Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: crazy640    26/04/2014    4 recensioni
C’era stato un tempo in cui un uomo dai capelli neri, completamente pazzo, lo faceva correre per le strade di Londra a qualsiasi ora del giorno e della notte a caccia di ladri e assassini, mettendolo nei guai con i suoi colleghi della clinica ed i suoi pazienti…e rendendolo incredibilmente felice.
Quando quel meraviglioso pazzo era uscito dalla sua vita con un gesto drammatico del suo lungo cappotto senza neanche guardarsi indietro, nella sua vita erano rimaste solo tre cose: il suo lavoro, Amelia e Matthew.
Ed erano state queste tre cose che gli avevano impedito di lasciarsi andare e crollare.
Da sei anni le sue giornate erano organizzate in modo quasi militare:ogni giorno la stessa tabella di marcia.Nessuno dall'esterno avrebbe mai immaginato che in quella macchina bene oliata ci fosse un importante pezzo mancante ed era passato talmente tanto tempo dall'ultima volta che qualcuno gli aveva fatto domande sulla sua Omega che se per caso si ritrovava ad affrontare quell'argomento con un estraneo, John si limitava a fare un’espressione triste e a scuotere la testa, mettendo a disagio il suo interlocutore.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Mpreg
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Little by little

 

 

Maybe a thief stole your heart
Or maybe we just drifted apart
I remember driving
In my daddy's car to the airfield
Blanket on the hood, backs against the windshield
Back then this thing was running on momentum, love and trust
That paradise is buried in the dust

“If you're wondering why
All the love that you long for eludes you
And people are rude and cruel to you
I'll tell you why

You just haven't earned it yet, baby
You just haven't earned it, son
You just haven't earned it yet, baby
You must suffer and cry for a longer time
You just haven't earned it yet, baby”

 

Dopo il loro primo incontro, John e Sherlock vennero spinti l’uno verso l’altro con la speranza, mal celata, dei propri genitori, di far nascere un’amicizia che con il tempo si sarebbe tramutata in un amore.

Dal canto loro i bambini erano ben felici di passare quanto più tempo possibile insieme.

 Sherlock non aveva mai avuto un vero amico, escluso ovviamente il contorto rapporto che lo legava a Mycroft e che si era parzialmente interrotto quando il giovane si era prima Unito a Gregory e poi era partito per Cambridge, anche a causa del suo carattere restio e diffidente che lo portava ad evitare tutti coloro che giudicava inferiori a sé.

La sua enorme intelligenza, già fin troppo sviluppata in giovane età, gli aveva impedito di vivere un’infanzia convenzionale insieme ai suoi pari, confinandolo in una “torre d’avorio” fatta di esperimenti, libri e taccuini su cui annotava tutte le proprie deduzioni( aveva imparato fin troppo presto quanto poco queste venissero apprezzate dagli adulti).

Finché John non era entrato nella sua vita.

John con il suo sorriso sempre pronto, i suoi grandi occhi blu capaci di essere sorridenti l’attimo prima e confusi trenta secondi dopo, la sua risata accennata quasi si vergognasse di far sentire agli altri che trovava divertenti le “oltraggiose” battute di Sherlock.

John, che ascoltava i suoi pensieri e le sue deduzioni e li trovava brillanti, degni d’attenzioni.

Durante l’anno scolastico i due ragazzi potevano vedersi soltanto durante i week end passando insieme poche ore in cui Sherlock cercava di recuperare tutto il tempo perduto, parlando velocemente per mettere John al corrente delle sue ultime scoperte e correndo da un lato all’altro dell’ enorme casa perché John potesse vedere con i suoi occhi i cambiamenti che erano avvenuti dall’ultima volta che era stato lì.

John era una persona estroversa, solare e spigliata, capace di far amicizia con un estraneo con poche parole, quindi Sherlock era consapevole che l’altro aveva molti amici nella scuola che frequentava durante la settimana, ragazzi e ragazze che avevano un contatto giornaliero con John, osservarlo cinque giorni la settimana ma incapaci di notare le piccole differenze che avvenivano sul suo volto o di stabilire quali avvenimenti ne rafforzavano o contribuivano a cambiarne il carattere.

Soltanto Sherlock. Nessuno conosceva John come lui.

Dal canto suo John, malgrado cercasse di nasconderlo ai propri genitori e a Harry aspettava con ansia quei fine settimana, desideroso di passare quanto più tempo con Sherlock, di allontanare la mente dalla scuola, dalla propria famiglia e di affidarsi alle cure di colui che un giorno sarebbe diventato il suo Alpha, ma che al momento era il suo migliore amico.

Quegli incontri andarono avanti per tre anni, con la stessa spensieratezza e la stessa serenità che accompagnava la loro età.

All’età di 10 anni, Sherlock aveva completamente annullato la differenza d’altezza fra di loro, in modo che i due ragazzi potessero guardarsi in volto senza che l’uno dovesse alzare leggermente la testa.

-E’ una caratteristica Alpha: essere alti e imponenti per proteggere il proprio Omega.

Dimostra che mi prenderò cura di te al meglio delle mie capacità-gli disse Sherlock chiaramente soddisfatto.

-Speriamo che cresca anche tutto il resto-commentò ironico John, 12 anni ed un orgoglio ben radicato nel suo animo.

Quelle parole avevano portato Sherlock ad arrossire violentemente e avevano portato il biondo ad abbassare lo sguardo, colpevole di aver infranto una regola non scritta fra di loro.

Entrambi erano consapevoli che in un futuro lontano John sarebbe “appartenuto” a Sherlock, che il suo Marchio sarebbe stato ben visibile sul collo di John, e soprattutto che il suo primo Estro avrebbe provocato delle reazioni inaspettate in entrambi che avrebbe creato un legame più forte della loro amicizia; ma al momento entrambi preferivano evitare quell’argomento, specialmente la parte fisica della loro Unione, non ancora pronti ad immaginare quella parte del loro futuro.

C’era ancora tempo per pensare a quello che sarebbe successo quando la biologia avrebbe messo loro i bastoni fra le ruote.

Per il momento erano amici. Ed erano inseparabili.

Sherlock si stupiva ogni volta che John si mostrava interessato ai suoi esperimenti e gli faceva i complimenti per le sue deduzioni, e allo stesso tempo, John continuava a chiedersi quando sarebbe arrivato il momento in cui Sherlock avrebbe aperto gli occhi e si sarebbe reso conto di quanto fosse banale ed ordinario John Watson, ribellandosi alla decisione dei loro genitori interrompendo così ogni loro rapporto.

Era stato proprio grazie a quel legame cosi stretto che era bastato soltanto uno sguardo perché Sherlock si accorgesse di qualcosa di diverso in John.

Era arrivato al Manor come al solito per trascorrere il week end, ma il suo volto era teso, la mente distratta dietro pensieri lontani dalle mura alte dell’enorme villa, incapace di prestare attenzione al fiume di parole che come ogni volta Sherlock aveva riversato su di lui fin dal suo arrivo.

Ferito nell’orgoglio e segretamente convinto che John avesse trovato qualcuno più interessante di lui, Sherlock si era chiuso nella propria camera da letto, senza chiedere a John di accompagnarlo, lasciandolo vagare per il giardino immerso nei propri pensieri, finché il biondo non aveva bussato timidamente alla porta della stanza ed era rimasto sulla soglia in attesa di un gesto che gli permettesse di entrare.

-Hai intenzione di restare lì impalato tutto il pomeriggio?-gli aveva domandato Sherlock continuando a voltargli le spalle.

La porta della stanza si era chiusa, seguita pochi istanti dopo dai passi pesanti di John per la camera finché questi non aveva raggiunto il letto e vi si era seduto sopra, le gambe leggermente aperte ed i piedi poggiati sul pavimento.

Per un lungo istante il silenzio era calato opprimente fra i due ragazzi, fino a quando John aveva alzato lo sguardo su Sherlock, ancora ostinatamente concentrato sul lavoro davanti a sé, ed aveva preso un respiro profondo.

-Ti devo delle scuse-aveva iniziato.

Gli occhi di Sherlock si erano allontanati dal microscopio, ma il moro aveva volutamente tenuto la testa bassa consapevole che se avesse alzato lo sguardo sul volto di John, il moro si sarebbe intimorito e avrebbe smesso di parlare.

-So di non essere stato di grande compagnia finora…E di averti trattato male… Sono davvero un pessimo Omega-aveva commentato fra i denti.

Una protesta era nata istantanea sulle labbra di Sherlock, ma facevano appello al suo autocontrollo, il ragazzo la bloccò prima che potesse trovare voce.

-Mia madre…-aveva iniziato John, bloccandosi per sciogliere il nodo evidente che gli serrava la gola- Mia madre è malata-

Finalmente gli occhi blu ghiaccio di Sherlock si erano sollevati sul volto di John, incontrando all’istante il suo sguardo, accompagnato da un affettuoso sorriso accennato.

Malgrado il bambino stesse cercando di mostrarsi forte, Sherlock notò il battito cardiaco accelerato, le mani serrate a pugno per cercare di controllare la rabbia che quella situazione portava con sé, il pomo d’Adamo in costante movimento che combatteva contro la tempesta d’emozioni che in quel momento imperversava in John, e poi notò i suoi occhi: i sinceri occhi blu oceano che in quel momento sembravano ancora più limpidi a causa delle lacrime trattenute a stento.

Fu grazie a quei piccoli indizi che capì ciò che John non aveva avuto il coraggio di dire ad alta voce.

Cynthia Watson stava morendo.

Inconsciamente Sherlock aveva fatto un cenno d’assenso con il capo.

-C’è qualcosa che posso fare?-gli aveva chiesto.

John gli aveva sorriso, deglutendo nuovamente prima di parlare.

-Nessuno può fare niente-aveva poi risposto.

Per tutto il fine settimana Sherlock fu insolitamente silenzioso, restando al fianco di John, una mano in quella del biondo, facendogli sentire la sua presenza senza però essere eccessivamente soffocante, convinto che il compito di un buon Alpha fosse quello di rassicurare il proprio Omega ogni volta che questo mostrasse segni di infelicità o di stress.

Per i tre mesi successivi, durante la malattia di Mrs. Watson, Sherlock decise di comportarsi come al solito, deciso a distogliere la mente di John da quello che succedeva a casa, al progressivo peggioramento della salute di sua madre, desideroso di concedergli qualche ora di relax(per quanto effimero), ogni volta che erano insieme: continuò a parlargli dei propri progetti, a mostrargli i propri progressi con le api ed lo coinvolse in un gioco di deduzioni, invitandolo a puntare il dito in mezzo alla folla, scegliendo una persona a caso, perché Sherlock potesse scoprire tutti i suoi segreti nel giro di pochi istanti, provocando le risate incontrollate di John.

Finché un giorno non accadde l’inevitabile.

Un mercoledì pomeriggio la macchina degli Watson si fermò davanti al Manor e John scese mestamente dal sedile posteriore, accompagnato da una sconosciuta.

Sherlock gli andò incontro come al solito e, dopo aver osservato le spalle curve e gli occhi arrossati di John, capì che Mrs. Watson era morta.

