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Autore: crazy640    05/03/2014    6 recensioni
C’era stato un tempo in cui un uomo dai capelli neri, completamente pazzo, lo faceva correre per le strade di Londra a qualsiasi ora del giorno e della notte a caccia di ladri e assassini, mettendolo nei guai con i suoi colleghi della clinica ed i suoi pazienti…e rendendolo incredibilmente felice.
Quando quel meraviglioso pazzo era uscito dalla sua vita con un gesto drammatico del suo lungo cappotto senza neanche guardarsi indietro, nella sua vita erano rimaste solo tre cose: il suo lavoro, Amelia e Matthew.
Ed erano state queste tre cose che gli avevano impedito di lasciarsi andare e crollare.
Da sei anni le sue giornate erano organizzate in modo quasi militare:ogni giorno la stessa tabella di marcia.Nessuno dall'esterno avrebbe mai immaginato che in quella macchina bene oliata ci fosse un importante pezzo mancante ed era passato talmente tanto tempo dall'ultima volta che qualcuno gli aveva fatto domande sulla sua Omega che se per caso si ritrovava ad affrontare quell'argomento con un estraneo, John si limitava a fare un’espressione triste e a scuotere la testa, mettendo a disagio il suo interlocutore.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: Mpreg
Capitoli:
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R U Mine

 

And the thrill of the chase moves in mysterious ways
So in case I'm mistaken,
I just wanna hear you say you got me baby
Are you mine?

 

La prima volta che i suoi occhi si erano posati su Sherlock Holmes, John Watson aveva nove anni.

 Suo padre, Hamish Samuel Watson, era fin dalla sua nascita il medico personale della famiglia Holmes.

Malgrado la famiglia Holmes potesse permettersi medici migliori e con maggiori credenziali di suo padre, Andrew Holmes e Hamish Watson si erano conosciuti durante la Seconda Guerra Mondiale e, per qualche sconosciuto motivo, erano da sempre rimasti legati al punto che alla fine della guerra il vecchio Holmes aveva insistito affinché suo padre accettasse di diventare il medico personale della famiglia.

Quel giorno suo padre si era recato a Holmes Manor per il consueto controllo medico mensile e, per la prima volta, aveva  chiesto al piccolo John di accompagnarlo e John, malgrado la giornata insolitamente calda, che non ti lasciava alcun desiderio se non quello di chiuderti in camera e leggere un libro sdraiato sul letto avvolto nella penombra, aveva accettato felice di trascorrere qualche ora da solo con suo padre.

Non appena la macchina si fermò davanti al Manor, John si sentì mozzare il fiato  trovandosi di fronte tutto quello sfarzo e quel lusso per la prima volta, sentendosi immediatamente in soggezione, e stringendo al petto la copia de “Il Signore degli Anelli” che aveva portato con sé per passare il tempo, quasi fosse uno scudo.

Furono accolti da una governante in uniforme blu marine che salutò cordialmente suo padre e rivolse un mezzo sorriso al piccolo John, uno strano sguardo negli occhi che John non riuscì ad identificare, guidandoli verso un corridoio infinito con molti specchi alle pareti che li condusse ad un salotto con due divani, un tavolino di legno intarsiato e decine di ritratti antichi alle pareti.

-Non ci vorrà molto-lo aveva rassicurato suo padre con un sorriso prima di seguire la governante fuori dal salotto e sparire nei meandri della casa.

John  si guardò intorno, ancora leggermente spaventato, prima di tirare indietro le spalle, prendere un respiro profondo e abbassare lo sguardo sul libro che ancora stringeva convulsamente fra le dita della mano sinistra: si stava comportando come un fifone!

Non era la prima volta che accompagnava suo padre nel suo lavoro, inoltre l’uomo aveva promesso di tornare presto, quindi non aveva nulla da temere.

Si sistemò più comodamente sul divano a fiori, appoggiando la schiena allo spalliera rigida e scomoda e sciolse la presa dal  volume, aprendo il libro fino a ritrovare il punto in cui si era interrotto l’ultima volta.

Si perse nel racconto del primo incontro fra Frodo, Sam e Gollum e si dimenticò di ciò che lo circondava, ritornando alla realtà soltanto quando si accorse di non essere più solo.

Alzò lo sguardo dalla pagina e sobbalzò leggermente quando vide accanto a sé, seduto a gambe incrociate su una poltrona un bambino che lo fissava attentamente.

La prima cosa che notò del bambino furono i  folti capelli neri riccioluti che mettevano in risalto il pallore del viso; il naso dritto, perfettamente simmetrico, il volto leggermente lungo ingentilito dagli zigomi alti e dalle labbra rosee disegnate a formare un cuore.

Ma ciò che lo colpì maggiormente furono i suoi occhi: se fosse stato possibile, John li avrebbe definiti ghiaccio liquido per la capacità di cambiare espressione da un momento all’altro.

Indossava un paio di pantaloni corti al ginocchio ed una camicia bianca a maniche corte che lo faceva assomigliare allo stesso tempo ad un marinaio e ad un piccolo lord.

Per qualche istante, John restò in silenzio osservando a sua volta l’ospite inatteso, non sapendo se alzarsi in piedi o restare seduto finché non gli fosse stata rivolta la parola.

-Tu devi essere Watson-disse in quell’istante il bambino.

John annuì.

Il bambino lo fissò in silenzio, gli occhi penetranti intenti a scrutare ogni minimo particolare del suo viso, ma non sembrò intenzionato a presentarsi o ad aggiungere altro, così dopo qualche istante John tornò a sistemarsi comodamente sul divano e fece  per riaprire il libro e riprendere la lettura interrotta, quando il bambino parlò nuovamente.

-Mio padre mi ha mandato a farti compagnia mentre è occupato con il tuo-gli disse.

John rialzò lo sguardo sul bambino dai capelli neri e dopo qualche istante alzò le spalle.

-Grazie, non dovevi disturbarti-rispose memore delle buone maniere che sua madre gli aveva insegnato.

Il bambino alzò le spalle a sua volta.

-Ero pronto a passare il tempo con il mio libro…-aggiunse.

-Bene! Così posso tornare ai miei esperimenti!-rispose prontamente l’altro alzandosi in piedi e avviandosi verso la porta, chiaramente convinto di aver assolto il suo dovere.

-Aspetta!-lo bloccò John, riportando l’attenzione del bambino su di sé- Hai detto esperimenti?-gli chiese curioso.

L’altro sospirò chiaramente annoiato, ma annuì.

-Che tipo di esperimenti?-

-Ho trovato un uovo in un nido e sto cercando di farlo schiudere con una coperta ed una lampada-spiegò il moro.

Un sorriso apparve sul volto di John, il libro abbandonato sul divano accanto a sé.

-Fico! Posso vedere?-gli domandò.

Un’espressione sorpresa apparve sul volto del bambino a quelle parole.

-Davvero?-

John annuì con decisione, alzandosi in piedi.

-Ok…Seguimi-disse alla fine l’altro, lasciando andare le sue ultime remore.

John lo raggiunse e si sistemò al suo fianco, uscendo dal salotto e percorrendo nuovamente il corridoio pieno di specchi, ma questa volta addentrandosi sempre di più all’interno della casa, trovandosi davanti ad una scala di marmo dai grandi gradini.

-A proposito …Io sono John-si presentò il bambino lanciando un’occhiata al ragazzino accanto a sé sulle scale.

-Lo so, sei il figlio del dott. Watson-rispose l’altro.

-Tu invece sei?-chiese John curioso di sapere il nome del suo compagno d’avventure.

-Sherlock-rispose l’altro fermandosi davanti ad una porta bianca con decorazioni ed intarsi.

-Piacere di conoscerti-gli disse mentre l’altro apriva la porta della stanza.

John ebbe appena il tempo di fare un passo all’interno della stanza prima di restare sconvolto: quella camera era grande quanto la sua cameretta e quella di Harry messe insieme!

Ed era per una persona sola!

Un letto enorme a due piazze era sistemato accanto alla finestra che dava sui giardini, a poca distanza da un armadio di mogano, un intera parete era occupata da un tavolo da lavoro ricoperto da bricchi, provette e altri componenti chimici; accanto al letto era sistemato un piccolo violino con il suo leggio ricoperto di spartiti, una parete nel muro lasciava intravedere un bagno, un’altra scrivania, decisamente più piccola e meno utilizzata, era sistemata in un altro angolo ed era lì che si trovava l’uovo avvolto con attenzione nella coperta illuminato dalla lampada.

-Wow…Questa camera è enorme! E’ sicuramente due volte la mia stanza-commentò John continuando a guardarsi intorno.

-Mh…-commentò semplicemente Sherlock, diretto verso la scrivania.

-La mia però è più pulita, mamma mi metterebbe in punizione per un anno se lasciassi tutto questo disordine-commentò ancora il biondo.

-Il disordine è sinonimo di una mente creativa-ribatté Sherlock.

John accennò un sorriso e si avvicinò al tavolo, lanciando un’occhiata prima all’uovo e poi a Sherlock.

-Come ti sei procurato quest’uovo?-gli domandò curioso.

-Tu che dici? Ero sul vecchio olmo perché Mycroft mi infastidiva e ho trovato il nido; c’erano tre uova e ho pensato che…-raccontò il bambino.

-Chi è Mycroft?-domandò John tornando a posare lo sguardo sul moro.

-Mio fratello…Ed il più grande rompiscatole che abbia mai conosciuto-commentò Sherlock.

Un’ombra passò sul volto di John a quelle parole.

-Non dovresti dire quella parola-lo rimproverò gentilmente.

-Ti sto imbarazzando?-gli domandò l’altro con un sorriso ironico sulle labbra.

John lo fissò qualche istante, gli occhi inspiegabilmente concentrati sulle labbra prima di scuotere la testa.

-No è solo che…Quanti anni hai? 5?-gli domandò.

-Ho 7 anni!-ribatté prontamente Sherlock infastidito.

-Non è comunque una cosa carina da dire, specialmente se si tratta di tuo fratello-replicò John- Se ti avesse sentito avresti ferito i suoi sentimenti-aggiunse.

-Mycroft non ha sentimenti-ribatté Sherlock con una risatina divertita-E comunque non mi faccio alcun problema a dirgli certe cose in faccia-

Malgrado volesse rimproverarlo ancora una volta, John non riuscì a trattenere un sorriso divertito per quel ragazzino di sette anni che cercava di fare lo sbruffone a tutti i costi.

-Sei strano-gli disse continuando a sorridere.

Sherlock annuì.

-Lo so, me lo dicono tutti-commentò alzando le spalle.

-Mi piace-

A quelle parole Sherlock aggrottò la fronte, chiaramente sorpreso.

-D-Davvero?-domandò incerto.

Questa volta toccò a John annuire.

-Certo! Sei un ragazzino strano con un laboratorio nella propria camera e con abbastanza coraggio da dire sempre quello che pensa…Anche i ragazzi della mia età non sono così coraggiosi-commentò con convinzione.

Sherlock lo fissò per qualche istante, assimilando le sue parole prima che un sorriso lieve apparve sul suo volto, illuminando i suoi occhi di ghiaccio.

-Mi piaci-decise portando John a ricambiare il suo sorriso.

L’istante dopo si avvicinò alla scrivania, attratto dal batuffolo bianco sistemato con attenzione sulla piano del tavolo, prima che i suoi occhi blu oceano si posassero nuovamente su Sherlock.

