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Autore: Frances    20/07/2008    4 recensioni
Gin.
Sei un bugiardo
[ Gin x Rangiku ]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Gin Ichimaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[ 3. × Somewhere]

~ Lost in the darkness

Tried to find your way home

I want to embrace you

And never let you go

 

Ebbe una leggera esitazione solo quando si accorse di aver appena varcato il cancello dischiuso dei quartieri della Terza Brigata. Si fermò poco oltre, le gambe che di colpo si erano fatte pesantissime e tremanti, tormentandosi nervosamente le unghie rovinate, torcendosi le mani sudate un po’ a causa dell’uso prolungato dello shunpo, un po’ per l’agitazione che inaspettatamente l’aveva pervasa nello scorgere, in lontananza sulle porte della caserma, i tre simboli neri ed orizzontali della Terza Divisione.

Aveva corso fin lì a perdifiato, senza pensare ad altro che al momento in cui sarebbe arrivata, contando i passi che ancora la distanziavano da quel cancello; tuttavia ora, con il fiato grosso ed il cuore che pompava il sangue ad una velocità rumorosa ed asfissiante, desiderò ardentemente di potersi voltare per lasciarsi quel luogo alle spalle una volta per tutte. Di poter vincere ancora una volta quella lotta estenuante che stava combattendo con sé stessa da ormai un mese.

 

La caserma intera risuonava delle risate degli shinigami che si svagavano in compagnia dopo una lunga giornata di servizio; il sole stava lentamente tramontando oltre i tetti delle costruzioni spartane, macchiando il cielo di una vivida ed inquietante colorazione sanguigna. Rangiku deglutì, stringendo forte in un pugno il bordo del kimono, cercando in ogni modo di rallentare il ritmo nervoso con cui il suo cuore continuava a battere, riprendendo fiato in profondi respiri.

Sapeva che se fosse riuscita ad andarsene, ripercorrendo la strada che si era appena lasciata alle spalle, forse si sarebbe liberata definitivamente di quell’ansia soffocante che aveva stagnato dentro di lei fin dall’ultima volta che aveva messo piede in quel quartiere, diventando di giorno in giorno più insopportabile. Forse, se avesse rinunciato e si fosse sforzata di dimenticare, ignorando quelle grida disperate che dentro di lei la imploravano di proseguire…forse, in quel caso, sarebbe sfuggita per sempre agli effetti devastanti di quella maledizione.

 

Osservò la calma discesa del sole che andava a rifugiarsi aldilà dell’orizzonte, lasciandosi alle spalle una scia di tonalità aranciate: pallidi fiordalisi parvero sbocciare tutt’intorno a lei, scuri simboli stilizzati sulle pareti degli edifici, contornati dalla luce fioca delle lanterne in lenta accensione.

 

Quando mosse il primo passo, si rese conto di aver perso qualsiasi speranza.

Era sola, in conflitto con sé stessa, e aveva resistito per fin troppo tempo. Non sarebbe mai riuscita a vincere quella battaglia.

Suo malgrado, aveva bisogno di vederlo.

Mentre avanzava a passo deciso verso l’ufficio del Capitano, accelerando l’andatura, ansimando, rivide quella bambina del Rukongai che, dopo giorni di incertezze e di completo e distaccato abbandono, correva attraverso le strade polverose. Correva e lo cercava, implorando silenziosamente che tornasse a stringerle la mano durante le notti più fredde.

Se ne rese conto con dolorosa chiarezza.

Ormai per lei non c’era più alcuna via d'uscita.

 

(×××)

 

Quando sentì la sua voce inconfondibile risalire lungo il corridoio, attraverso le porte socchiuse del suo ufficio, Rangiku ebbe un tuffo al cuore. Se ne stava seduta sulla scrivania, le gambe penzoloni e le caviglie sovrapposte, le mani strette con forza attorno ai bordi di legno spesso. Si strinse nelle spalle, mentre ciocche di capelli le sfuggivano davanti agli occhi, o le ricadevano in morbide ondulazioni lungo la curva dei seni. Non sapeva esattamente quanto tempo fosse passato da quando, lasciando scivolare nostalgicamente le dita lungo gli spigoli del tavolo, aveva fatto leva sulle braccia per issarcisi, lasciando tintinnare Haineko – infilata orizzontalmente nelle pieghe posteriori dell’obi – e i magli della sottile catenina che portava al collo; gli hakama avevano frusciato rumorosamente, sovrapponendosi al crepitare dei tanti fogli sparsi disordinatamente sul ripiano della scrivania – forse una quantità esorbitante di lavoro arretrato.

