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Autore: Inathia Len    27/04/2014    3 recensioni
EX "BE MY MIRROR, MY SWORD, MY SHIEDL
Rivisitazione della terza stagione ad opera del mio cervello malato.
E se Sherlock decidesse di tornare non solo perché vuole rivedere John, ma perché è la sua ultima occasione? Che cosa nasconde il consulente detective?
E se John, compagno di Sherlock, non avesse mai incontrato Mary, sarebbe ancora stato innamorato di Sherlock due anni dopo la caduta?
NOTE: 1. Johnlock
2. nessunissima Mary o Magnussen, ma pura e semplice angst
3. può essere che Sherlock risulti un po' OOC, mi sfugge sempre, quel bravo ragazzo
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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A poco a poco il nero lasciò il posto anche ad altri colori, mentre apriva piano gli occhi. Era sera, si rese conto, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra, ed era in ospedale. Il rumore dell’elettrocardiogramma e l’odore glielo confermarono in un attimo, così come anche la flebo infilata nel suo braccio e l’infermiera che stava controllando i suoi parametri.

Ricordava poco o niente di quello che era successo. Sapeva che Lestrade era venuto a casa loro, che li aveva invitati a uscire per mangiare qualcosa, ma John aveva detto di no… poi lui si era alzato, forse, ma poi era caduto.

Dopo quello, il nulla.

Si voltò verso l’infermiera, una donna sulla cinquantina che gli ricordava un roseo uovo di Pasqua, e studiò la stanza, ma non c’era nulla, lì dentro, che gli potesse fornire qualche indizio.

Provò a muoversi, ad alzarsi leggermente, ma un capogiro lo obbligò a fermarsi.

-Signor Holmes, stai fermo- lo rimproverò l’infermiera-uovo, senza staccare gli occhi dalla sua cartella clinica. –Sono tre giorni che cerchiamo di tenerti in vita, cerca di non rovinare tutto subito- disse, sorridendogli alla fine della tirata. Non era brutta, ma c’era qualcosa in quel sorriso che lo inquietava. Forse, era colpa dei denti storti e gialli. Per il resto, i capelli biondi e fini erano raccolti in una coda alta e gli occhi scuri erano gentili.

-Tre giorni?- chiese Sherlock, la voce in un sussurro.

-Esatto. Hai fatto il bel addormentato per un sacco di tempo. Ci hai fatto preoccupare, sai?- disse l’infermiera, parlandogli come se avesse cinque anni e avesse speso tutta la sua paghetta in dolci, finendo per procurarsi una carie.

-John?- fu l’unica cosa che gli venne da chiedere. Se lui era rimasto incosciente per tre giorni, John doveva essere morto dalla paura…

-Intende l’uomo che era con lei, il dottor Watson? È di là, nella sala d’aspetto. Sono tre giorni che l’aspetta.-

Due anni, l’avrebbe voluta correggere Sherlock, ma lasciò perdere.

-Comunque è là fuori, credo stia dormendo- concluse l'infermiera, rivolgendogli un sorriso gentile. Di sicuro quella donna era pagata da Mycroft, nessuno gli avrebbe mai sorriso gratuitamente. Sherlock si lasciò cadere sui cuscini.

-Che ore sono?-

-Le quattro di mattina.-

-Può farlo entrare?-

Di nuovo la donna sorrise e, ancora di più, a Sherlock sembrò un uovo di Pasqua.

-Lo vado a chiamare. Lei rimanga a letto, però.-

Poi la donna-uovo sparì, aprendo la porta e facendo passare uno spiraglio di luce. Sherlock socchiuse gli occhi.  Per quanto minima, quella luce era troppo forte dopo tre giorni di buio assoluto.

-...non lo faccia affaticare- stava dicendo l'infermiera. -Ma direi che il peggio è passato. Ha solo bisogno di riposo.-

John risposte con un borbottio sommesso e poi si avvicinò al letto.

-Come ti senti?- chiese, stropicciandosi gli occhi stanchi.

-Da quanto tempo non dormi?- ribatté Sherlock, lasciando John senza parole.

-Sei stato in coma per tre giorni e io avrei dovuto dormire?-

-Possiamo smetterla di rispondere alla domanda dell'altro con una domanda?-

-E tu cosa hai appena fatto?-

Sherlock fece una smorfia.

-Quello doveva essere un sorriso- mormorò, facendo spazio a John perché potesse sedersi accanto a lui sul letto.

