And
the thrill of the chase moves in mysterious ways
So
in case I'm mistaken,
I
just wanna hear you say you got me baby
Are
you mine?
La
prima volta che i suoi occhi si erano posati su Sherlock Holmes, John Watson
aveva nove anni.
Suo padre, Hamish Samuel Watson, era fin
dalla sua nascita il medico personale della famiglia
Holmes.
Malgrado
la famiglia Holmes potesse permettersi medici migliori e con maggiori
credenziali di suo padre, Andrew Holmes e Hamish Watson si erano conosciuti
durante la Seconda Guerra Mondiale e, per qualche sconosciuto motivo, erano da
sempre rimasti legati al punto che alla fine della guerra il vecchio Holmes
aveva insistito affinché suo padre accettasse di diventare il medico personale
della famiglia.
Quel
giorno suo padre si era recato a Holmes Manor per il consueto controllo medico
mensile e, per la prima volta, aveva chiesto al piccolo John di accompagnarlo
e John, malgrado la giornata insolitamente calda, che non ti lasciava alcun
desiderio se non quello di chiuderti in camera e leggere un libro sdraiato sul
letto avvolto nella penombra, aveva accettato felice di trascorrere qualche ora
da solo con suo padre.
Non
appena la macchina si fermò davanti al Manor, John si sentì mozzare il fiato
trovandosi di fronte tutto quello
sfarzo e quel lusso per la prima volta, sentendosi immediatamente in soggezione,
e stringendo al petto la copia de “Il Signore degli Anelli” che aveva portato
con sé per passare il tempo, quasi fosse uno scudo.
Furono
accolti da una governante in uniforme blu marine che salutò cordialmente suo
padre e rivolse un mezzo sorriso al piccolo John, uno strano sguardo negli occhi
che John non riuscì ad identificare, guidandoli verso un corridoio infinito con
molti specchi alle pareti che li condusse ad un salotto con due divani, un
tavolino di legno intarsiato e decine di ritratti antichi alle
pareti.
-Non
ci vorrà molto-lo aveva rassicurato suo padre con un sorriso prima di seguire la
governante fuori dal salotto e sparire nei meandri della
casa.
John si guardò intorno, ancora leggermente
spaventato, prima di tirare indietro le spalle, prendere un respiro profondo e
abbassare lo sguardo sul libro che ancora stringeva convulsamente fra le dita
della mano sinistra: si stava comportando come un
fifone!
Non
era la prima volta che accompagnava suo padre nel suo lavoro, inoltre l’uomo
aveva promesso di tornare presto, quindi non aveva nulla da
temere.
Si
sistemò più comodamente sul divano a fiori, appoggiando la schiena allo
spalliera rigida e scomoda e sciolse la presa dal volume, aprendo il libro fino a
ritrovare il punto in cui si era interrotto l’ultima
volta.
Si
perse nel racconto del primo incontro fra Frodo, Sam e Gollum e si dimenticò di
ciò che lo circondava, ritornando alla realtà soltanto quando si accorse di non
essere più solo.
Alzò
lo sguardo dalla pagina e sobbalzò leggermente quando vide accanto a sé, seduto
a gambe incrociate su una poltrona un bambino che lo fissava
attentamente.
La
prima cosa che notò del bambino furono i
folti capelli neri riccioluti che mettevano in risalto il pallore del
viso; il naso dritto, perfettamente simmetrico, il volto leggermente lungo
ingentilito dagli zigomi alti e dalle labbra rosee disegnate a formare un
cuore.
Ma
ciò che lo colpì maggiormente furono i suoi occhi: se fosse stato possibile,
John li avrebbe definiti ghiaccio liquido per la capacità di cambiare
espressione da un momento all’altro.
Indossava
un paio di pantaloni corti al ginocchio ed una camicia bianca a maniche corte
che lo faceva assomigliare allo stesso tempo ad un marinaio e ad un piccolo
lord.
Per
qualche istante, John restò in silenzio osservando a sua volta l’ospite
inatteso, non sapendo se alzarsi in piedi o restare seduto finché non gli fosse
stata rivolta la parola.
-Tu
devi essere Watson-disse in quell’istante il bambino.
John
annuì.
Il
bambino lo fissò in silenzio, gli occhi penetranti intenti a scrutare ogni
minimo particolare del suo viso, ma non sembrò intenzionato a presentarsi o ad
aggiungere altro, così dopo qualche istante John tornò a sistemarsi comodamente
sul divano e fece per riaprire il
libro e riprendere la lettura interrotta, quando il bambino parlò
nuovamente.
-Mio
padre mi ha mandato a farti compagnia mentre è occupato con il tuo-gli
disse.
John
rialzò lo sguardo sul bambino dai capelli neri e dopo qualche istante alzò le
spalle.
-Grazie,
non dovevi disturbarti-rispose memore delle buone maniere che sua madre gli
aveva insegnato.
Il
bambino alzò le spalle a sua volta.
-Ero
pronto a passare il tempo con il mio libro…-aggiunse.
-Bene!
Così posso tornare ai miei esperimenti!-rispose prontamente l’altro alzandosi in
piedi e avviandosi verso la porta, chiaramente convinto di aver assolto il suo
dovere.
-Aspetta!-lo
bloccò John, riportando l’attenzione del bambino su di sé- Hai detto
esperimenti?-gli chiese curioso.
L’altro
sospirò chiaramente annoiato, ma annuì.
-Che
tipo di esperimenti?-
-Ho
trovato un uovo in un nido e sto cercando di farlo schiudere con una coperta ed
una lampada-spiegò il moro.
Un
sorriso apparve sul volto di John, il libro abbandonato sul divano accanto a
sé.
-Fico!
Posso vedere?-gli domandò.
Un’espressione
sorpresa apparve sul volto del bambino a quelle
parole.
-Davvero?-
John
annuì con decisione, alzandosi in piedi.
-Ok…Seguimi-disse
alla fine l’altro, lasciando andare le sue ultime
remore.
John
lo raggiunse e si sistemò al suo fianco, uscendo dal salotto e percorrendo
nuovamente il corridoio pieno di specchi, ma questa volta addentrandosi sempre
di più all’interno della casa, trovandosi davanti ad una scala di marmo dai
grandi gradini.
-A
proposito …Io sono John-si presentò il bambino lanciando un’occhiata al
ragazzino accanto a sé sulle scale.
-Lo
so, sei il figlio del dott. Watson-rispose l’altro.
-Tu
invece sei?-chiese John curioso di sapere il nome del suo compagno
d’avventure.
-Sherlock-rispose
l’altro fermandosi davanti ad una porta bianca con decorazioni ed
intarsi.
-Piacere
di conoscerti-gli disse mentre l’altro apriva la porta della
stanza.
John
ebbe appena il tempo di fare un passo all’interno della stanza prima di restare
sconvolto: quella camera era grande quanto la sua cameretta e quella di Harry
messe insieme!
Ed
era per una persona sola!
Un
letto enorme a due piazze era sistemato accanto alla finestra che dava sui
giardini, a poca distanza da un armadio di mogano, un intera parete era occupata
da un tavolo da lavoro ricoperto da bricchi, provette e altri componenti
chimici; accanto al letto era sistemato un piccolo violino con il suo leggio
ricoperto di spartiti, una parete nel muro lasciava intravedere un bagno,
un’altra scrivania, decisamente più piccola e meno utilizzata, era sistemata in
un altro angolo ed era lì che si trovava l’uovo avvolto con attenzione nella
coperta illuminato dalla lampada.
-Wow…Questa
camera è enorme! E’ sicuramente due volte la mia stanza-commentò John
continuando a guardarsi intorno.
-Mh…-commentò
semplicemente Sherlock, diretto verso la scrivania.
-La
mia però è più pulita, mamma mi metterebbe in punizione per un anno se lasciassi
tutto questo disordine-commentò ancora il biondo.
-Il
disordine è sinonimo di una mente creativa-ribatté
Sherlock.
John
accennò un sorriso e si avvicinò al tavolo, lanciando un’occhiata prima all’uovo
e poi a Sherlock.
-Come
ti sei procurato quest’uovo?-gli domandò curioso.
-Tu
che dici? Ero sul vecchio olmo perché Mycroft mi infastidiva e ho trovato il
nido; c’erano tre uova e ho pensato che…-raccontò il
bambino.
-Chi
è Mycroft?-domandò John tornando a posare lo sguardo sul
moro.
-Mio
fratello…Ed il più grande rompiscatole che abbia mai conosciuto-commentò
Sherlock.
Un’ombra
passò sul volto di John a quelle parole.
-Non
dovresti dire quella parola-lo rimproverò gentilmente.
-Ti
sto imbarazzando?-gli domandò l’altro con un sorriso ironico sulle
labbra.
John
lo fissò qualche istante, gli occhi inspiegabilmente concentrati sulle labbra
prima di scuotere la testa.
-No
è solo che…Quanti anni hai? 5?-gli domandò.
-Ho
7 anni!-ribatté prontamente Sherlock infastidito.
-Non
è comunque una cosa carina da dire, specialmente se si tratta di tuo
fratello-replicò John- Se ti avesse sentito avresti ferito i suoi
sentimenti-aggiunse.
-Mycroft
non ha sentimenti-ribatté Sherlock con una risatina divertita-E comunque non mi
faccio alcun problema a dirgli certe cose in faccia-
Malgrado
volesse rimproverarlo ancora una volta, John non riuscì a trattenere un sorriso
divertito per quel ragazzino di sette anni che cercava di fare lo sbruffone a
tutti i costi.
-Sei
strano-gli disse continuando a sorridere.
Sherlock
annuì.
-Lo
so, me lo dicono tutti-commentò alzando le spalle.
-Mi
piace-
A
quelle parole Sherlock aggrottò la fronte, chiaramente
sorpreso.
-D-Davvero?-domandò
incerto.
Questa
volta toccò a John annuire.
-Certo!
Sei un ragazzino strano con un laboratorio nella propria camera e con abbastanza
coraggio da dire sempre quello che pensa…Anche i ragazzi della mia età non sono
così coraggiosi-commentò con convinzione.
Sherlock
lo fissò per qualche istante, assimilando le sue parole prima che un sorriso
lieve apparve sul suo volto, illuminando i suoi occhi di
ghiaccio.
-Mi
piaci-decise portando John a ricambiare il suo
sorriso.
L’istante
dopo si avvicinò alla scrivania, attratto dal batuffolo bianco sistemato con
attenzione sulla piano del tavolo, prima che i suoi occhi blu oceano si
posassero nuovamente su Sherlock.
-Quando
pensi che si schiuderà?-domandò tornando a fissare
l’uovo.
Sherlock
alzò le spalle.
-C-Credo
nelle prossime 12- 24 ore se continua a stare al caldo e sotto la
lampada-rispose il moro avvicinandosi con cautela al
tavolo.
-Sai
già che specie di uccello è?-chiese curioso John.
-Uno
con le ali?-rispose semplicemente Sherlock, facendo nascere un’espressione
divertita sul volto di John e provocando pochi attimi dopo lo scoppio di una
risata divertita.
-Più
tardi voglio farti vedere l’alveare nel cortile sul retro e mostrarti la
regina-disse Sherlock, una lieve eccitazione nella
voce.
John
sorrise.
-Ho
gli abiti adatti per incontrare la Regina?-gli domandò lanciando uno sguardo ai
pantaloni al ginocchio e alla camicia bianca a mezze maniche che
indossava.
-Cosa?-chiese
Sherlock aggrottando la fronte.
John
scosse la testa, un sorriso ad incurvargli le labbra.
-Non
importa…Ti piacciono le api?-
Sherlock
annuì.
