del nonno!»
«Attento a come parli, Orso!», ribatté lei, lasciando perdere la carne per incamminarsi verso la locanda dove dividevano un vecchio e pulcioso letto. «Altrimenti finirai per farla tu, la fine di quel lurido decrepito!»
Quella notte, sotto la lurida coperta che li riparava dal freddo, parlarono a lungo. Orso raccontò di Beatrice e Porpora rimase ad ascoltare, immobile contro il petto di suo fratello che la scaldava dalla notte.
Quando finalmente lui finì le sue storie, lei prese un lieve sospiro, affondando il naso nella sua camicia e accoccolandosi sotto la coperta.
«Promettimi che non ci andrai», mormorò, senza staccare gli occhi dal materasso. «All’incontro, intendo.»
Orso si prese un istante per pensare.
«Credi che ti abbandonerei?», rispose, poi, limpido.
«Lo credo.»
Silenzio.
«E poi, dormire senza di te non mi piace.»
«No, neanche a me.»
«Resterai con me, allora?»
Orso sorrise, lasciando sul capo della sorella un lieve bacio prima di chiudere gli occhi e concedersi uno sbadiglio.
«Te lo prometto.»











“Beatrice!”
Come un boato lontano, un riecheggiare di colpo di cannone, la voce del Magnifico giunse alle orecchie della giovine, mentre questa stava stesa sul letto con un libro fra le mani.
Rotolò sulla pancia, appoggiando i gomiti al materasso e portando un cordoncino di seta rossa fra le pagine, così che l’ira del fratello non le facesse perdere il segno.
La porta si aprì con un tonfo secco, lasciando entrare un Lorenzo paonazzo in volto, così arrabbiato che per un attimo Beatrice ponderò l’eventualità di uscire dalla finestra.
Se l’elevata altezza non l’avesse uccisa, ci avrebbe pensato il fratello.
“Non s’usa più bussare, Lorenzo?” domandò con educata impertinenza, sorridendo candidamente al maggiore della casata.
Questi però non si fece abbindolare; chiuse la porta, prima di avanzare verso il letto, puntandole contro il dito “Stavolta hai passato il segno, signorina.” Lo sgridò con un tono da maestrino che le costò quasi una risata con conseguente punizione.
Nonostante ciò, Beatrice ebbe la forza di mettersi seduta, fingendosi del tutto estranea a qualsivoglia accusa.
“Non capisco a cosa vi state riferendo, fratello mio.” Gli disse con garbo, appoggiando il libro sul comodino.
Lorenzo s’infiammò nuovamente “Credi che io sia un idiota, Beatrice?!”
“Non intendo ne tenzonare ne disquirrere la vostra comprovata intelligenza.”rispose acutamente lei, alzandosi dal letto e portandosi in piedi a distanza di sicurezza, con le mani dietro alla schiena “Però una delucidazione riguardo questo ingresso d’effetto m’aiuterebbe molto.”
Il Magnifico fece un paio di passi avanti, incrociando le braccia sul petto e guardandola cupo in volto “Quando stamane sei corsa da me a scongiurarmi d’essere clemente con un giovane, non t’ho dato il benestare per farlo scarcerare!” disse, riprendendo a urlare. Alzò le braccia, in un gesto di pura stizza, prima di guardare sua sorella come se fosse una pazza “Non s’ha da pensare che in Fiorenza la giustizia la si regali! È stato visto dalla città rubare e rapirti, benedetta ragazza! Cosa pensi che dirà il popolo nel vederlo vagare per le strade?”
“Nulla, nessuno si ricorderà del suo volto domani.” Rispose a tono la ragazza, prima di sospirare, risedendosi sul letto stanca “Voi avete detto che sareste stato clemente, o forse era solamente il compiacimento a parlare, visto che la vostra amante era appena sgattaiolata fuori dal palazzo. Dovrei chiedervi favori in momenti più opportuni, la prossima volta.”