Senza parlare, aveva stretto una mano in quella di John e si era avviato verso l’enorme giardino, seguito mestamente dal biondo.

Avevano camminato a lungo, allontanandosi finché nessuno affacciandosi da una delle tante finestre del Manor avrebbe potuto vederli, arrivando accanto ad un salice piangente i cui lunghi rami ricurvi toccavano il terreno con la grazia e l’eleganza di una ballerina classica.

Sherlock si era seduto a terra, tirando giù con sé anche John, entrambi con la schiena contro il tronco del grande albero ed aveva lasciato cadere il silenzio fra di loro, interrotto soltanto dal canto intermittente dei grilli.

-Raccontami qualcosa Sherlock-si era sentito chiedere all’improvviso, dopo un lasso di tempo imprecisato.

Il moro si era voltato leggermente verso l’amico, osservando gli occhi blu oceano fissi sul cielo sgombro di nuvole, notando per la prima volta le nocche della mano destra graffiate(deve aver preso a pugni il muro per sfogare la rabbia ed il dolore), domandandosi quale argomento avrebbe potuto risollevare l’animo triste di John.

Senza quasi rendersene conto, Sherlock aveva dischiuso le labbra e aveva iniziato a parlare, disquisendo sullo spazio, del Sistema Solare, dei vari pianeti e delle loro diverse caratteristiche, continuando poi con le costellazioni e delle stelle più famose che costituivano la Via Lattea.

Durante il suo discorso, in silenzio, John si era avvicinato a lui e aveva abbandonato la testa contro la sua spalla destra ed in silenzio, mentre Sherlock era impegnato a dimostrare la possibilità di vita su Marte, John aveva iniziato a piangere.

In silenzio, con pudore, cercando di non dare fastidio.

Fu soltanto quando le sue spalle iniziarono ad essere scosse da violenti singhiozzi che Sherlock si accorse dello stato d’animo dell’amico e, senza interrompere il suo discorso, aveva attirato John a sé, muovendosi in modo da poter circondare le spalle tremanti di John con un braccio, portando così il biondo a nascondere il volto contro il collo niveo dell’altro.

All’istante, le braccia di John si erano serrate contro la vita sottile del bambino, aggrappandosi a lui in cerca di sostegno, protezione e aiuto, chiedendo al proprio Alpha di non abbandonarlo e allo stesso tempo chiedendogli perdono per quel momento di debolezza.

Sherlock non seppe mai quanto tempo trascorsero in giardino sotto il salice piangente, ma quando finalmente i singhiozzi di John cessarono, il bambino che Sherlock aveva conosciuto tre anni prima era scomparso, lasciando precocemente il posto all’uomo che John sarebbe diventato con il tempo.

Quella sera, mentre osservava John dormire nel letto singolo sistemato accanto al suo, Sherlock aveva cancellato dal suo cervello ogni minima nozione sullo spazio e sul Sistema Solare, lasciando intatto il ricordo del volto sconvolto dal dolore di John.

Immerso nelle tenebre della notte, Sherlock promise a sé stesso che da quel momento in poi avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare che John soffrisse di nuovo.

 

_________________________

 

 

Avvertì la loro presenza non appena entrarono dalla porta del cafè.

I suoi occhi blu ghiaccio si mossero veloci verso l’entrata, distogliendo lo sguardo all’istante, concedendo a padre e figlia l’intimità ed il tempo di cui avevano bisogno per le ultime raccomandazioni, deciso a concedere ad Amelia tutto il tempo di cui aveva bisogno per approcciarsi a lui.

Aveva atteso quel momento per otto lunghi anni, non avrebbe permesso alla curiosità e all’impazienza di rovinare tutto; quindi concentrò la propria attenzione sulla tazza di ceramica bianca posata a poca distanza dalla sua mano destra, accarezzandone il manico con la punta dell’indice e del medio, notando l’impercettibile alone marrone chiaro di caffeina attorno ai bordi che non era scomparso neanche con i potenti detergenti industriali ed i frequenti lavaggi.

Due minuti e trentasei secondi dopo, un’ombra si materializzò davanti al suo tavolino, portandolo ad alzare lo sguardo.

Ferma, davanti alla sedia vuota di fronte alla sua, Amelia lo fissava in silenzio e per i successivi quindici secondi padre e figlia si osservarono, imbarazzati e incapaci di spicciare parola.

Ricordando le buone maniere che sua madre aveva cercato inutilmente di insegnargli, Sherlock si alzò in piedi, troneggiando sopra di lei e incurvò impercettibilmente le labbra nell’accenno di un sorriso.

Forse rassicurata da quel gesto cavalleresco o dal suo “sorriso”, Amelia uscì dall’immobilità che l’aveva colpita fin da quando si era avvicinata al tavolo e dischiuse le labbra in un lieve sorriso tipicamente Watson, che portò il cuore di Sherlock a mancare un battito.

-Salve. Sono Amelia Victoria Watson-si presentò con voce chiara e ferma.

Sherlock fece un cenno con il capo.

-Ed io sono Sherlock Holmes. Piacere di conoscerti.

Prego, siediti-le disse indicandole la sedia vuota davanti alla bambina.

Amelia si slacciò il cappotto blu notte e lo sistemò ordinatamente sulla spalliera della sedia, rivelando un paio di sneakers rosa dei jeans neri ed una camicia bianca coperta da un cardigan rosa in tinta con le scarpe.

-Ero certo che tuo padre ti avrebbe accompagnato al tavolo-le disse, scegliendo di iniziare la conversazione con un argomento neutro.

La bambina annuì.

-Voleva farlo...Ma io gli ho ricordato che ho 9 anni e tre quarti e non ho bisogno di un accompagnatore.

E’ seduto laggiù-disse voltandosi leggermente sulla sedia per indicare la sezione del cafè vicino alla porta.

-Due tavoli alla nostra destra, poco distante dalla porta, dove può vedere bene sia me che te, ma soprattutto il tuo volto, in modo da intervenire se dovessi aver bisogno d’aiuto-elencò Sherlock con sicurezza.

Amelia tornò a voltarsi verso di lui e lo fissò per qualche istante sorpresa, un lampo di curiosità negli occhi, prima di abbassare lo sguardo sul tavolo( devono averle detto che fissare troppo a lungo una persona è maleducazione…Mycroft!).

-Deve avere la vista di un falco…-commentò.

Sherlock accennò un sorriso, contagiando anche la bambina.

-Qualcosa del genere. Vuoi qualcosa da bere?-le domandò ricordandosi il comportamento più adatto in certe situazioni.

Amelia annuì.

-Un succo di mela, per favore-rispose in maniera estremamente educata.

Sherlock si alzò dalla propria sedia e si diresse verso il bancone, lanciando un’occhiata di sottecchi a John e notando che il biondo lo stava osservando a sua  volta, prima di concentrarsi sul proprio compito.

Con voce estremamente educata ordinò del succo di mela per Amelia, osservando velocemente la cameriera e scoprendo la sua infelice relazione con un cugino di secondo grado e i debiti universitari che non era in grado di ripagare con il lavoro part-time al cafè che la portavano a considerare un secondo lavoro in un locale notturno.

-Ecco a te-disse una volta tornato al proprio tavolo e restando in silenzio qualche istante mentre Amelia prendeva qualche sorso dal proprio bicchiere.

Osservandola, Sherlock si disse che era impossibile che il suo patrimonio genetico avesse preso parte alla creazione di quella bambina: ogni più piccola cosa, partendo dal colore dei capelli alla punta del naso, per finire alle mani piccole, era esclusivamente John.

C’era stato un tempo in cui la versione maschile di quel patrimonio genetico scorrazzava per Holmes Manor senza nessun pensiero per la testa, spensierato e felice di trovarsi insieme al proprio migliore amico…al proprio futuro Alpha…

-Com’è andato l’allenamento di calcio?-le domandò allontanando quei pensieri dalla mente.

Amelia alzò le spalle.

-Sarebbe potuto andare meglio-commentò.

-Come mai?-chiese Sherlock aggrottando leggermente la fronte.

-E’ venerdì…Il venerdì facciamo sempre il peggior allenamento: tutti sono concentrati sul fine settimana e cosa faranno in quei due giorni, e non si impegnano abbastanza durante l’allenamento-spiegò quasi fosse un dato di fatto.

-Può essere noioso, lo capisco-concesse Sherlock.

-Davvero noioso!-confermò Amelia calcando sull’ultima parola.

Il detective accennò un nuovo sorriso confrontandosi finalmente con la prima vera prova della presenza dei suoi geni nella bambina; pochi istanti ed il suo sorriso si accentuò ancora di più quando si rese conto che era una delle caratteristiche che facevano imbestialire John.

-Quindi tu sei il mio padre Omega-disse la bambina, riportando la sua attenzione sul suo volto.

Sherlock la fissò qualche istante, notando la sua esitazione e l’imbarazzo ad affrontare quell’argomento e allo stesso tempo il bisogno di ottenere una risposta.

-Sì, sono io-confermò.

Questa volta toccò ad Amelia osservarlo per qualche istante in silenzio, e Sherlock sperava di scorgere nel suo volto qualche rassomiglianza, qualche piccolo particolare che confermasse le sue parole e quelle di John.

-Sei identico alle foto su internet- disse alla fine, prima di bere un altro sorso dal proprio bicchiere.

-Vedo che hai fatto una piccola ricerca su di me-le disse il moro.

Amelia annuì.

-Era più facile-si limitò a commentare.

-Vostro padre non parla mai di me?-le chiese sinceramente curioso.

-Sei davvero un detective?-gli domandò lei evitando di rispondere alla sua domanda.

-Consulente detective-precisò automaticamente Sherlock-Quando Scotland Yard ha bisogno di un aiuto, quindi la maggior parte delle volte, vengono da me e io risolvo i loro casi-

-Quindi lavori con Scotland Yard?-

-Soltanto con la Sezione Omicidi-disse ancora.

Amelia restò in silenzio qualche istante, chiaramente pensierosa, le labbra premute l’una contro l’altra, mentre le dita della mano destra giocherellavano nervosamente con il polsino del cardigan della mano sinistra.

-Quindi ti preoccupi di arrestare i criminali-concluse.

-Io fornisco le prove che serviranno agli agenti di Scotland Yard per arrestare i criminali, ma si può dire che la tua affermazione è corretta-affermò Sherlock.

-E’ pericoloso?-gli domandò ancora la bambina.

Sherlock prese un respiro profondo e rifletté qualche istante, indeciso se dire la verità o meno: se si fosse limitato a svolgere il proprio lavoro fra le quattro mura del proprio appartamento, osservando i files e conducendo esperimenti non sarebbe stato un lavoro pericoloso, ma il 99,9% delle volte, Sherlock si gettava a capofitto nell’inseguimento del sospettato…

-Il più delle volte-ammise, scegliendo di essere sincero.

-Quindi perché lo fai?-gli chiese Amelia, la fronte leggermente corrucciata per la confusione.

Per l’ebbrezza dell’inseguimento… Per l’adrenalina che mi scorre nelle vene ogni volta che un’omicida o uno stupratore o un bombarolo viene arrestato grazie a me…Per evitare che la mia mente marcisca a causa della noia”

-E’ il mio lavoro.