-Come
si fa a non essere affascinati dalle api?-domandò il moro, una lieve eccitazione
nella voce.
-Perché
le loro punture fanno male-rispose prontamente John.
-Soltanto
se non si presta la massima attenzione-ribatté
Sherlock.
Ancora
una volta John alzò le spalle, sempre più affascinato da quel misterioso
bambino.
-Quindi
tu ti occupi delle api?-gli domandò curioso voltando le spalle all’uovo e
fissando Sherlock a pochi passi di distanza da sé.
-Non
ancora…Dicono che sono troppo piccolo…Ridicolo!
Jeffrey,
il nostro maggiordomo, si occupa degli alveari e mi sta insegnando tutto quello
che c’è da sapere sull’apicoltura e sul miele.
Quando
sarò vecchio comprerò una casa nel Surrey dove produrrò il migliore miele
d’Inghilterra e mi occuperò delle api-disse con convinzione
Sherlock.
John
fissò il bambino per qualche istante, le mani affondate nelle tasche dei
pantaloni corti; perché c’era qualcosa di inspiegabilmente affascinante in
Sherlock?
Erano
gli occhi di ghiaccio che lo rendevano distante e sotto i quali si nascondeva un
fuoco sempre acceso?
Oppure
erano i capelli folti, un caos di ricci che gli incorniciavano il viso lungo e
che gli conferivano un aria birichina?
-Posso
venire con te?-si sentì chiedere sorprendendo anche sé stesso-Magari posso
essere il tuo Jeffrey-aggiunse velocemente, abbassando lo sguardo per un istante
sulle proprie scarpe.
A
quelle parole Sherlock spalancò gli occhi, sorpreso quanto e più di lui della
sua domanda e per alcuni istanti i due bambini si limitarono a fissarsi prima
che Sherlock si riscuotesse per primo da quell’inaspettato
torpore.
-C-Certo…-rispose
incerto.
John
rispose a quelle parole con un grande sorriso rassicurante, felice di non aver
rovinato le basi di una possibile amicizia.
-Bene…Almeno
ho qualcosa da aspettare per quando sarò vecchio-disse continuando a
sorridere.
La
stanza tornò a scivolare nel silenzio; Sherlock si era seduto sul proprio letto,
a gambe incrociate lo sguardo fisso su John che, dal canto suo, era ancora in
piedi, le spalle rivolte alla scrivania e divideva la propria attenzione fra
l’uovo avvolto nella coperta e Sherlock.
-Tu
lo sai perché tuo padre ti ha portato qui oggi, vero?-domandò Sherlock
interrompendo il silenzio.
John
rialzò lo sguardo incontrando gli occhi di ghiaccio dell’altro e alzò le
spalle.
-Forse
non aveva voglia di fare il viaggio da solo…-rispose.
-Mh…No,
non è la prima volta che viene al Manor da solo.
Davvero
non lo sai?-chiese ancora, un’espressione sorpresa sul
volto.
John
corrugò la fronte.
-Cosa?-
-Non
è stato un caso se oggi ci siamo incontrati.
Era
stato deciso così perché potessimo conoscerci e “fare amicizia”, perché un
giorno tu sarai il mio Omega ed io sarò il tuo Alpha-disse Sherlock con voce
neutrale.
Per
un lungo istante John combatté contro l’istinto che gli diceva di scoppiare a
ridere e non prendere minimamente in considerazione quelle parole; ma
l’espressione seria sul volto di Sherlock gli fece capire che prenderlo in giro
era l’ultimo pensiero del moro.
Sherlock
sarebbe diventato il suo Alpha?
-Cosa?-si
ritrovò a dire, incapace di trovare qualcosa di più
profondo.
-Non
mi hai sentito?-domandò Sherlock sereno.
-Certo
che ti ho sentito! Ma è impossibile! Siamo troppo giovani…-commentò staccandosi
dalla scrivania e lasciandosi cadere sulla sedia poco
distante.
Sherlock
restò in silenzio qualche secondo, il labbro inferiore tormentato dai denti,
chiaramente immerso nei propri pensieri prima di riportare la sua completa
attenzione su John.
-Hai
mai sentito parlare del Maggiore Lestrade?-gli
domandò.
John
annuì.
-Era
con mio padre al fronte-
-Precisamente.
Mio padre era con loro.
Il
Maggiore Lestrade ha un figlio, Graham o qualcosa del genere, di 13 anni che lo
scorso anno si è rivelato essere un’Omega.
Così
mio padre ha deciso che sarebbe stato un Compagno adatto per mio fratello, un
futuro Alpha, e questo ha portato alla firma di un contratto in cui mio padre si
impegnava a prendersi cura dell’Omega finché lui e mio fratello non avessero
formato un Unione ed in cui il Maggiore rinunciava ai propri diritti sull’Omega
che sarebbe diventato parte della nostra famiglia a tutti gli effetti-lo informò
Sherlock in tono pratico e distaccato.
-Lo
hanno lasciato andare così?-domandò incredulo John, leggermente stordito da
tutte quelle parole.
-Cosa
avrebbero dovuto fare?-gli chiese il moro.
-E’
il loro unico figlio!-replicò John.
-Non
più…Beh nel tuo caso è diverso visto che tu hai una sorella, così il distacco
per la tua famiglia sarà meno doloroso-commentò ancora
Sherlock.
Già
lui aveva una sorella Harry, un Alpha, che avrebbe portato grande onore e molte
soddisfazioni alla famiglia.
-Siamo
una vecchia famiglia e anche se i nostri metodi possono sembrare antiquati,
nessuno si è mai lamentato: l’Omega potrà studiare e, se lo desidererà e se mio
fratello sarà d’accordo, gli sarà concesso di lavorare finché non formeranno
un’Unione ed avranno figli-continuò Sherlock.
John
portò lo sguardo sul moro, fissandolo qualche istante: quello strano ragazzino,
con i suoi occhi misteriosi e la sua passione per le api, sarebbe diventato il
suo Alpha?
Lui
ci aveva sicuramente guadagnato, ma che dire di Sherlock? Sarebbe stato felice
della loro Unione?
-Questo
è quello che succederà anche a noi?-gli domandò
titubante.
Sherlock
incontrò nuovamente il suo sguardo, leggendo chiaramente i suoi timori e le sue
paure per il futuro prima di annuire.
-Come
ho detto per il momento siamo troppo giovani, dobbiamo ancora conoscerci e
vedere se siamo compatibili, ma quando ti Presenterai come un’Omega, le nostre
famiglie firmeranno il nostro contratto-gli spiegò.
-E
se non fossi un’Omega?-gli domandò-Che succede se sono un
Beta?-
Sherlock
alzò gli occhi al cielo, chiaramente annoiato da tutte quelle
domande.
-E’
improbabile…Non c’è un Beta maschio nella tua famiglia da quasi cent’anni-gli
rispose.
-Ok…E
che succede se scopriamo che tu non sei un’Alpha?-chiese ancora
John.
A
quella domanda Sherlock si lasciò andare ad una risatina ironica che risuonò
nella stanza come gocce di pioggia sui vetri.
-Impossibile.
La
famiglia Holmes ha prodotto maschi Alpha per generazioni-rispose
sicuro.
John
annuì lentamente.
-Quindi
è deciso…-commentò.
-Più
o meno…Tu saresti d’accordo?-gli chiese Sherlock, gli occhi fissi sul suo
volto.
“Non
mi sembra di avere molta scelta…”
-Sei
d’accordo di diventare il mio Omega?-gli domandò ancora il
moro.
John
alzò lo sguardo ed incontrò quello di Sherlock, fissandolo per qualche
istante.
Era
una notizia assurda quella che aveva appena ricevuto, ma se le cose stavano
davvero come gli aveva detto Sherlock, se lui era davvero un’Omega, allora avere
qualcuno accanto con cui superare i momenti terribili che sicuramente si
sarebbero presentati sul suo cammino, lo avrebbe aiutato e lo avrebbe fatto
sentire meno solo.
-Credo
di sì.
Ma
non voglio avere figli subito dopo la Presentazione-chiarì
subito.
Sherlock
scosse la testa con forza.
-Oh
Dio no! Non riesco ad immaginare niente di più orribile-si limitò a
commentare.
-E
voglio diventare un dottore come mio padre!-aggiunse velocemente John- Me lo
permetterai?-gli chiese l’attimo dopo.
Sherlock
annuì.
-Non
vedo perché dovrei fermarti, in fondo può sempre tornare
utile-rispose.
John
sorrise, chiaramente soddisfatto.
-Allora
sarò felice di essere il tuo Omega-gli disse con voce
sicura.
Sherlock
annuì e accennò un sorriso a sua volta.
-Ed
io sarò felice di essere il tuo Alpha-rispose, suggellando con quelle poche
parole un patto che avrebbe cambiato il corso delle loro
vite.
Mycroft
Holmes era un uomo abituato ad ottenere tutto quello che desiderava nella
vita.
O
almeno questa era la visione che il mondo esterno aveva di lui: agli occhi della
gente, Mycroft appariva come un soddisfatto maschio Alpha di quarantadue anni,
con una solida posizione nel Governo britannico(anche se soltanto pochi
fortunati erano a conoscenza delle vere qualifiche che l’uomo ricopriva e
dell’importanza del suo ruolo), un figlio di quattro anni ed un’ Omega
affettuosa ed amorevole al proprio fianco.
Gregory.
L’unico
che potesse davvero ricoprire quel ruolo fondamentale nella sua
vita.
Ciò
che la gente non sapeva era che tutte quelle conquiste erano state ottenute con
fatica e dopo lunghe tribolazioni: essendo il primogenito della famiglia Holmes
era caduto su di lui il compito di inserirsi all’interno del Governo e ricoprire
con il tempo una posizione di rilievo, ma le difficoltà dei primi anni lo
avevano portato più volte a dubitare che quella fosse realmente il suo destino,
minando seriamente la sua autostima.
Anche
in quel caso Gregory(indispensabile,
meraviglioso e brillante)
lo aveva aiutato a capire che lui non era inferiore agli altri, che nessuno
poteva permettersi di “mettere i piedi in testa” a Mycroft Holmes(“a
meno che non abbiano un forte istinto suicida”)
e gli era stato accanto per tutti gli anni difficili del tirocinio, delle
missioni all’estero, senza mai fare domande, finché non aveva potuto finalmente
occupare il posto che gli spettava di diritto.
Agli
occhi del mondo esterno la famiglia Holmes, con l’ovvia aggiunta degli Watson,
mostrava un fronte unito ed indivisibile, e Mycroft si riteneva fortunato per la
sua famiglia consapevole che in molte occasioni sarebbe bastata una decisione
diversa, un gesto sbagliato per cambiare il corso degli eventi e trasformare
quell’unità affettuosa e coesa in un’altra casata fredda e indifferente al
destino degli altri componenti.
Molte
volte in passato, soprattutto durante i primi anni in cui era a Cambridge,
Mycroft si era ritrovato a maledire silenziosamente suo padre per gli accordi
presi con il Maggiore Lestrade che lo legavano a Gregory, chiedendosi cosa
sarebbe successo quando si fossero ritrovati insieme senza nulla di cui parlare
o senza niente che li legasse, ma ancora una volta il suo Gregory(speciale,
unico, insostituibile)
gli era venuto incontro gettando le basi per un’amicizia che nel giro di pochi
mesi Mycroft aveva visto trasformarsi nell’amore più puro grazie a gesti
accennati, risate, progetti per il futuro.
Un
futuro che li vedeva insieme.
Se
soltanto non avesse aspettato anni prima di ammettere i propri sentimenti per
paura di vederli respinti…
La
famiglia era il punto cardine della sua esistenza, attorno al quale roteava
tutto il resto.