Lorenzo sbuffò una risata incolore, spostando lo sguardo verso il soffitto “Sei esattamente come nostro nonno, lo sai?”
“Mai complimento mi è stato più gradito, Lorenzo. In verità temo che voi stiate esagerando. Nessuno è come nostro nonno.” ‘nemmeno Voi’, avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne.
“Credi di avere la verità in pugno, ma sei ancora troppo giovane per comprendere cosa sia la legge e la giustizia.” Lorenzo si avviò nuovamente alla porta, bloccandosi su di essa “Ha sempre un prezzo, dovresti saperlo.”
“Così come nessuna buona azione rimane impunita.” Lo riprese lei, guardandolo fisso negli occhi. Poi sospirò, sinceramente affranta “Non credevo di avervi fatto un simile danno, fratello, per questo vi chiedo perdono. Dragonetti poteva tener la lingua fra i denti ma poco importa.”
“Non importa, Beatrice.” Rispose il Magnifico, prima di sorride appena, in modo vagamente perfido “Poiché non sei in grado di vivere ancora in modo civile, ti sarà negata l’uscita da palazzo senza di me o Giuliano.”
La giovane sbarrò gli occhi.
“Cosa?! Mi imprigioni a casa mia?!”
“Esattamente” fu la risposta dell’uomo, prima di uscire, tenendo una mano sulla maniglia “Non potrei più gironzolare per la città per molto, molto tempo. Così imparerai il prezzo delle tue azioni e imparerai a campare al mondo.”
Ignorando le obiezioni della ragazza, che era corsa sino all’uscio per implorarlo di non farlo, Lorenzo fece per chiudersi dietro la porta. Poi si bloccò, terminando con un’ultima frase prima di sparire del tutto nel corridoio, lasciandola sola “Comunque, Dragonetti non m’ha detto nulla. Giuliano m’ha riferito cosa hai fatto.”
Attonita per quella rivelazione, Beatrice fissò il legno dell’uscio per diversi minuti, prima di rigettarsi sul letto, livida di rabbia.
Giuliano l’avrebbe pagata cara per quel tradimento.
Che volesse difenderla era chiaro, ma andare a far la spia così da Lorenzo…. Quale colpo basso!
“Lo dimostrerò io chi ha da imparare a campare al mondo.” Disse scocciata, andando verso il cassettone e recuperando un paio di pantaloni da cavalcata e qualche abito comodo. Avrebbe dimostrato ai suoi fratelli che poteva benissimo arrangiarsi da sola, che non era una bambina stupida da rimproverare o proteggere.
Magari, con un piccolo aiuto…








Quando Orso arrivò nei pressi di Santa Maria in Fiore stava or

Quando Orso arrivò nei pressi di Santa Maria in Fiore stava ormai albeggiando e l’aria umida della sera svaniva sotto i primi raggi solari che sbucavano dai palazzi di Firenze.
Aveva lasciato la locanda nel bel mezzo della notte, dopo una breve dormita che l’aveva destato ancora più stanco di quando si era assopito, e si era diretto verso la piazza con tutta l’intenzione di dare a Beatrice niente più che un saluto.
Un saluto e poi sarebbe tornato a letto, pregando che Porpora non si fosse svegliata nel frattempo e che quella sua uscita sarebbe passata del tutto inosservata.
Era un buon piano; peccato che, ogni passo che compiva verso la piazza, il solo pensiero di non poter dedicare che un’occhiata alla sua bella mutava sempre più nell’ipotesi di restare assieme a lei. Fuggire insieme, lontano da tutto …
Con un sospiro, Orso si sedette sulle gradinate della chiesa, prendendo il viso tra le mani e lasciando la sua immaginazione libera di sognare.
Beatrice de’Medici lo voleva lì per mostrargli la sua città, eppure, eppure non riusciva a smettere di fantasticare. O di pianificare la loro romantica fuga dalla Toscana.