Così come tuo padre aiuta le persone facendo di tutto perché guariscano e vivano il più a lungo possibile, io faccio del mio meglio perché la città sia sicura-le rispose, sperando che fosse la risposta più giusta.

-E’ divertente?-gli domandò ancora la bambina.

“Oh Dio si…”

-Qualche volta-

Amelia annuì e con  un lungo sorso finì il proprio succo di mela.

-Come va la scuola?-le chiese Sherlock, cambiando argomento.

Ancora una volta, Amelia alzò le spalle.

-Bene. Matty, mio fratello, ti direbbe che è noiosa, ma a me piace-rispose con una sincerità che poteva essere trovata soltanto nei bambini.

-Quali sono le tue materie preferite?-

-Inglese, Storia e Biologia-rispose prontamente lei.

-E tuo fratello invece? Quali sono le sue materie preferite?-tentò il detective, senza grandi speranze.

Amelia abbassò per un’istante lo sguardo sul proprio polsino prima di incontrare nuovamente i suoi occhi.

-Forse dovresti chiederlo a lui…-rispose in tono dolce, chiaramente imbarazzata.

Sherlock le sorrise, rassicurandola che quel rifiuto non l’aveva indispettito in nessun modo ed annuì.

-Hai ragione…Ok, mi hai già detto che giochi a calcio, qual è il tuo ruolo?-le domandò cambiando nuovamente argomento, deciso a superare in fretta quel momento d’imbarazzo.

Per qualche secondo Amelia lo guardò incerta, quasi non fosse sicura se potesse fidarsi di lui o meno, prima di rilassarsi nuovamente.

-Sono il portiere. Papà e lo zio Greg dicono che sono anche abbastanza brava-commentò, alzando le spalle per l’ennesima volta, in un gesto pieno di insicurezza- Ti piace il calcio?-gli domandò poi.

Sherlock sorrise a sua volta.

-Non posso dire di essere un fan appassionato, o un conoscitore esperto delle regole.

C’è stato un periodo, quando eravamo giovani, che ero capace di sedere sul divano accanto a tuo padre per tutta la partita, ascoltandolo mentre gridava insulti all’arbitro o alla squadra avversaria, o mentre esultava per la vittoria del Chelsea-le raccontò.

Amelia aggrottò la fronte a quelle parole.

-Perché?-

Sherlock mosse entrambe le mani sul piano del tavolino, incapace di trovare una spiegazione sensata.

-John ama il calcio ed io amo lui-rispose semplicemente alla fine.

Dopo quelle parole Amelia restò in silenzio per un lungo istante, fissandolo quasi lo vedesse per la prima volta e fu allora che Sherlock capì: quella semplice frase aveva creato un piccolo terremoto interno nelle convinzioni della bambina.

Sherlock se ne era andato quando lei e Matthew erano in fasce, quindi l’unica spiegazione possibile era che l’Omega aveva smesso di amare suo padre e aveva deciso di abbandonare lui ed i loro cuccioli.

A distanza di otto anni, Sherlock era lì davanti a lei, a parlare dei propri sentimenti per John al presente, come se fossero più vivi e forti che mai…Quindi cosa aveva spinto l’Omega ad abbandonarli?

-Cos’ altro avete fatto insieme?-gli domandò all’improvviso chiaramente curiosa.

“Siamo andati all’inferno e ritorno più e più volte…E nel percorso siamo diventati adulti e l’unica persona davvero indispensabile per l’altro”

-Una volta, tuo padre avrà avuto 18 anni, all’improvviso ha deciso che voleva imparare a cucinare.

Io ovviamente fui la sua cavia-le raccontò.

-Cosa successe?-gli domandò curiosa Amelia.

-Fu un’esperienza orribile!-si limitò a rispondere l’uomo.

-Papà sa cucinare molto bene!-ribatté la bambina correndo prontamente in difesa del padre.

Sherlock annuì lentamente.

-Non metto in dubbio che ora la sua cucina sia decisamente migliorata, ma se non ricordo male quella era la prima volta in cui tentò di cucinare la pasta.

Malgrado le istruzioni ben chiare sul libro di cucina uscì così dura che la usammo come sassolini nel laghetto delle oche a Regent’s Park-le raccontò, ricordando l’espressione esasperata e delusa di John di fronte al cibo immangiabile, il modo in cui erano riusciti a risollevare le sorti di quella giornata grazie all’improvvisa idea di portare i granitici pezzi di grano duro al parco e compararli ai sassi che asfaltavano i vialetti di Regent’s Park in una gara nel laghetto.

Amelia rise.

Una piccola cascata di risate squillanti che accelerò i battiti cardiaci di Sherlock e che scatenò un inaspettato calore sul suo volto: era questo che John provava tutti i giorni stando a contatto con lei e Matthew?

-Già…E non apriamo il discorso dolci!

E’ sempre stato una nota dolente per John…L’ultima volta che ha provato ha fare un dolce abbiamo dovuto lasciare l’appartamento per una notte a causa della puzza di bruciato-le raccontò ancora il moro con un leggero sorriso sulle labbra.

Amelia continuò a ridere per qualche altro minuto, finché le sue risate non scemarono lentamente ed il suo viso ritornò serio, gli occhi fissi sul volto di Sherlock, permettendo così all’uomo di prepararsi psicologicamente per  quella che, senza dubbio, sarebbe stata una domanda molto importante.

-Lo amavi?-gli domandò infatti la bambina.

Sherlock annuì senza la minima esitazione.

-Lo amo ancora. Tuo padre è l’unico uomo che abbia mai amato-le confessò sincero.

Amelia abbassò lo sguardo, portandolo nuovamente sul proprio polsino, ricominciando a tormentarlo fra le dita nervose e per qualche istante i due restarono in silenzio, finché la bambina parlò nuovamente, evitando accuratamente di incontrare i suoi occhi blu ghiaccio.

-Allora perché te ne sei andato?-gli chiese.

Sherlock espirò rumorosamente dal naso, cercando le parole più semplici per spiegare il suo rapporto con John.

Vent’anni di amicizia e di vita in comune…Vent’anni di amore e di liti…

-E’ complicato…-disse, malgrado odiasse lui stesso quelle parole.

Amelia gli rivolse un piccolo sorriso ironico.

-Papà dice sempre la stessa cosa-commentò.

-Ti prometto che un giorno cercherò di spiegarlo sia a te che a tuo fratello, se vorrà ascoltarmi-le disse sporgendosi leggermente in avanti sul piano del tavolino.

Amelia annuì impercettibilmente, ancora chiaramente confusa, poi l’attimo dopo dischiuse le labbra per fare una nuova domanda ma cambiò idea l’istante dopo.

Decisamente arrabbiata con sé stessa, scosse la testa e tirò indietro le spalle con un gesto che Sherlock aveva visto fare tante volte a John in passato e incontrò il suo sguardo.

-Te ne sei andato per colpa nostra?-gli domandò alla fine.

Un’inaspettata immobilità s’impossessò del corpo di Sherlock a quelle parole.

Era davvero questo quello che pensavano i suoi figli?

Analizzò velocemente le proprie parole, frustrato perché in possesso soltanto di dati parziali( chissà cosa ha detto loro John durante questi anni…No, John non avrebbe mai detto nulla di intenzionalmente meschino o maligno su di lui ai loro figli!) e capì perché Amelia gli aveva fatto quella domanda: aveva appena ammesso di aver sempre amato John, che i suoi sentimenti non erano cambiati, nonostante il passare degli anni e la lontananza, l’unico elemento di “disturbo” era stata la nascita dei gemelli e due mesi dopo, Sherlock se ne era andato.

-Voglio essere onesto con te-iniziò con voce seria, ma allo stesso tempo con una vena di dolcezza al suo interno-Credo che sia il mimino che tu possa aspettarti da me dopo tutti questi anni…

Fu un’idea di tuo padre quella di avere dei cuccioli.

Io non ne ero convinto, ma avrei fatto qualsiasi cosa per John e così acconsentii.

Quando scoprimmo che ero incinto, tuo padre era al settimo cielo per la felicità, ma io no-confessò.

Amelia continuava a fissarlo con un’espressione illeggibile sul volto, senza perdere neanche una parola del suo discorso.

-So che può sembrare crudele, ma l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era tutto ciò che non avrei potuto più fare a causa della gravidanza, tutto ciò che mi era vietato perché ora non era più soltanto il mio corpo, ma anche il vostro e dovevo proteggervi e pensare a voi prima di tutto.

Durante la gravidanza John passava ore a parlare al mio stomaco, a voi, oppure mi guardava con quel suo meraviglioso sorriso capace di illuminare un’intera stanza e io sapevo che era felice… Veramente felice come mai prima d’ora e tutto grazie a me, ed ero capace di crogiolarmi in quella felicità, contento per aver fatto nascere quel bellissimo sorriso sul suo volto senza sforzo, soltanto grazie al mio essere Omega.

Ero soddisfatto di averlo reso felice…- disse interrompendo la frase a metà prima che i suoi pensieri traditori si tramutassero in parole.

(Averlo reso l’uomo più felice della Terra dopo tutte le delusioni e la sofferenza che aveva provato a causa mia; dopo tutte le volte che lo avevo amareggiato con il mio comportamento…).

Un lieve sorriso incurvò le labbra di Sherlock mentre nella sua mente nuove immagini felici si sostituivano a quelle tristi di poco prima.

-Quando voi siete nati ed… eravate perfetti.

La cosa più bella che avessi mai visto-le disse sostenendo il suo sguardo.

-Vi ho amato dal primo momento in cui ho posato il mio sguardo su di voi e non ho mai smesso. Malgrado tutto quello che è successo nel corso degli anni-concluse.

Padre e figlia si fissarono per qualche istante in silenzio, venendo a patti con il discorso di Sherlock, finché Amelia non dischiuse nuovamente le labbra.

-Mi racconterai quello che è successo un giorno?-gli chiese in un sussurro.

Sherlock annuì.

-Te lo prometto-

Amelia annuì a sua volta per poi alzarsi in piedi e fermarsi accanto alla sedia.

-Devo andare-disse recuperando il cappotto dalla spalliera della sedia.

-Grazie per essere venuta-le disse alzandosi in piedi a sua volta.

-Grazie per essere stato onesto-rispose Amelia cogliendolo di sorpresa.

La bambina finì di abbottonarsi il cappotto e fece per allontanarsi verso il tavolo dove John era in attesa, ma dopo due passi si voltò e cercò nuovamente lo sguardo di Sherlock.

-Ti vedrò di nuovo?-gli domandò, una leggera nota d’insicurezza nella voce.

Sherlock le sorrise rassicurante.

-Ogni volta che vorrai-

Dopo qualche istante Amelia annuì.

-Arrivederci Sherlock-lo salutò per poi voltargli le spalle e avviarsi verso John.

Sherlock la osservò andar via, incontrando per un breve istante lo sguardo blu oceano di John, prima che i due si allontanassero insieme verso l’uscita, un’unità compatta da cui lui era escluso.

