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Autore: Laura Carsy    26/04/2014    1 recensioni
Non abbiamo scelto noi di essere mezzosangue, e se state leggendo questo libro e sapete di essere dei normali babbani o mondani continuate a leggere, mentre se siete dei mortali e dentro di voi qualcosa inizia a nascere, bene CHIUDETELO ALL'ISTANTE! E se siete persone normali che vogliono leggere un libro perfetto continuate.Così inizia la nostra storia: fra due profezie e due scelte, tra la vita o la morte.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Castellan, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Percy Jackson




-VIENI QUA! 

Sentii le urla di quella insopportabile, odiosa, figlia di Ares, Clarisse! Che chiamava Celeste, mentre lei con lo sguardo guardava Laura e Luke allontanarsi.              Mi avvicinai a lei, scavalcando tutta quella gente che se ne stava andando via. 

-CELESTE!

Clarisse continuava ad urlare, quando riuscii a prendere il polso di Celeste, e non ho idea del perchè l'ho fatto. 

-Lasciami il polso!

Gridò, agitandosi, aveva gli occhi puntati sulla via in cui Laura e Luke si erano avviati senza preavviso.

-DOVE SONO ANDATI?

Domandò urlando, io la guardai dritto negli occhi e la trattenni. 

Clarisse ci raggiunse, guardò Celeste e fece un respiro.

-Senti Clarisse, non vuoi mica rifare la fine di ieri, non so se ti ricordi, ho fatto saltare via un gabinetto.

-No, cretino, sono venuta a prendere la nuova figlia di Ares.

Celeste si calmò, e io le lasciai il polso. Mi guardo come per domandarmi cosa vuoleva Clarisse.

-Io figlia di chi? 

-Di Ares, cretina. 

Celeste abbassò il sopracciglio, guardò la gente rimasta ed era sconvolta, nel vero senso della parola.

-Io? Aspetta, prima...Laura le era uscita quella cosa in testa, cosa c'entro io?

-E' uscita anche a te, ma era un cinghiale. 

Risposi. Clarisse sbuffò, e tirò il braccio di Celeste. Quest'ultimo urlava di lasciarla, e quella grossa stupida non ci provò, ad un certo puntò la fermò. Puntò lo sguardo su Celeste, e se era giorno avrebbe proiettato la sua ombra come un albero enorme, ma infuriato. 

-Senti, tu devi venire alla tua nuova casa, niente storie, non ti lascerò del tempo per svegliarti.

-Non voglio ''svegliarmi'', voglio che tu mi lasci in pace, non mi sono nemmeno accorta di essere diventata la tua nuova sorellina!

Mi ritrovai affianco a Celeste con l'affanno. Clarisse cambiò lo sguardo da me a Celeste,sbuffò un altra volta, puntò, in fine, il dito verso la fronte.

-Ti voglio alle nove in punto alla casa, dormirai nel letto affianco Dustin. 

-E chi è Dustin? 

-Tu fratello.

Con quest'ultime parole sparì nel buio, lasciando la sua aura di odio, o era Celeste....

-Che cosa è successo? 

Domandò. Io le spiegai del cinghiale, della luce e la confusione, di Luke e Laura che furono spinti da Chirone. Ci penso un po' su, e si calmò.

-Okay. Io non voglio andare in quella casa, voglio tornare a casa mia, a New York, a Manhattan, da mia madre.

In quel momento, quando sentii quelle parole fischiarmi nelle orecchie, volevo soltanto ritornare a una settimana prima, quando il mio migliore amico non era metà pecora, e il mio professore non era metà cavallo, quando dovevo vivere con Gabe il puzzone senza sapere ancora il perchè, quando mia madre poteva ancora cucinarmi tutto di blu. 

-Mia madre....

Dissi, senza rendermi conto che stavo parlando ad alta voce. Celeste non mi ascoltò, aveva anche lei gli occhi proiettati in un altro mondo. Poi si rese conto che io ero ancora là, e che lei aveva ancora i piedi su quel terreno, e me ne resi conto anche io.

-Senti Percy, io vorrei restare un pò da sola.

-E perchè? 

-Perchè...Non lo so! Voglio solo, solo rendermi conto di cosa sta succedendo.

Ne avevo voglia anche io. Mia madre.. 