Mentre il giovane era ancora perso nelle frivolezze di un cuor romantico, la bella de’Medici sgattaiolava con sapiente discrezione fuori dal palazzo, senza farsi notare da nessuno. Aveva imparato da anni i turni delle guardie, i cambi e la cadenza con cui la servitù marciava nei corridoi, tanto bene da poter aggiudicare un’uscita priva di ostacoli. Con i pantaloni di pelle infilati negli stivalacci da sella e un mantello marrone scuro calato sul capo, la giovine si godette la pace mattutina della città ancora assopita. L’Arno era già rumoroso, lungo i suoi argini, per l’allestimento delle bancarelle, mentre il resto di Ponte Vecchio ancora pareva dormicchiare. Le oreficerie e le macellerie erano chiuse, così come il resto delle attività. Arrivare al duomo fu semplice, visto che per le vie vi erano pochi mattinieri. Trovò Orso già lì e un po’ si stupì: Non lo aspettava prima del meriggio, invero. Si sedette in parte a lui, notando che non l’aveva notata. Ridacchiò divertita, attirando così la sua attenzione. Rise ancor di più davanti all’espressione che gli affiorò sul viso.
“Lieta di rivedervi, messer Orso. Sono molto felice che vi siate tenuto lontano dal Bargello, stanotte.” Disse allegra, mentre la treccia di capelli castani le scivolava sulla spalla, da sotto al cappuccio.
«Il piacere è tutto mio», rispose prontamente Orso, sebbene la sua voce suonò strozzata e nervosa, del tutto diversa da quella che aveva quando si erano conosciuti.
Il ragazzo si torturò un poco le mani, inclinando il capo mentre le sue goti si tingevano di un curioso rossore, dopodiché deglutì e si decise a proseguire.
«Non pensavo di vedervi … così», commentò, sfrontato, sforzandosi comunque di sorridere. «Invero, non pensavo di vedervi affatto.»
La ragazza alzò le sopracciglia stupita, prima di sporgersi in avanti per poterlo guardare bene in viso, nonostante il cappuccio calato sugli occhi “I Medici mantengono sempre le loro promesse, io più di tutti!” Si scostò, senza preoccuparsi di sembrar sfrontata a sorridere così. Sembrava davvero un bravo ragazzo, qualcuno di cui potersi fidare. Si morse il labbro indecisa, fingendo interesse in un vecchio mendicante che stava avvicinandosi sempre più. Poi si decise. “Conoscete un luogo, nei dintorni di Firenze, in cui posso andare? Devo lasciare in fretta la città e anche se sono piena di spirito di pura intraprendenza, sarei stupida a credermi anche capace di arrangiarmi; sono nata e cresciuta in un palazzo, non mi sono mai messa in strada da sola.” Prese un fiorino d’argento dalla bisaccia, mettendolo nel bicchiere di metallo del cieco che si prodigò nel ringraziarla per la generosità, prima di allontanarsi.
Orso rimase a guardarla muovere qualche passo, dopodiché balzò in piedi e si decise a seguirla, raggiungendola rapidamente con qualche saltello.
«Un posto fuori città?», chiese, facendosi pensieroso. «Posso chiedere perché una signorina dovrebbe andarsene da una città bella come Firenze?»
Non voleva suonare indisposto ad aiutarla o, peggio, ostile nei suoi confronti, ma necessitava di capire, in qualche maniera. Di certo non le avrebbe negato alcun appoggio. In fondo, quando si era recato lì sapeva che c’era dell’altro, oltre il visitare la città.
Beatrice passò un braccio attorno al suo, iniziando a camminare silenziosamente nell’ozio mattutino. Lentamente, si stava già recando verso San Lorenzo, per aggiudicarsi un buon posto da cui lasciare la città.
“Ho avuto da ridire con mio fratello e vorrei stare in pace per un paio di giorni. Fare un viaggio, magari. Vorrei tornare a Bologna, che dopotutto non è poi così lontana…. Tornerei, naturalmente, ma quando sarò io a deciderlo, non Lorenzo.” Si interruppe, mordendosi la lingua per tanta insolenza. Tutti amavano suo fratello e così doveva rimanere, ma era così cocciuto alle volte…. Insopportabile. “Vi chiedo scusa per tanta insolenza, Orso. Vorrei semplicemente allontanarmi per un po’ dal mio cognome.”