-Ciao love-

 

____________________________

 

-Allora? Com’è andata?-

Matthew si complimentò con sé stesso quando riuscì a trattenere la sua curiosità ed il fiume di domande che premeva per uscire dalle sue labbra per ben tre minuti dopo il ritorno di Amy dall’ incontro con l’Omega.

Suo padre si era fermato nell’ufficio al 221C, consapevole di dover lasciare qualche minuto ai due gemelli per parlare in solitudine dell’incontro, senza la sua presenza fra i piedi, dando così a Matthew la libertà di fare tutte le domande che altrimenti avrebbe censurato.

Amelia, per nulla sorpresa dalla domanda, appese il proprio cappotto all’attaccapanni accanto alla porta voltandosi verso il fratello con un sorriso eccessivamente affettuoso.

-Ciao Amy. Come stai?

Oh, ciao Matty! Grazie per averlo chiesto…- disse la bambina in tono ironico.

-Smettila!

Lo sai che odio fare conversazione a vuoto-le ricordò prima di ricominciare con le sue domande- Com’è andata? Cosa vi siete detti? Lui com’è?- chiese a raffica in un solo fiato.

-A quale domanda devo rispondere per prima?-domandò a sua volta Amelia, andando a sedersi sul vecchio divano.

-Non importa, basta che rispondi!-disse Matthew andandole dietro e sedendosi sulla poltrona dall’alto schienale che da sempre era di fronte a quella di suo padre-Per favore…-aggiunse l’attimo dopo.

Amelia lo fissò qualche istante, prima di lasciarsi scappare un sospiro.

-Ok…All’inizio ero un po’ spaventata, prima di incontrarlo, e papà non era per niente d’aiuto!

Anzi credo fosse più nervoso di me: continuava a dirmi che avrei dovuto fargli un cenno appena mi fossi sentita a disagio, che era ad un tavolo di distanza, che sarebbe venuto in mio soccorso…

E poi l’ho visto-raccontò la bambina incrociando le gambe sul divano.

-Assomiglia alle foto che abbiamo visto?-le domandò Matty senza distogliere lo sguardo dal volto della sorella.

Amelia sembrò pensierosa per alcuni istanti prima di annuire.

-Un po’; è più vecchio, più…maturo.

Non so come spiegarlo, ma credo sia dovuto alle esperienze fatte durante questi anni-gli disse.

-Cosa ha fatto?-chiese ancora Matty.

Malgrado non gli facesse piacere ammetterlo, era estremamente curioso nei confronti di quell’uomo.

Avrebbe voluto cancellare la sua esistenza, continuare a vivere la sua vita come aveva fatto finora, con la sua famiglia, ma aveva bisogno di sapere se quest’uomo(il suo padre Omega) poteva essere una minaccia.

Per sé stesso, per Amelia e soprattutto per suo padre.

-Io ho ordinato un succo di mela e lui un caffè, ma non lo ha bevuto…Ed abbiamo parlato.

Mi ha chiesto della scuola, della squadra di calcio, ma non con un tono accondiscendente, era davvero interessato alle mie risposte...-

-Ti ha chiesto di me?-le domandò suo malgrado, mordendosi la lingua l’attimo dopo, quasi volesse punirsi per quell’eccesso di curiosità.

Lo considerava una causa persa visto non aveva voluto incontrarlo?

Amy annuì.

-Un paio di volte.

Ma ho evitato di rispondere perché so che non ti avrebbe fatto piacere-rispose la sorella.

Questa volta toccò al bambino fare un cenno d’assenso.

-Ottima scelta. Come ha reagito?-

-Ha preso atto della cosa, ma era evidente che fosse ancora curioso sul tuo conto e un po’ dispiaciuto-rispose sincera lei.

Un suono ironico scappò dalla gola di Matty sorprendendo entrambi.

-Dispiaciuto? Che cosa si aspettava?-le domandò, una punta di acidità nella voce.

Amelia lo fissò con affetto per qualche istante, prima di alzare le spalle.

-Non si aspettava nulla, ma questo non significa che debba essere contento per come stanno le cose-gli fece notare.

Matthew evitò di farle notare che se l’Omega si trovava in quella situazione era soltanto per colpa delle sue scelte sbagliate, certo che quell’affermazione avrebbe aperto un lungo dialogo che sarebbe potuto finire in malo modo.

-Ha risposto alle tue domande?-le chiese invece.

Amelia annuì.

-Lui…Lui è stato molto onesto, proprio come papà e mi ha detto che lo amava molto e che lo ama ancora adesso…E io gli credo, perché potevo vederlo chiaramente dai suoi occhi ogni volta che parlava di papà…-

-Che vuoi dire?-domandò il bambino aggrottando la fronte.

-Ogni volta che pronunciava il nome di papà, o mi raccontava qualcosa del loro passato insieme, c’era una luce nei suoi occhi, un sorriso quasi infantile sulle sue labbra-cercò di spiegargli Amy.

-Allora perché se ne è andato?-rimarcò Matty.

-Gli ho fatto la stessa domanda e anche lui, come papà, dice che è una storia complicata e che un giorno, se vorremmo ascoltarlo ci racconterà tutto, ma che era un argomento troppo difficile per un primo incontro-spiegò velocemente la bambina.

Matthew annuì lentamente: in fondo non si era aspettato una risposta diversa.

-Ti ha detto altro?-le domandò poi incontrando nuovamente il suo sguardo.

Amelia restò in silenzio qualche istante, chiaramente incerta se condividere l’ultima parte della loro conversazione con il fratello: non aveva mai nascosto nulla a Matty, ma era consapevole che il fratello non vedeva di buon occhio l’Omega, infatti era stato contrario fin dal principio al suo incontro con l’uomo.

Doveva davvero raccontargli cosa le aveva confidato rischiando così di peggiorare la situazione?

Alla fine espirò profondamente e, presa la propria decisione fissò il volto del bambino.

-Ha detto che malgrado non se ne sia andato per colpa nostra, ha ammesso che se fosse dipeso da lui noi non saremmo qui ora-gli confidò.

-Lo sapevo!-disse Matthew ricordando la conversazione avuta una settimana prima con lo zio Mycroft, prima che un’espressione costernata si dipingesse sul suo volto-Ha cercato di liberarsi di noi?-

In fondo dall’Omega poteva aspettarsi  di tutto.

Amelia scosse la testa con forza.

-No! Mi ha raccontato che all’epoca fu papà il primo a volere dei cuccioli e che lui ha acconsentito soltanto perché lo amava, non perché fosse desideroso di avere dei cuccioli a sua volta.

Però ha affermato anche che ha cambiato idea non appena ci ha visto, subito dopo il parto…Ha detto che si è innamorato di noi a prima vista-concluse chiaramente affaticata da quel discorso.

Matthew rise amaramente, cercando di far trasparire tutta la propria incredulità ed il proprio scetticismo per le parole della sorella.

-Questo non cambia il fatto che se l’è data a gambe due mesi dopo-commentò alzandosi in piedi, bisognoso di scaricare la tensione.

-Ha detto che i suoi sentimenti per noi non sono cambiati-aggiunse Amy, senza cercare di incontrare il suo sguardo.

-Ah si? Dov’è quest’amore?

Non posso vederlo, non posso toccarlo, non posso neanche sentirlo!

So che papà ci ama perché lo dimostra ogni giorno fin da quando ho memoria, ma non mi interessa se un estraneo all’improvviso professa il suo amore eterno per me o per te-le disse con voce secca.

-Noi non conosciamo tutta la storia Matty…-tentò di fargli notare la bambina.

-Cambierebbe il quadro generale delle cose?-le domandò lui voltandosi verso Amelia.

La bambina alzò le spalle, decisa a tenergli testa.

-Forse. Oppure no. Non lo sappiamo ancora-

-Quindi è per questo che lo vedrai di nuovo?-la incolpò quasi fosse un crimine imperdonabile.

Amelia sospirò: era ormai evidente che si sarebbero trovati sempre su due posizioni diverse riguardo quell’argomento.

La bambina era sinceramente confusa: da una parte c’era il suo personale risentimento verso l’Omega, l’uomo che le aveva dato la vita e che si era lavato le mani di lei e di suo fratello alla prima occasione, senza mai voltarsi indietro e chiedersi cosa ne era stato di loro.

Dall’altra c’era Sherlock, l’uomo elegante e distinto che aveva incontrato quel giorno, chiaramente interessato a lei, disponibile al dialogo che non si era tirato indietro a nessuna delle sue domande, cercando di darle una risposta anche quando l’argomento era spiacevole.

Possibile che nella stessa persona convivessero due anime così diverse fra loro?

-Sono incuriosita…E sinceramente non capisco come tu possa voltare le spalle a tutte queste informazioni e ignorarle completamente quasi non ti riguardassero- commentò.

-Perché lui ci ha fatto del male!-sbottò Matthew, sorprendendo sua sorella e sé stesso.

Possibile che fossero tutti così ciechi in quella famiglia? Come potevano fidarsi di quell’uomo, con quale coraggio gli permettevano di insinuarsi nuovamente nelle loro vite?

Amelia spalancò gli occhi e lo fissò in silenzio, chiaramente desiderosa di allungare una mano e confortarlo, ma consapevole che anche un minimo gesto avrebbe complicato ancora di più le cose.

-Ha fatto del male a tutti noi! A me, te, papà! E sono certo che lo farà di nuovo se gli diamo un’altra opportunità-continuò con voce più controllata.

Amelia sospirò leggermente triste.

-Dovresti avere un po’ di fiducia…Ci deve essere del buono in lui se papà lo ha scelto come Compagno.

Non è mica uno stupido-gli fece notare Amy.

Matthew scosse la testa.

-No, ma quando si sono incontrati per la prima volta erano bambini-commentò.

Per qualche istante nel salotto scese il silenzio, lasciando ai gemelli il tempo di riflettere su quello che si erano detti finora, cercando un punto d’incontro, una possibile soluzione temporanea ai loro problemi, finché non apparve evidente che almeno per il momento la situazione era irrisolvibile.

-Vuoi restare da solo per un po’?-domandò Amelia rompendo il silenzio.

Matthew scosse la testa, avvicinandosi al pianoforte e lasciando scivolare la punta delle dita sulla tastiera coperta.

-No, ho bisogno di pensare…Credo che suonerò qualcosa per un po’-le disse senza guardarla.

Ancora una volta Amelia annuì, sistemandosi meglio sul divano, in modo da avere una perfetta visuale del pianoforte e seguendo con lo sguardo mentre Matty si sedeva di fronte allo strumento e sollevava il coperchio che proteggeva i tasti.

-Lo so che ci ha fatto del male-parlò nuovamente Amelia, poco prima che il bambino iniziasse a suonare- Ma questa potrebbe essere l’occasione che stavamo aspettando…

Vuole far parte di questa famiglia, vuole dimostrarci di esserne degno… Il minimo che possiamo fare è concedergli una chance-

L’istante dopo il silenzio fu sostituito dal suono grave della musica.

 

_____________________________

 

 

Un diverso cafè, un nuovo incontro.

Due giorni dopo il suo primo incontro con Amelia, Sherlock era seduto ad un altro tavolino in uno dei tanti Starbuck nel centro di Londra, in attesa.