-E' stata rapita, è morta...NON NE HO ASSOLUTAMENTE IDEA!

Pronunciai quelle parole come se fossero incastrate nella mia gola, e finalmente fossero scese giù.

-Percy,non ho capito nulla di quello che hai detto, scusami, voglio andare via...

Si allontanò con lo sguardo ancora puntato nel vuoto.

Non so chi sia,eppure mi andava di parlarci, ma erano due giorni che non sapevo chi ero nemmeno io, non sapevo che fare, dove andare, il perché di tutto questo.

Avevo come amico- come conoscente- solo Luke, e beh, Laura forse, oppure Celeste. Ma non riuscivo a togliermi i pensieri di una ragazza bionda che mi imboccava con nettare e ambrosia quando sbarcai svenuto, e l'unica cosa che mi disse è: ''Quando dormi, sbavi.''

Mentre camminavo verso la capanna di Ermes, avevo il volto basso e continuavo a pensare ai giorni precedenti.

Quando io e Grover eravamo in gita a Manhattan con due professori: il signor Brunner e la signora Dodds, ventotto ragazzini in un pullman giallo,non proprio un bel modo per iniziare una gita. La nostra meta era il Metropolitan Museum of Art, per capirci un po' di tutte quelle storie sui greci raccontate dal professore Brunner di latino; certo, non fraintendiamo lui è eccezionale come professore, meglio di tutti gli altri a dir la verità. Le sue lezioni di latino erano un miscuglio di maschere e battaglie con finte spade di cartone,ed era già tanto per un uomo di mezza età con barba e sedie a rotelle. Il mio unico desiderio era che almeno quella gita andasse per il verso giusto: senza cannoni che esplodono colpendo lo scuolabus, senza un tuffo in acqua inaspettato, senza... ok si è capito.

Il signor Brunner guidava la fila. Nel museo rimbombava l'eco, le grandi colonne grige si stagliavano imponenti avanti a noi, mi sentivo come una formica in presenza di un elefante.

Ci fermammo a varie sculture e raffigurazioni di Dei, titani e mostri greci. Avevo tanta voglia di ascoltare, ma la Dodds mi guardava con sguardo maligno ogni volta che cercavo di zittire le mie compagne oche.

Passammo avanti a tante altre sculture, Nancy fece un commento ad una stele nuda e io ormai infuriato al massimo urlai:

-Vuoi chiudere quella boccaccia?

Mi uscì più forte di quanto pensassi. In quel momento tutti mi guardarono, persino il professor Brunner interruppe la sua storia. Mi guardò, facendosi già un film sulla punizione da darmi e invece disse solo:

- Jackson, vorresti dirmi cosa rappresenta questa immagine?

Feci un respiro di sollievo.

-E' Crono che divora i suoi figli,giusto?

-Si - confermò poco soddisfatto. - E lo fa perché...

-Beh - mi sforzai di ricordare. -Crono era il dio sovrano e...

-Dio?

Ripeté Brunner.

-Titano- mi corressi. -E...non si fidava dei suoi figli,che erano Dei. Perciò, ecco,li ha divorati, giusto? Ma sua moglie ha nascosto il piccolo Zeus e al suo posto ha fatto mangiare al marito una pietra. Poi, quando Zeus è cresciuto , con l'inganno ha costretto Crono a vomitare i suoi fratelli e le sue sorelle- fui interrotto da uno stupido commento,ma poi continuai - e così c'è stata una grande battaglia fra gli dei e i titani, e infine, gli dei hanno vinto.

Sentii Nancy sussurrare ad un'amica:

-Come se queste cose ci servissero nella vita vera.

-E come mai, Jackson, - fece il Signor Brunner – per parafrasare l'ottima domanda della signorina Bobofit, questo dovrebbe interessarci nella vita vera?

Tutti guardarono Nancy che era più rossa dei suoi capelli, finalmente aveva avuto quello che si meritava.

Riflettei sulla domanda e alzai le spalle. -Non lo so, professore.