-Quando pensi che si schiuderà?-domandò tornando a fissare l’uovo.

Sherlock alzò le spalle.

-C-Credo nelle prossime 12- 24 ore se continua a stare al caldo e sotto la lampada-rispose il moro avvicinandosi con cautela al tavolo.

-Sai già che specie di uccello è?-chiese curioso John.

-Uno con le ali?-rispose semplicemente Sherlock, facendo nascere un’espressione divertita sul volto di John e provocando pochi attimi dopo lo scoppio di una risata divertita.

-Più tardi voglio farti vedere l’alveare nel cortile sul retro e mostrarti la regina-disse Sherlock, una lieve eccitazione nella voce.

John sorrise.

-Ho gli abiti adatti per incontrare la Regina?-gli domandò lanciando uno sguardo ai pantaloni al ginocchio e alla camicia bianca a mezze maniche che indossava.

-Cosa?-chiese Sherlock aggrottando la fronte.

John scosse la testa, un sorriso ad incurvargli le labbra.

-Non importa…Ti piacciono le api?-

Sherlock annuì.

-Come si fa a non essere affascinati dalle api?-domandò il moro, una lieve eccitazione nella voce.

-Perché le loro punture fanno male-rispose prontamente John.

-Soltanto se non si presta la massima attenzione-ribatté Sherlock.

Ancora una volta John alzò le spalle, sempre più affascinato da quel misterioso bambino.

-Quindi tu ti occupi delle api?-gli domandò curioso voltando le spalle all’uovo e fissando Sherlock a pochi passi di distanza da sé.

-Non ancora…Dicono che sono troppo piccolo…Ridicolo!

Jeffrey, il nostro maggiordomo, si occupa degli alveari e mi sta insegnando tutto quello che c’è da sapere sull’apicoltura e sul miele.

Quando sarò vecchio comprerò una casa nel Surrey dove produrrò il migliore miele d’Inghilterra e mi occuperò delle api-disse con convinzione Sherlock.

John fissò il bambino per qualche istante, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni corti; perché c’era qualcosa di inspiegabilmente affascinante in Sherlock?

Erano gli occhi di ghiaccio che lo rendevano distante e sotto i quali si nascondeva un fuoco sempre acceso?

Oppure erano i capelli folti, un caos di ricci che gli incorniciavano il viso lungo e che gli conferivano un aria birichina?

-Posso venire con te?-si sentì chiedere sorprendendo anche sé stesso-Magari posso essere il tuo Jeffrey-aggiunse velocemente, abbassando lo sguardo per un istante sulle proprie scarpe.

A quelle parole Sherlock spalancò gli occhi, sorpreso quanto e più di lui della sua domanda e per alcuni istanti i due bambini si limitarono a fissarsi prima che Sherlock si riscuotesse per primo da quell’inaspettato torpore.

-C-Certo…-rispose incerto.

John rispose a quelle parole con un grande sorriso rassicurante, felice di non aver rovinato le basi di una possibile amicizia.

-Bene…Almeno ho qualcosa da aspettare per quando sarò vecchio-disse continuando a sorridere.

La stanza tornò a scivolare nel silenzio; Sherlock si era seduto sul proprio letto, a gambe incrociate lo sguardo fisso su John che, dal canto suo, era ancora in piedi, le spalle rivolte alla scrivania e divideva la propria attenzione fra l’uovo avvolto nella coperta e Sherlock.

-Tu lo sai perché tuo padre ti ha portato qui oggi, vero?-domandò Sherlock interrompendo il silenzio.

John rialzò lo sguardo incontrando gli occhi di ghiaccio dell’altro e alzò le spalle.

-Forse non aveva voglia di fare il viaggio da solo…-rispose.

-Mh…No, non è la prima volta che viene al Manor da solo.

Davvero non lo sai?-chiese ancora, un’espressione sorpresa sul volto.

John corrugò la fronte.

-Cosa?-

-Non è stato un caso se oggi ci siamo incontrati.

Era stato deciso così perché potessimo conoscerci e “fare amicizia”, perché un giorno tu sarai il mio Omega ed io sarò il tuo Alpha-disse Sherlock con voce neutrale.

Per un lungo istante John combatté contro l’istinto che gli diceva di scoppiare a ridere e non prendere minimamente in considerazione quelle parole; ma l’espressione seria sul volto di Sherlock gli fece capire che prenderlo in giro era l’ultimo pensiero del moro.

Sherlock sarebbe diventato il suo Alpha?

-Cosa?-si ritrovò a dire, incapace di trovare qualcosa di più profondo.

-Non mi hai sentito?-domandò Sherlock sereno.

-Certo che ti ho sentito! Ma è impossibile! Siamo troppo giovani…-commentò staccandosi dalla scrivania e lasciandosi cadere sulla sedia poco distante.

Sherlock restò in silenzio qualche secondo, il labbro inferiore tormentato dai denti, chiaramente immerso nei propri pensieri prima di riportare la sua completa attenzione su John.

-Hai mai sentito parlare del Maggiore Lestrade?-gli domandò.

John annuì.

-Era con mio padre al fronte-

-Precisamente. Mio padre era con loro.

Il Maggiore Lestrade ha un figlio, Graham o qualcosa del genere, di 13 anni che lo scorso anno si è rivelato essere un’Omega.

Così mio padre ha deciso che sarebbe stato un Compagno adatto per mio fratello, un futuro Alpha, e questo ha portato alla firma di un contratto in cui mio padre si impegnava a prendersi cura dell’Omega finché lui e mio fratello non avessero formato un Unione ed in cui il Maggiore rinunciava ai propri diritti sull’Omega che sarebbe diventato parte della nostra famiglia a tutti gli effetti-lo informò Sherlock in tono pratico e distaccato.

-Lo hanno lasciato andare così?-domandò incredulo John, leggermente stordito da tutte quelle parole.

-Cosa avrebbero dovuto fare?-gli chiese il moro.

-E’ il loro unico figlio!-replicò John.

-Non più…Beh nel tuo caso è diverso visto che tu hai una sorella, così il distacco per la tua famiglia sarà meno doloroso-commentò ancora Sherlock.

Già lui aveva una sorella Harry, un Alpha, che avrebbe portato grande onore e molte soddisfazioni alla famiglia.

-Siamo una vecchia famiglia e anche se i nostri metodi possono sembrare antiquati, nessuno si è mai lamentato: l’Omega potrà studiare e, se lo desidererà e se mio fratello sarà d’accordo, gli sarà concesso di lavorare finché non formeranno un’Unione ed avranno figli-continuò Sherlock.

John portò lo sguardo sul moro, fissandolo qualche istante: quello strano ragazzino, con i suoi occhi misteriosi e la sua passione per le api, sarebbe diventato il suo Alpha?

Lui ci aveva sicuramente guadagnato, ma che dire di Sherlock? Sarebbe stato felice della loro Unione?

-Questo è quello che succederà anche a noi?-gli domandò titubante.

Sherlock incontrò nuovamente il suo sguardo, leggendo chiaramente i suoi timori e le sue paure per il futuro prima di annuire.

-Come ho detto per il momento siamo troppo giovani, dobbiamo ancora conoscerci e vedere se siamo compatibili, ma quando ti Presenterai come un’Omega, le nostre famiglie firmeranno il nostro contratto-gli spiegò.

-E se non fossi un’Omega?-gli domandò-Che succede se sono un Beta?-

Sherlock alzò gli occhi al cielo, chiaramente annoiato da tutte quelle domande.

-E’ improbabile…Non c’è un Beta maschio nella tua famiglia da quasi cent’anni-gli rispose.

-Ok…E che succede se scopriamo che tu non sei un’Alpha?-chiese ancora John.

A quella domanda Sherlock si lasciò andare ad una risatina ironica che risuonò nella stanza come gocce di pioggia sui vetri.

-Impossibile.

La famiglia Holmes ha prodotto maschi Alpha per generazioni-rispose sicuro.

John annuì lentamente.

-Quindi è deciso…-commentò.

-Più o meno…Tu saresti d’accordo?-gli chiese Sherlock, gli occhi fissi sul suo volto.

Non mi sembra di avere molta scelta…”

-Sei d’accordo di diventare il mio Omega?-gli domandò ancora il moro.

John alzò lo sguardo ed incontrò quello di Sherlock, fissandolo per qualche istante.

Era una notizia assurda quella che aveva appena ricevuto, ma se le cose stavano davvero come gli aveva detto Sherlock, se lui era davvero un’Omega, allora avere qualcuno accanto con cui superare i momenti terribili che sicuramente si sarebbero presentati sul suo cammino, lo avrebbe aiutato e lo avrebbe fatto sentire meno solo.

-Credo di sì.

Ma non voglio avere figli subito dopo la Presentazione-chiarì subito.

Sherlock scosse la testa con forza.

-Oh Dio no! Non riesco ad immaginare niente di più orribile-si limitò a commentare.

-E voglio diventare un dottore come mio padre!-aggiunse velocemente John- Me lo permetterai?-gli chiese l’attimo dopo.

Sherlock annuì.

-Non vedo perché dovrei fermarti, in fondo può sempre tornare utile-rispose.

John sorrise, chiaramente soddisfatto.

-Allora sarò felice di essere il tuo Omega-gli disse con voce sicura.

Sherlock annuì e accennò un sorriso a sua volta.

-Ed io sarò felice di essere il tuo Alpha-rispose, suggellando con quelle poche parole un patto che avrebbe cambiato il corso delle loro vite.

 

Mycroft Holmes era un uomo abituato ad ottenere tutto quello che desiderava nella vita.

O almeno questa era la visione che il mondo esterno aveva di lui: agli occhi della gente, Mycroft appariva come un soddisfatto maschio Alpha di quarantadue anni, con una solida posizione nel Governo britannico(anche se soltanto pochi fortunati erano a conoscenza delle vere qualifiche che l’uomo ricopriva e dell’importanza del suo ruolo), un figlio di quattro anni ed un’ Omega affettuosa ed amorevole al proprio fianco.

Gregory.

L’unico che potesse davvero ricoprire quel ruolo fondamentale nella sua vita.

Ciò che la gente non sapeva era che tutte quelle conquiste erano state ottenute con fatica e dopo lunghe tribolazioni: essendo il primogenito della famiglia Holmes era caduto su di lui il compito di inserirsi all’interno del Governo e ricoprire con il tempo una posizione di rilievo, ma le difficoltà dei primi anni lo avevano portato più volte a dubitare che quella fosse realmente il suo destino, minando seriamente la sua autostima.

Anche in quel caso Gregory(indispensabile, meraviglioso e brillante) lo aveva aiutato a capire che lui non era inferiore agli altri, che nessuno poteva permettersi di “mettere i piedi in testa” a Mycroft Holmes(“a meno che non abbiano un forte istinto suicida”) e gli era stato accanto per tutti gli anni difficili del tirocinio, delle missioni all’estero, senza mai fare domande, finché non aveva potuto finalmente occupare il posto che gli spettava di diritto.

Agli occhi del mondo esterno la famiglia Holmes, con l’ovvia aggiunta degli Watson, mostrava un fronte unito ed indivisibile, e Mycroft si riteneva fortunato per la sua famiglia consapevole che in molte occasioni sarebbe bastata una decisione diversa, un gesto sbagliato per cambiare il corso degli eventi e trasformare quell’unità affettuosa e coesa in un’altra casata fredda e indifferente al destino degli altri componenti.