Nelle quarantotto ore precedenti aveva scambiato vari messaggi con John, alcuni insignificanti, a cui non aveva ricevuto risposta, che servivano soltanto per informare il biondo della sua giornata, ed altri, a cui aveva ricevuto risposta, in cui aveva chiesto a John di vedersi nuovamente.

Fin dagli anni Ottanta, con l’avvento dei primi cellulari, Sherlock era sempre riuscito a procurarsene un paio, uno per sé ed uno per John, in modo da essere sempre in contatto anche quando erano distanti.

Con il passare degli anni, la sua capacità di stare al passo con la tecnologia aveva superato quella di John, che non era mai riuscito a superare la sua innata avversione per tutto ciò che non fosse “ strettamente necessario” , ma erano sempre riusciti a tenersi in contatto.

Fino a otto anni prima.

Seduto a quel tavolino, Sherlock si ritrovò incredibilmente felice di poter nuovamente raggiungere John soltanto premendo un tasto sul proprio telefono, come era solito fare anni addietro.

Era un piccolo passo verso la normalità.

Alzando lo sguardo verso la porta del cafè, Sherlock vide la figura compatta di John ed un sorriso istantaneo incurvò le sue labbra; John si guardò attorno per qualche istante nel cafè prima di incontrare il suo sguardo e muoversi nella sua direzione.

-Ciao-lo salutò una volta fermo davanti a lui.

Sherlock inclinò la testa in un gesto di saluto.

-Ciao John. Grazie per essere venuto-lo salutò a sua volta il moro.

Il dottore annuì.

-Nessun problema. Hai già ordinato?-gli domandò indicando con il pollice della mano destra la cassa e la piccola fila di persone in attesa.

-No, stavo aspettando te-

-Ok…Torno subito-rispose John avviandosi verso la cassa.

-Nero…-gli disse Sherlock.

-Con due cucchiai di zucchero. Lo so-disse John completando la frase e lanciandogli uno sguardo sopra la propria spalla destra.

Sherlock accennò un sorriso e si sistemò nuovamente sulla sedia, cercando una posizione comoda, cercando di controllare i battiti leggermente accelerati del suo cuore.

Due minuti dopo, John era di nuovo davanti al tavolo, una tazza in ogni mano, sistemando quella nella mano sinistra di fronte a Sherlock, prima di sedersi di fronte al moro.

Per alcuni istanti i due uomini sorseggiarono i loro drink in silenzio, evitando lo sguardo dell’altro, consapevoli che una volta iniziata la conversazione, la relativa tranquillità fra di loro si sarebbe spezzata.

-Allora…Eccoci qui-disse Sherlock, stanco di quel silenzio carico di sottintesi.

John annuì, lo sguardo sulla tazza che stringeva fra le mani.

-Già…Ho visto che sei di nuovo sui giornali-gli disse senza nessun’inflessione particolare nella voce.

Sherlock alzò le spalle, la tazza a mezz’aria.

-Credo fosse inevitabile-commentò prima di prendere un sorso di caffè.

L’ aspetto  mediatico era una parte che aveva sempre odiato del proprio lavoro: ogni volta che era stato possibile, si era mantenuto nell’ombra, lasciando che altri si prendessero il merito delle sue intuizioni e del suo lavoro.

Odiava i giornalisti e le loro domande idiote, pronti ad avventarsi sulla notizia del giorno senza, alle volte, fare i dovuti riscontri.

La stampa era stata una pedina importante nel piano di Moriarty, convincendo l’opinione pubblica che il “Grande” Sherlock Holmes non era altro che una frode grazie ad articoli in prima pagina, titoli eclatanti e il dossier di quell’insulsa “giornalista” Kitty Riley.

-Com’è tornare nel mondo dei vivi?-gli domandò John riportando i pensieri di Sherlock al presente e incontrando finalmente il suo sguardo.

-Noioso-rispose, facendo nascere un lieve sorriso sul volto di John- Al momento sto firmando una montagna di documenti.

Diciamo che per ora sono nel mezzo: per alcune istituzioni sono di nuovo vivo, mentre per alcune sono ancora morto, malgrado mi vedano sulle prime pagine dei giornali o su tutti i notiziari-spiegò.

John si strofinò la fronte con la punta delle dita.

-E’ davvero strano il modo in cui ne parli…-commentò prima di scuotere leggermente la testa, cercando di allontanare i pensieri negativi dalla propria mente-Mycroft ti sta aiutando?-gli domandò poi.

Questa volta toccò al moro scuotere la testa.

-Anthea-rispose portando John ad annuire –Il mio caro fratello ha dimostrato chiaramente fin dall’inizio dove fosse la sua lealtà.

Ma per una volta sono d’accordo con lui-aggiunse prendendo un altro sorso di caffè.

Un lungo silenzio seguì quelle parole, portando John a riflettere su quanto fossero cambiati gli equilibri della loro famiglia, anche se ad un occhio esterno tutto sarebbe potuto risultare uguale.

Mycroft, da sempre attento alle esigenze e ai bisogni di Sherlock, specialmente dopo che questi si era Presentato come un’Omega, aveva permesso che un’altra persona la gestione della sicurezza del detective.

Non avrebbe potuto scegliere un metodo più eclatante per dichiarare la scelta in quella difficile situazione.

-Amelia mi ha detto che eri nervoso-disse Sherlock, interrompendo il silenzio e riportandolo al presente, consapevole dei pensieri che si affollavano nella mente dell’uomo.

Al solo sentire il nome della bambina, John accennò un sorriso.

-Amy è una bambina davvero sincera... –commentò.

- Alle volte anche troppo-gli venne in aiuto Sherlock.

John annuì, il sorriso sulle sue labbra che s’ingrandiva ad ogni cenno del capo.

-Già.

E’ vero, ero abbastanza nervoso per via del vostro incontro.

Era preoccupata anche lei anche se non ha voluto ammetterlo-aggiunse.

-Che idea ti sei fatto da dove eri seduto?-gli domandò il moro sinceramente curioso.

Aveva sempre apprezzato le opinioni di John in passato, ricevendo nuovi spunti di riflessione da piccoli commenti o dal punto di vista “terribilmente normale” dell’uomo, ed ora ne aveva bisogno più che mai considerato che nessuno conosceva Amelia bene quanto John.

-Eravate entrambi molto educati…-iniziò John, portando entrambe le mani sul piano del tavolino ed intrecciando le dita.

-Ti aspettavi una scenata per caso?-chiese Sherlock aggrottando leggermente la fronte.

Il biondo sospirò, alzando le spalle, mostrando per la prima volta la propria confusione e lo smarrimento che accompagnava ogni suo gesto in quella situazione.

-Non lo so…Come ti ho detto la prima volta che ci siamo visti, i bambini non parlano mai di te quindi non sapevo davvero cosa aspettarmi-gli rispose sincero.

-Ma sei sollevato del fatto che siamo riusciti ad avere una conversazione pacifica-continuò per lui il detective, lo sguardo penetrante fisso sul suo volto.

-Certo che sì! E’ anche tua figlia e voglio che tu la conosca-confermò John cercando di controllare l’effetto che quegli occhi blu ghiaccio avevano da sempre su di lui.

Sherlock inarcò quasi impercettibilmente le labbra, abbassando il proprio sguardo sulla tazza dinanzi a sé prima di portarla alle labbra e bere un lungo sorso di caffè.

-A prima vista non si direbbe che è mia figlia…Poi quando inizi a parlare con lei, ti ritrovi a sorridere senza nessun motivo ed il tuo cuore si riempie di gioia ed è allora che…-disse interrompendosi bruscamente senza terminare la frase.

John abbassò leggermente la testa, cercando di intercettare il suo sguardo.

-Cosa?-gli chiese cauto.

Sherlock scosse la testa.

-Niente-

-Che c’è Sherlock?-domandò ancora John.

Il moro rialzò la testa all’improvviso, buttando fuori un respiro rumoroso e incontrando finalmente lo sguardo del compagno.

-Vedere Amelia seduta di fronte a me, sentirla parlare di argomenti comuni che per lei erano importanti e che avrei definito banali se fosse stata un’altra persona, tranquilla e serena, mi ha fatto pensare a te.

A quando eravamo bambini ed ero capace di starti ad ascoltare per ore di quello che ti era successo durante la settimana…

Così vivo e pieno di energie…-disse censurando per la seconda volta i propri pensieri.

Colpito in pieno da quell’inaspettato fiume di parole, John deglutì rumorosamente, cercando di riportare i battiti del proprio cuore nella norma, mentre una parte del proprio cervello cercava una soluzione al ronzio fastidioso che imperversava nelle sue orecchie.

Perché Sherlock doveva ogni volta rendergli la vita così complicata? Perché doveva uscirsene con frasi così affettuose mentre lui stava facendo tutto il possibile per non ricadere per l’ennesima volta nella sua trappola, quando era impegnato a schivare il suo sguardo, il suo sorriso, l’effetto che le sue deduzioni brillanti avevano da sempre su di lui?

Perché ogni volta che voleva essere furioso con Sherlock Holmes, e questa volta aveva un’infinità di motivi, all’uomo bastavano poche parole per abbattere le sue difese?

-Amelia è la tua copia, con l’aggiunta della grazia innata di una ragazza-aggiunse ancora Sherlock.

A quelle parole John non riuscì a trattenere un sorriso.

-Aspetta di vederla arrabbiata poi cambierai idea sulla sua “grazia”- commentò ironico.

Sherlock si unì al suo sorriso.

-So come affrontare un Watson furioso-

John annuì lentamente.

-Già…-disse semplicemente senza allontanare lo sguardo da quello di Sherlock.

-Parlando di Watson furiosi: come sta Matthew?-gli domandò il moro cambiando discorso.

Cercando di prender tempo alla ricerca della risposta più adatta, John sospirò per poi alzare le spalle.

-Bella domanda…Al momento Matthew sta evitando di affrontare il problema o anche solo di pensare ai possibili cambiamenti dovuti al tuo ritorno.

E’ decisamente testardo come te…-commentò, prendendo la tazza di tea in una mano e sollevandola a mezz’aria.

-Io non sono testardo!-ribatté con voce quasi infantile il moro.

L’unica reazione che ottenne con quelle parole fu l’inclinazione ironica del sopracciglio destro di John e l’accenno di un sorriso, sfortunatamente coperto dalla tazza.

-Ok, forse un po’…-concesse l’attimo dopo.

John si lasciò andare ad una lieve risatina divertita prima di ritornare serio.

-Sono ancora convinto che presto la sua curiosità avrà la meglio sulla testardaggine e finirà per farmi qualche domanda o deciderà che vuole incontrarti.

Dobbiamo solo essere pazienti-aggiunse.

Sherlock annuì.

Se c’era una cosa che aveva imparato negli ultimi tre anni era che tutto accadeva al momento giusto e non, come era aveva fermamente creduto durante il corso della sua vita, quando lui era annoiato.

Era un’importante lezione di vita acquisita dopo ore passate ad una finestra in una lurida camera di Mumbai in attesa che un ragazzino di sedici anni, mago del computer, si trovasse nel posto giusto al momento giusto in mezzo al fiume di persone che affollano le strade a qualsiasi ora del giorno e della notte, inconsapevole di essere un bersaglio mobile.