-Capisco. - Sembrava deluso.- Beh,sei andato benino, Jackson. Zeus in verità fece bere a Crono una miscela di mostarda e vino, inducendolo a rigurgitare i suoi altri cinque figli. Naturalmente, essendo divinità immortali, avevano continuato a vivere e a crescere nello stomaco del Titano ,senza mai essere digeriti. Gli dei sconfissero il padre, lo fecero a pezzi con la sua stessa falce e sparsero i suoi resti nel Tartaro, la parte più oscura degli Inferi.

''Quello che impari da me e di vitale importanza. Mi aspetto che tu lo capisca. Pretenderò solo il meglio da te, Percy Jackson.'' 

 Quelle parole....Continuavano a ronzare nelle orecchie. Girai a destra, e con il volto basso continuavo a non capire dove stavo andando...

Poi, pensai a quel momento in cui Nancy superò il limite, cercai di mantenere la calma, ma ero così furioso che mi si azzerò il cervello. Sentii come lo scroscio di un'onda nelle orecchie.

Non ricordo di averla toccata,ma un attimo dopo Nancy se ne stava con le chiappe a mollo dentro la fontana, strillando:- Percy mi ha spinto!

La Dodds si materializzò accanto a noi. Alcuni ragazzi bisbigliavano:- Avete visto...

-...l'acqua...

-...è stato come se l'afferrasse...

Non sapevo di cosa stessero parlando. Dopo aver tranquillizzato la piccola e povera Nancy,la professoressa si girò a guardarmi. Aveva uno sguardo felice,sembrava avessi fatto una cosa che aspettava da tutto il semestre.

-Vieni con me.

Arrivammo in una sala, nella sezione greca e romana.

La Dodds mi guardava dall'alto in basso con le braccia incrociate e provocando degli strani versi con la bocca che mi incutevano ancora più paura.

-Pensavi davvero di cavartela così?

Dissi:

-Mi...impegnerò di più signora.

-Non siamo degli sciocchi, Percy Jackson – replicò lei- Era solo questione di tempo perché ti scovassimo.

Poi successe una cosa pazzesca. I suoi occhi si incendiarono, le sue dita si allungarono in artigli. Il giubbotto si fuse in grandi e ruvide ali di pelle. Non era più umana, era una megera avvizzita con le ali da pipistrello, gli unghioni e la bocca piena di zanne ingiallite, e stava per ridurmi in pezzettini!

Poi la situazione cambiò.

Il signor Brunner si precipitò dentro la sala con la sedia a rotelle e una penna in mano. Mi lanciò la penna a sfera, ma quando toccò la mia mano non era più una penna bensì una spada, una vera spada , quella che il professore usava nella giornata di guerra in classe. La Dodds rivolse verso di me uno sguardo assassino. Avevo le ginocchia di gelatina e le mani mi tremavano così tanto che per poco non feci cadere la spada.

-Muori, dolcezza!

Disse lei e con un battito di cuore mi venne addosso.

In quel momento feci l'unica cosa che mi venne in mente, sferrai un colpo di spada.

La lama metallica la colpì sulla spalla, trapassandola come se fosse fatta d'acqua.

La Dodds diventò come un castello di sabbia in balia di un ventilatore: esplose in una nube di polvere gialla.

Ero arrivato alla cabina undici, ero talmente stanco che l'unica cosa che riuscivo a vedere era il letto, la casa sembrava stranamente silenziosa, Travis e Connor dovevano essere ancora al falò o in qualunque altro posto a fare scherzi a Dioniso, questo per loro si chiamava divertirsi. Mi distesi sul letto e chiusi gli occhi.

Mi ricordai,quel momento in cui, tornato dalla gita al Museo, mia madre mi disse ''Andiamo a mare''

Finalmente! Mi brillavano gli occhi, una bella vacanza, eh.

Il nostro bungalow in affitto era sulla costa meridionale, sulla punta più esterna di Long Island. Era una piccola scatola color pastello con le tendine scolorite, mezza affondata fra le dune.