Molte volte in passato, soprattutto durante i primi anni in cui era a Cambridge, Mycroft si era ritrovato a maledire silenziosamente suo padre per gli accordi presi con il Maggiore Lestrade che lo legavano a Gregory, chiedendosi cosa sarebbe successo quando si fossero ritrovati insieme senza nulla di cui parlare o senza niente che li legasse, ma ancora una volta il suo Gregory(speciale, unico, insostituibile) gli era venuto incontro gettando le basi per un’amicizia che nel giro di pochi mesi Mycroft aveva visto trasformarsi nell’amore più puro grazie a gesti accennati, risate, progetti per il futuro.

Un futuro che li vedeva insieme.

Se soltanto non avesse aspettato anni prima di ammettere i propri sentimenti per paura di vederli respinti…

La famiglia era il punto cardine della sua esistenza, attorno al quale roteava tutto il resto.

Tutti, amici e nemici, ne erano a conoscenza, ma Mycroft Holmes era riuscito a trasformare il proprio punto debole in un punto di forza.

Con un'unica eccezione…Sherlock.

Ogni famiglia ha la propria pecora nera e la famiglia Holmes non faceva eccezione.

I problemi della loro famiglia erano iniziati quando Sherlock si era Presentato frantumando tutti i sogni dell’uomo di una vita da Alpha e neanche la sicurezza di avere un’ Alpha affettuoso ed amorevole come John Watson aveva messo un freno alla rabbia e all’insoddisfazione di Sherlock.

Ed ora che suo fratello era ritornato a Londra la pace vissuta in quegli anni sarebbe stata spazzata via un’altra volta.

Dopo che Sherlock era uscito dal suo ufficio la sera prima, Mycroft era rimasto seduto dietro la propria scrivania, lo sguardo fisso sul muro di fronte a sé immerso nei propri pensieri, mettendo a punto possibili piani per prevenire o controbattere ogni intemperanza di Sherlock e proteggere la famiglia dalla tempesta mediatica che si sarebbe scatenata a causa del suo ritorno.

Si accorse di aver passato tutta la notte seduto in poltrona soltanto quando la casa cominciò a svegliarsi attorno a lui, rendendolo consapevole dei primi raggi del sole e dei propri muscoli atrofizzati dalla prolungata immobilità.

Poco dopo sentì aprirsi la porta dell’ ufficio e mosse velocemente il suo sguardo verso l’entrata dove, ancora con indosso il pigiama e la vestaglia, era fermo Gregory.

Un lieve sorriso apparve non appena i suoi occhi si posarono sull’uomo, il suo fedele compagno da oltre vent’anni.

La prima volta che si erano incontrati lui aveva dodici anni e Gregory tredici, ora erano entrambi oltre i quaranta e malgrado i problemi e le incomprensioni non avrebbe cambiato nulla del loro rapporto: aveva avuto il piacere di veder quel giovane insicuro che si era presentato al loro primo incontro in un adolescente strafottente e poco propenso alle regole, seguito dal giovane adulto sicuro delle proprie scelte e dei propri sentimenti fino all’uomo sicuro e fermo che era davanti a sé.

L’unico uomo che avrebbe mai amato per il resto della sua vita.

-Buongiorno-lo salutò Gregory avanzando nello studio dopo essersi chiuso la porta alle spalle.

Mycroft gli rivolse un sorriso stanco, allontanando leggermente la sedia dalla scrivania e mostrando un atteggiamento aperto ed accomodante che convinse Greg ad aggirare la scrivania e a sedersi sulle sue ginocchia, un braccio abbandonato attorno alle sue spalle.

-Buongiorno mio caro-disse rispondendo al saluto, lasciandosi avvolgere dall’odore dell’Omega.

Fin dal primo istante, Mycroft sarebbe riuscito a ritrovare Gregory in una stanza affollata grazie al suo odore peculiare(caramello e nocciole), arrivando ad identificarlo con la propria idea  di “casa”, ma da quando sei anni prima si erano Legati, l’odore di Gregory era cambiato, lasciando una lieve traccia del suo vecchio odore unito a quello predominante del suo Alpha perché tutti sapessero che Gregory era Suo.

-Hai dormito almeno un po’ ieri notte?-gli domandò Greg, le dita lievi ad accarezzare la base del collo dell’Alpha.

-Non molto, no…Mi dispiace non essere venuto a letto-gli disse accarezzandogli un ginocchio.

Gregory accennò un sorriso.

-Non importa.

Voglio dire, adoro quando sei nel letto accanto a me ma non è la prima notte che passo da solo e sicuramente non sarà l’ultima-rispose senza acrimonia.

Mycroft fece un gesto impercettibile con il capo prima di abbandonare la testa contro la spalla del compagno, attirandolo maggiormente contro di sé.

Consapevole che Mycroft era preoccupato, Greg mise in mostra il proprio collo dandogli la possibilità di strofinare la punta del naso contro la ghiandola “ormonale” dove il suo odore era più forte.

-Cosa ti preoccupa?-gli domandò continuando ad accarezzargli i capelli castani.

-Oh il solito-si limitò a rispondere l’Alpha, leggermente più calmo grazie alla presenza del suo compagno.

Greg annuì.

-Mh… Quindi non ha niente a che fare con l’ospite inaspettato arrivato ieri sera?-gli chiese ancora.

Mycroft aggrottò la fronte, sentendo i propri muscoli irrigidirsi all’istante per quella domanda inaspettata.

-Ospite?-chiese con quella che sperò essere una voce innocente.

Greg accennò nuovamente un sorriso e ne approfittò per accarezzargli una guancia.

-Mycroft Holmes…Tu sei davvero bravo a mentire, puoi anche essere definito un maestro alle volte, ma io sono l’unico che sa vedere oltre le tue stronzate-commentò Greg con voce sicura.

-Ah davvero?-domandò Mycroft incapace di controllare il sorriso ironico che gli incurvò le labbra.

Greg annuì nuovamente.

-Ho guadagnato questo privilegio in oltre vent’anni di amicizia e amore e sei di Legame e soprattutto conosco il nostro ospite-

A quelle parole, il sorriso divertito scomparve dal volto di Mycroft, portandolo a staccarsi dal compagno, la schiena nuovamente contro lo schienale della sedia.

-E’ tornato non è vero? Sherlock-disse Greg guardandolo negli occhi.

-Come…-domandò l’altro improvvisamente senza parole ed incapace di mentire.

Un sorriso inspiegabilmente dolce apparve sul volto di Greg, mentre le dita di una mano si chiusero attorno alla guancia destra dell’Alpha in un gesto rassicurante.

-Sono il tuo Omega…Lo sapevo perché tu ne eri a conoscenza.

Quando Sherlock si è buttato giù dal tetto del Barts eri scioccato come tutti noi, ma subito dopo non ho avvertito nessun dolore in te: eri arrabbiato, preoccupato e teso e tutti questi sentimenti ti sono rimasti addosso per lungo tempo anche dopo la sua morte.

Se poi aggiungi le decine di nemici pubblici N.1 i cui cadaveri sono venuti a galla, o che sono stati arrestati dopo la morte di Sherlock non è stato difficile tirare le somme: il nostro caro Sherlock era ancora vivo-concluse Greg in tono quasi professionale.

Mycroft lo fissò qualche istante, prima di prendere un lungo sospiro sinceramente sollevato all’idea di non dover dire la verità sulla morte di Sherlock al compagno.

-Ho sempre saputo che eri un fantastico ispettore…-commentò tornando a fissare il suo volto- Ed il migliore Omega per me.

Sei arrabbiato?-gli domandò cercando di tenere a freno la preoccupazione.

Questa volta toccò a Greg sospirare, passandosi poi una mano fra i capelli corti, riflettendo sulla risposta più adatto.

-Lo sono stato-ammise sincero- Credimi ero incazzato nero, specialmente perché non me ne avevi parlato: capisco se si tratta di segreti di stato o della sicurezza nazionale, ma erano le nostre vite Myc…-aggiunse.

-Ho dovuto farlo.

Ti ho promesso che non ti avrei tenuto all’oscuro di nulla che potesse ferire la nostra famiglia e ho mancato alla mia promessa.

Non hai idea di quante volte avrei voluto darti un indizio, un minimo accenno perché tu potessi mettere insieme tutti i pezzi e arrivare alla giusta conclusione, ma Sherlock mi ha fatto promettere di mantenere il segreto ed ho dovuto farlo, andando contro anche ad i miei istinti-gli disse sincero e angosciato allo stesso tempo.

Greg gli accarezzò lo zigomo destro, incapace di vedere il proprio Alpha afflitto senza far nulla per risollevargli il morale.

-Sei stato fortunato che all’epoca Martin era ancora un neonato, altrimenti sarei stato incazzato più a lungo, ma gli ormoni post gravidanza e il dovermi concentrare su di lui hanno messo in secondo piano il tuo stupido fratello-commentò.

Per qualche istante Mycroft restò in silenzio, sollevato di non dover affrontare la rabbia del proprio compagno e che il segreto che li aveva divisi per tre anni era finalmente stato svelato; ora poteva finalmente mettere Gregory al corrente dei motivi che avevano spinto Sherlock, e di conseguenza anche lui, a mantenere quel velo di segretezza.

-Moriarty era pronto ad uccidere te, John ed i gemelli se Sherlock non si fosse buttato…C’erano cecchini pronti ad eseguire l’ordine che aspettavano soltanto il suo comando.

Ecco perché Sherlock ha inscenato la sua morte ed io mi ho mantenuto il suo segreto e l’ho aiutato tutti questi anni-confessò evitando lo sguardo di Greg.

Per alcuni lunghissimi istanti, Greg restò immobile, i muscoli rigidi, incapace di liberarsi della sensazione di pericolo e della tensione che quelle parole avevano provocato, prima di buttar fuori un respiro e cercare lo sguardo del proprio compagno.

-Quel fottuto bastardo…-commentò con un filo di voce.

Intuendo il bisogno di protezione di cui aveva bisogno l’Omega, Mycroft l’attirò a sé, un braccio stretto attorno alla vita mentre le dita della mano sinistra gli accarezzavano lentamente la schiena in un gesto rassicurante.

-Non potevo permettere che arrivasse a te…Non quando finalmente eravamo una vera coppia, non con Martin appena nato.

Ho protetto la mia famiglia e so che avrei dovuto dirtelo, ma a quanto pare non c’è bisogno che io ti dica tutto…Tu lo sai già-aggiunse con un lieve sorriso orgoglioso sulle labbra.

Greg accennò un sorriso a sua volta, accarezzandogli la base del collo.

-A quanto pare ho anche io i miei trucchi magici…

Allora, cosa voleva?-gli domandò cambiando discorso e ritornando serio.

-Non lo immagini?-chiese a sua volta Mycroft lasciandosi scappare un sospiro frustrato.

-Mh…Tuo fratello riesce sempre ad andare oltre la mia più assurda previsione-commentò Greg.

-La sua missione è finita e ieri sera mi ha informato che vuole far sapere a tutti che è ancora vivo e soprattutto vuole incontrare John ed i gemelli-lo informò l’altro.

Greg si lasciò andare ad una risata ironica.

-Già…Gli auguro tanta fortuna-commentò sarcastico.

Mycroft annuì.