Oppure su una banchina della metropolitana a Napoli alle prime ore del mattino, dove il suo crimine doveva essere compiuto in pochi istanti: il tempo di una veloce spinta di fronte ai vagoni del treno, in modo da non lasciare scampo alla sua vittima.

-Non ho fretta, ho imparato ad essere paziente-si limitò a commentare.

John lo fissò attentamente, cercando di carpire qualche informazione in più dall’espressione del suo volto, chiedendosi ancora una volta cosa era accaduto in quei tre anni in cui tutti lo avevano creduto morto, prima che la sua attenzione si concentrasse su un altro particolare.

Un piccolo particolare che per molti sarebbe sembrato insignificante, ma che per John era una riscoperta, quasi un ritorno al passato.

-Riesco a sentire il tuo odore-gli disse, scoprendo sorpreso il tono arrocchito della propria voce.

Sherlock annuì.

-Lo so-

Inconsciamente John respirò profondamente, quasi volesse immagazzinare quell’odore peculiare nella sua memoria per quando si sarebbe ritrovato solo.

-E’ così strano…Anche quando eravamo ragazzi sono riuscito a sentirlo soltanto brevemente-commentò.

L’ultima volta che Sherlock gli aveva permesso di sentire il suo odore risaliva a quasi undici anni prima, nei i giorni precedenti e quelli durante l’Estro in cui avevano concepito i gemelli.

Anche se la parte primordiale del suo cervello sarebbe stata in grado di riconoscere i sintomi dell’Estro, nessun’ Alpha si sarebbe mai accoppiato con un Beta, consapevole che questi non avrebbe potuto concepire e soprattutto non sarebbe sopravvissuto all’accoppiamento.

-Era ora di uscire allo scoperto-rispose Sherlock.

-Perché?-domandò John, ritirando le mani dal tavolo e posandole sulle cosce, consapevole dell’effetto che l’odore di Sherlock, il suo legittimo Omega, stava avendo sul suo corpo.

-Te l’ho detto.

Voglio dimostrarti che sono pronto a stare con te completamente e senza remore; inoltre so che il mio comportamento in passato ti ha ferito, più di quanto hai mostrato all’esterno, e questa è una colpa che dovrò espiare fin quando sarà necessario-gli disse con voce seria, ma allo stesso tempo serena.

John scosse la testa, leggermente preoccupato dal significato nascosto di quelle parole.

-Non devi espiare nessuna colpa…-gli ricordò.

-Lo so. Sono io che voglio farlo.

Voglio mostrarti che questa volta non ti deluderò-

Il dottore sospirò leggermente scoraggiato, lasciando vagare la mente al passato per qualche istante, ricordando un giorno in particolare, risentendo nelle sue orecchie le proprie parole neanche le avesse dette poche ore prima, rivedendo nella propria mente la reazione incredula di Sherlock e l’espressione sofferente che si era dipinta sul suo volto quando lo aveva visto voltargli le spalle.

L’ultima immagine che aveva avuto di lui per otto lunghi anni.

-Tu non mi hai deluso-gli disse senza incontrare gli occhi di ghiaccio del detective- Lo sai che è così.

Anzi sono io quello che dovrebbe riparare agli errori commessi in passato-commentò.

-Smettila!- lo rimproverò fermamente Sherlock sporgendosi leggermente sul piano del tavolino, cercando di incontrare il suo sguardo finché dopo qualche istante di tentennamento, John cedette ed incontrò nuovamente gli occhi del compagno- Tu hai fatto la cosa giusta! Non ti ho mai incolpato per quello che è successo-gli disse sincero.

John annuì, affondando lo sguardo negli occhi dell’altro, prima di gettar fuori un respiro che aveva trattenuto inconsapevolmente, subito investito dall’odore peculiare e penetrante di Sherlock.

-Dio, quanto mi è mancato il tuo odore…-commentò il biondo, arrossendo leggermente l’istante dopo, rendendosi conto delle sue parole.

Sherlock accennò un sorriso.

-Vuoi avvicinarti un po’?-lo stuzzicò, abbassando di un ottava il tono della voce.

John si lasciò andare ad una piccola risatina imbarazzata di fronte ai suoi piccoli tentativi di approccio e sorrise.

-Un passo alla volta-gli disse, senza escludere possibili cambiamenti nei prossimi incontri.

Il moro annuì.

-Un passo alla volta-convenne.

L’istante dopo John era in piedi accanto alla propria sedia, lo sguardo che dall’alto in basso fissava gli occhi di Sherlock.

-Sarà meglio che vada-gli disse.

-Grazie per il caffè- rispose Sherlock ricordandosi le buone maniere su cui tante volte lui e l’Alpha avevano discusso- Ci sentiamo?-gli domandò cercando di nascondere quella vena di insicurezza che sempre accompagnava quei momenti.

John sorrise ed annuì.

-Certo-rispose prima di allontanarsi verso la porta.

L’istante dopo Sherlock aveva il cellulare fra le mani, impegnato a comporre un messaggio per John.

Non dimenticarti che preferisco i messaggi alle telefonate -SH

Il detective ebbe appena il tempo di finire la propria tazza di caffè, ormai fredda, e di alzarsi in piedi diretto a sua volta verso l’uscita, che il suo cellulare gli vibrò nelle mani.

 Non ho dimenticato nulla che ti riguardi Sherlock Holmes -JW

 

______________________________

 

Il progetto di scienze andava consegnato fra due giorni e Matthew, a causa dei cambiamenti avvenuti nel suo nucleo famigliare, ancora non aveva avuto il tempo di fare le dovute ricerche.

Amy aveva deciso di fare coppia con Poppy, la sua migliore amica, documentando la gravidanza della madre di quest’ultima fin nei minimi dettagli, ma Matthew, aveva considerato il progetto troppo semplice fin da quando Amy gliene aveva parlato la prima volta decidendo così di seguire una strada diversa.

Alla fine, dopo aver scartato numerose possibilità, anche per colpa di suo padre che gli aveva fatto notare quanto queste fossero troppo avanzate per una classe composta da bambini di nove anni, Matthew aveva ripiegato sulla mappatura della  lingua.

Ne aveva parlato con suo padre e questi aveva contattato la zia Molly chiedendole se poteva dargli una mano nel suo “esperimento”.

Fortunatamente la zia Molly aveva proprio quello di cui aveva bisogno: un cadavere donato alla scienza da cui avrebbero potuto estrarre la lingua senza che qualcuno potesse in seguito presentare qualche rimostranza.

Quel pomeriggio Matthew entrò nell’obitorio del Barts con la stessa sicurezza con cui un altro pre-adolescente sarebbe entrato in un campo da calcio o in una piscina.

Suo padre,lo zio Greg e la stessa zia Molly, lo avevano portato lì molte volte, e in quel posto insolitamente silenzioso, e impregnato di odori chimici Matthew si sentiva a suo agio.

-Ciao zia Molly!- disse ad alta voce, superando le porte dell’obitorio, muovendo lo sguardo nei grandi padiglioni alla ricerca della donna.

Molly, una Beta dai capelli e dagli occhi castani e dalla corporatura esile, alzò lo sguardo dal tavolo di lavoro su cui era leggermente chinata e gli rivolse un sorriso.

-Ciao tesoro! Come stai?-gli domandò venendogli incontro.

Matty alzò le spalle.

-Bene, pronto per mettermi al lavoro-commentò, accettando l’abbraccio ed il lieve bacio che la donna gli posò sulla guancia destra.

Molly sorrise.

-Lo so, ho parlato con tuo padre riguardo al tuo progetto di scienze-gli disse la donna dirigendosi verso uno dei vari “loculi” refrigeranti dove erano contenuti i cadaveri.

-Hai quello di cui ho bisogno?-chiese il bambino togliendosi il cappotto ed i guanti e abbandonandoli su un tavolo da lavoro libero.

Molly annuì aprendo la porta di una celletta isolante.

-Beh, non potevo lasciarti giocare con la testa di un uomo morto, per ovvie ragioni, perciò ho estratto la lingua al posto tuo- disse tornando verso di lui con un contenitore di acciaio su cui era sistemata la lingua e parte della mascella di un ignoto donatore.

Matty osservò l’oggetto del suo esperimento prima di alzare le spalle.

-Non capisco i motivi della tua reticenza nel farmi estrarre la lingua da solo, ma per questa volta mi accontenterò-commentò.

-Matthew hai una vaga idea di cosa succederebbe se tuo padre o tuo zio Mycroft scoprissero che ti ho lasciato estrarre chirurgicamente parte della mascella di un cadavere?

Tuo padre è il primo a stimolare la tua curiosità scientifica, ma credo che anche lui ti metterebbe un freno  in questo caso-gli fece notare.

Il bambino sbuffò.

Suo padre era il suo primo sostenitore: fin da quando era bambino aveva fatto di tutto per mettere in evidenza la sua dote scientifica, comperandogli il suo primo set da “piccolo chimico”, permettendogli di frequentare il laboratorio e le lezioni  di Anatomia del suo vecchio amico Mike Stamford e di girare indisturbato nell’obitorio della zia Molly, ma sfortunatamente c’erano delle volte in cui la sua giovane età giocava a suo sfavore.

Proprio come in quel caso.

-Va bene-concesse alla fine.

Molly accennò un sorriso.

-Ti prendo un camice di laboratorio e tutto quello di cui avrai bisogno ci mettiamo al lavoro-

Nell’ora successiva, Matty lavorò senza nessun’interruzione, esaminando l’ “esemplare” dinanzi a sé per registrare le prime osservazioni, iniziando poi a fare dei piccoli tagli precisi con il bisturi per raccogliere un campione da esaminare al microscopio.

Era talmente concentrato sul proprio lavoro da registrare soltanto marginalmente l’avvertimento della zia Molly che lo informava che si sarebbe allontanata soltanto per pochi minuti per prendere qualcosa da mangiare alla caffetteria.

Fu soltanto quando le porte dell’obitorio si aprirono rumorosamente annunciando l’arrivo di un nuovo ospite che Matty alzò lo sguardo dal proprio lavoro.

-Molly ho bisogno…-una voce profonda e leggermente autoritaria risuonò nei gradi padiglioni.

Matthew posò lo sguardo sull’uomo fermo a pochi passi dalla soglia e capì all’istante di chi fosse.

Capelli neri corti dalle punte arricciate, zigomi alti e pronunciati, una bocca a cuore perfettamente disegnata, un lungo cappotto scuro che copriva un completo elegante e chiaramente firmato.

L’ Omega.

-Oh…-disse l’adulto, sorpreso quanto lui di trovarsi uno di fronte all’altro- Salve, sono…-aggiunse l’istante dopo.

-Lo so chi sei-lo interruppe Matty senza allontanare lo sguardo dal volto del moro.

Sherlock annuì.

-Giusto. Cercavo Molly-gli disse tornando a voltare lo sguardo per l’obitorio.

-E’ andata a prendere qualcosa da mangiare-lo informò il bambino, allontanando a sua volta lo sguardo e concentrandosi nuovamente sul proprio lavoro.