Era rimasta al buio, con gli occhi chiusi: quella stanza l’aveva sempre messa a disagio. Forse la inquietava l’idea che lui vi passasse la maggior parte del suo tempo, o che quei fogli fossero passati distrattamente nelle sue mani più di una volta…o forse era solo l’atmosfera a metterla in soggezione. Tutta quella stanza era sempre stata permeata del suo odore fin dalla prima volta in cui vi aveva messo piede. Quel suo odore che le faceva tornare in mente cose che non era completamente certa di voler ricordare.   

Sentì i passi di più persone sovrapporsi e avvicinarsi, una risata accennata, i suoi intercalari ricorrenti ed irritanti.

« …vai pure a dormire.» stava dicendo con tono dolciastro, un attimo prima di fermarsi davanti alle porte del suo ufficio. Rangiku detestava quando parlava in quel modo « Hai fatto un buon lavoro, oggi, Izuru.»

« Grazie Capitano!» Rangiku intravide l’espressione contrita sul volto del luogotenente Kira mentre si inchinava profondamente, poi lo osservò dileguarsi in un susseguirsi rapido di passi goffi sul pavimento di legno.

Poi vide la sua mano insinuarsi nella fessura fra i due battenti accostati, ed un istante dopo l’ufficio fu inondato da un’ampia lama di luce.

Gin Ichimaru si accorse di lei quasi subito; rimase immobile tra le porte aperte, una figura contro luce che proiettava la propria ombra slanciata verso l’interno, e su di lei.

« Rangiku.» disse con pacata sorpresa; rimase in silenzio per un istante, poi lo smarrimento scomparve del tutto dalla sua espressione e fu sostituito da un sorriso – uno dei suoi sorrisi – che lei vide a malapena, seminascosto dalle ombreggiature che gli oscuravano il volto « Che visita inaspettata.»

Rangiku deglutì mentre scendeva dalla scrivania con un breve balzo. I suoi sorrisi potevano voler dire qualsiasi cosa, e lei non aveva ancora imparato ad interpretarli: era una cosa che le provocava una gran rabbia ed un’insopportabile mortificazione.

Gli andò incontro a passi brevi, ravviandosi tranquillamente i capelli, ignorando le fitte convulse che avevano iniziato a tormentarle lo stomaco.

« Ti vedo dimagrito, Gin.» iniziò, raggiungendolo, fermandosi al suo fianco ed intrecciando le braccia appena sotto i seni « Mangi con regolarità?» il tono avrebbe dovuto essere scherzoso, ma non le riuscì in alcun modo di sorridere; più che un’osservazione divertita, sembrò il rimbrotto ansioso di una madre preoccupata, e suonò alquanto fuori posto in quella situazione.

Tuttavia Gin non parve farci caso e, anzi, sembrò trovare divertente l’idea di reggerle il gioco: voltò il capo verso di lei, le sopracciglia lunghe e sottilissime che si sollevavano in due archi perfetti mentre la piega del suo sorriso mutava in maniera impercettibile:

« La donna per cui ho completamente perso la testa mi ha ignorato ed evitato per un mese intero. A causa sua ho perso anche la voglia di mangiare.» lo disse con voce abbattuta, cantilenante, sfiorandosi la fronte con le dita in un gesto melodrammatico.

Questa volta non le fu affatto difficile rispondergli con una risatina accennata; tuttavia non seppe dire se quel divertimento fosse sincero o se fosse solo frutto di un estremo nervosismo.

« Vorrei davvero conoscerla, Gin, la misteriosa donna che turba il tuo cuore.» lo disse senza guardarlo, muovendo qualche passo lungo il corridoio, senza aggiungere nient’altro. Per un attimo pensò che l’avrebbe lasciata andare senza dirle una sola parola, ma poi udì lo schiocco dei battenti che tornavano a congiungersi -  ed in un attimo lui fu al suo fianco: la luce calda delle lanterne posizionate lungo le pareti disegnavano strani giochi di luce sul suo haori bianco, mentre, ad ogni passo, si gonfiava lungo gli hakama.

« Per me sarà un piacere presentartela, Rangiku, un giorno di questi» dischiuse le labbra, trattenendo una delle sue risate maliziose. « Ma potresti ingelosirti.»