Tutti,
amici e nemici, ne erano a conoscenza, ma Mycroft Holmes era riuscito a
trasformare il proprio punto debole in un punto di forza.
Con
un'unica eccezione…Sherlock.
Ogni
famiglia ha la propria pecora nera e la famiglia Holmes non faceva
eccezione.
I
problemi della loro famiglia erano iniziati quando Sherlock si era Presentato
frantumando tutti i sogni dell’uomo di una vita da Alpha e neanche la sicurezza
di avere un’ Alpha affettuoso ed amorevole come John Watson aveva messo un freno
alla rabbia e all’insoddisfazione di Sherlock.
Ed
ora che suo fratello era ritornato a Londra la pace vissuta in quegli anni
sarebbe stata spazzata via un’altra volta.
Dopo
che Sherlock era uscito dal suo ufficio la sera prima, Mycroft era rimasto
seduto dietro la propria scrivania, lo sguardo fisso sul muro di fronte a sé
immerso nei propri pensieri, mettendo a punto possibili piani per prevenire o
controbattere ogni intemperanza di Sherlock e proteggere la famiglia dalla
tempesta mediatica che si sarebbe scatenata a causa del suo
ritorno.
Si
accorse di aver passato tutta la notte seduto in poltrona soltanto quando la
casa cominciò a svegliarsi attorno a lui, rendendolo consapevole dei primi raggi
del sole e dei propri muscoli atrofizzati dalla prolungata
immobilità.
Poco
dopo sentì aprirsi la porta dell’ ufficio e mosse velocemente il suo sguardo
verso l’entrata dove, ancora con indosso il pigiama e la vestaglia, era fermo
Gregory.
Un
lieve sorriso apparve non appena i suoi occhi si posarono sull’uomo, il suo
fedele compagno da oltre vent’anni.
La
prima volta che si erano incontrati lui aveva dodici anni e Gregory tredici, ora
erano entrambi oltre i quaranta e malgrado i problemi e le incomprensioni non
avrebbe cambiato nulla del loro rapporto: aveva avuto il piacere di veder quel
giovane insicuro che si era presentato al loro primo incontro in un adolescente
strafottente e poco propenso alle regole, seguito dal giovane adulto sicuro
delle proprie scelte e dei propri sentimenti fino all’uomo sicuro e fermo che
era davanti a sé.
L’unico
uomo che avrebbe mai amato per il resto della sua vita.
-Buongiorno-lo
salutò Gregory avanzando nello studio dopo essersi chiuso la porta alle
spalle.
Mycroft
gli rivolse un sorriso stanco, allontanando leggermente la sedia dalla scrivania
e mostrando un atteggiamento aperto ed accomodante che convinse Greg ad aggirare
la scrivania e a sedersi sulle sue ginocchia, un braccio abbandonato attorno
alle sue spalle.
-Buongiorno
mio caro-disse rispondendo al saluto, lasciandosi avvolgere dall’odore
dell’Omega.
Fin
dal primo istante, Mycroft sarebbe riuscito a ritrovare Gregory in una stanza
affollata grazie al suo odore peculiare(caramello
e nocciole),
arrivando ad identificarlo con la propria idea di “casa”, ma da quando sei anni prima
si erano Legati, l’odore di Gregory era cambiato, lasciando una lieve traccia
del suo vecchio odore unito a quello predominante del suo Alpha perché tutti
sapessero che Gregory era Suo.
-Hai
dormito almeno un po’ ieri notte?-gli domandò Greg, le dita lievi ad accarezzare
la base del collo dell’Alpha.
-Non
molto, no…Mi dispiace non essere venuto a letto-gli disse accarezzandogli un
ginocchio.
Gregory
accennò un sorriso.
-Non
importa.
Voglio
dire, adoro quando sei nel letto accanto a me ma non è la prima notte che passo
da solo e sicuramente non sarà l’ultima-rispose senza
acrimonia.
Mycroft
fece un gesto impercettibile con il capo prima di abbandonare la testa contro la
spalla del compagno, attirandolo maggiormente contro di
sé.
Consapevole
che Mycroft era preoccupato, Greg mise in mostra il proprio collo dandogli la
possibilità di strofinare la punta del naso contro la ghiandola “ormonale” dove
il suo odore era più forte.
-Cosa
ti preoccupa?-gli domandò continuando ad accarezzargli i capelli
castani.
-Oh
il solito-si limitò a rispondere l’Alpha, leggermente più calmo grazie alla
presenza del suo compagno.
Greg
annuì.
-Mh…
Quindi non ha niente a che fare con l’ospite inaspettato arrivato ieri sera?-gli
chiese ancora.
Mycroft
aggrottò la fronte, sentendo i propri muscoli irrigidirsi all’istante per quella
domanda inaspettata.
-Ospite?-chiese
con quella che sperò essere una voce innocente.
Greg
accennò nuovamente un sorriso e ne approfittò per accarezzargli una
guancia.
-Mycroft
Holmes…Tu sei davvero bravo a mentire, puoi anche essere definito un maestro
alle volte, ma io sono l’unico che sa vedere oltre le tue stronzate-commentò
Greg con voce sicura.
-Ah
davvero?-domandò Mycroft incapace di controllare il sorriso ironico che gli
incurvò le labbra.
Greg
annuì nuovamente.
-Ho
guadagnato questo privilegio in oltre vent’anni di amicizia e amore e sei di
Legame e soprattutto conosco il nostro ospite-
A
quelle parole, il sorriso divertito scomparve dal volto di Mycroft, portandolo a
staccarsi dal compagno, la schiena nuovamente contro lo schienale della
sedia.
-E’
tornato non è vero? Sherlock-disse Greg guardandolo negli
occhi.
-Come…-domandò
l’altro improvvisamente senza parole ed incapace di
mentire.
Un
sorriso inspiegabilmente dolce apparve sul volto di Greg, mentre le dita di una
mano si chiusero attorno alla guancia destra dell’Alpha in un gesto
rassicurante.
-Sono
il tuo Omega…Lo sapevo perché tu ne eri a conoscenza.
Quando
Sherlock si è buttato giù dal tetto del Barts eri scioccato come tutti noi, ma
subito dopo non ho avvertito nessun dolore in te: eri arrabbiato, preoccupato e
teso e tutti questi sentimenti ti sono rimasti addosso per lungo tempo anche
dopo la sua morte.
Se
poi aggiungi le decine di nemici pubblici N.1 i cui cadaveri sono venuti a
galla, o che sono stati arrestati dopo la morte di Sherlock non è stato
difficile tirare le somme: il nostro caro Sherlock era ancora vivo-concluse Greg
in tono quasi professionale.
Mycroft
lo fissò qualche istante, prima di prendere un lungo sospiro sinceramente
sollevato all’idea di non dover dire la verità sulla morte di Sherlock al
compagno.
-Ho
sempre saputo che eri un fantastico ispettore…-commentò tornando a fissare il
suo volto- Ed il migliore Omega per me.
Sei
arrabbiato?-gli domandò cercando di tenere a freno la
preoccupazione.
Questa
volta toccò a Greg sospirare, passandosi poi una mano fra i capelli corti,
riflettendo sulla risposta più adatto.
-Lo
sono stato-ammise sincero- Credimi ero incazzato nero, specialmente perché non
me ne avevi parlato: capisco se si tratta di segreti di stato o della sicurezza
nazionale, ma erano le nostre vite Myc…-aggiunse.
-Ho
dovuto farlo.
Ti
ho promesso che non ti avrei tenuto all’oscuro di nulla che potesse ferire la
nostra famiglia e ho mancato alla mia promessa.
Non
hai idea di quante volte avrei voluto darti un indizio, un minimo accenno perché
tu potessi mettere insieme tutti i pezzi e arrivare alla giusta conclusione, ma
Sherlock mi ha fatto promettere di mantenere il segreto ed ho dovuto farlo,
andando contro anche ad i miei istinti-gli disse sincero e angosciato allo
stesso tempo.
Greg
gli accarezzò lo zigomo destro, incapace di vedere il proprio Alpha afflitto
senza far nulla per risollevargli il morale.
-Sei
stato fortunato che all’epoca Martin era ancora un neonato, altrimenti sarei
stato incazzato più a lungo, ma gli ormoni post gravidanza e il dovermi
concentrare su di lui hanno messo in secondo piano il tuo stupido
fratello-commentò.
Per
qualche istante Mycroft restò in silenzio, sollevato di non dover affrontare la
rabbia del proprio compagno e che il segreto che li aveva divisi per tre anni
era finalmente stato svelato; ora poteva finalmente mettere Gregory al corrente
dei motivi che avevano spinto Sherlock, e di conseguenza anche lui, a mantenere
quel velo di segretezza.
-Moriarty
era pronto ad uccidere te, John ed i gemelli se Sherlock non si fosse
buttato…C’erano cecchini pronti ad eseguire l’ordine che aspettavano soltanto il
suo comando.
Ecco
perché Sherlock ha inscenato la sua morte ed io mi ho mantenuto il suo segreto e
l’ho aiutato tutti questi anni-confessò evitando lo sguardo di
Greg.
Per
alcuni lunghissimi istanti, Greg restò immobile, i muscoli rigidi, incapace di
liberarsi della sensazione di pericolo e della tensione che quelle parole
avevano provocato, prima di buttar fuori un respiro e cercare lo sguardo del
proprio compagno.
-Quel
fottuto bastardo…-commentò con un filo di voce.
Intuendo
il bisogno di protezione di cui aveva bisogno l’Omega, Mycroft l’attirò a sé, un
braccio stretto attorno alla vita mentre le dita della mano sinistra gli
accarezzavano lentamente la schiena in un gesto
rassicurante.
-Non
potevo permettere che arrivasse a te…Non quando finalmente eravamo una vera
coppia, non con Martin appena nato.
Ho
protetto la mia famiglia e so che avrei dovuto dirtelo, ma a quanto pare non c’è
bisogno che io ti dica tutto…Tu lo sai già-aggiunse con un lieve sorriso
orgoglioso sulle labbra.
Greg
accennò un sorriso a sua volta, accarezzandogli la base del
collo.
-A
quanto pare ho anche io i miei trucchi magici…
Allora,
cosa voleva?-gli domandò cambiando discorso e ritornando
serio.
-Non
lo immagini?-chiese a sua volta Mycroft lasciandosi scappare un sospiro
frustrato.
-Mh…Tuo
fratello riesce sempre ad andare oltre la mia più assurda previsione-commentò
Greg.
-La
sua missione è finita e ieri sera mi ha informato che vuole far sapere a tutti
che è ancora vivo e soprattutto vuole incontrare John ed i gemelli-lo informò
l’altro.
Greg
si lasciò andare ad una risata ironica.
-Già…Gli
auguro tanta fortuna-commentò sarcastico.
Mycroft
annuì.
-E’
proprio quello che gli ho detto ieri sera, proibendogli di incontrare John ed i
bambini, ma il mio fratellino caro mi ha “gentilmente” ricordato che la mia
influenza come Alpha non ha nessun effetto su di lui…-
-Quindi
come al solito, farà di testa sua-concluse per lui Greg.
Mycroft
annuì.
-Senza
preoccuparsi della vita di chi gli sta intorno…-commentò ancora il
detective.
-Mio
fratello ha smesso di preoccuparsi di queste cose quando ha scoperto di essere
un’Omega- spiegò
Mycroft.
-Quello
che non capisco è perché adesso?
Moriarty
ha catturato la sua attenzione quattro anni e mezzo fa, quindi se davvero voleva
costruire un rapporto con i gemelli avrebbe potuto farsi avanti prima, quando
ancora erano piccoli-considerò Greg.