-E’ proprio quello che gli ho detto ieri sera, proibendogli di incontrare John ed i bambini, ma il mio fratellino caro mi ha “gentilmente” ricordato che la mia influenza come Alpha non ha nessun effetto su di lui…-

-Quindi come al solito, farà di testa sua-concluse per lui Greg.

Mycroft annuì.

-Senza preoccuparsi della vita di chi gli sta intorno…-commentò ancora il detective.

-Mio fratello ha smesso di preoccuparsi di queste cose quando ha scoperto di essere un’Omega- spiegò  Mycroft.

-Quello che non capisco è perché adesso?

Moriarty ha catturato la sua attenzione quattro anni e mezzo fa, quindi se davvero voleva costruire un rapporto con i gemelli avrebbe potuto farsi avanti prima, quando ancora erano piccoli-considerò Greg.

-Sono ancora piccoli…-gli fece notare l’altro.

-Sai bene quanto me che gli Holmes crescono molto in fretta-commentò Greg con un sorriso.

Niente di più vero…Sembrava passato soltanto un giorno da quando la levatrice aveva messo un Martin avvolto nelle coperte ed urlante fra le sue braccia per la prima volta, facendogli conoscere l’essere umano che per nove mesi era stato protetto dal corpo di Gregory a lui cui aveva parlato, fatto ascoltare musica, e che aveva fissato incredulo mentre lo vedeva stiracchiarsi nel suo spazio limitato nel ventre del padre.

Quel piccolo fagotto, a distanza di quattro anni, era una bomba di energia incapace di stare fermo nello stesso posto per più di cinque minuti (ricordandogli terribilmente suo fratello), con una curiosità insaziabile, sempre con un sorriso per chiunque, l’orso Teddy sempre accanto ed un amore infinito per lui e Gregory.

-Loro sono degli Watson-disse allontanando la propria attenzione da quei ricordi.

Quasi riuscisse a vedere chiaramente dove lo aveva portato la sua mente, Gregory si avvicinò e gli posò un bacio lieve sulla tempia destra.

-Soltanto di nome-commentò a bassa voce.

Per un lungo intervallo nella stanza scese il silenzio mentre la coppia rafforzava il proprio legame, leggermente scalfito dalla confessione di Mycroft e dal ritorno di Sherlock, ritrovando conforto l’uno nel calore e nell’odore dell’altro(vicino, rassicurante, Mio), con lievi carezze e piccoli gesti mentre oltre la porta chiusa dello studio il resto della casa continuava a svegliarsi.

Greg non aveva idea di che ora fosse, ma fortunatamente prima di entrare nello studio aveva chiesto a Millie, una delle cameriere più anziane, di occuparsi di Martin, pensando a vestirlo e a preparargli la colazione.

Solitamente si occupava lui della routine mattutina di suo figlio, ma in quel momento il suo posto era lì, accanto al suo Alpha che aveva chiaramente bisogno di lui.

-Credo che all’epoca stesse ancora combattendo contro il suo Sesso e, a posteriori, ritengo sia stata la scelta migliore: se quel pazzo di Moriarty fosse stato a conoscenza dei gemelli non avrebbe esitato neanche un’istante prima di trasformarli in pedine nell’assurdo gioco che stava conducendo con mio fratello…Come poi inevitabilmente è successo.

Se vogliamo davvero trovare una motivazione a questo improvviso istinto paterno, direi che l’unica spiegazione plausibile è l’essersi trovato ad un passo dalla morte più volte negli ultimi tre anni-commentò Mycroft rompendo il silenzio.

-John lo sa?-domandò Greg senza alzare la testa dalla spalla del compagno.

Proprio in quell’istante, arrivò alle loro orecchie il suono lontano del campanello esterno.

-Lo sapremo presto-rispose Mycroft.

Sentendo nuovamente la tensione irradiarsi nei muscoli della schiena dell’uomo, Greg si rizzò a sedere a sua volta, voltando leggermente il capo verso la porta ancora chiusa.

-Vuoi che me ne vada?-domandò Greg tornando a fissare l’Alpha.

Mycroft scosse la testa impercettibilmente.

-Credo sia meglio che ci sia anche tu-

Pochi secondi e nello studio risuonò l’interfono.

-Mr. Holmes, Mr. Watson ha appena  superato la sicurezza-lo informò una voce maschile.

-Conducetelo direttamente nel mio studio-ripose Mycroft prima di chiudere la comunicazione.

Greg si alzò in piedi e, nervoso, si avvicinò per alcuni istanti alla finestra che affacciava sul giardino interno, tornando a voltarsi soltanto quando sentì bussare due volte alla porta.

Ad una prima occhiata era evidente che neanche John aveva dormito molto la sera precedente.

L’aspetto esteriore avrebbe potuto ingannare qualsiasi estraneo, ma uno sguardo attento avrebbe facilmente riconosciuto l’aria stanca e gli occhi arrossati cerchiati dalle occhiaie.

-Buongiorno John-lo salutò Mycroft, ancora dietro la propria scrivania.

John rivolse all’uomo un cenno del capo.

-Buongiorno Mycroft. Ciao Greg-rispose l’altro salutando entrambi.

Greg si avvicinò nuovamente alla scrivania e rivolse un sorriso amichevole al biondo.

-Ciao John. Cosa ti ha portato qui così presto?-gli domandò in tono affabile.

John abbassò lo sguardo per alcuni istanti, chiaramente indeciso se renderli partecipi di quello che era accaduto e che era la causa della sua visita, prima di rialzare la testa e cercare gli occhi di Mycorft.

-Ieri sera ho ricevuto uno strano messaggio…

Da parte di tuo fratello-aggiunse l’attimo dopo.

Il biondo restò in silenzio, aspettandosi che uno o l’altro dei due uomini lo rassicurasse che era impossibile, che si era chiaramente trattato di un errore dato che Sherlock era morto e quindi incapace di messaggiare chiunque.

Quando né Greg né Mycroft vennero in suo soccorso, John prese un respiro profondo e ricominciò a parlare.

-All’inizio ho pensato si trattasse di uno scherzo, ma… Questa persona sa delle cose di cui soltanto io e Lui eravamo a conoscenza-aggiunse.

-Che genere di informazioni?-domandò Mycroft, le mani giunte poco sotto il mento.

John scosse la testa.

-Non ha importanza…Sto davvero diventando matto oppure è stato davvero Lui a mandarmi quel messaggio ieri sera?

E’ ancora vivo?-chiese a sua volta John.

I due Alpha si fissarono per un lungo istante, John chiedendo silenziosamente all’altro di rassicurarlo, di mentire, di promettere che si sarebbe occupato dell’impostore il prima possibile; mentre Mycroft cercava il modo migliore per affrontare quella conversazione senza scatenare la famosa rabbia del biondo.

Sciogliendo le mani e avvicinandosi alla scrivania, Mycroft dischiuse le labbra e prese un breve respiro.

-Prima di tutto ho bisogno che tu capisca che c’è una spiegazione dietro…-iniziò.

-Oh Gesù…-commentò John con un filo di voce, il viso improvvisamente pallido.

-Dietro la decisione di Sherlock di inscenare la propria morte-continuò Mycroft senza allontanare lo sguardo dal biondo.

Come una marionetta a cui hanno tagliato improvvisamente i fili, John si piegò sulle proprie ginocchia, una mano a coprire la bocca.

-Quel figlio di puttana…Oh Dio…-mormorò incredulo.

Preoccupato per l’amico, Greg aggirò la scrivania e gli andò incontro, aiutandolo a rialzarsi in piedi e accompagnandolo ad una delle sedie di fronte alla scrivania.

-Mi dispiace John…-disse l’ispettore.

-Tu lo sapevi, non è vero Mycroft?- domandò John incontrando nuovamente gli occhi nocciola dell’uomo.

Il funzionario britannico annuì.

-Sì, lo sapevo.

Ma non l’ho fatto per lui, ma per la mia famiglia-spiegò Mycroft, gli occhi privi di rimorso.

John prese una serie di respiri profondi, cercando di controllarsi, prima di annuire.

-Lo hai visto? Ti ha detto cosa vuole?-gli domandò ancora.

-Non dovreste parlarne faccia a faccia?-

-Perché? Non abbiamo nulla da dirci-ribatté prontamente John.

Mycroft sospirò.

-Vuole incontrarti e inoltre vorrebbe conoscere i gemelli-lo informò.

John abbassò leggermente il capo e rise amaramente, prima di scuotere la testa più volte.

-Se lo può scordare…-commentò, prima che il suo volto si illuminasse di un’improvvisa epifania- Oh Dio i gemelli…Soltanto ieri ho dovuto rassicurare Matty che era davvero mio figlio e non un orfano raccattato dalla strada e promettere loro che non avremmo mai più parlato del loro padre…Ha scelto davvero il momento migliore per ritornare nel mondo dei vivi-commentò acido John- Come cazzo glielo spiego, eh?-

-Troverai le parole giuste-disse Greg cercando di rasserenare l’amico.

-Come? Crederanno che ne ero a conoscenza e che per tutti questi anni non ho fatto altro che mentire!-ribatté John chiaramente angosciato.

-John, i tuoi figli ti adorano, praticamente venerano il terreno su cui cammini!  Sanno che Sherlock era coinvolto in uno stupido gioco contro Moriarty quindi sono certo che troverai le parole adatte per spiegargli cosa è successo- replicò Greg con maggiore forza.

John annuì lentamente, cercando di autoconvincersi che tutto sarebbe andato nel migliore dei modi e che la ricomparsa di Sherlock non avrebbe rovinato il suo rapporto con i gemelli.

Dopo un respiro profondo, rialzò lo sguardo ed incontrò quello di Mycroft che per la durata di quel breve colloquio era rimasto in silenzio.

-Come hai fatto a tenere il segreto per tutto questo tempo? Credevo fossimo amici-gli disse chiaramente confuso.

-Siamo più che amici, siamo una famiglia…Tu sei un fratello per me.

Ecco perché l’ho fatto: la tua vita e quella dei gemelli era in pericolo e io non ho esitato un istante a fare tutto il possibile per proteggervi-

I due Alpha si fissarono per un lungo istante finché John annuì.

-Ok ti credo-disse semplicemente prima di alzarsi in piedi.

Greg alzò lo sguardo verso il suo volto, ancora preoccupato per l’amico, ma John si limitò ad annuire ancora una volta, prima di tirare indietro le spalle e irrigidire la schiena.

-Ho bisogno di tempo per riflettere…Ci sentiamo presto-

L’attimo dopo voltò le spalle ai due uomini diretto verso la porta dello studio.

 

 

“Tu ed io. Beggars Bench. 10.30. –JW”

Il sole era sorto inaspettatamente dopo una notte insonne.

Nel suo appartamento provvisorio di Montague Street, Sherlock aveva passato le ore aspettando un nuovo messaggio, una chiamata da John, qualsiasi cosa che gli permettesse di riaprire il discorso, che gli consentisse di spiegare all’ Alpha perché era stato lontano tutti quegli anni, perché era dovuto ricorrere a quell’espediente così meschino, ma John non aveva voluto concedergli quella possibilità, lasciando cadere nuovamente il silenzio.

Durante le ore notturne, l’Omega era velocemente andato nel panico domandandosi cosa avrebbe fatto se John si fosse categoricamente rifiutato di ascoltarlo…Era un suo diritto, poteva farlo, e Sherlock conosceva poche persone ostinate e testarde come il suo Alpha.