-Lo avevo intuito. Comunque, per rispondere alla tua domanda, sono riuscito a dormire solo quando mi hanno detto che eri stabile e che non mi avrebbero fatto entrare. Circa ieri pomeriggio, quindi.-

-E io, per rispondere alla tua, di domanda, sto abbastanza bene. In fondo, sono tre giorni che dormo.-

John tirò fuori il cellulare.

-A chi scrivi?-

-Greg... Oh, Lestrade, smettila di faremo ripetere ogni volta. Voleva che gli mandassi un messaggio quando ti saresti svegliato.-

Sherlock chiuse gli occhi e John si appoggiò a lui, su un fianco, una volta messo via il telefono. Gli poggiò la testa sul petto e gli circondò la vita con un braccio, affondando la testa nel suo collo e inspirando profondamente.

-Non farlo mai più, ok?- mormorò, stringendolo forte.

-Sarà inevitabile. E non sarà una cosa che potrò programmare... O tu preferiresti...?-

John sospirò.

-Io non "preferisco" un bel corno- virgolettò in aria, staccandosi per un momento dal corpo del compagno. -Quindi vedi di fare poche cavolate. Ci deve essere qualcosa, una cura...-

Sherlock scosse la testa piano, sempre con gli occhi chiusi.

-Mi sarei dovuto far curare prima, te l'ho già detto. Non possiamo semplicemente vivere questi ultimi giorni?-

Sentì John deglutire e sospirare pesantemente.

-Non puoi chiedermi una cosa del genere, non posso stare qui e vederti morire senza fare nulla. Non posso- mormorò con voce dura.

Fu il turno di Sherlock di sospirare.

-John, sai quanto sia difficile per me affrontare questo tipo di discorso. Non sono bravo con i sentimenti, né con i miei, né tanto meno con quelli altrui. Ci ho messo una vita e mezza ad accorgermi di quello che provavo per te e del fatto che noi potevamo essere qualcosa di più. Quindi ascoltami bene, perché probabilmente questo sproloquio è solo frutto dei mille medicinali che scorrono nel mio corpo e non si ripeterà mai più. Io ti amo, John Watson. È l'unica cosa certa della mia vita al momento, oltre al fatto che tra qualche giorno non potrei più esistere. Ti amo e sei stato la cosa più bella di tutta la mia vita.-

John lo baciò dolcemente e poi chiuse gli occhi, poggiando la sua fronte su quella di Sherlock.

-Dovresti prenderle più spesso, queste medicine.-

 

Tornò a casa un pomeriggio che pioveva, una settimana dopo il ricovero. I medici non avrebbero voluto lasciarlo uscire, non dopo così poco tempo e con le così alte possibilità di una ricaduta. Ma probabilmente era bastata una telefonata di Mycroft e Sherlock e John si erano ritrovati su un taxi diretti a Baker Street. Alla signora Hudson non avevano detto nulla, si erano inventati di essere stati fuori per un caso. In fondo, quando era uscita, sapeva che stava vendendo a trovarli Lestrade, quindi era piuttosto probabile che si fossero fatto coinvolgere nell'ennesimo caso.

Dopo aver sistemato un traballante Sherlock sul divano, avvolto nella coperta che ormai era la sua migliore amica, John era sceso dalla signora Hudson.

-John, finalmente siete tornati!- esclamò vedendolo, stringendolo forte. -Dove siete stati di bello?-

-In... Scozia- buttò lì John, accasciandosi sulla sedia.

-Scozia? È un bel viaggetto... Ma che hai, caro? Sembri stanco. Bisticcio tra innamorati?- chiese con tono da cospiratrice. -Perché ricordo quando litigavo con mio marito e il muso che mi veniva era proprio quello lì- stabilì, mettendo sul fuoco la teiera.

-Non abbiamo litigato, signora Hudson.-

Mentire stava diventando sempre più difficile. Amava Sherlock, se ne era accorto tardi, stavano insieme da appena qualche mese quando lui era "morto", e non voleva perderlo, non voleva affrontare tutto quello da solo. Ma non poteva parlarne con nessuno, Sherlock non avrebbe voluto.

Si prese la testa tra le mani, sospirando.

-Ora sarà meglio che torni di sopra, Sherlock si starà per svegliare.-

-Scommetto che si è addormentato sul divano- gli fece l'occhiolino la signora Hudson, spingendolo fuori dalla piccola cucina. -Vai, vai su. Che ti trovi lì quando si sveglia.-

-Sì, vado- mormorò John. -Vado.-

Prima che sia troppo tardi, pensò.

  
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