-Sono
ancora piccoli…-gli fece notare l’altro.
-Sai
bene quanto me che gli Holmes crescono molto in fretta-commentò Greg con un
sorriso.
Niente
di più vero…Sembrava passato soltanto un giorno da quando la levatrice aveva
messo un Martin avvolto nelle coperte ed urlante fra le sue braccia per la prima
volta, facendogli conoscere l’essere umano che per nove mesi era stato protetto
dal corpo di Gregory a lui cui aveva parlato, fatto ascoltare musica, e che
aveva fissato incredulo mentre lo vedeva stiracchiarsi nel suo spazio limitato
nel ventre del padre.
Quel
piccolo fagotto, a distanza di quattro anni, era una bomba di energia incapace
di stare fermo nello stesso posto per più di cinque minuti (ricordandogli
terribilmente suo fratello), con una curiosità insaziabile, sempre con un
sorriso per chiunque, l’orso Teddy sempre accanto ed un amore infinito per lui e
Gregory.
-Loro
sono degli Watson-disse allontanando la propria attenzione da quei
ricordi.
Quasi
riuscisse a vedere chiaramente dove lo aveva portato la sua mente, Gregory si
avvicinò e gli posò un bacio lieve sulla tempia destra.
-Soltanto
di nome-commentò a bassa voce.
Per
un lungo intervallo nella stanza scese il silenzio mentre la coppia rafforzava
il proprio legame, leggermente scalfito dalla confessione di Mycroft e dal
ritorno di Sherlock, ritrovando conforto l’uno nel calore e nell’odore
dell’altro(vicino,
rassicurante, Mio),
con lievi carezze e piccoli gesti mentre oltre la porta chiusa dello studio il
resto della casa continuava a svegliarsi.
Greg
non aveva idea di che ora fosse, ma fortunatamente prima di entrare nello studio
aveva chiesto a Millie, una delle cameriere più anziane, di occuparsi di Martin,
pensando a vestirlo e a preparargli la colazione.
Solitamente
si occupava lui della routine mattutina di suo figlio, ma in quel momento il suo
posto era lì, accanto al suo Alpha che aveva chiaramente bisogno di
lui.
-Credo
che all’epoca stesse ancora combattendo contro il suo Sesso e, a posteriori,
ritengo sia stata la scelta migliore: se quel pazzo di Moriarty fosse stato a
conoscenza dei gemelli non avrebbe esitato neanche un’istante prima di
trasformarli in pedine nell’assurdo gioco che stava conducendo con mio
fratello…Come poi inevitabilmente è successo.
Se
vogliamo davvero trovare una motivazione a questo improvviso istinto paterno,
direi che l’unica spiegazione plausibile è l’essersi trovato ad un passo dalla
morte più volte negli ultimi tre anni-commentò Mycroft rompendo il
silenzio.
-John
lo sa?-domandò Greg senza alzare la testa dalla spalla del
compagno.
Proprio
in quell’istante, arrivò alle loro orecchie il suono lontano del campanello
esterno.
-Lo
sapremo presto-rispose Mycroft.
Sentendo
nuovamente la tensione irradiarsi nei muscoli della schiena dell’uomo, Greg si
rizzò a sedere a sua volta, voltando leggermente il capo verso la porta ancora
chiusa.
-Vuoi
che me ne vada?-domandò Greg tornando a fissare l’Alpha.
Mycroft
scosse la testa impercettibilmente.
-Credo
sia meglio che ci sia anche tu-
Pochi
secondi e nello studio risuonò l’interfono.
-Mr.
Holmes, Mr. Watson ha appena
superato la sicurezza-lo informò una voce maschile.
-Conducetelo
direttamente nel mio studio-ripose Mycroft prima di chiudere la
comunicazione.
Greg
si alzò in piedi e, nervoso, si avvicinò per alcuni istanti alla finestra che
affacciava sul giardino interno, tornando a voltarsi soltanto quando sentì
bussare due volte alla porta.
Ad
una prima occhiata era evidente che neanche John aveva dormito molto la sera
precedente.
L’aspetto
esteriore avrebbe potuto ingannare qualsiasi estraneo, ma uno sguardo attento
avrebbe facilmente riconosciuto l’aria stanca e gli occhi arrossati cerchiati
dalle occhiaie.
-Buongiorno
John-lo salutò Mycroft, ancora dietro la propria
scrivania.
John
rivolse all’uomo un cenno del capo.
-Buongiorno
Mycroft. Ciao Greg-rispose l’altro salutando entrambi.
Greg
si avvicinò nuovamente alla scrivania e rivolse un sorriso amichevole al
biondo.
-Ciao
John. Cosa ti ha portato qui così presto?-gli domandò in tono
affabile.
John
abbassò lo sguardo per alcuni istanti, chiaramente indeciso se renderli
partecipi di quello che era accaduto e che era la causa della sua visita, prima
di rialzare la testa e cercare gli occhi di Mycorft.
-Ieri
sera ho ricevuto uno strano messaggio…
Da
parte di tuo fratello-aggiunse l’attimo dopo.
Il
biondo restò in silenzio, aspettandosi che uno o l’altro dei due uomini lo
rassicurasse che era impossibile, che si era chiaramente trattato di un errore
dato che Sherlock era morto e quindi incapace di messaggiare
chiunque.
Quando
né Greg né Mycroft vennero in suo soccorso, John prese un respiro profondo e
ricominciò a parlare.
-All’inizio
ho pensato si trattasse di uno scherzo, ma… Questa persona sa delle cose di cui
soltanto io e Lui eravamo a conoscenza-aggiunse.
-Che
genere di informazioni?-domandò Mycroft, le mani giunte poco sotto il
mento.
John
scosse la testa.
-Non
ha importanza…Sto davvero diventando matto oppure è stato davvero Lui a mandarmi
quel messaggio ieri sera?
E’
ancora vivo?-chiese a sua volta John.
I
due Alpha si fissarono per un lungo istante, John chiedendo silenziosamente
all’altro di rassicurarlo, di mentire, di promettere che si sarebbe occupato
dell’impostore il prima possibile; mentre Mycroft cercava il modo migliore per
affrontare quella conversazione senza scatenare la famosa rabbia del
biondo.
Sciogliendo
le mani e avvicinandosi alla scrivania, Mycroft dischiuse le labbra e prese un
breve respiro.
-Prima
di tutto ho bisogno che tu capisca che c’è una spiegazione
dietro…-iniziò.
-Oh
Gesù…-commentò John con un filo di voce, il viso improvvisamente
pallido.
-Dietro
la decisione di Sherlock di inscenare la propria morte-continuò Mycroft senza
allontanare lo sguardo dal biondo.
Come
una marionetta a cui hanno tagliato improvvisamente i fili, John si piegò sulle
proprie ginocchia, una mano a coprire la bocca.
-Quel
figlio di puttana…Oh Dio…-mormorò incredulo.
Preoccupato
per l’amico, Greg aggirò la scrivania e gli andò incontro, aiutandolo a
rialzarsi in piedi e accompagnandolo ad una delle sedie di fronte alla
scrivania.
-Mi
dispiace John…-disse l’ispettore.
-Tu
lo sapevi, non è vero Mycroft?- domandò John incontrando nuovamente gli occhi
nocciola dell’uomo.
Il
funzionario britannico annuì.
-Sì,
lo sapevo.
Ma
non l’ho fatto per lui, ma per la mia famiglia-spiegò Mycroft, gli occhi privi
di rimorso.
John
prese una serie di respiri profondi, cercando di controllarsi, prima di
annuire.
-Lo
hai visto? Ti ha detto cosa vuole?-gli domandò ancora.
-Non
dovreste parlarne faccia a faccia?-
-Perché?
Non abbiamo nulla da dirci-ribatté prontamente John.
Mycroft
sospirò.
-Vuole
incontrarti e inoltre vorrebbe conoscere i gemelli-lo
informò.
John
abbassò leggermente il capo e rise amaramente, prima di scuotere la testa più
volte.
-Se
lo può scordare…-commentò, prima che il suo volto si illuminasse di
un’improvvisa epifania- Oh Dio i gemelli…Soltanto ieri ho dovuto rassicurare
Matty che era davvero mio figlio e non un orfano raccattato dalla strada e
promettere loro che non avremmo mai più parlato del loro padre…Ha scelto davvero
il momento migliore per ritornare nel mondo dei vivi-commentò acido John- Come
cazzo glielo spiego, eh?-
-Troverai
le parole giuste-disse Greg cercando di rasserenare
l’amico.
-Come?
Crederanno che ne ero a conoscenza e che per tutti questi anni non ho fatto
altro che mentire!-ribatté John chiaramente angosciato.
-John,
i tuoi figli ti adorano, praticamente venerano il terreno su cui cammini! Sanno che Sherlock era coinvolto in uno
stupido gioco contro Moriarty quindi sono certo che troverai le parole adatte
per spiegargli cosa è successo- replicò Greg con maggiore
forza.
John
annuì lentamente, cercando di autoconvincersi che tutto sarebbe andato nel
migliore dei modi e che la ricomparsa di Sherlock non avrebbe rovinato il suo
rapporto con i gemelli.
Dopo
un respiro profondo, rialzò lo sguardo ed incontrò quello di Mycroft che per la
durata di quel breve colloquio era rimasto in silenzio.
-Come
hai fatto a tenere il segreto per tutto questo tempo? Credevo fossimo amici-gli
disse chiaramente confuso.
-Siamo
più che amici, siamo una famiglia…Tu sei un fratello per
me.
Ecco
perché l’ho fatto: la tua vita e quella dei gemelli era in pericolo e io non ho
esitato un istante a fare tutto il possibile per
proteggervi-
I
due Alpha si fissarono per un lungo istante finché John
annuì.
-Ok
ti credo-disse semplicemente prima di alzarsi in piedi.
Greg
alzò lo sguardo verso il suo volto, ancora preoccupato per l’amico, ma John si
limitò ad annuire ancora una volta, prima di tirare indietro le spalle e
irrigidire la schiena.
-Ho
bisogno di tempo per riflettere…Ci sentiamo presto-
L’attimo
dopo voltò le spalle ai due uomini diretto verso la porta dello
studio.
“Tu
ed io. Beggars Bench. 10.30. –JW”
Il
sole era sorto inaspettatamente dopo una notte insonne.
Nel
suo appartamento provvisorio di Montague Street, Sherlock aveva passato le ore
aspettando un nuovo messaggio, una chiamata da John, qualsiasi cosa che gli
permettesse di riaprire il discorso, che gli consentisse di spiegare all’ Alpha
perché era stato lontano tutti quegli anni, perché era dovuto ricorrere a
quell’espediente così meschino, ma John non aveva voluto concedergli quella
possibilità, lasciando cadere nuovamente il silenzio.
Durante
le ore notturne, l’Omega era velocemente andato nel panico domandandosi cosa
avrebbe fatto se John si fosse categoricamente rifiutato di ascoltarlo…Era un
suo diritto, poteva farlo, e Sherlock conosceva poche persone ostinate e
testarde come il suo Alpha.
Poi
un pensiero fastidioso ed inaspettato si insinuò nella sua mente: cosa ne
sarebbe stato di lui se nei tre anni conseguenti alla sua morte, John avesse
trovato una nuova Omega?
Un’Omega
banale ed ordinaria, ma che rendeva felice John?
Impossibile!
Nei
suoi appostamenti non aveva mai notato nulla che facesse pensare ad una simile
possibilità…A meno che il rapporto non fosse ancora agli inizi e John preferisse
incontrare l’Omega lontano da Baker Street e dai gemelli.