Rangiku lo guardò con la coda dell’occhio, mentre avanzavano, scrutando sospettosa quel sorriso enigmatico che non abbandonava mai la sua bocca. Non era mai riuscita a comprendere quanta autenticità si nascondesse in quel suo modo di sorridere. Le sue vere risate erano molto più intense, ed erano stranamente contagiose; non capitava spesso che lei le sentisse, né che lui se le lasciasse sfuggire.

Dopo qualche istante durante il quale si limitarono a camminare lungo il corridoio silenzioso e deserto, accompagnati dal battere ritmico dei loro stessi tabi sul pavimento, Gin inspirò profondamente:

« A cosa devo questa visita, cara Rangiku?» sembrava rassegnato, ma lei si rifiutò di guardarlo in volto. Non voleva scorgere nuovamente quel ghigno ingannatore, mentre per un attimo, ascoltando il suo tono di voce, si illudeva di essergli davvero mancata.

« Nulla. Ho voglia di parlarti, e vorrei che mi offrissi un thè.» lo disse con voce atona, lanciandogli un’occhiata bieca « Ti rifiuti?»

Il sorriso di Gin sparì per qualche istante, sostituito da un’espressione leggermente confusa; poi, inaspettatamente, il tono con cui le rispose aveva uno strano e fin troppo familiare retrogusto dolciastro:

« Certo che no. Sono tutto tuo.»

Rangiku preferì non voltarsi.

 

(×××)

 

Non si stupì quando Gin declinò la proposta di andare nella solita taverna, quella in cui lei si rifugiava assieme ai suoi occasionali compagni di bevuta; lui scosse il capo con aria contrariata e annunciò che l’avrebbe ospitata nella sua stanza in caserma, dicendolo con un tono che non ammetteva repliche. Gin non aveva mai sopportato i luoghi chiassosi ed affollati.

Salutò con un cenno rapido della testa alcuni shinigami che li incrociarono lungo la strada principale, guardandoli appena mentre si chinavano rispettosamente al cospetto del loro Capitano. Gin ghignò con aria divertita, concedendo loro un garbato saluto, mostrando la mano aperta in un gesto compiacente.

« Vi auguro un buon proseguimento di serata.» aggiunse melodiosamente, prima che i due si dileguassero. 

Rangiku conosceva fin troppo bene la strada per raggiungere la stanza del Capitano Ichimaru; i passi si susseguirono l’uno dopo l’altro, senza esitazioni, mentre lui la seguiva in silenzio.

E non aveva dimenticato il sapore del thè bevuto in sua compagnia, quando si sedeva sui talloni davanti al tavolo basso, e lui la guardava – la guancia abbandonata sul palmo aperto – senza toccare la propria tazza. Cercando di ignorarlo, soffiò sulla bevanda un paio di volte, tenendo delicatamente la porcellana fra le mani. Non si sbagliava: la consapevolezza di avere lo sguardo sornione di Gin posato su di sé bastava a far perdere al thè qualsiasi sapore.

« Come al solito il tuo thè non sa di niente…» commentò, sospirando « Saremmo dovuti andare in taverna.»

Gin scosse il capo, deciso:

« Mai. Se dobbiamo stare insieme, ti voglio solo per me.» inclinò leggermente il capo, mentre un sorriso volpino gli illuminava il volto allungato « E non lamentarti del thè. Sai che non  mi piace.» passò distrattamente la punta di un dito lungo il bordo rotondo della tazza « Ti avrei dovuto versare il sakè senza stare a sentire le tue proteste.»

Rangiku mandò giù ostinatamente un altro sorso della bevanda; ora che ci faceva caso, forse ci era stato messo un cucchiaio di zucchero superfluo. Era tanto dolce da pizzicarle il palato.

« Stanotte non berrò una sola goccia di sakè.» annunciò, seria, poggiando tranquillamente la tazza sul tavolo di mogano laccato « L’ho promesso al mio Capitano.»

Gin sbuffò, giocando senza troppo interesse con il manico intrecciato della teiera panciuta e bollente in cui poco prima aveva mescolato svogliatamente il thè. Lungo la curva rigonfia della ceramica erano dipinti a mano, nello stile artigianale ed antico della scuola del clan Kyoraku, dei piccoli e rifiniti fiordalisi, la stessa fantasia che decorava anche i bordi spessi di tutte le tazzine.

« Il tuo giovane Shiro-chan è già un tipo piuttosto noioso, per l’età che ha, non trovi?» poggiò il gomito sul tavolo, insinuando le dita fra i capelli per dare appoggio alla testa china « Forse gli dedichi troppo tempo,» sollevò lo sguardo verso di lei, gli occhi socchiusi che tentavano di penetrarle l’anima sempre più in profondità « Non pensi più a te stessa, Rangiku?»