Mamma preparava sempre il cibo trasformandolo in blu, beh la storia di questa strana fantasia nacque una volta in cui il mio padrino la trovò strana, e da allora mia madre fa di tutto per trasformare il cibo in azzurro. Però, anche quella settimana doveva essere strana, e fu proprio il giorno in cui scoprii che il mio amico Grover era una capra, che la mia vita cambiò totalmente. L'unica cosa che so per certo dopo che la capra entrò allarmata dalla porta del bungalow, impaurita da un mostro che ci stava seguendo, fu che mia madre,che mi era sempre sembrata una tipa apposto, conosceva o meglio sapeva l'esistenza di un mezzo-capra che mi stava ''proteggendo'', così dicevano loro. Prendemmo immediatamente la macchina e, mentre vincevo il record di ''corsa con le macchine ad ultra potenza, con mostri che ti inseguono''arrivammo ai piedi di una collina. Ci fu un momento, in cui mia madre pensò che l'avrei lasciata lì,in balia di furie e tempeste.Ma io aprii lo sportello dell'auto, che Gabe aveva detto di non graffiare, la presi, insieme a Grover ormai sanguinante. Salimmo su per una collina in direzione di un grosso albero.

In quel momento,Liam, uno dei tanti figli di Ermes, entrò nella casa con due enormi occhi rossi per il sonno, la nostra conversazione si limitò ad un ciao.

E poi,ritornando ai miei pensieri, ecco  il minotauro, ricordo ancora la sua corporatura:sembrava appena uscito da una rivista di culturismo,un ammasso di bicipiti,tricipiti e un mucchio di altri ''cipiti''.Mia madre mi informò subito che aveva una vista e un udito pessimi, non mi avrebbe visto subito.

- Percy, - disse mia madre. - Non appena ci vedrà, partirà alla carica. Tu aspetta fino all'ultimo secondo, poi togliti di mezzo,scartando subito di lato. Non è capace di cambiare molto bene direzione quando carica. Hai capito?

-Come fai a saperlo?

-Ero da tempo che temevo un attacco. Dovevo aspettarmelo.Sono stata egoista a tenerti con me.

-A tenermi con te?Ma...

Un altro mugghio di rabbia e l'uomo-toro cominciò a risalire pesantmente la collina,ci aveva fiutati.

Da qui la voce di mia madre che mi incitava di correre e mi diceva di doverci separare, il minotauro che con le sue corna cercò di colpirmi ma lo schivai e, sempre lui che invece di prendere di mira me, prese mia madre. Andò verso di lei, che in quel preciso instante stava cercando di allontanare il mostro da Grover, la sollevò da terra e la strinse fra le sue grosse mani. Iniziai ad urlare a mia madre, ma lei riuscì a dirmi un'unica parola ''Vai'' e poi si dissolse in un fascio di luce,trasformandosi in una sagoma dorata e tremolante,come un ologramma. 

Era svanita.

La rabbia prese il posto della paura, chiamai il minotauro:

-Ehi, stupido bestione!Specie di bovino da macello!

Si girò verso di me.

Mi venne un' idea, folle, ma pur sempre meglio di niente. Appoggiai la schiena contro il pino e agitai l'impermeabile, che avevo poco prima addosso, davanti al minotauro, con l'intenzione di scansarmi all'ultimo momento.

Ma non andò così.

L'uomo toro caricò troppo in fretta. Il tempo rallentò.Tesi i muscoli delle gambe. Non potevo saltare di lato,percò balzai verso l'alto, scavalcando la testa del mostro e usandola come punto d'appoggio per girarmi in volo e atterrare a cavalcioni sul suo collo. La testa del mostro andò a sbattere contro l'albero, un impatto che mi fece quasi cadere. Si impennò come un animale da rodeo. Pensai a come aveva fatto sparire mia madre, mi aggrappai ad un corno e tirai con tutte le mie forze. In un attimo mi ritrovai in volo verso la terra. Appena seduto,il minotauro mi venne contro, istintivamente rotolai e mi misi in ginocchio. Quando il bestione mi fu vicino gli conficcai il corno mezzo spezzato nel fianco, proprio sotto il torace. 

Emise un grido e poi, come tutti, svanì.

Ed è a questo punto che sentii una voce di una ragazzina e vidi dei capelli biondi a boccoli, con un uomo barbuto dall'aria familiare al suo fianco.

Fu l'ultimo ricordo di quella sera, di mia madre, dell'inizio della mia fantastica vita da semidio non riconosciuto.

Stanco e sfinito, con gli occhi di mia madre, la sua dolcezza e la sua mania di cucinare in azzurro, e i boccoli di una ragazza bionda mi cullarono, e i miei pensieri si trasformarono in incubi. 

  
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