No…Era
un’idea inaccettabile!
Quando
il messaggio era arrivato sul suo cellulare poco dopo le 9.30. il suo cuore
aveva sussultato, calmando velocemente la sua ansia.
John
voleva incontrarlo… Tutto sarebbe tornato a posto…
Si
era fatto una doccia veloce, aveva scelto gli abiti che meglio si adattavano al
suo fisico, indebolito dalla lotta e dagli anni passati in volontario
isolamento, ed era uscito dall’appartamento, prendendo un taxi al
volo.
Beggers Bench era legato al periodo più
buio del passato di Sherlock; quello indissolubilmente collegato alla dipendenza
e alla cocaina: durante gli anni della tossicodipendenza si avventurava spesso
per Hampsted Heath, nei punti più oscuri e malfamati del parco, ed ogni singola
volta, quando la sua mente annebbiata lo riconduceva allo scoperto, verso la
luce e la “civiltà”, gli bastava guardarsi intorno per pochi istanti per
individuare John.
Il
suo faro di luce.
Sempre
sulla stessa panchina. In attesa. Chiaramente amareggiato e preoccupato per lui,
ma ugualmente pronto a mettere da parte i propri sentimenti pur di proteggerlo
anche in quella situazione.
Ogni
volta, Sherlock si lasciava cadere sulla panchina, la testa sulle ginocchia di
John, completamente stordito dalle droghe, felice di potersi godere il suo trip
certo che nessuno lo avrebbe infastidito o gli avrebbe fatto del
male.
Non
con il suo Alpha accanto.
Per
la prima volta da più di dieci anni, Sherlock risalì la collina di Hampsted
Heath e si diresse con passo sicuro verso la panchina, scorgendo da lontano la
figura che ben ricordava e che era chiaramente indecisa se sedersi sulla
panchina o meno.
Soltanto
quando si trovarono a pochi metri di distanza, John si accorse della sua
presenza e si voltò verso di lui, osservandolo in silenzio mentre percorreva gli
ultimi metri fino alla panchina.
Il
tempo era stato clemente con John: i capelli erano ancora biondi, fatta
eccezione per alcune ciocche grigie sulle tempie e sulla fronte che si
amalgamavano perfettamente con il resto della capigliatura; il viso era più
maturo di quello che ricordava, con rughe d’espressione a segnargli e a dare
maggiore personalità al volto.
Ciò
che evidentemente non era cambiato malgrado gli anni era il suo stile: sempre i
maglioni con la stessa fantasia ed i jeans.
Chiunque
altro, venuto in possesso di gran parte della fortuna degli Holmes, ne avrebbe
approfittato per darsi una ripulita, acquistare quanti più completi firmati e
fatti su misura, ma John non ne era mai stato tentato, preferendo sempre abiti
pratici e comodi all’eleganza e allo stile.
Incapace
di allontanare lo sguardo dall’uomo dinanzi a sé, Sherlock gli rivolse un lieve
cenno con il capo, le mani affondate nelle tasche del cappotto, desiderose di
afferrarlo e rannicchiarsi contro di lui.
-John-
lo salutò rompendo il silenzio nervoso.
Il
biondo deglutì e prese un respiro profondo, cercando a sua volta di controllare
le emozioni ed il proprio temperamento, prima di indicare la panchina con la
mano aperta.
-Siedi.
Non voglio attirare troppa attenzione-gli disse prima di sedersi a sua
volta.
Sherlock
gli sedette accanto, le lunghe gambe accavallate all’altezza del ginocchio e
fissò lo sguardo dinanzi a sé sull’ampia veduta del parco sotto di
sé.
-Eccoci
qui…Chi l’avrebbe detto, eh?-disse dopo qualche istante di
silenzio.
-Tu
odi fare conversazione, quindi per favore chiudi la bocca!-rispose John a denti
stretti.
Sherlock
alzò le spalle, cercando di mostrarsi indifferente e di tacitare quella voce
dentro di sé che gli diceva di fare qualcosa per tranquillizzare il suo Alpha
visibilmente nervoso.
-Almeno
hai detto per favore-commentò prima di lanciare uno sguardo all’uomo accanto a
sé- Resteremo qui in silenzio a lungo?-gli chiese ancora l’attimo
dopo.
-Per
tutto il tempo che mi servirà per non prenderti a pugni, quindi fattene una
ragione!-ribatté John.
Sherlock
mise a tacere i propri istinti ancora una volta e sospirò lasciandosi scivolare
contro lo schienale della panchina e fissando il cielo coperto di nuvole
bianche.
-Allora
godiamoci la vista ed il silenzio…-
Per
un lungo interminabile intervallo, i due uomini restarono in silenzio uno
accanto all’altro, persi nel proprio mondo, osservando distrattamente le persone
che affollavano il parco in quella mattina lavorativa, cercando di venire a
patti con la nuova realtà con cui si trovavano a fare i conti, fino a quando
inaspettatamente John prese un profondo respiro e dischiuse le
labbra.
-Durante
gli anni del nostro…Qualsiasi cosa fosse…-iniziò John.
-La
parola che stai cercando è Legame-lo interruppe Sherlock prontamente, voltandosi
leggermente verso il biondo concentrando su di lui la sua completa
attenzione.
-Hai
fatto molte cose stupide, mettendo in pericolo te stesso ed i gemelli…-continuò
imperturbato John.
-Non
ho MAI messo in pericolo i nostri figli!-ribatté Sherlock voltandosi
completamente verso John, furioso per la sola
insinuazione.
Finalmente
John incontrò il suo sguardo, per nulla spaventato dai fulmini che vedeva
chiaramente negli occhi di Sherlock.
-Dobbiamo
davvero affrontare quell’argomento un’altra volta? Adesso?-gli domandò in tono
risoluto.
Sherlock
lo fissò qualche istante prima di abbassare lo sguardo e
sospirare.
-Ok,
va avanti…-
John
annuì al suo fianco, sentendo sciogliere la tensione nei suoi
muscoli.
-Non
importa quanto pazze o pericolose fossero le tue avventure, c’era una cosa su
cui potevo sempre contare…Sapevo che mi avresti sempre detto la verità: non
importa quanto questa fosse dolorosa o crudele, non mi hai
mentito.
E’
una delle cose che ho sempre amato di te…
Ma
c’è sempre una prima volta, no?-commentò il biondo lasciandosi andare ad un
sorriso amaro.
-John…-
tentò Sherlock, leggermente spaventato dalle tante parole non dette contenute in
quel discorso.
-In
tutti questi anni non ho mai spezzato il nostro Legame perché volevo essere
pronto in caso ti fossi trovato in pericolo o avessi avuto bisogno di me,
malgrado te ne fossi andato-continuò John imperterrito.
-John,
per favore…-
-Poi
con la tua morte ho pensato che, malgrado il legame empatico fosse ancora forte,
l’unica spiegazione possibile era che fosse soltanto un ricordo di tutto quello
che avevo perso e che finalmente ero libero di cercare una nuova
Omega…-
-Vuoi
davvero la compagnia di una noiosa e inutile Omega?-gli domandò Sherlock
cercando di nascondere la propria gelosia.
-In
cambio di cosa? Di un letto vuoto? Del sentirmi solo ed non desiderato dal mio
stesso Compagno?
L’alternativa
non è così terribile-elencò John amaro.
-Sono
io il tuo Omega!-gli ricordò Sherlock, sporgendosi inconsapevolmente verso il
biondo.
John
lo fissò per un lungo istante prima di sospirare.
-Le
cose sono cambiate ora…Molte coppie nella nostra situazione e con molti meno
problemi sono riusciti a spezzare il Legame…- disse John senza
guardarlo.
-Non
se ne parla-ribatté Sherlock scuotendo la testa.
-Mycroft
potrebbe aiutarti a trovare un nuovo appartamento dove potresti concentrarti
esclusivamente sul tuo lavoro e sui tuoi esperimenti.
Potremmo
chiedere a Mycroft di…-continuò John, eludendo lo sguardo di Sherlock, certo che
altrimenti non sarebbe riuscito a portare avanti quel difficile
discorso.
-Hai
sentito quello che ho detto? Non voglio rompere il nostro
Legame!
Tu
sei il mio Alpha e io non permetterò a nessuno di decidere sul destino della
nostra unione-ripeté con forza Sherlock.
Confuso,
John si decise ad incontrare gli occhi di ghiaccio dell’altro, fissandolo per
qualche istante in silenzio.
-Perché?-gli
chiese poi.
-Cosa?-
-Perché vuoi continuare questa farsa? Se lo fai
per la protezione contro gli altri Alpha che ricevi tramite il nostro Legame
sono certo che Mycroft ti potrà essere d’aiuto…-disse
John.
A
quelle parole Sherlock aggrottò la fronte.
-Sei
davvero così stupido?-gli domandò, incapace di credere che John avesse anche
solo pensato ad una simile proposta.
Possibile
che John non capisse che l’unica cosa di cui aveva bisogno, che aveva sempre
voluto ancor prima di scoprire di essere un’Omega era lui?
Capì, però, di aver detto la cosa
sbagliata quando vide irrigidirsi i muscoli della mascella del
biondo.
-Forse
lo sono-commentò John con voce dura.
-Non
voglio la protezione di Mycroft!
Voglio
il mio Alpha! Voglio la sola
persona al mondo capace di sopportarmi fin da quando eravamo bambini, l’unico
che mi è stato accanto anche nei momenti più difficili, che è stato con me anche
quando ero una persona orribile…Il solo che riesce a capire con uno sguardo se
qualcosa non va; ed il fatto che tu abbia suggerito una simile possibilità è
offensivo e umiliante-concluse Sherlock senza mai allontanare lo sguardo da
quello di John.
L’Alpha
trattenne il suo sguardo per qualche istante prima di abbassare gli occhi e
fissare le proprie mani, emotivamente provato dal fiume di parole che lo aveva
investito.
Prendendo
un respiro profondo si voltò sulla panchina tornando a fissare il parco davanti
a sé, rimettendo la giusta distanza di sicurezza fra sé e
Sherlock.
-Ti
conoscevo allora…Ora non so più chi sei.
Cazzo
hai lasciato che tutti ti credessero morto per tre
anni!-disse.
-Era
necessario per la tua sicurezza e quella dei gemelli.
Moriarty
aveva una pallottola con il vostro nome sopra; mi voleva morto e sapeva che voi
eravate l’unica arma con cui poteva minacciarmi e per cui avrei rinunciato
volentieri alla mia vita-confessò il moro.
Questa
volta toccò a John aggrottare la fronte: nella sua mente molte questioni
irrisolte trovarono finalmente una spiegazione, ma allo stesso tempo portavano
con sé nuove domande.
-Perché
fingere allora?-gli chiese infatti-Perché non sei tornato dopo la sua
morte?-
-Perché
non eravate al sicuro; Moriarty era morto, ma la minaccia era ancora concreta:
ho passato gli ultimi tre anni smantellare la sua rete criminale, uccidendo
tutti coloro che potevano essere un pericolo per me e per
voi-
John
annuì lentamente, assimilando le nuove informazioni.
-Hai
detto “amato
”-disse ancora Sherlock dopo qualche istante di silenzio.
-Mh?-
-Prima
hai detto “amato”…Non
mi ami più?-gli domandò, la voce leggermente più bassa.
John
tornò ad incontrare il suo sguardo e sospirò.
-Onestamente?
Non
lo so…Amo i nostri ricordi, come eravamo perfetti insieme, ma sono passati anni
da allora e tante cose sono cambiate-gli rispose sincero.
-Possiamo
ancora essere perfetti insieme…-ribatté Sherlock.