Poi un pensiero fastidioso ed inaspettato si insinuò nella sua mente: cosa ne sarebbe stato di lui se nei tre anni conseguenti alla sua morte, John avesse trovato una nuova Omega?

Un’Omega banale ed ordinaria, ma che rendeva felice John?

Impossibile!

Nei suoi appostamenti non aveva mai notato nulla che facesse pensare ad una simile possibilità…A meno che il rapporto non fosse ancora agli inizi e John preferisse incontrare l’Omega lontano da Baker Street e dai gemelli.

No…Era un’idea inaccettabile!

Quando il messaggio era arrivato sul suo cellulare poco dopo le 9.30. il suo cuore aveva sussultato, calmando velocemente la sua ansia.

John voleva incontrarlo… Tutto sarebbe tornato a posto…

Si era fatto una doccia veloce, aveva scelto gli abiti che meglio si adattavano al suo fisico, indebolito dalla lotta e dagli anni passati in volontario isolamento, ed era uscito dall’appartamento, prendendo un taxi al volo.

 Beggers Bench era legato al periodo più buio del passato di Sherlock; quello indissolubilmente collegato alla dipendenza e alla cocaina: durante gli anni della tossicodipendenza si avventurava spesso per Hampsted Heath, nei punti più oscuri e malfamati del parco, ed ogni singola volta, quando la sua mente annebbiata lo riconduceva allo scoperto, verso la luce e la “civiltà”, gli bastava guardarsi intorno per pochi istanti per individuare John.

Il suo faro di luce.

Sempre sulla stessa panchina. In attesa. Chiaramente amareggiato e preoccupato per lui, ma ugualmente pronto a mettere da parte i propri sentimenti pur di proteggerlo anche in quella situazione.

Ogni volta, Sherlock si lasciava cadere sulla panchina, la testa sulle ginocchia di John, completamente stordito dalle droghe, felice di potersi godere il suo trip certo che nessuno lo avrebbe infastidito o gli avrebbe fatto del male.

Non con il suo Alpha accanto.

Per la prima volta da più di dieci anni, Sherlock risalì la collina di Hampsted Heath e si diresse con passo sicuro verso la panchina, scorgendo da lontano la figura che ben ricordava e che era chiaramente indecisa se sedersi sulla panchina o meno.

Soltanto quando si trovarono a pochi metri di distanza, John si accorse della sua presenza e si voltò verso di lui, osservandolo in silenzio mentre percorreva gli ultimi metri fino alla panchina.

Il tempo era stato clemente con John: i capelli erano ancora biondi, fatta eccezione per alcune ciocche grigie sulle tempie e sulla fronte che si amalgamavano perfettamente con il resto della capigliatura; il viso era più maturo di quello che ricordava, con rughe d’espressione a segnargli e a dare maggiore personalità al volto.

Ciò che evidentemente non era cambiato malgrado gli anni era il suo stile: sempre i maglioni con la stessa fantasia ed i jeans.

Chiunque altro, venuto in possesso di gran parte della fortuna degli Holmes, ne avrebbe approfittato per darsi una ripulita, acquistare quanti più completi firmati e fatti su misura, ma John non ne era mai stato tentato, preferendo sempre abiti pratici e comodi all’eleganza e allo stile.

Incapace di allontanare lo sguardo dall’uomo dinanzi a sé, Sherlock gli rivolse un lieve cenno con il capo, le mani affondate nelle tasche del cappotto, desiderose di afferrarlo e rannicchiarsi contro di lui.

-John- lo salutò rompendo il silenzio nervoso.

Il biondo deglutì e prese un respiro profondo, cercando a sua volta di controllare le emozioni ed il proprio temperamento, prima di indicare la panchina con la mano aperta.

-Siedi. Non voglio attirare troppa attenzione-gli disse prima di sedersi a sua volta.

Sherlock gli sedette accanto, le lunghe gambe accavallate all’altezza del ginocchio e fissò lo sguardo dinanzi a sé sull’ampia veduta del parco sotto di sé.

-Eccoci qui…Chi l’avrebbe detto, eh?-disse dopo qualche istante di silenzio.

-Tu odi fare conversazione, quindi per favore chiudi la bocca!-rispose John a denti stretti.

Sherlock alzò le spalle, cercando di mostrarsi indifferente e di tacitare quella voce dentro di sé che gli diceva di fare qualcosa per tranquillizzare il suo Alpha visibilmente nervoso.

-Almeno hai detto per favore-commentò prima di lanciare uno sguardo all’uomo accanto a sé- Resteremo qui in silenzio a lungo?-gli chiese ancora l’attimo dopo.

-Per tutto il tempo che mi servirà per non prenderti a pugni, quindi fattene una ragione!-ribatté John.

Sherlock mise a tacere i propri istinti ancora una volta e sospirò lasciandosi scivolare contro lo schienale della panchina e fissando il cielo coperto di nuvole bianche.

-Allora godiamoci la vista ed il silenzio…-

Per un lungo interminabile intervallo, i due uomini restarono in silenzio uno accanto all’altro, persi nel proprio mondo, osservando distrattamente le persone che affollavano il parco in quella mattina lavorativa, cercando di venire a patti con la nuova realtà con cui si trovavano a fare i conti, fino a quando inaspettatamente John prese un profondo respiro e dischiuse le labbra.

-Durante gli anni del nostro…Qualsiasi cosa fosse…-iniziò John.

-La parola che stai cercando è Legame-lo interruppe Sherlock prontamente, voltandosi leggermente verso il biondo concentrando su di lui la sua completa attenzione.

-Hai fatto molte cose stupide, mettendo in pericolo te stesso ed i gemelli…-continuò imperturbato John.

-Non ho MAI messo in pericolo i nostri figli!-ribatté Sherlock voltandosi completamente verso John, furioso per la sola insinuazione.

Finalmente John incontrò il suo sguardo, per nulla spaventato dai fulmini che vedeva chiaramente negli occhi di Sherlock.

-Dobbiamo davvero affrontare quell’argomento un’altra volta? Adesso?-gli domandò in tono risoluto.

Sherlock lo fissò qualche istante prima di abbassare lo sguardo e sospirare.

-Ok, va avanti…-

John annuì al suo fianco, sentendo sciogliere la tensione nei suoi muscoli.

-Non importa quanto pazze o pericolose fossero le tue avventure, c’era una cosa su cui potevo sempre contare…Sapevo che mi avresti sempre detto la verità: non importa quanto questa fosse dolorosa o crudele, non mi hai mentito.

E’ una delle cose che ho sempre amato di te…

Ma c’è sempre una prima volta, no?-commentò il biondo lasciandosi andare ad un sorriso amaro.

-John…- tentò Sherlock, leggermente spaventato dalle tante parole non dette contenute in quel discorso.

-In tutti questi anni non ho mai spezzato il nostro Legame perché volevo essere pronto in caso ti fossi trovato in pericolo o avessi avuto bisogno di me, malgrado te ne fossi andato-continuò John imperterrito.

-John, per favore…-

-Poi con la tua morte ho pensato che, malgrado il legame empatico fosse ancora forte, l’unica spiegazione possibile era che fosse soltanto un ricordo di tutto quello che avevo perso e che finalmente ero libero di cercare una nuova Omega…-

-Vuoi davvero la compagnia di una noiosa e inutile Omega?-gli domandò Sherlock cercando di nascondere la propria gelosia.

-In cambio di cosa? Di un letto vuoto? Del sentirmi solo ed non desiderato dal mio stesso Compagno?

L’alternativa non è così terribile-elencò John amaro.

-Sono io il tuo Omega!-gli ricordò Sherlock, sporgendosi inconsapevolmente verso il biondo.

John lo fissò per un lungo istante prima di sospirare.

-Le cose sono cambiate ora…Molte coppie nella nostra situazione e con molti meno problemi sono riusciti a spezzare il Legame…- disse John senza guardarlo.

-Non se ne parla-ribatté Sherlock scuotendo la testa.

-Mycroft potrebbe aiutarti a trovare un nuovo appartamento dove potresti concentrarti esclusivamente sul tuo lavoro e sui tuoi esperimenti.

Potremmo chiedere a Mycroft di…-continuò John, eludendo lo sguardo di Sherlock, certo che altrimenti non sarebbe riuscito a portare avanti quel difficile discorso.

-Hai sentito quello che ho detto? Non voglio rompere il nostro Legame!

Tu sei il mio Alpha e io non permetterò a nessuno di decidere sul destino della nostra unione-ripeté con forza Sherlock.

Confuso, John si decise ad incontrare gli occhi di ghiaccio dell’altro, fissandolo per qualche istante in silenzio.

-Perché?-gli chiese poi.

-Cosa?-

-Perché  vuoi continuare questa farsa? Se lo fai per la protezione contro gli altri Alpha che ricevi tramite il nostro Legame sono certo che Mycroft ti potrà essere d’aiuto…-disse John.

A quelle parole Sherlock aggrottò la fronte.

-Sei davvero così stupido?-gli domandò, incapace di credere che John avesse anche solo pensato ad una simile proposta.

Possibile che John non capisse che l’unica cosa di cui aveva bisogno, che aveva sempre voluto ancor prima di scoprire di essere un’Omega era lui?

 Capì, però, di aver detto la cosa sbagliata quando vide irrigidirsi i muscoli della mascella del biondo.

-Forse lo sono-commentò John con voce dura.

-Non voglio la protezione di Mycroft!

Voglio il mio Alpha!  Voglio la sola persona al mondo capace di sopportarmi fin da quando eravamo bambini, l’unico che mi è stato accanto anche nei momenti più difficili, che è stato con me anche quando ero una persona orribile…Il solo che riesce a capire con uno sguardo se qualcosa non va; ed il fatto che tu abbia suggerito una simile possibilità è offensivo e umiliante-concluse Sherlock senza mai allontanare lo sguardo da quello di John.

L’Alpha trattenne il suo sguardo per qualche istante prima di abbassare gli occhi e fissare le proprie mani, emotivamente provato dal fiume di parole che lo aveva investito.

Prendendo un respiro profondo si voltò sulla panchina tornando a fissare il parco davanti a sé, rimettendo la giusta distanza di sicurezza fra sé e Sherlock.

-Ti conoscevo allora…Ora non so più chi sei.

Cazzo hai lasciato che tutti ti credessero morto per tre anni!-disse.

-Era necessario per la tua sicurezza e quella dei gemelli.

Moriarty aveva una pallottola con il vostro nome sopra; mi voleva morto e sapeva che voi eravate l’unica arma con cui poteva minacciarmi e per cui avrei rinunciato volentieri alla mia vita-confessò il moro.

Questa volta toccò a John aggrottare la fronte: nella sua mente molte questioni irrisolte trovarono finalmente una spiegazione, ma allo stesso tempo portavano con sé nuove domande.

-Perché fingere allora?-gli chiese infatti-Perché non sei tornato dopo la sua morte?-

-Perché non eravate al sicuro; Moriarty era morto, ma la minaccia era ancora concreta: ho passato gli ultimi tre anni smantellare la sua rete criminale, uccidendo tutti coloro che potevano essere un pericolo per me e per voi-

John annuì lentamente, assimilando le nuove informazioni.

-Hai detto “amato ”-disse ancora Sherlock dopo qualche istante di silenzio.

-Mh?-

-Prima hai detto “amato”…Non mi ami più?-gli domandò, la voce leggermente più bassa.