L’uomo alzò le spalle.

-Vorrà dire che dovrò pensarci da solo-disse fra sé e sé avvicinandosi ad un tavolo da lavoro e spogliandosi del proprio cappotto come aveva fatto Matty un’ora prima.

Con la coda dell’occhio Matty lo osservò estrarre varie sostanze e campioni dalle tasche del cappotto e sistemarle accanto al microscopio, prima di avvicinare a sé una fila di provette, reagenti chimici e vetrini.

“Si comporta come se fosse il padrone di casa!” pensò il bambino leggermente stizzito dal comportamento dell’adulto.

Suo padre gli aveva sempre insegnato che, quando non erano a casa, prima di fare qualcosa doveva sempre chiedere il permesso all’adulto più vicino.

Erano le buone maniere e Matthew era certo che fossero valide anche per gli adulti!

Deciso ad ignorare la presenza fastidiosa nella stanza, Matty si focalizzò nuovamente sul proprio lavoro, cercando di prelevare un campione di tessuto del muscolo longitudinale inferiore.

-Lo stai facendo nel modo sbagliato-risuonò la voce saccente dell’uomo.

Matty alzò lo sguardo ed incontrò quello di Sherlock.

-Invece no-rispose prima di corrugare la fronte- Tu non sai neanche cosa sto facendo…-aggiunse pronto a spiegargli il proprio progetto e a mettere in mostra il proprio sapere.

-Certo che lo so-ribatté prontamente l’altro- Vuoi catalogare i muscoli ed i nervi della lingua.

Ma facendo l’incisione che stai per fare, in quella sezione specifica, avresti reciso anche il muscolo genio-glosso e di conseguenza avresti perso informazioni importanti-gli spiegò.

A quelle parole Matthew corrugò ancora di più la fronte.

-Ci sono soltanto 8 muscoli nella lingua ed io ne ho già trovati 4!-

Perché gli stava ancora rispondendo?

Doveva concentrarsi sul proprio progetto se voleva finire in tempo prima dell’ora di cena.

Sherlock scosse leggermente la testa.

-Impossibile-replicò con calma serafica nella voce-Un muscolo, il palato-glosso è stato danneggiato durante l’estrazione, quindi è impossibile ricavare dati attendibili da questo.

Tre muscoli sono di tipo intrinseco quindi muscoli fibrosi e l’unico modo per notare le varie differenze è con un’attenta analisi al microscopio-spiegò Sherlock.

Matthew sbuffò chiaramente seccato.

-Allora vorrà dire che preleverò dei campioni di tessuto e li esaminerò a casa con il microscopio-replicò deciso a non cedere di fronte all’uomo.

-Perché aspettare quando qui hai a disposizione tutti gli strumenti di cui hai bisogno?-

Ancora una volta il silenzio scese pesante nell’obitorio, mentre le due copie carbone l’uno dell’altro si osservavano in silenzio, entrambe determinate a non concedere neanche un piccolo passo all’altro.

-E’ un progetto per la scuola?- domandò alla fine Sherlock.

Matty annuì, riportando lo sguardo sul campione umano posizionato a pochi metri di distanza sul tavolo.

-Per scienze. So che ho fatto la scelta più giusta quando ho deciso di catalogare i muscoli della lingua quindi non ti permetterò di insinuare dubbi nella mia mente…-iniziò partendo all’attacco.

-Non era assolutamente questa la mia intenzione.

E’ davvero un’ottima idea, anzi se devo essere onesto sono un po’ geloso perché alla tua età non mi era concesso fare questo tipo di esperimenti, ma fortunatamente tuo padre ha una mente più aperta del mio…-commentò.

-Non parlare di mio padre-lo rimproverò il bambino con voce ferma.

Sherlock annuì lentamente.

-Va bene, mi dispiace- gli disse prima di restare in silenzio qualche istante- Hai bisogno di aiuto?-gli chiese poi.

-Posso aspettare che zia Molly ritorni- rispose Matty senza la minima esitazione.

Sherlock alzò le spalle.

-Considerato il tempo che ci vuole da qui alla caffetteria credo che Molly sia tornata indietro, ci abbia visto insieme e abbia deciso di lasciarci un po’ di privacy…Se così la vogliamo chiamare-gli fece notare alzandosi in piedi.

Il bambino abbassò lo sguardo sul piano da lavoro e espirò profondamente.

-Non va bene…-mormorò.

-Dipende da quale prospettiva guardi la situazione-gli fece notare l’adulto.

Chiaramente infastidito dalla presenza dell’adulto che stava rovinando quella che fino a poco prima era stata un perfetto pomeriggio di studio all’obitorio, ma davvero desideroso di ottenere il meglio per la propria ricerca, Matthew sbuffò.

-Eh va bene, ti andrebbe di darmi una mano con la mia ricerca?-gli domandò a denti stretti.

Sherlock accennò un sorriso.

-Ne sarei felice-

-Ma di soltanto una parola non legata ai muscoli della lingua e ti buttò fuori-lo minacciò il bambino con un’espressione seria in volta.

Sherlock annuì in segno d’assenso prima di avvicinarsi al tavolo dietro quale era seduto il bambino.

Per le due ore successive padre e figlio lavorarono insieme, principalmente restando in silenzio o scambiandosi poche informazioni necessarie allo sviluppo della ricerca.

Molly ritornò nell’obitorio trenta minuti dopo che i due avevano iniziato a lavorare insieme e, trovandoli assorti nel loro lavoro, si limitò a salutare Sherlock e a sistemare una bottiglia d’acqua e un sandwich a poca distanza da Matthew, prima di rifugiarsi nel proprio ufficio.

Malgrado non se ne rendessero conto, padre e figlio erano in perfetta sincronia, quasi un motore perfettamente oliato: Sherlock sapeva già quale sarebbe stata la prossima richiesta o mossa del bambino prima ancora che questi aprisse bocca, anticipandolo e facilitando così il loro lavoro.

-Credo che abbiamo finito-commentò Matthew finendo di scrivere le ultime osservazioni sul proprio taccuino prima di sistemarsi meglio sulla sedia e stirare i muscoli intorpiditi della schiena.

Sherlock annuì, allontanandosi a sua volta dal microscopio e seguendo con la coda dell’occhio i movimenti del bambino mentre questi prendeva il proprio cellulare fra le mani e spediva un veloce messaggio (Starà avvertendo John che può venire a prenderlo).

L’attimo dopo gli occhi di Matthew erano ancora una volta fissi sul suo volto, chiaramente incerti su cosa dire.

-Immagino che dovrei ringraziarti per l’aiuto che mi hai dato-disse tentennante.

Sherlock inclinò la testa verso di lui in un mezzo inchino.

-Figurati-

-Ok-commentò il bambino alzando le spalle, più sereno per essersi tolto quel peso- Addio-lo salutò, tornando a concentrare la propria attenzione sui propri libri.

Matty raccolse tutto il proprio materiale ed i suoi libri e li infilò confusamente nel proprio zainetto, prima di metterlo su una spalla e prendere il cappotto nell’altra mano, dirigendosi poi verso la porta dell’obitorio, senza rivolgere un’ulteriore sguardo al detective.

Nel breve intervallo di tempo in cui Sherlock si ritrovò da solo nel silenzio dell’obitorio la sua mente intrattenne velocemente l’idea di riprendere l’esperimento che lo aveva condotto fin lì e che era stato bruscamente interrotto per quella strana esperienza “padre-figlio”, ma quando fece per avvicinarsi nuovamente al proprio tavolo da lavoro, le porte dell’obitorio si aprirono lasciando entrare ancora una volta Matthew.

Sherlock incontrò lo sguardo del bambino e restò in attesa: ciò che aveva ricondotto Matthew sui propri passi era scritto fin troppo chiaramente nell’espressione battagliera del suo volto, ma per una volta, Sherlock restò in attesa senza lanciarsi come al suo solito nelle sue classiche deduzioni che, questa volta, avrebbero finito per mettere la parola fine al suo rapporto con Matthew.

-So che hai conosciuto mia sorella-iniziò il bambino.

Sherlock annuì.

-Esatto-

Matthew fece un paio di passi nella stanza e posò il proprio cappotto sul primo tavolo libero.

-Lei è la persona più importante della mia vita. Insieme a papà ovviamente- continuò- E non permetterò a nessuno di far loro del male-

-Non è nelle mie intenzioni-lo rassicurò il detective.

-Perché sei tornato?-gli domandò fissandolo con due occhi duri e penetranti.

-Voglio riparare ai miei errori-rispose sincero Sherlock.

-Credi davvero sia possibile?-si sentì chiedere.

Il detective alzò le spalle, mostrando in quel gesto tutta la speranza e la sua ignoranza nei riguardi del futuro.

-Uno può sempre sperare, no?-

Matthew lo fissò per qualche istante, soppesando quello che era stato detto finora, l’atteggiamento di Sherlock, chiedendosi cosa avrebbe potuto dire per scoraggiare definitivamente i tentativi di riappacificazione dell’uomo.

L’Omega era una minaccia per la sua famiglia.

Certo, ora si mostrava docile e gentile per entrare nelle grazie di suo padre e di sua sorella, ma Matthew sapeva benissimo di cos’era capace, aveva letto tutto il materiale sull’uomo su cui era riuscito a mettere le mani e ne era uscito fuori il ritratto di una persona maleducata, insensibile, che non si fermava di fronte a nulla pur di raggiungere il proprio obiettivo.

Era davvero questo il tipo di Omega che suo padre voleva accanto?

-Non mi fido di te-gli disse.

Sherlock annuì lentamente.

-Lo so-

-Se fossi un po’ più grande o se soltanto papà e Amy mi dessero ascolto ti sarebbe proibito di vederli di nuovo-lo avvertì.

-Devi lasciarmi il beneficio del dubbio-gli fece notare Sherlock, per nulla colpito dalle sue parole.

-Lo so che non ti fidi di me, o che non ti piaccio.

Lo vedo chiaramente sul tuo volto, in ogni piccolo gesto del tuo corpo-continuò parlando con voce calma e profonda- Ed io potrei parlare per ore e ore, cercando di convincerti che amo tuo padre che farei di tutto per evitare di fargli del male un’altra volta, ma so che non mi crederesti-

-Quindi cos’hai intenzione di fare?-gli domandò Matty con un tono di sfida nella voce.

-Te lo dimostrerò…Anzi te lo sto già dimostrando-replicò Sherlock.

Un’espressione scettica si disegnò sul volto di Matthew a quelle parole.

Ma chi voleva prendere in giro quell’Omega?

-Ah davvero?-

L’uomo annuì in maniera quasi solenne.

-Hai dato un’occhiata a tuo padre negli ultimi giorni?-gli chiese a sua volta.

Matty alzò le spalle.

-E allora?-

Un sorriso si dipinse inaspettatamente sulle labbra piene di Sherlock, portando Matty ad incurvare la fronte.

-Sei un ragazzo brillante Matty, davvero, ma non sei ancora al massimo delle tue capacità, altrimenti avresti notato i piccoli cambiamenti avvenuti in tuo padre ultimamente.