-Non
ci siamo soltanto noi adesso! La mia priorità ora sono i gemelli: presto i
giornali non faranno altro che parlare di te, di quello che hai fatto e del tuo
ritorno dai morti e non so se avranno delle domande o quali saranno le loro
reazioni…-disse John sinceramente preoccupato.
Sherlock
lasciò cadere nuovamente il silenzio, concedendosi alla propria mente di
cullarsi per qualche istante con l’immagine dei propri figli: Amelia e
Matthew.
Così
simili eppure così diversi… Era passato talmente tanto di quel tempo dall’ultima
volta che era stato accanto a loro, che aveva potuto respirare il loro odore
peculiare( una forte traccia dell’odore di John e un debole effluvio del suo
odore Omega, che li avrebbe protetti nei primi mesi di vita e che li rendeva
inconsapevolmente unici e speciali ai suoi occhi).
-Chiedono
mai di me?-si ritrovò a chiedere senza quasi rendersene
conto.
John
gli lanciò uno sguardo triste, considerando brevemente tutto quello a cui
Sherlock aveva voltato le spalle.
-Te
ne sei andato…-disse semplicemente.
-Lo
sai perché l’ho fatto!-rispose prontamente il moro voltandosi ancora una volta
verso John.
-Già…Io
ero un adulto e vederti andar via mia ha quasi devastato.
Credi
davvero che possa raccontare ai miei figli che il loro padre ci ha voltato le
spalle perché considerava la nostra vita insieme noiosa quando invece per me è
perfetta?-gli domandò amaro.
-Le
cose sono diverse ora-ripeté ancora una volta Sherlock.
-Come
fai a dirlo?-
-Sono
pronto.
Voglio
far parte della nostra famiglia: voglio conoscerli e voglio stare con te perché
in tutti questi anni non c’è stato un giorno in cui non ho pensato a te e ai
gemelli-gli disse sincero.
John
si portò due dita alla base del naso, premendo forte per combattere il mal di
testa che sentiva avvicinarsi sempre più velocemente.
-Ti
amo ancora John-
Quelle
parole lo portarono a rialzare lo sguardo e ad affondare gli occhi in quelli di
ghiaccio dell’uomo accanto a sé, improvvisamente senza fiato, un tumulto di
emozioni dentro di sé che soltanto Sherlock era capace di
provocare.
-Non
c’è stato nessun altro in questi anni… Sono ancora Tuo-aggiunse il
moro.
-Vorrei
che fosse così semplice…-mormorò John.
Un
sorriso triste apparve sulle labbra di Sherlock.
-Lo
so.
Credi
che non mi sia accorto del fatto che non hai detto il mio nome neanche una
volta?-gli domandò scatenando un lieve rossore sulle guance dell’altro- Ma ho
bisogno di sapere che nessuno ha preso il mio posto, che tu sei ancora
Mio….Perché se lo sei, sono pronto a fare qualsiasi cosa vorrai per convincerti
che l’unica cosa che voglio è tornare da te e dai nostri figli-disse sincero
come poche volte prima d’ora.
John
fissò il volto regale ed etereo di Sherlock, combattendo contro il desiderio di
far scivolare le dita su quello zigomo pronunciato e perfetto, di accarezzare la
guancia incavata, di lasciarsi circondare dall’odore del suo Omega per la prima
volta dopo più di dieci anni.
Andando
contro i propri istinti John si alzò in piedi, concedendo al moro un lieve cenno
del capo.
-Devo
rifletterci sopra-gli disse.
Sherlock
annuì a sua volta, lasciandosi andare contro lo schienale della panchina,
svuotato di ogni spirito combattivo.
John
gli voltò le spalle e fece per allontanarsi, ma dovette cedere a quel lato della
sua natura totalmente incapace di far del male a Sherlock.
-Vivo
con uno Sherlock in miniatura-gli disse tornando a voltarsi ed incontrando lo
sguardo sorpreso del moro.
-E’
meraviglioso, la luce dei miei occhi, ma allo stesso tempo è possessivo e geloso
proprio come te.
Anche
se avessi voluto non avrei potuto cercare una nuova Omega perché Matthew
l’avrebbe considerato un tradimento, avrebbe pensato che lui ed Amy non erano
abbastanza per me e questa è l’ultima cosa che voglio…
Loro
sono tutto il mio mondo…Proprio come lo eri tu.
Quindi
no.
Non
c’è stato nessun altro in tutti questi anni-
Dopodiché
tornò a voltarsi e si incamminò velocemente lungo il sentiero che l’avrebbe
condotto all’uscita più vicina, un inferno di pensieri incontrollati nella
testa.
Il trascorrere delle ore era stato
scandito dalle tazze di tea che lentamente si erano accumulate nel salotto e sul
piano della cucina.
Dopo
aver lasciato Sherlock, John era tornato lentamente verso Baker Street,
percorrendo un lungo tratto di strada a piedi prima di decidersi a prendere la
metropolitana che lo avrebbe ricondotto a casa.
Per
tutto il tragitto la sua mente non aveva smesso di concentrarsi sugli eventi
provocati dalle novità apprese quella mattina.
Sherlock
era vivo…Sherlock era tornato.
Non
era a conoscenza di tutti i particolari che accompagnavano la complicata
faccenda “Moriarty”, ma da quel poco che aveva intuito era evidente che per la
prima volta, Sherlock aveva trovato qualcuno al suo livello, un degno avversario con cui giocare ad armi
pari.
Che
questa persona fosse un pazzo a capo di un’organizzazione criminale estesa in
vari continenti era soltanto un dettaglio, qualcosa che lo rendeva sicuramente
meno noioso agli occhi del consulente detective.
Dal
momento in cui Sherlock gli aveva voltato le spalle ed era uscito dalla sua
vita, John aveva sempre mantenuto le distanze, decidendo di dare uno sguardo
veloce ai giornali soltanto quando il nome di Sherlock era esplicitamente
scritto nei vari articoli, lasciando all’uomo la “solitudine” di cui tanto aveva
bisogno.
Ecco
perché si era accorto troppo tardi di quello che stava succedendo, e quando
ormai tutta la stampa e l’opinione pubblica inglese si erano rivoltati contro il
consulente detective, lui non aveva potuto fare nulla per proteggerlo o per
salvarlo da sé stesso.
Ma
del resto, cosa avrebbe potuto fare?
Al
momento della sua “morte” lui e Sherlock avevano interrotto qualsiasi contatto
da oltre sei anni…Che senso avrebbe avuto correre in suo soccorso lancia in
resta?
Sherlock
probabilmente lo avrebbe odiato, ricordandogli per l’ennesima volta che sapeva
badare a sé stesso e che non aveva bisogno della protezione di
un’Alpha.
Con
la morte di Sherlock quel capitolo della sua vita si era chiuso per sempre…O
almeno questo era ciò che aveva pensato fino a ventiquattro ore
prima.
Ancora
una volta Sherlock era riuscito a sconvolgere tutti i suoi
piani…
Era
andato a quell’appuntamento con un’idea ben chiara in mente, pronto ad esporre
il suo piano per poi andarsene deciso a non lasciare all’uomo nessun diritto di
replica…Ma quando mai Sherlock gli aveva concesso l’ultima
parola?
Essendo
onesto fino in fondo con sé stesso, John doveva ammettere che rivedere il
proprio Omega dopo tutti quegli anni gli aveva fatto uno strano effetto:
l’immagine che per anni gli aveva fatto compagnia era molto diversa dall’uomo
che si era presentato all’appuntamento quella mattina.
Un
uomo, non più un ragazzino.
I
riccioli che tanto amava erano stati sacrificati per la grande missione
provocandogli una stretta al cuore inaspettata, i chili persi durante gli anni
erano stati recentemente sostituiti da tessuto muscolare, ma comunque non
evitavano che avesse un aspetto malnutrito e malcurato.
In
fondo Sherlock non era mai stato capace di prendersi cura di sé
stesso.
La
rabbia aveva preso il sopravvento nei primi minuti del loro incontro, facendogli
temere che avrebbe finito per prenderlo a pugni incurante dei propri buoni
propositi, ma fortunatamente era riuscito a controllarsi e ad esporre il suo
piano.
Quando
quella mattina aveva preso in considerazione l’idea di rompere il loro Legame,
aveva sinceramente creduto che fare quella proposta a Sherlock sarebbe stata
soltanto una formalità, che il detective sarebbe stato felice di sciogliere la
loro unione e non sentirsi più legato a lui da nessun legame, vero o di
forma.
Sicuramente
non si era aspettato un rifiuto tanto netto…Né una dichiarazione d’amore così
appassionata.
Perché
quel meraviglioso idiota non aveva fatto quella confessione anni prima quando
era ancora possibile salvare qualcosa del loro rapporto?
Perché
dirgli proprio ora quelle cose quando sembrava chiaro che il loro rapporto era
destinato a finire?
Ma
se davvero era così allora perché John aveva sentito il bisogno di dargli
quell’ultima rassicurazione prima di andarsene?
Avrebbe
potuto semplicemente continuare a camminare senza aggiungere altro, invece aveva
dato ascolto ai suoi istinti che gli urlavano di mettere in chiaro le cose, di
rassicurare il suo Omega che niente era cambiato, che lui era ancora Suo e che
nessuno avrebbe mai potuto sostituirlo, malgrado tutti i suoi difetti e gli
errori del passato.
Forse
era proprio a causa di quegli istinti vecchi di millenni che non riusciva a
smettere di pensare a quell’incontro.
Consapevole
che presto i gemelli sarebbero tornati da scuola, John si adoperò per riordinare
il salotto e la cucina, caotici più del normale e si preparò l’ennesima tazza di
tea, preparandosi ad affrontare l’argomento con i suoi
figli.
Si
lasciò poi cadere sul divano, la testa abbandonata contro lo schienale di pelle
e chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi.
Fu
svegliato dal rumore della porta del loro appartamento che si apriva lasciando
entrare i suoi figli.
-Ciao
papà!-lo salutò Amy ferma sulla soglia, impegnata a togliersi il cappotto e la
sciarpa, impedendo così al fratello di entrare.
-Ehi
ragazzi!-li salutò John, quando finalmente anche Matty fece capolino
nell’appartamento-Come è andata a scuola?- domandò rizzandosi a
sedere.
-Noiosa
come al solito-rispose prontamente Matty avviandosi in cucina, dove sua sorella
aveva già tirato fuori dal frigo due succhi di mela per entrambi- Mr. Davids ci
ha assegnato un nuovo progetto per scienze, questa volta sul corpo
umano.
Credi
che potremmo farci aiutare dalla zia Molly?-domandò sedendosi attorno al tavolo
accanto a Amy.
John
si alzò in piedi, la tazza di tea in una mano ed entrò in cucina, lanciando
un’occhiata ad entrambi prima di alzare le spalle.
-Non
vedo perché no…Ma voglio controllare il progetto e dare l’ok prima che voi lo
sviluppiate, d’accordo?- rispose sedendosi a sua volta attorno al
tavolo.
Due
teste si mossero all’unisono prima di concentrarsi sulla propria
merenda.
-Come
mai non eri a casa quando ci siamo svegliati questa mattina?-domandò Matthew
alzando gli occhi sul suo volto.
Era
davvero strano trovarsi sotto quello scrutinio così attento due volte in così
poco tempo…
John
giocherellò per qualche istante con la propria tazza, cercando le parole più
adatte per iniziare quel discorso così importante, finché si rese conto che
soltanto con la verità sarebbe
riuscito a far capire ai gemelli cosa lo aveva spinto fuori di casa
all’alba.
-So
di avervi fatto una promessa ieri…Ma dobbiamo parlare ancora una volta di vostro
padre-iniziò, lo sguardo sui propri figli.