« Non sono come te, Gin, fortunatamente.» lei si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sorridendo con aria compiacente « Ho visto il lavoro arretrato che ti attende nel tuo ufficio.»

Quella critica velata gli fece cambiare posizione e perdere interesse nella teiera del servizio da thè che utilizzava così poche volte; mugugnò qualcosa di incomprensibile in risposta, stringendosi nelle spalle con aria del tutto disinteressata:

« E’ per questo che esistono i luogotenenti, no?» le rivolse l’ennesima occhiata divertita, incurvando le labbra in una smorfia soddisfatta.

Rangiku lisciò la stoffa degli hakama, leggermente a disagio. Le tornò brevemente in mente l’espressione di assoluta adorazione che aveva intravisto sul volto di Izuru Kira, quel giovane inesperto dall’espressione triste che scattava come un bravo animale da compagnia non appena Gin apriva bocca.

 

Tu sei come quel povero ragazzo, Rangiku. Non c’è niente di diverso.

…te ne rendi conto, vero…?

 

« Non ti permetterò di infangare il nome del mio Capitano.» lo minacciò a bassa voce, evitando di guardarlo. Aveva paura che incontrando i suoi occhi spaventosi lui sarebbe stato in grado di percepire tutte quelle chimere che, instancabili, si dimenavo dolorosamente dentro di lei.

« Shiro-chan sa cavarsela da solo, Rangiku. Non ha bisogno che tu lo protegga da tipi loschi come il sottoscritto.» ridacchiò lui tra sé e sé, esaminando con particolare interesse le increspature che percorrevano la vernice sulla sua tazza ancora colma di thè, per poi ricoprirla con il coperchio apposito, senza averla neppure toccata.

 

Sei un uomo tanto complicato, Gin.

Lo osservò in silenzio mentre si gingillava con le ceramiche, divertendosi come avrebbe fatto un bambino. I capelli lisci ed argentei sembravano essergli cresciuti dall’ultima volta che l’aveva visto, sul morire della primavera, appena un mese prima; ora arrivavano a sfiorargli gli zigomi, incorniciando il volto affilato, proiettando ombre appuntite sulla linea perfetta e lunga del suo naso sottile.

 

La bellezza di Gin Ichimaru non era ordinaria. I suoi occhi a mandorla non avevano mai avuto un taglio languido o rassicurante – anzi, erano sempre stati chiarissimi ed insondabili – e nessuna donna avrebbe mai definito attraenti le sue mani magre o le sue clavicole sporgenti.

Eppure c’era qualcosa nel suo modo di muoversi, nel suo particolare modo di impugnare la spada, nel suo composto e posato mettere un piede davanti all’altro. Per qualche oscuro motivo, seppure la sua presenza la colmasse spesso di inquietudine – sensazione che neppure gli anni erano riusciti ad affievolire – Rangiku non riusciva a distogliere gli occhi dalla sua figura asciutta e slanciata, dalle sue spalle larghe, dallo spigolo brusco delineato dalla sua mandibola. Anche quel suo modo di esprimersi – la sua parlata impersonale, sempre cortese, sempre ingannevole – riusciva in qualche modo a catturarla. Era sempre stato così, fin da quando erano bambini.

Rangiku serbava ancora nostalgicamente il ricordo del sorriso ingenuo che spesso aveva illuminato il volto puerile del ragazzino dai capelli argentati che le aveva salvato la vita, e che sembrava invece aver del tutto abbandonato i lineamenti dell’uomo che era diventato.

 

« Perchè sei venuta da me, Rangiku?» Gin glielo chiese dopo lunghi istanti di silenzio, senza alcun preavviso.

Lei lasciò che lo sguardo vagasse lungo le pareti di quella piccola stanza, sfiorando i contorni di un tansu di legno scuro – addossato ad uno dei muri –, raggiungendo i bordi del futon disteso poco più in là, cogliendo appena le decorazioni ricamate sul noren che pendeva all’entrata. Pensò che non le sarebbe bastata neppure tutta la notte per trovare le giuste parole da pronunciare; si era ripromessa di non bere alcolici per rimanere lucida – voleva che quella conversazione si svolgesse senza imprevisti – ma con un pensiero amaro si rese conto che spesso l’influenza dell’alcol la aiutava ad essere più coraggiosa. Con Gin non funzionava l’audacia che la contraddistingueva in battaglia.