Da quando l’ho visto l’ultima volta, la settimana scorsa, la sua pelle ha ripreso colore, i suoi occhi non sono più così infossati, e non ha più quell’aria afflitta che lo accompagnava durante il nostro primo incontro-elencò prontamente come sempre.

-Mio padre non ha l’aria afflitta!-replicò con forza Matty, pronto a difendere l’uomo dall’Omega.

-Un’Alpha che non ha la minima idea di dove si trovi il suo Omega è soggetto ad attacchi di panico, depressione e insonnia; sono sicuro che se cerchi a fondo fra le sue cose nell’armadio troverai ancora qualcuno dei miei vestiti, conservati con cura per preservare il mio aroma…-disse Sherlock con calma.

-Papà non farebbe mai una cosa del genere!-ribatté ancora una volta il bambino, chiaramente irritato.

Perché l’Omega stava raccontando tutte quelle bugie? Che gusto c’era a sminuire la figura di suo padre?

Per l’ennesima volta, Sherlock gli rivolse un sorriso triste.

-Tu vedi ma non osservi.

Quando me ne sono andato voi eravate ancora piccoli, quindi è chiaro che non hai mai notato niente, inoltre sono sicuro che dopo otto anni John sarà più sicuro di sé stesso e maggiormente capace di nascondere i sintomi.

Ma non puoi giudicare una relazione lunga trent’anni soltanto da un piccolo passo falso- gli fece notare.

-Un passo falso? Tu ci hai lasciati!-gli ricordò Matty alzando leggermente la voce, prima di chiudere momentaneamente gli occhi e respirare profondamente- Ecco perché non volevo incontrarti o affrontare questo discorso con te…-gli disse.

L’attimo dopo due identiche paia di occhi blu ghiaccio si incontrarono: uno era sereno, malgrado la seria conversazione, l’altro invece era furente, gli occhi vivi e cristallini.

-Tu non capisci quello che abbiamo passato, quello che papà ha sofferto per colpa tua! TU…-

-Invece ti sbagli-lo interruppe bruscamente Sherlock, facendo un piccolo passo in avanti verso il bambino.

- Come ho detto tu vedi ma non osservi.

Un’Omega che lascia spontaneamente i propri cuccioli due mesi dopo il parto è condannata a morte certa.

I miei istinti mi facevano a pezzi per non essere lì con voi, che avevate bisogno di me, ed il mio prescelto Alpha, che amavo e che mi avrebbe protetto sempre e da qualunque pericolo-gli disse senza lasciarsi scappare lo sguardo del bambino.

-Ma la mia mente razionale sapeva che se fossi rimasto avrei rovinato le vite di tutti e quattro.

Lasciarvi è stato la scelta migliore per tutti noi e vostro padre, con il suo cuore generoso e la sua anima coraggiosa, lo ha capito anche se questo ha avuto delle forti ripercussioni su tutti e due.

-Sarei dovuto morire subito dopo essermi allontanato da voi, ma se sono ancora qui è sempre grazie a tuo padre-concluse.

Cercando di dare un senso al fiume di parole che lo aveva investito Matty respirò profondamente, corrugando allo stesso tempo la fronte.

-Non capisco…-

-Un forte legame empatico fra un’Alpha ed il suo Omega resta tale fin quando l’Alpha lo permette.

Quindi non importa quanto possano essere stati duri quei primi giorni o quelle prime settimane per vostro padre, lui sapeva che per me sarebbe stato cento volte peggio ed è rimasto forte perché restassi in vita attraverso il nostro legame-gli spiegò.

Padre e figlio si fissarono per l’ennesima volta in quell’interminabile pomeriggio e dopo alcuni istanti entrambi espirarono rumorosamente, quasi all’unisono.

-Non puoi giudicare la mia relazione con tuo padre soltanto dalla nostra rottura, perché non è mai stata una vera rottura.

E’ vero, non ero presente lì con voi, e pagherò il prezzo della mia scelta per molto tempo ancora, ma  così come vostro padre sapeva che io ero vivo e stavo bene, a mia volta attraverso il nostro legame empatico io sapevo che voi due eravate amati e al sicuro e che stavate bene.

E’ per questo che non mi arrendo!-gli disse facendo un’ulteriore passo in avanti verso il bambino.

-Ti dimostrerò che per me non c’è niente di più importante di te di tua sorella e di tuo padre e che questa volta sono tornato per restare.

Ci vorrà del tempo, è vero, ma se è di questo che hai bisogno per credere alle mie parole allora sono disposto a concederti tutto il tempo di cui hai bisogno-

Matty annuì e dopo alcuni istanti di immobilità in cui si perse nei propri pensieri, recuperò il proprio cappotto e si avviò verso la porta dell’obitorio.

-Buona fortuna!-gli disse senza voltarsi, in un tono quasi ironico.

Sherlock si concesse un sorriso a quelle parole.

-Mi piacciono le sfide! Specialmente quando il premio finale è così sostanzioso…-commentò.

L’attimo dopo Matty se ne era andato, ma Sherlock era sicuro di aver lasciato al bambino molto materiale su cui riflettere fino al loro prossimo incontro.

Se c’era una cosa che gli Holmes amavano era un confronto ad armi pari… Ci sarebbe stato da divertirsi.

 

 

Salve a tutti!!!

Innanzitutto Buona Pasqua, anche se con una settimana di ritardo! XD

Come state? Avete fatto delle buone vacanze? Le mie sono state abbastanza tranquille, tendenti alla noia, ma personalmente non ho mai amato molto la Pasqua, molto meglio il Natale(soprattutto dopo aver vissuto a Londra, l'atmosfera natalizia ti entra nelle vene e non ti abbandona fino al 31 dicembre).

Comunque...Eccoci qui con un nuovo capitolo dell' OmegaVerse, e devo scusarmi per tutto il tempo intercorso fra un capitolo e l'altro, non mi ero sinceramente resa conto che fossero passate tutte queste settimane!

Fortunatamente l'altra Sherlock fic che sto scrivendo è quasi completata, quindi potrò concedere maggiore attenzione a questa :D

Alcuni passi avanti importanti li abbiamo fatti in questo capitolo: entrambi i bimbi hanno incontrato il "terribile" Omega e come c'era da aspettarsi ci sono state delle reazioni completamente diverse.

Inoltre volevo aggiungere una piccola postilla riguardo al compito di Matty per biologia: so che tecnicamente ad un bambino di 9 anni non verrebbe mai in mente di sezionare e catalogare i muscoli della lingua, ma in questo caso stiamo parlando di un Holmes quindi i parametri sono leggermente diversi.

Ho preso spunto da un sito in cui si elencavano vari esperimenti scientifici da poter fare con i propri figli in tt sicurezza: l'idea di partenza era fare la mappatura della lingua con sapori diversi concentrandosi così sulle papille gustative, ma per Matty e la grande intelligenza Holmes sarebbe stato troppo "banale".

Inoltre ho raccolto tutte le informazioni possibili mentre scrivevo quel frammento, ma in caso avessi sbagliato qualche termine o muscolo, chiedo umilmente scusa!

Ringrazio tutti coloro che leggeranno e recensiranno questo capitolo e mi scuso per eventuali errori di battitura o di ortografia.

Le canzoni utilizzate in questo capitolo sono: "Little by little" degli Oasis per il titolo, "The way we were" e "You just haven't earn it yet" rispettivamente dei The Killers e dei The Smiths.

Ed ora i ringraziamenti:RomanceInBlack(Grazie per i complimenti!L'argomento Mpreg non è ancora stato affrontato del tutto, però prometto che quando succederà sarà fatto con eleganza e cercando di non offendere nessuno...Sono perfettamente d'accordo con te: ci vogliono più Mystrade! PEr me Myc è un personaggio talmente complesso che è impossibile apprezzarlo a pieno soltanto con poche battute o inquadrature, anche se queste ce lo fanno adorare!),Holie(Qualsiasi dubbio sull'OmegaVerse non farti scrupolo: chiedi e sarò felice di aiutarti! Per ora oltre al piccolo bignami all'inizio del primo capitolo, posso dirti che la società in cui vivono è la stessa in cui viviamo noi, ma mentre noi teniamo in maggiore considerazione il sesso Primario= Maschio/Femmina, loro si concentrano su quello Secondario= Alpha/ Beta/Omega),Damon_Soul93(Grazie per i complimenti! Non sei assolutamente perversa fidati...Anche io all'inizio ero molto molto scettica,ma credo fosse dovuto al diverso fandom, perchè quando ho letto la prima OmegaVerse su Sherlock sono entrata nel tunnel e ancora non ne vedo l'uscita XD... Come Sherlock ha detto a Matty non giudicare la loro relazione dalla fine: ok Sherlock ha fatto qualcosa "contro natura", ma andando avanti con la storia vedrai le varie sfumature e ciò che lo ha spinto a quella scelta...Sinceramente non capisco come si possa guardare Mark Gatiss e immaginarlo crudele e senza cuore! E' un tale cucciolone *_*),Luuuuuuuuuuuula(Benarrivata!!!! E grazie per i complimenti! Ahahahah Parafrasando le parole di Jessica Rabbit "Non sono io che li descrivo bene, sono loro che sono sono adorabili e dolcissimi", soprattutto Sherlock, ho quest'idea che sia uno spilungone con una massa di ricci incontrollati sempre davanti gli occhi...Che mi dici di questo primo confronto fra padre e figlio?),Music_lou(La tua recensione mi fa davvero piacere,perchè è davvero un onore essere riuscita a convertire un lettore che solitamente non lascia mai un commento, quindi ti ringrazio dal profondo del mio cuore ^_^ Inoltre mi fa piacere averti tenuto compagnia in una giornata di pioggia, so quanto possono essere noiose...Anche io nell'ultimo anno ho letto molte Omegaverse con e senza Mpreg, sempre in inglese, e mi ha dato fastidio il fatto che non ci fosse neanche un esempio di questo filone nella nostra lingua, quindi perchè non rimediare?Sono felice ti piacciano i capitoli lunghi perchè io sembro incapace di scrivere capitoli al di sotto delle 40 pagine XD Ti ringrazio anche per i complimenti su "Come what may"! *_*),Little Fanny(Grazie per i complimenti!Ho riflettuto a lungo su come impostare il confronto fra Sherlock e John, essendo da sempre contraria alla scelta troppo softy di Sir ACD di far svenire John al ritorno di Sherlock dopo La caduta; mi sono chiesta se anche in questo caso Sherlock si meritasse un paio di pugni,ma poi mi sono resa conto che la cosa che lo avrebbe spaventato maggiormente, invece della violenza, sarebbe stata la possibilità di perdere tutto proprio ora che era ad un passo dal tornare a casa: Moriarty e Moran sono morti, ha messo da parte le sue paure e vuole ricostruire la sua famiglia, ma basterebbe una parola da parte dell'Alpha per rendere nullo il loro Legame, almeno agli occhi della legge...Meno male che John è irreparabilmente innamorato di Sherlock!).

Bene per il momento è tutto io vi saluto e vi do appuntamento al prossimo appuntamento...

"You'll never walk alone"

Baci,Eva

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

This Web Page Created with PageBreeze Free HTML Editor

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: crazy640