Matty
corrugò la fronte.
-Perché?-chiese
il bambino.
-Davvero
papà non ce ne è bisogno; va tutto bene adesso-aggiunse
Amy.
John
annuì.
-Lo
so. Ma è importante che affrontiamo ancora una volta quest’argomento perché…Ci
sono stati dei cambiamenti.
Presto
tutti i giornali si occuperanno di vostro padre e l’ultima cosa che voglio è che
voi scopriate la verità dai notiziari o dai vostri amici, perciò voglio che mi
ascoltiate attentamente, ok?-disse loro con voce calma ed
autoritaria.
Entrambi
i ragazzi annuirono.
-Vi
ricordate cosa vi ho detto a proposito della sua morte?-domandò
poi.
Matty
annuì.
-Che
si era ucciso gettandosi dal tetto di un palazzo-rispose
prontamente.
Questa
volta toccò a John fare un cenno con il capo.
-Esattamente.
Qualcosa è cambiato ieri…Ho scoperto che vostro padre è stato costretto a
saltare giù dal quel tetto-disse cercando le parole più adatte per affrontare
quel discorso delicato.
-Che
vuoi dire costretto? Lo hanno buttato giù?-chiese Amy, una strana espressione in
volto.
John
scosse la testa.
-No.
E’ stato minacciato: quest’uomo, il criminale che stava cercando di arrestare,
aveva promesso di far del male a noi se non si fosse buttato…-spiegò
l’uomo.
-Perché?-lo
interruppe Matthew.
-Che
vuoi dire?-chiese John alzando un sopracciglio.
-Noi
non contiamo nulla per lui, quindi perché avrebbe dovuto gettarsi da un palazzo
pur di proteggerci?-gli spiegò il bambino con voce pacata.
Ciò
che ferì maggiormente John in quella frase non furono le parole, ma il tono di
voce calmo e convinto con cui Matty le aveva espresse: l’assoluta certezza che
Sherlock aveva smesso di pensare o di avere dei sentimenti per loro nel momento
in cui se ne era andato.
Neanche
John aveva mai pensato una cosa simile…
Allungando
una mano sul tavolo per prendere quella più vicina a sé di Matty, John scosse la
testa.
-Oh Matty… Certo che siamo importanti! Voi
eravate le persone più importanti nella vita di vostro padre-si affrettò a
rassicurarlo.
-Papà
per favore possiamo evitare di parlare ancora di questo?-gli chiese il bambino,
liberando la mano dalla sua.
-In
fondo che importa? Ok è stato minacciato e non lo ha fatto volontariamente, ma
questo non cambia il fatto che è morto…-disse Amy cercando di superare quel
momento di impasse.
-No,
non lo è-rispose John tornando a guardare i due gemelli.
Un’espressione
confusa mista a scetticismo, perfettamente identica, si dipinse su entrambi i
volti.
-C-come?-domandò
Amy.
-E’
ancora vivo- confessò John prima di prendere un respiro profondo- Vi giuro che
non ne avevo la minima idea fino a questa mattina, ma vostro padre è ancora
vivo-
-Come
è possibile? Non si sopravvive ad una caduta da quell’altezza…-chiese ancora la
bambina, dando voce alle domande di entrambi.
John
annuì.
-E’
vero, sono perfettamente d’accordo con te.
Sinceramente
non ho la minima idea di come ci sia riuscito, ma c’è l’ha fatta ed ha passato
gli ultimi tre anni in giro per il mondo impegnato a smantellare una rete
criminale in modo che nessuno potesse farci del male.
E..E
ora è tornato a Londra-concluse.
-Lo
hai incontrato?-domandò Matty, parlando nuovamente dopo un lungo
silenzio.
John
posò lo sguardo sul bambino ed annuì.
-Questa
mattina, mentre voi eravate a scuola-confermò.
-Perché?-chiese
incredula Amy.
A
quella domanda, l’uomo si lasciò andare ad un sospiro
spezzato.
-Non
è facile…Ho deciso di incontrarlo con un’idea chiara in
mente…-raccontò.
-Volevi
rompere il vostro Legame-lo interruppe Matty, leggendo chiaramente le sue
intenzioni sul suo volto.
-Già
quella era la mia idea-confermò John sincero.
-Ma
non lo hai fatto-continuò il bambino.
Quel
brevissimo scambio fece sorridere John, ricordandogli quante volte si era
ritrovato in quella posizione con Sherlock, costretto a rivelare segreti che non
era ancora pronto a confessare soltanto perché un lieve tremore nei suoi muscoli
facciali lo aveva tradito.
-No,
non l’ho fatto…Ed ora sono indeciso- disse portando lo sguardo ancora una volta
su entrambi i gemelli-Vostro padre vuole
incontrarvi-annunciò.
Le
reazioni a quella notizia non avrebbero potuto essere più diverse: mentre sul
volto di Amelia apparve chiaramente la confusione e la sorpresa, il volto di
Matthew si chiuse alle emozioni, rendendo ancora più evidente la somiglianza con
Sherlock.
-Non
capisco…-disse Amy in un sussurro.
-Vostro
padre si è scusato per averci lasciato e mi ha detto che vorrebbe ricominciare
da capo…Che il suo più grande desiderio è provare a
conoscervi…-
-Tu
cos’hai risposto?-domandò con voce dura Matty.
-Gli
ho detto che ne avrei parlato con voi e che sareste stati voi a decidere cosa
fare-rispose prontamente John.
-E
tu? Lo rivedrai ancora?-gli domandò Amy.
John
notò una inaspettata ambivalenza osservando Amy: lo sguardo negli occhi di sua
figlia lo implorava di dirle che avrebbe visto nuovamente Sherlock, ma il suo
tono di voce sembrava esortarlo a negare, a rassicurare entrambi che quel
capitolo doloroso della loro vita si sarebbe chiuso presto una volta per
tutte.
-Non
lo so davvero…Ero pronto a vivere il resto della mia vita da solo, prendendomi
cura di voi due-disse scegliendo di essere onesto come aveva sempre
fatto.
-Ma
adeso lui è tornato e non riesci a reprimere i tuoi istinti Alpha-commentò
Matty, facendolo quasi sentire incolpa.
-Anche,
ma non è soltanto questo…Vostro padre ed io, nonostante tutti i nostri problemi,
abbiamo sempre avuto un forte legame fin da quando eravamo bambini-disse
incapace di trattenere un sorriso mentre i ricordi di un’infanzia lontana
riaffioravano nella sua mente- Probabilmente non ci credereste, neanche se vi
raccontassi tutto fin dal principio, ma io sono stato davvero fortunato ad
incontrare vostro padre.
Lui
è stato il mio migliore amico, prima di diventare il mio Omega, e spesso in
questi anni ho sentito la sua mancanza.
Nessuno
è mai riuscito a capirmi come lui.
So
che forse non riuscirò a salvare il nostro Legame, ma voglio provare a salvare
la nostra amicizia.
-Detto
questo però, non vi farò nessuna pressione perché voi instauriate un rapporto
con vostro padre.
Come
ho già detto, è una vostra decisione ed io la rispetterò completamente,
qualunque essa sia-concluse, certo che i suoi figli avrebbero visto la profonda
sincerità delle sue parole.
Per
un lungo istante nella piccola cucina cadde il silenzio, mentre i due ragazzi
rifletterono sulle parole del padre, analizzandole da ogni punto di
vista.
Il
primo a parlare fu, ovviamente, Matty che ruppe il silenzio prendendo sospirando
rumorosamente.
-Per
quanto mi riguarda non è cambiato nulla: lui è un estraneo per me, quindi non
voglio incontrarlo-disse sostenendo lo sguardo di John.
L’uomo
annuì, accennando un sorriso rassicurante per dimostrare al figlio che,
nonostante le loro scelte fossero diverse, John lo amava ancora
incondizionatamente.
-Ok,
lo capisco-si limitò a commentare.
-Io
invece voglio incontrarlo-disse Amelia cogliendo i due uomini di
sorpresa.
John
portò lo sguardo sulla bambina, sentendo accanto a sé Matty voltarsi a volta
verso la sorella.
-Io
sono d’accordo con te Matty, ma allo stesso tempo sono curiosa e adesso che ne
ho la possibilità voglio fargli tutte quelle domande che non hanno trovato
risposta in tutti questi anni.
Perciò
voglio incontrarlo-ripeté guardando il fratello.
I
due gemelli intrattennero una conversazione silenziosa fatta di sguardi che
portò Matthew ad annuire lentamente.
John
incontrò lo sguardo di sua figlia, scoccandole un lieve
sorriso.
-Ok-
-Però
non voglio che venga qui, possiamo incontrarci da qualche altra parte?-gli
domandò.
-Certo,
nessun problema-la rassicurò John.
-Ok,
possiamo andare in camera nostra?-domandò ancora Amy, dopo essersi lasciata
andare ad un lieve sospiro.
-Sì,
ma prima voglio un abbraccio-disse l’uomo alzandosi in
piedi.
I
due bambini aggirarono la tavola e si tuffarono fra le sue braccia, cercando in
quell’abbraccio protezione e la rassicurazione che malgrado i cambiamenti
inaspettati, niente li avrebbe allontanati o avrebbe modificato il loro
rapporto.
Alle
dodici e trenta del giorno dopo, poche ore prima che la notizia del suo ritorno
nella terra dei vivi venisse comunicata alla stampa, Sherlock era seduto in un
anonimo Starbuck, osservando gli uomini d’affari in pausa pranzo che mangiavano
il loro pranzo con il naso immerso nel BlackBerry, i turisti con una guida sotto
il braccio alle prese con il menù sconosciuto, le mamme e papà del circolo
“Omega & Kids” che si raccontavano le avventure della loro settimana e le
gioie e dolori di essere neogenitori, uno sguardo sempre vigile verso la porta
in attesa del suo ospite.
John
lo aveva contattato quella mattina tramite messaggi, invitandolo allo Starbuck
in Marylebone Street, poco distante da Baker Street, ma a dedita distanza da
evitare eventuali incontri spiacevoli.
Incontrarsi
in un luogo privo di ricordi o di significato poteva essere un segno positivo,
la dimostrazione che John era pronto a ricominciare da zero ed offrirgli una
seconda possibilità, oppure poteva essere un chiaro segno negativo con cui John
intendeva fargli capire che da quel momento le loro strade si sarebbero separate
definitivamente.
A
salvarlo dalla girandola dei suoi pensieri, come sempre, arrivò John che scelse
proprio quel momento per entrare nel caffè.
Si
guardò velocemente intorno e, dopo averlo individuato ad un tavolino d’angolo,
si diresse verso il bancone per fare la propria
ordinazione.
Sherlock
lo scrutò attentamente nei brevi minuti che l’uomo passò in attesa del proprio
caffè, notando la tensione dei suoi muscoli, le spalle del cappotto umide di
pioggia ed i capelli sconvolti dal vento.
Come
al solito aveva preferito correre sotto la pioggia piuttosto che portarsi dietro
un ombrello…
Finalmente
l’uomo si avvicinò al tavolo e gli fece un cenno di saluto con il capo, gli
occhi fissi sul suo volto.
-Ciao
Sherlock-lo salutò.
Decisamente
un passo avanti rispetto al loro primo incontro…
-Ciao
John-lo salutò a sua volta osservandolo mentre si sedeva di fronte a sé- Non ti
ho visto per anni e invece adesso non riusciamo a stare lontani per più di 24
ore…Mi sento fortunato-commentò cercando di rompere il ghiaccio neanche fossero
una coppia al primo appuntamento.
John
accennò un sorriso, facendo accelerare i battiti del cuore del
detective.