Dal canto suo, Orso alzò un paio di volte le spalle, mostrandosi comprensivo dinanzi a quel discorso del cui senso, invero, aveva capito ben poco.
«Credo sia normale, volere una vacanza», rispose, considerando che spesso lui e Porpora dovevano prendersi dei periodi di pausa quando le guardie intensificavano la ronda al cimitero. «Tuttavia, non conosco nulla di Bologna. Mia sorella è stata a Imola qualche anno, però. Può andar bene?»
Non che Porpora gli avesse mai raccontato di Imola, a dire il vero. O dei suoi viaggi in generale.
«Ah, quando ero piccolo mio padre mi portò molte volte intorno ad Arezzo!», ricordò, felice. Conservava belle memorie di quel luogo. «Che dite? Può andar bene?»
“No, Arezzo è sotto alla Repubblica di Siena, a noi gemellata.” Disse pensierosa Beatrice. Di Imola non aveva mai sentito parlare, ma poco importava. Sarebbe andata a Bologna, ormai aveva deciso. Si staccò con gentilezza da Orso, incrociando le mani sul ventre “Vi ringrazio per la compagnia, Messer Orso. Ora immagino che sia ora di mettermi incammino se voglio arrivare alle Torri entro due giorni. Vi auguro buona fortuna … A meno che non vogliate farmi compagnia in questo piccolo viaggio.”
Orso sospirò, scuotendo piano il capo.
«Che mai si dica che un Vallesanta ha lasciato da sola una signora!», scherzò, sorridendo con fare gioviale. Anche se di signore, lui, ne aveva lasciate tante. E sospettava, in un certo qual modo, che durante i loro viaggi suo padre avesse fatto lo stesso.
Non sindacò su tali pensieri e offrì di nuovo il suo braccio a Beatrice, voltandosi verso la strada da cui erano venuti.
«Temo però che vi rallenterei», considerò. «Non posso partire senza lasciare una riga a mia sorella. Mi ucciderebbe.»
Anche se lo farà comunque, aggiunse mentalmente, ma si guardò bene dal dirlo ad alta voce: non era il momento di fare considerazioni sulla sua sanguinaria sorella.
Beatrice annuì, più sorridente che mai “Comprendo appieno e anzi, mi scuso; vi ho chiesto di lasciar tutto e partire con me, come se non aveste affari vostri da sbrigare. Sentitevi libero di scrivere quanto volete a vostra sorella, io mi procuro qualche provvista per il viaggio!” Si strinse al suo braccio sentendo la fremente eccitazione invaderla. “Dobbiamo però lasciar Firenze entro la decima; dubito che Lorenzo si accorgerà prima della mia fuga, ma Giuliano appena sveglio viene sempre nella mia stanza a chiedermi se lo accompagno a fare una passeggiata qui in centro; abbiamo ancora qualche ora, sfruttiamola al meglio.”
«Non ci metterò un’ora», promise Orso, accondiscendente. «Ritroviamoci allo stesso luogo di stamani prima dello scoccare della nona; vi prometto che saremo a Bologna entro sera!»
Le baciò entrambe le mani in segno di reverenza, dopodiché mostrò alla piazza un inchino fugace e si avvio di buon passo verso la locanda ma preoccupandosi, di tanto in tanto, di voltarsi per sorridere a Beatrice.
Non vedeva l’ora di mettersi in viaggio, magari verso una nuova opportunità. Dopotutto chissà, a Bologna qualcuno poteva aver bisogno di un imbalsamatore. In fin dei conti, Porpora non era mai stata precisa sulla durata della loro vacanza a Firenze.
Una settimana, due, che importava?
Sotto la protezione di Beatrice de’Medici, Orso si sentiva intoccabile persino dal papa in persona.





   
 
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