John tornò ad incontrare il suo sguardo e sospirò.

-Onestamente?

Non lo so…Amo i nostri ricordi, come eravamo perfetti insieme, ma sono passati anni da allora e tante cose sono cambiate-gli rispose sincero.

-Possiamo ancora essere perfetti insieme…-ribatté Sherlock.

-Non ci siamo soltanto noi adesso! La mia priorità ora sono i gemelli: presto i giornali non faranno altro che parlare di te, di quello che hai fatto e del tuo ritorno dai morti e non so se avranno delle domande o quali saranno le loro reazioni…-disse John sinceramente preoccupato.

Sherlock lasciò cadere nuovamente il silenzio, concedendosi alla propria mente di cullarsi per qualche istante con l’immagine dei propri figli: Amelia e Matthew.

Così simili eppure così diversi… Era passato talmente tanto di quel tempo dall’ultima volta che era stato accanto a loro, che aveva potuto respirare il loro odore peculiare( una forte traccia dell’odore di John e un debole effluvio del suo odore Omega, che li avrebbe protetti nei primi mesi di vita e che li rendeva inconsapevolmente unici e speciali ai suoi occhi).

-Chiedono mai di me?-si ritrovò a chiedere senza quasi rendersene conto.

John gli lanciò uno sguardo triste, considerando brevemente tutto quello a cui Sherlock aveva voltato le spalle.

-Te ne sei andato…-disse semplicemente.

-Lo sai perché l’ho fatto!-rispose prontamente il moro voltandosi ancora una volta verso John.

-Già…Io ero un adulto e vederti andar via mia ha quasi devastato.

Credi davvero che possa raccontare ai miei figli che il loro padre ci ha voltato le spalle perché considerava la nostra vita insieme noiosa quando invece per me è perfetta?-gli domandò amaro.

-Le cose sono diverse ora-ripeté ancora una volta Sherlock.

-Come fai a dirlo?-

-Sono pronto.

Voglio far parte della nostra famiglia: voglio conoscerli e voglio stare con te perché in tutti questi anni non c’è stato un giorno in cui non ho pensato a te e ai gemelli-gli disse sincero.

John si portò due dita alla base del naso, premendo forte per combattere il mal di testa che sentiva avvicinarsi sempre più velocemente.

-Ti amo ancora John-

Quelle parole lo portarono a rialzare lo sguardo e ad affondare gli occhi in quelli di ghiaccio dell’uomo accanto a sé, improvvisamente senza fiato, un tumulto di emozioni dentro di sé che soltanto Sherlock era capace di provocare.

-Non c’è stato nessun altro in questi anni… Sono ancora Tuo-aggiunse il moro.

-Vorrei che fosse così semplice…-mormorò John.

Un sorriso triste apparve sulle labbra di Sherlock.

-Lo so.

Credi che non mi sia accorto del fatto che non hai detto il mio nome neanche una volta?-gli domandò scatenando un lieve rossore sulle guance dell’altro- Ma ho bisogno di sapere che nessuno ha preso il mio posto, che tu sei ancora Mio….Perché se lo sei, sono pronto a fare qualsiasi cosa vorrai per convincerti che l’unica cosa che voglio è tornare da te e dai nostri figli-disse sincero come poche volte prima d’ora.

John fissò il volto regale ed etereo di Sherlock, combattendo contro il desiderio di far scivolare le dita su quello zigomo pronunciato e perfetto, di accarezzare la guancia incavata, di lasciarsi circondare dall’odore del suo Omega per la prima volta dopo più di dieci anni.

Andando contro i propri istinti John si alzò in piedi, concedendo al moro un lieve cenno del capo.

-Devo rifletterci sopra-gli disse.

Sherlock annuì a sua volta, lasciandosi andare contro lo schienale della panchina, svuotato di ogni spirito combattivo.

John gli voltò le spalle e fece per allontanarsi, ma dovette cedere a quel lato della sua natura totalmente incapace di far del male a Sherlock.

-Vivo con uno Sherlock in miniatura-gli disse tornando a voltarsi ed incontrando lo sguardo sorpreso del moro.

-E’ meraviglioso, la luce dei miei occhi, ma allo stesso tempo è possessivo e geloso proprio come te.

Anche se avessi voluto non avrei potuto cercare una nuova Omega perché Matthew l’avrebbe considerato un tradimento, avrebbe pensato che lui ed Amy non erano abbastanza per me e questa è l’ultima cosa che voglio…

Loro sono tutto il mio mondo…Proprio come lo eri tu.

Quindi no.

Non c’è stato nessun altro in tutti questi anni-

Dopodiché tornò a voltarsi e si incamminò velocemente lungo il sentiero che l’avrebbe condotto all’uscita più vicina, un inferno di pensieri incontrollati nella testa.

 

 

 Il trascorrere delle ore era stato scandito dalle tazze di tea che lentamente si erano accumulate nel salotto e sul piano della cucina.

Dopo aver lasciato Sherlock, John era tornato lentamente verso Baker Street, percorrendo un lungo tratto di strada a piedi prima di decidersi a prendere la metropolitana che lo avrebbe ricondotto a casa.

Per tutto il tragitto la sua mente non aveva smesso di concentrarsi sugli eventi provocati dalle novità apprese quella mattina.

Sherlock era vivo…Sherlock era tornato.

Non era a conoscenza di tutti i particolari che accompagnavano la complicata faccenda “Moriarty”, ma da quel poco che aveva intuito era evidente che per la prima volta, Sherlock aveva trovato qualcuno al suo livello, un  degno avversario con cui giocare ad armi pari.

Che questa persona fosse un pazzo a capo di un’organizzazione criminale estesa in vari continenti era soltanto un dettaglio, qualcosa che lo rendeva sicuramente meno noioso agli occhi del consulente detective.

Dal momento in cui Sherlock gli aveva voltato le spalle ed era uscito dalla sua vita, John aveva sempre mantenuto le distanze, decidendo di dare uno sguardo veloce ai giornali soltanto quando il nome di Sherlock era esplicitamente scritto nei vari articoli, lasciando all’uomo la “solitudine” di cui tanto aveva bisogno.

Ecco perché si era accorto troppo tardi di quello che stava succedendo, e quando ormai tutta la stampa e l’opinione pubblica inglese si erano rivoltati contro il consulente detective, lui non aveva potuto fare nulla per proteggerlo o per salvarlo da sé stesso.

Ma del resto, cosa avrebbe potuto fare?

Al momento della sua “morte” lui e Sherlock avevano interrotto qualsiasi contatto da oltre sei anni…Che senso avrebbe avuto correre in suo soccorso lancia in resta?

Sherlock probabilmente lo avrebbe odiato, ricordandogli per l’ennesima volta che sapeva badare a sé stesso e che non aveva bisogno della protezione di un’Alpha.

Con la morte di Sherlock quel capitolo della sua vita si era chiuso per sempre…O almeno questo era ciò che aveva pensato fino a ventiquattro ore prima.

Ancora una volta Sherlock era riuscito a sconvolgere tutti i suoi piani…

Era andato a quell’appuntamento con un’idea ben chiara in mente, pronto ad esporre il suo piano per poi andarsene deciso a non lasciare all’uomo nessun diritto di replica…Ma quando mai Sherlock gli aveva concesso l’ultima parola?

Essendo onesto fino in fondo con sé stesso, John doveva ammettere che rivedere il proprio Omega dopo tutti quegli anni gli aveva fatto uno strano effetto: l’immagine che per anni gli aveva fatto compagnia era molto diversa dall’uomo che si era presentato all’appuntamento quella mattina.

Un uomo, non più un ragazzino.

I riccioli che tanto amava erano stati sacrificati per la grande missione provocandogli una stretta al cuore inaspettata, i chili persi durante gli anni erano stati recentemente sostituiti da tessuto muscolare, ma comunque non evitavano che avesse un aspetto malnutrito e malcurato.

In fondo Sherlock non era mai stato capace di prendersi cura di sé stesso.

La rabbia aveva preso il sopravvento nei primi minuti del loro incontro, facendogli temere che avrebbe finito per prenderlo a pugni incurante dei propri buoni propositi, ma fortunatamente era riuscito a controllarsi e ad esporre il suo piano.

Quando quella mattina aveva preso in considerazione l’idea di rompere il loro Legame, aveva sinceramente creduto che fare quella proposta a Sherlock sarebbe stata soltanto una formalità, che il detective sarebbe stato felice di sciogliere la loro unione e non sentirsi più legato a lui da nessun legame, vero o di forma.

Sicuramente non si era aspettato un rifiuto tanto netto…Né una dichiarazione d’amore così appassionata.

Perché quel meraviglioso idiota non aveva fatto quella confessione anni prima quando era ancora possibile salvare qualcosa del loro rapporto?

Perché dirgli proprio ora quelle cose quando sembrava chiaro che il loro rapporto era destinato a finire?

Ma se davvero era così allora perché John aveva sentito il bisogno di dargli quell’ultima rassicurazione prima di andarsene?

Avrebbe potuto semplicemente continuare a camminare senza aggiungere altro, invece aveva dato ascolto ai suoi istinti che gli urlavano di mettere in chiaro le cose, di rassicurare il suo Omega che niente era cambiato, che lui era ancora Suo e che nessuno avrebbe mai potuto sostituirlo, malgrado tutti i suoi difetti e gli errori del passato.

Forse era proprio a causa di quegli istinti vecchi di millenni che non riusciva a smettere di pensare a quell’incontro.

Consapevole che presto i gemelli sarebbero tornati da scuola, John si adoperò per riordinare il salotto e la cucina, caotici più del normale e si preparò l’ennesima tazza di tea, preparandosi ad affrontare l’argomento con i suoi figli.

Si lasciò poi cadere sul divano, la testa abbandonata contro lo schienale di pelle e chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi.

Fu svegliato dal rumore della porta del loro appartamento che si apriva lasciando entrare i suoi figli.

-Ciao papà!-lo salutò Amy ferma sulla soglia, impegnata a togliersi il cappotto e la sciarpa, impedendo così al fratello di entrare.

-Ehi ragazzi!-li salutò John, quando finalmente anche Matty fece capolino nell’appartamento-Come è andata a scuola?- domandò rizzandosi a sedere.

-Noiosa come al solito-rispose prontamente Matty avviandosi in cucina, dove sua sorella aveva già tirato fuori dal frigo due succhi di mela per entrambi- Mr. Davids ci ha assegnato un nuovo progetto per scienze, questa volta sul corpo umano.

Credi che potremmo farci aiutare dalla zia Molly?-domandò sedendosi attorno al tavolo accanto a Amy.

John si alzò in piedi, la tazza di tea in una mano ed entrò in cucina, lanciando un’occhiata ad entrambi prima di alzare le spalle.

-Non vedo perché no…Ma voglio controllare il progetto e dare l’ok prima che voi lo sviluppiate, d’accordo?- rispose sedendosi a sua volta attorno al tavolo.

Due teste si mossero all’unisono prima di concentrarsi sulla propria merenda.

-Come mai non eri a casa quando ci siamo svegliati questa mattina?-domandò Matthew alzando gli occhi sul suo volto.

Era davvero strano trovarsi sotto quello scrutinio così attento due volte in così poco tempo…

John giocherellò per qualche istante con la propria tazza, cercando le parole più adatte per iniziare quel discorso così importante, finché si rese conto che soltanto con la verità  sarebbe riuscito a far capire ai gemelli cosa lo aveva spinto fuori di casa all’alba.