-Già…Mi
sento fortunato anche io…-commentò prima di prendere un lungo sorso dal proprio
bicchiere.
(Caffè,
una spruzzata di latte, niente zucchero)
Per
alcuni istanti i due uomini restarono in silenzio, guardandosi di sottecchi,
bevendo i propri drink, godendo della compagnia silenziosa dell’altro, finché
John non si schiarì la gola, pronto
ad affrontare l’argomento che li aveva condotti lì.
-Dunque…
Ho parlato con i ragazzi e ho provato a spiegare loro come era possibile che
malgrado fossi caduto dal tetto del Barts non eri davvero
morto…-iniziò.
-Altra
fortuna?-tentò Sherlock.
-Non
esagerare Sherlock…Comunque, gli ho detto che volevi vederli e che sarebbe stata
una loro decisione incontrarti o meno e soprattutto che non sarei rimasto deluso
in un modo o nell’altro…-continuò il biondo.
-E?-
John
prese un profondo respiro e tornò ad incontrare il suo sguardo, le mani strette
attorno alla tazza.
-Matty
non vuole vederti.
Mi
ha chiaramente fatto capire che non ha intenzione di cambiare idea su di te-gli
disse, una nota triste nella voce.
Sherlock
annuì lentamente.
-Lo
capisco…Fa male, però posso capirlo-commentò.
-Matthew
è identico a te…-disse John, un lieve sorriso ad inarcargli le labbra-Alle volte
è una cosa positiva altre invece significa soltanto guai.
Ha
bisogno di tempo per riflettere ed elaborare i propri sentimenti-gli disse
convinto.
Il
moro arricciò le labbra incerto: se suo figlio aveva una minima percentuale del
suo carattere, allora avrebbe continuato a portare rancore per il resto della
sua vita.
-Che
mi dici di Amelia?-gli domandò allontanando la mente da quei pensieri
bui.
-Beh,
è stata una sorpresa, ma ha deciso che vuole incontrarti-lo informò
John.
-Oh…-disse
Sherlock, incredulo prima di riprendere il controllo di sé- Beh, se avessi
dovuto scegliere un membro della famiglia Watson che si mostrasse disponibile e
mi offrisse un ramoscello d’ulivo, avrei sicuramente scelto
lei-
John
aggrottò la fronte, portando il moro ad accennare un
sorriso.
-Amelia
è identica a te: il suo lato Watson deve essere terribilmente curioso, proprio
come lo eri tu-commentò fissando gli occhi blu oceano dell’
Alpha.
Sentendo
la forza dello sguardo di ghiaccio dell’uomo, John deglutì visibilmente prima di
abbassare lo sguardo sul tavolino.
-Credo
di sì…
Ha
detto che è disposta ad incontrarti, ma che non sei ammesso a Baker Street-gli
disse.
-Posso
capirlo, in fondo quella è casa
vostra- convenne il moro.
John
annuì.
-Quindi
decideremo dove potrete incontrarvi, magari un posto tranquillo dove potrete
parlare con calma, e ovviamente ci sarò anche io nel caso le cose dovessero
mettersi male e Amy volesse tornare a casa prima del previsto…-spiegò John in
modo pratico.
-Ovviamente.
Fammi
sapere dove e quando e sarò lì-gli promise Sherlock.
John
scelse quel momento per sollevare la tazza di caffè e coprire parte del volto in
modo da nascondere parzialmente lo scetticismo che quelle parole avevano
provocato in lui.
Cosa
sarebbe successo se, una volta organizzato l’appuntamento, Sherlock non si fosse
presentato deludendo così non soltanto lui, ma anche
Amelia?
Era
davvero pronto a correre quel rischio?
-Che
mi dici di noi?-gli domandò Sherlock riportando la sua attenzione al
presente.
Tornando
a posare la tazza semivuota sul tavolo, John sospirò.
-Non
lo so…Ho passato tutta la notte a rifletterci sopra.
Una
parte di me mi urla di continuare a vivere la mia vita come ho sempre fatto,
evitando così nuove delusioni e di riaprire vecchie
ferite.
Ma
c’è una voce dentro di me…-gli disse senza incontrare il suo
sguardo.
-Cosa?-lo
esortò l’altro.
Stanco
di nascondersi, John affondò lo sguardo in quello
dell’Omega.
-Mi
manchi.
Mi
manca il mio migliore amico…Il bambino di 7 anni che mi ha mostrato l’uovo
d’uccello avvolto nella coperta come se fosse la più grande scoperta scientifica
di tutti i tempi; o il bambino di 13 anni che mi ha convinto a baciarlo
sostenendo per tutto il tempo che si trattava di un esperimento, anche se
entrambi sapevamo che era una balla…
Mi
manca osservarti immerso nel tuo Palazzo Mentale e la luce che si accendeva nei
tuoi occhi ogni volta che arrivavi alla soluzione di un mistero, o quando dicevo
qualcosa di terribilmente banale ma che per te era
brillante…
Posso
riavere tutte queste cose?-gli domandò incapace di nascondere un lieve tremore
nella voce.
Sherlock
lo fissò in silenzio per qualche secondo, combattendo contro il desiderio di
aggirare il tavolo e sedersi sulle sue ginocchia per confortarlo, per
rassicurarlo che per tutti quegli anni lui c’era sempre stato, nonostante la
lontananza, fargli capire con ogni mezzo possibile che John Watson era l’unica
persona al mondo capace di renderlo intero.
-Ho
smesso di prendere i soppressori dell’odore-disse invece.
John
a quelle parole aggrottò la fronte, chiaramente sorpreso da quel repentino
cambio d’argomento.
-Non
voglio più nascondermi, voglio che tutti sappiano che sono un’Omega e che ho un
Legame, non importa quanto assurdo o impossibile possa sembrare agli occhi della
gente-gli disse.
-E’
una sorta di dichiarazione politica?-gli domandò leggermente offeso
John.
Sherlock
scosse la testa.
-No,
è il mio modo di dimostrarti che sono davvero pronto.
Mi
ricordo quanto ti piacesse il mio odore e quanto ne hai sentito la mancanza
quando ho iniziato ad usare i soppressori, quindi ho deciso di farlo per
te.
Farei
qualsiasi cosa per riaverti…Dì una parola e sarò di nuovo Tuo, in tutti i modi
possibili-gli disse terribilmente sincero.
Ancora
una volta John deglutì rumorosamente, spiazzato di fronte a tanta sincerità e si
inumidì le labbra, prima di fare un minimo cenno con il
capo.
-Ok…Ma
faremo le cose con calma.
Ci
incontreremo una o due volte la settimana per un caffè e per fare quattro
chiacchiere, sui ragazzi o su quello che ci è capitato durante la settimana, e
vedremo se stiamo ancora bene insieme… (“Se
c’è ancora qualcosa che vale la pena salvare nel nostro
rapporto…)Ed
insieme decideremo come procedere-gli disse con la tipica voce sicura
dell’Alpha.
Sherlock
annuì, felice che John fosse disposto a concedergli un’altra
possibilità.
-Bene...Visto
che siamo d’accordo, sarà meglio che torni verso casa…E’ quasi ora di tornare al
lavoro-disse alzandosi in piedi.
-Ti
faccio sapere qualcosa non appena Amelia decide dove e quando vuole
incontrarti-aggiunse.
-Quando
posso rivederti?-gli domandò Sherlock.
John
si passò una mano sulla fronte, riflettendo velocemente.
-Venerdì.
I gemelli restano a scuola fino alle cinque per i loro club, quindi non dovrei
avere problemi-
Sherlock
annuì.
-A
venerdì-lo salutò.
John
annuì a sua volta, le mani affondate nelle tasche del
cappotto.
-A
venerdì-
Salve a tutti!!!
Come state? Prima di tutto volevo ringraziarvi la risposta inaspettata che questa FF ha ricevuto: non avendo mai visto Omegaverse su questo sito ho temuto che anche "The Sign of Four" sarebbe stata snobbata...Sono tremendamente felice di essermi sbagliata!
Inoltre volevo scusarmi per il terribile edit che è stato fatto nel 1 capitolo, ed ammetto le mie colpe, ma in quei giorni mi stavo riprendendo dall'influenza e dalla febbre, quindi sono stata meno attenta del solito...Prometto che non si ripeterà più!
Non fatevi scupolo a fare domande se ci sono dei termini che non vi sono chiari, o se avete bisogno di un Omegaverse glossario, sarà mio piacere venirvi incontro.
Ringrazio tutti coloro che leggeranno e recensiranno questo capitolo e chiedo scusa per eventuali errori di ortografia e/o battitura.
Il titolo e la frase all'inizio del capitolo sono tratti da una canzone omonima degli Artic Monkeys.
Ed ora i ringraziamenti:Miriam Malfoy(Grazie per i complimenti!Se devo essere sincera, all'inizio ero restia verso le Omegaverse, ma dopo aver letto la prima sono entrata nel tunnel e ancora non ne sono uscita XD; Anche io adoro Matty, anche se nella mia mente c'è in lui qualcosa di Matt Smith, forse i capelli, ed il renderlo così simile a Sherlock è stata quasi una sfida con me stessa, padre e figlio sono allo stesso tempo diversi, ma complementari, e le loro differenze verranno fuori soprattutto quando i due saranno costretti ad interagire nei prossimi capitoli...Per quanto riguarda John, c'è un limite di delusioni che il cuore è disposto ad accettare prima di rifiutare per sempre una persona, speriamo solo che Sherlock non si sia giocato tutte le sue possibilità),Luuuuula(Benvenuta in questa nuova FF!Ahahahahah già La Caduta è un perfetto punto di partenza per un inizio carico di angst, ma come hai visto in questo capitolo i problemi sono iniziati molto tempo prima dell'arrivo di Moriarty e sono tutti imputabili al nostro adorato Sherlock...Però posso dirti che, contrariamente all'altra fiction, Sherlock farà tutto il possibile per dimostrare a John il suo amore),Little Fanny(Ho realizzato un sogno senza saperlo... ^_^ Chiedo scusa per la lunghezza del capitolo, ma come puoi vedere, sembro incapace di scrivere capitoli brevi XD ...Eh già, un'idea che qualcosa non fosse proprio come doveva il nostro John l'aveva avuta, ma aveva preferito convincersi che fosse solo suggestione o dovuta all'intensità del loro Legame, principalmente per evitare di soffrire ancora di più dopo la morte di Sherlock...Per una volta ho voluto dipingere Mycroft come un uomo che farebbe di tutto per la propria famiglia, anche andare contro il proprio adorato fratello, senza però lasciarsi andare alla crudeltà come ho letto tante volte in altre FF...Myc sarà autoritario e freddo, ma non riesco proprio ad immaginarlo come l'orco cattivo della situazione XD...Amelia e Matthew sono il mio tesoro, personalmente li adoro, perchè finora sono unicamente Watson, ma prima o poi la loro parte Holmes dovrà venir fuori, e non vedo l'ora di scatenarmi...),Neryssa(Prima di tutto ti ringrazio per avermi fatto notare i miei obbrobbri, ma quella settimana ero uno straccio ed ho tralasciato un'ulteriore verifica del capitolo prima di postarlo sul sito...Prometto che non accadrà di nuovo! XD ... Se hai bisogno di qualche altra spiegazione riguardo all'Omegaverse, non farti scrupolo e chiedi pure, sarò felice di aiutarti! ^_^ ... Prometto che il passato di John & Sherlock verrà spiegato e con esso i motivi che hanno portato Sherlock ad andarsene).
Bene, per il momento io vi saluto e vi do appuntamento al prox capitolo...
"Have we ever met before?"
Baci,Eva
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