-So di avervi fatto una promessa ieri…Ma dobbiamo parlare ancora una volta di vostro padre-iniziò, lo sguardo sui propri figli.

Matty corrugò la fronte.

-Perché?-chiese il bambino.

-Davvero papà non ce ne è bisogno; va tutto bene adesso-aggiunse Amy.

John annuì.

-Lo so. Ma è importante che affrontiamo ancora una volta quest’argomento perché…Ci sono stati dei cambiamenti.

Presto tutti i giornali si occuperanno di vostro padre e l’ultima cosa che voglio è che voi scopriate la verità dai notiziari o dai vostri amici, perciò voglio che mi ascoltiate attentamente, ok?-disse loro con voce calma ed autoritaria.

Entrambi i ragazzi annuirono.

-Vi ricordate cosa vi ho detto a proposito della sua morte?-domandò poi.

Matty annuì.

-Che si era ucciso gettandosi dal tetto di un palazzo-rispose prontamente.

Questa volta toccò a John fare un cenno con il capo.

-Esattamente. Qualcosa è cambiato ieri…Ho scoperto che vostro padre è stato costretto a saltare giù dal quel tetto-disse cercando le parole più adatte per affrontare quel discorso delicato.

-Che vuoi dire costretto? Lo hanno buttato giù?-chiese Amy, una strana espressione in volto.

John scosse la testa.

-No. E’ stato minacciato: quest’uomo, il criminale che stava cercando di arrestare, aveva promesso di far del male a noi se non si fosse buttato…-spiegò l’uomo.

-Perché?-lo interruppe Matthew.

-Che vuoi dire?-chiese John alzando un sopracciglio.

-Noi non contiamo nulla per lui, quindi perché avrebbe dovuto gettarsi da un palazzo pur di proteggerci?-gli spiegò il bambino con voce pacata.

Ciò che ferì maggiormente John in quella frase non furono le parole, ma il tono di voce calmo e convinto con cui Matty le aveva espresse: l’assoluta certezza che Sherlock aveva smesso di pensare o di avere dei sentimenti per loro nel momento in cui se ne era andato.

Neanche John aveva mai pensato una cosa simile…

Allungando una mano sul tavolo per prendere quella più vicina a sé di Matty, John scosse la testa.

-Oh  Matty… Certo che siamo importanti! Voi eravate le persone più importanti nella vita di vostro padre-si affrettò a rassicurarlo.

-Papà per favore possiamo evitare di parlare ancora di questo?-gli chiese il bambino, liberando la mano dalla sua.

-In fondo che importa? Ok è stato minacciato e non lo ha fatto volontariamente, ma questo non cambia il fatto che è morto…-disse Amy cercando di superare quel momento di impasse.

-No, non lo è-rispose John tornando a guardare i due gemelli.

Un’espressione confusa mista a scetticismo, perfettamente identica, si dipinse su entrambi i volti.

-C-come?-domandò Amy.

-E’ ancora vivo- confessò John prima di prendere un respiro profondo- Vi giuro che non ne avevo la minima idea fino a questa mattina, ma vostro padre è ancora vivo-

-Come è possibile? Non si sopravvive ad una caduta da quell’altezza…-chiese ancora la bambina, dando voce alle domande di entrambi.

John annuì.

-E’ vero, sono perfettamente d’accordo con te.

Sinceramente non ho la minima idea di come ci sia riuscito, ma c’è l’ha fatta ed ha passato gli ultimi tre anni in giro per il mondo impegnato a smantellare una rete criminale in modo che nessuno potesse farci del male.

E..E ora è tornato a Londra-concluse.

-Lo hai incontrato?-domandò Matty, parlando nuovamente dopo un lungo silenzio.

John posò lo sguardo sul bambino ed annuì.

-Questa mattina, mentre voi eravate a scuola-confermò.

-Perché?-chiese incredula Amy.

A quella domanda, l’uomo si lasciò andare ad un sospiro spezzato.

-Non è facile…Ho deciso di incontrarlo con un’idea chiara in mente…-raccontò.

-Volevi rompere il vostro Legame-lo interruppe Matty, leggendo chiaramente le sue intenzioni sul suo volto.

-Già quella era la mia idea-confermò John sincero.

-Ma non lo hai fatto-continuò il bambino.

Quel brevissimo scambio fece sorridere John, ricordandogli quante volte si era ritrovato in quella posizione con Sherlock, costretto a rivelare segreti che non era ancora pronto a confessare soltanto perché un lieve tremore nei suoi muscoli facciali lo aveva tradito.

-No, non l’ho fatto…Ed ora sono indeciso- disse portando lo sguardo ancora una volta su entrambi i gemelli-Vostro padre vuole incontrarvi-annunciò.

Le reazioni a quella notizia non avrebbero potuto essere più diverse: mentre sul volto di Amelia apparve chiaramente la confusione e la sorpresa, il volto di Matthew si chiuse alle emozioni, rendendo ancora più evidente la somiglianza con Sherlock.

-Non capisco…-disse Amy in un sussurro.

-Vostro padre si è scusato per averci lasciato e mi ha detto che vorrebbe ricominciare da capo…Che il suo più grande desiderio è provare a conoscervi…-

-Tu cos’hai risposto?-domandò con voce dura Matty.

-Gli ho detto che ne avrei parlato con voi e che sareste stati voi a decidere cosa fare-rispose prontamente John.

-E tu? Lo rivedrai ancora?-gli domandò Amy.

John notò una inaspettata ambivalenza osservando Amy: lo sguardo negli occhi di sua figlia lo implorava di dirle che avrebbe visto nuovamente Sherlock, ma il suo tono di voce sembrava esortarlo a negare, a rassicurare entrambi che quel capitolo doloroso della loro vita si sarebbe chiuso presto una volta per tutte.

-Non lo so davvero…Ero pronto a vivere il resto della mia vita da solo, prendendomi cura di voi due-disse scegliendo di essere onesto come aveva sempre fatto.

-Ma adeso lui è tornato e non riesci a reprimere i tuoi istinti Alpha-commentò Matty, facendolo quasi sentire incolpa.

-Anche, ma non è soltanto questo…Vostro padre ed io, nonostante tutti i nostri problemi, abbiamo sempre avuto un forte legame fin da quando eravamo bambini-disse incapace di trattenere un sorriso mentre i ricordi di un’infanzia lontana riaffioravano nella sua mente- Probabilmente non ci credereste, neanche se vi raccontassi tutto fin dal principio, ma io sono stato davvero fortunato ad incontrare vostro padre.

Lui è stato il mio migliore amico, prima di diventare il mio Omega, e spesso in questi anni ho sentito la sua mancanza.

Nessuno è mai riuscito a capirmi come lui.

So che forse non riuscirò a salvare il nostro Legame, ma voglio provare a salvare la nostra amicizia.

-Detto questo però, non vi farò nessuna pressione perché voi instauriate un rapporto con vostro padre.

Come ho già detto, è una vostra decisione ed io la rispetterò completamente, qualunque essa sia-concluse, certo che i suoi figli avrebbero visto la profonda sincerità delle sue parole.

Per un lungo istante nella piccola cucina cadde il silenzio, mentre i due ragazzi rifletterono sulle parole del padre, analizzandole da ogni punto di vista.

Il primo a parlare fu, ovviamente, Matty che ruppe il silenzio prendendo sospirando rumorosamente.

-Per quanto mi riguarda non è cambiato nulla: lui è un estraneo per me, quindi non voglio incontrarlo-disse sostenendo lo sguardo di John.

L’uomo annuì, accennando un sorriso rassicurante per dimostrare al figlio che, nonostante le loro scelte fossero diverse, John lo amava ancora incondizionatamente.

-Ok, lo capisco-si limitò a commentare.

-Io invece voglio incontrarlo-disse Amelia cogliendo i due uomini di sorpresa.

John portò lo sguardo sulla bambina, sentendo accanto a sé Matty voltarsi a volta verso la sorella.

-Io sono d’accordo con te Matty, ma allo stesso tempo sono curiosa e adesso che ne ho la possibilità voglio fargli tutte quelle domande che non hanno trovato risposta in tutti questi anni.

Perciò voglio incontrarlo-ripeté guardando il fratello.

I due gemelli intrattennero una conversazione silenziosa fatta di sguardi che portò Matthew ad annuire lentamente.

John incontrò lo sguardo di sua figlia, scoccandole un lieve sorriso.

-Ok-

-Però non voglio che venga qui, possiamo incontrarci da qualche altra parte?-gli domandò.

-Certo, nessun problema-la rassicurò John.

-Ok, possiamo andare in camera nostra?-domandò ancora Amy, dopo essersi lasciata andare ad un lieve sospiro.

-Sì, ma prima voglio un abbraccio-disse l’uomo alzandosi in piedi.

I due bambini aggirarono la tavola e si tuffarono fra le sue braccia, cercando in quell’abbraccio protezione e la rassicurazione che malgrado i cambiamenti inaspettati, niente li avrebbe allontanati o avrebbe modificato il loro rapporto.

 

 

 

Alle dodici e trenta del giorno dopo, poche ore prima che la notizia del suo ritorno nella terra dei vivi venisse comunicata alla stampa, Sherlock era seduto in un anonimo Starbuck, osservando gli uomini d’affari in pausa pranzo che mangiavano il loro pranzo con il naso immerso nel BlackBerry, i turisti con una guida sotto il braccio alle prese con il menù sconosciuto, le mamme e papà del circolo “Omega & Kids” che si raccontavano le avventure della loro settimana e le gioie e dolori di essere neogenitori, uno sguardo sempre vigile verso la porta in attesa del suo ospite.

John lo aveva contattato quella mattina tramite messaggi, invitandolo allo Starbuck in Marylebone Street, poco distante da Baker Street, ma a dedita distanza da evitare eventuali incontri spiacevoli.

Incontrarsi in un luogo privo di ricordi o di significato poteva essere un segno positivo, la dimostrazione che John era pronto a ricominciare da zero ed offrirgli una seconda possibilità, oppure poteva essere un chiaro segno negativo con cui John intendeva fargli capire che da quel momento le loro strade si sarebbero separate definitivamente.

A salvarlo dalla girandola dei suoi pensieri, come sempre, arrivò John che scelse proprio quel momento per entrare nel caffè.

Si guardò velocemente intorno e, dopo averlo individuato ad un tavolino d’angolo, si diresse verso il bancone per fare la propria ordinazione.

Sherlock lo scrutò attentamente nei brevi minuti che l’uomo passò in attesa del proprio caffè, notando la tensione dei suoi muscoli, le spalle del cappotto umide di pioggia ed i capelli sconvolti dal vento.

Come al solito aveva preferito correre sotto la pioggia piuttosto che portarsi dietro un ombrello…

Finalmente l’uomo si avvicinò al tavolo e gli fece un cenno di saluto con il capo, gli occhi fissi sul suo volto.

-Ciao Sherlock-lo salutò.

Decisamente un passo avanti rispetto al loro primo incontro…

-Ciao John-lo salutò a sua volta osservandolo mentre si sedeva di fronte a sé- Non ti ho visto per anni e invece adesso non riusciamo a stare lontani per più di 24 ore…Mi sento fortunato-commentò cercando di rompere il ghiaccio neanche fossero una coppia al primo appuntamento.

John accennò un sorriso, facendo accelerare i battiti del cuore del detective.

-Già…Mi sento fortunato anche io…-commentò prima di prendere un lungo sorso dal proprio bicchiere.

(Caffè, una spruzzata di latte, niente zucchero)

Per alcuni istanti i due uomini restarono in silenzio, guardandosi di sottecchi, bevendo i propri drink, godendo della compagnia silenziosa dell’altro, finché John non  si schiarì la gola, pronto ad affrontare l’argomento che li aveva condotti lì.

-Dunque… Ho parlato con i ragazzi e ho provato a spiegare loro come era possibile che malgrado fossi caduto dal tetto del Barts non eri davvero morto…-iniziò.

-Altra fortuna?-tentò Sherlock.

-Non esagerare Sherlock…Comunque, gli ho detto che volevi vederli e che sarebbe stata una loro decisione incontrarti o meno e soprattutto che non sarei rimasto deluso in un modo o nell’altro…-continuò il biondo.

-E?-

John prese un profondo respiro e tornò ad incontrare il suo sguardo, le mani strette attorno alla tazza.

-Matty non vuole vederti.

Mi ha chiaramente fatto capire che non ha intenzione di cambiare idea su di te-gli disse, una nota triste nella voce.

Sherlock annuì lentamente.

-Lo capisco…Fa male, però posso capirlo-commentò.

-Matthew è identico a te…-disse John, un lieve sorriso ad inarcargli le labbra-Alle volte è una cosa positiva altre invece significa soltanto guai.

Ha bisogno di tempo per riflettere ed elaborare i propri sentimenti-gli disse convinto.

Il moro arricciò le labbra incerto: se suo figlio aveva una minima percentuale del suo carattere, allora avrebbe continuato a portare rancore per il resto della sua vita.

-Che mi dici di Amelia?-gli domandò allontanando la mente da quei pensieri bui.

-Beh, è stata una sorpresa, ma ha deciso che vuole incontrarti-lo informò John.

-Oh…-disse Sherlock, incredulo prima di riprendere il controllo di sé- Beh, se avessi dovuto scegliere un membro della famiglia Watson che si mostrasse disponibile e mi offrisse un ramoscello d’ulivo, avrei sicuramente scelto lei-

John aggrottò la fronte, portando il moro ad accennare un sorriso.

-Amelia è identica a te: il suo lato Watson deve essere terribilmente curioso, proprio come lo eri tu-commentò fissando gli occhi blu oceano dell’ Alpha.

Sentendo la forza dello sguardo di ghiaccio dell’uomo, John deglutì visibilmente prima di abbassare lo sguardo sul tavolino.

-Credo di sì…

Ha detto che è disposta ad incontrarti, ma che non sei ammesso a Baker Street-gli disse.

-Posso capirlo, in fondo quella è casa  vostra- convenne il moro.

John annuì.

-Quindi decideremo dove potrete incontrarvi, magari un posto tranquillo dove potrete parlare con calma, e ovviamente ci sarò anche io nel caso le cose dovessero mettersi male e Amy volesse tornare a casa prima del previsto…-spiegò John in modo pratico.

-Ovviamente.

Fammi sapere dove e quando e sarò lì-gli promise Sherlock.

John scelse quel momento per sollevare la tazza di caffè e coprire parte del volto in modo da nascondere parzialmente lo scetticismo che quelle parole avevano provocato in lui.

Cosa sarebbe successo se, una volta organizzato l’appuntamento, Sherlock non si fosse presentato deludendo così non soltanto lui, ma anche Amelia?

Era davvero pronto a correre quel rischio?

-Che mi dici di noi?-gli domandò Sherlock riportando la sua attenzione al presente.

Tornando a posare la tazza semivuota sul tavolo, John sospirò.

-Non lo so…Ho passato tutta la notte a rifletterci sopra.

Una parte di me mi urla di continuare a vivere la mia vita come ho sempre fatto, evitando così nuove delusioni e di riaprire vecchie ferite.

Ma c’è una voce dentro di me…-gli disse senza incontrare il suo sguardo.

-Cosa?-lo esortò l’altro.

Stanco di nascondersi, John affondò lo sguardo in quello dell’Omega.

-Mi manchi.

Mi manca il mio migliore amico…Il bambino di 7 anni che mi ha mostrato l’uovo d’uccello avvolto nella coperta come se fosse la più grande scoperta scientifica di tutti i tempi; o il bambino di 13 anni che mi ha convinto a baciarlo sostenendo per tutto il tempo che si trattava di un esperimento, anche se entrambi sapevamo che era una balla…

Mi manca osservarti immerso nel tuo Palazzo Mentale e la luce che si accendeva nei tuoi occhi ogni volta che arrivavi alla soluzione di un mistero, o quando dicevo qualcosa di terribilmente banale ma che per te era brillante…

Posso riavere tutte queste cose?-gli domandò incapace di nascondere un lieve tremore nella voce.

Sherlock lo fissò in silenzio per qualche secondo, combattendo contro il desiderio di aggirare il tavolo e sedersi sulle sue ginocchia per confortarlo, per rassicurarlo che per tutti quegli anni lui c’era sempre stato, nonostante la lontananza, fargli capire con ogni mezzo possibile che John Watson era l’unica persona al mondo capace di renderlo intero.

-Ho smesso di prendere i soppressori dell’odore-disse invece.

John a quelle parole aggrottò la fronte, chiaramente sorpreso da quel repentino cambio d’argomento.

-Non voglio più nascondermi, voglio che tutti sappiano che sono un’Omega e che ho un Legame, non importa quanto assurdo o impossibile possa sembrare agli occhi della gente-gli disse.

-E’ una sorta di dichiarazione politica?-gli domandò leggermente offeso John.

Sherlock scosse la testa.

-No, è il mio modo di dimostrarti che sono davvero pronto.

Mi ricordo quanto ti piacesse il mio odore e quanto ne hai sentito la mancanza quando ho iniziato ad usare i soppressori, quindi ho deciso di farlo per te.

Farei qualsiasi cosa per riaverti…Dì una parola e sarò di nuovo Tuo, in tutti i modi possibili-gli disse terribilmente sincero.

Ancora una volta John deglutì rumorosamente, spiazzato di fronte a tanta sincerità e si inumidì le labbra, prima di fare un minimo cenno con il capo.

-Ok…Ma faremo le cose con calma.

Ci incontreremo una o due volte la settimana per un caffè e per fare quattro chiacchiere, sui ragazzi o su quello che ci è capitato durante la settimana, e vedremo se stiamo ancora bene insieme… (“Se c’è ancora qualcosa che vale la pena salvare nel nostro rapporto…)Ed insieme decideremo come procedere-gli disse con la tipica voce sicura dell’Alpha.

Sherlock annuì, felice che John fosse disposto a concedergli un’altra possibilità.

-Bene...Visto che siamo d’accordo, sarà meglio che torni verso casa…E’ quasi ora di tornare al lavoro-disse alzandosi in piedi.

-Ti faccio sapere qualcosa non appena Amelia decide dove e quando vuole incontrarti-aggiunse.

-Quando posso rivederti?-gli domandò Sherlock.

John si passò una mano sulla fronte, riflettendo velocemente.

-Venerdì. I gemelli restano a scuola fino alle cinque per i loro club, quindi non dovrei avere problemi-

Sherlock annuì.

-A venerdì-lo salutò.

John annuì a sua volta, le mani affondate nelle tasche del cappotto.

-A venerdì-

 

 

Salve a tutti!!!

Come state? Prima di tutto volevo ringraziarvi la risposta inaspettata che questa FF ha ricevuto: non avendo mai visto Omegaverse su questo sito ho temuto che anche "The Sign of Four" sarebbe stata snobbata...Sono tremendamente felice di essermi sbagliata!

Inoltre volevo scusarmi per il terribile edit che è stato fatto nel 1 capitolo, ed ammetto le mie colpe, ma in quei giorni mi stavo riprendendo dall'influenza e dalla febbre, quindi sono stata meno attenta del solito...Prometto che non si ripeterà più!

Non fatevi scupolo a fare domande se ci sono dei termini che non vi sono chiari, o se avete bisogno di un Omegaverse glossario, sarà mio piacere venirvi incontro.

Ringrazio tutti coloro che leggeranno e recensiranno questo capitolo e chiedo scusa per eventuali errori di ortografia e/o battitura.

Il titolo e la frase all'inizio del capitolo sono tratti da una canzone omonima degli Artic Monkeys.

Ed ora i ringraziamenti:Miriam Malfoy(Grazie per i complimenti!Se devo essere sincera, all'inizio ero restia verso le Omegaverse, ma dopo aver letto la prima sono entrata nel tunnel e ancora non ne sono uscita XD; Anche io adoro Matty, anche se nella mia mente c'è in lui qualcosa di Matt Smith, forse i capelli, ed il renderlo così simile a Sherlock è stata quasi una sfida con me stessa, padre e figlio sono allo stesso tempo diversi, ma complementari, e le loro differenze verranno fuori soprattutto quando i due saranno costretti ad interagire nei prossimi capitoli...Per quanto riguarda John, c'è un limite di delusioni che il cuore è disposto ad accettare prima di rifiutare per sempre una persona, speriamo solo che Sherlock non si sia giocato tutte le sue possibilità),Luuuuula(Benvenuta in questa nuova FF!Ahahahahah già La Caduta è un perfetto punto di partenza per un inizio carico di angst, ma come hai visto in questo capitolo i problemi sono iniziati molto tempo prima dell'arrivo di Moriarty e sono tutti imputabili al nostro adorato Sherlock...Però posso dirti che, contrariamente all'altra fiction, Sherlock farà tutto il possibile per dimostrare a John il suo amore),Little Fanny(Ho realizzato un sogno senza saperlo... ^_^ Chiedo scusa per la lunghezza del capitolo, ma come puoi vedere, sembro incapace di scrivere capitoli brevi XD ...Eh già, un'idea che qualcosa non fosse proprio come doveva il nostro John l'aveva avuta, ma aveva preferito convincersi che fosse solo suggestione o dovuta all'intensità del loro Legame, principalmente per evitare di soffrire ancora di più dopo la morte di Sherlock...Per una volta ho voluto dipingere Mycroft come un uomo che farebbe di tutto per la propria famiglia, anche andare contro il proprio adorato fratello, senza però lasciarsi andare alla crudeltà come ho letto tante volte in altre FF...Myc sarà autoritario e freddo, ma non riesco proprio ad immaginarlo come l'orco cattivo della situazione XD...Amelia e Matthew sono il mio tesoro, personalmente li adoro, perchè finora sono unicamente Watson, ma prima o poi la loro parte Holmes dovrà venir fuori, e non vedo l'ora di scatenarmi...),Neryssa(Prima di tutto ti ringrazio per avermi fatto notare i miei obbrobbri, ma quella settimana ero uno straccio ed ho tralasciato un'ulteriore verifica del capitolo prima di postarlo sul sito...Prometto che non accadrà di nuovo! XD ... Se hai bisogno di qualche altra spiegazione riguardo all'Omegaverse, non farti scrupolo e chiedi pure, sarò felice di aiutarti! ^_^ ... Prometto che il passato di John & Sherlock verrà spiegato e con esso i motivi che hanno portato Sherlock ad andarsene).

Bene, per il momento io vi saluto e vi do appuntamento al prox capitolo...

"Have we ever met before?"

Baci,Eva

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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