Quando finalmente sollevò gli occhi, lo trovò in attesa, seduto scompostamente sul suo zabuton, gli occhi socchiusi, le labbra immobili nel fantasma di un sorriso.

Forse non mi prenderà sul serio neppure questa volta.

Forse non mi ha mai presa sul serio.

 

« …Gin, cosa siamo diventati?» bisbigliò, senza un tremito nella voce, stringendo forte i lembi dell’obi nelle mani, mentre sentiva i muscoli delle gambe contrarsi dolorosamente sotto il suo peso. Il divertimento sul volto di lui scomparve del tutto, dopo un rapido battito di ciglia; rimase silenzioso per qualche istante, risollevando il capo dalla sua posizione reclinata, poi si concesse un nuovo debole risolino:

« Perdonami, ma a volte l’odore del thè mi rende lento di comprendonio…potresti spiegarti meglio?»

« Accidenti, Gin!» sbottò di colpo lei, corrugando la fronte, forse alzando la voce più di quanto avrebbe realmente voluto « Ho cercato in ogni modo di lasciarti, desiderandolo con tutta me stessa. Ho tentato disperatamente di non pensare a te, ma ottenevo solo…» le mancarono per un istante le parole per continuare, e si ritrovò a gesticolare nervosamente «…non ho ottenuto altro che patetiche sconfitte…» le parole le si fermarono in gola e, strizzando forte gli occhi, balzò in piedi in un moto d’insoddisfazione. Cercando in ogni modo di non incontrare lo sguardo di Gin si diresse a passi svelti verso la porta scorrevole che dava sul porticato. Sulla sottile carta di yawaragi erano dipinte sottili canne smosse dal vento, ed alcune gru con le ali spiegate: le loro piume erano un modesto spettacolo di sfumature rosa e celesti che si amalgamavano perfettamente fra di loro.

Fece scorrere piano la porta, ed oltrepassò la soglia: si sedette compostamente sui talloni, sistemando con accuratezza le pieghe degli hakama poco prima di sedersi, le stelle del cielo notturno che si riflettevano luminose nelle sue iridi azzurre.

Sentiva la presenza di Gin alle proprie spalle, ma quella breve boccata di aria fresca la aiutò a ritrovare la calma. Inspirò profondamente, socchiudendo gli occhi.

Quando aprì nuovamente bocca, la sua voce era tornata serena:

« Fin da quando eravamo bambini, tu hai sempre avuto la cattiva abitudine di andartene senza dirmi nulla. Mentre socchiudevo gli occhi, per quanto mi sforzassi di non addormentarmi per non lasciarti scappare, l’ultima immagine che vedevo prima di perdere conoscenza era la tua figura che mi voltava le spalle, e si allontanava per lasciarmi sola.» fece una pausa, calibrando il tono e le parole.

Non era mai stato così difficile comunicare con Gin. Ed era sorprendente che lui non si stesse lamentando: non gli piaceva parlare e riusciva sempre a distrarla quando introduceva argomenti che non erano di suo gradimento.

E mentre Rangiku respirava profondamente, prima di continuare, ripensò a quella sera, in quella stessa stanza, quando si era imposta in maniera infantile di interrompere ogni rapporto. Lo aveva colpito senza apparente motivo, respingendolo bruscamente, anche se le maniche del suo kimono erano già scivolate ben oltre i gomiti. Lo aveva schiaffeggiato tanto forte che il palmo arrossato aveva continuato a bruciarle durate tutta la notte seguente.

Era da quel momento che non gli aveva più rivolto la parola, ed era iniziata la sua passione. Voleva vendicarsi. Voleva essere lei la prima, questa volta. Lei la prima ad andarsene senza dirgli il motivo, a voltargli le spalle, a lasciarlo solo. La prima ad allontanarsi senza spiegargli le proprie intenzioni, la prima ad ignorarlo quando si incrociavano nei corridoi – come lui aveva fatto fin troppe volte.

Ma l’unica a stare male era stata lei.

 

Sapeva che Gin non l’avrebbe mai cercata disperatamente, chiamando il suo nome ad alta voce. Sapeva che una volta portata a termine quella egoistica vendetta, l’unica a rimanere sola sarebbe stata lei.

 

« Ogni volta che ricevo comunicazioni tramite le farfalle infernali, ho sempre una paura terribile che vengano a riferirmi che tu sei fuggito in un luogo dove non posso raggiungerti. Il solo pensiero che una cosa del genere possa accadere mi riempie di un’angoscia insostenibile.» chinò il capo, tenendo le mani sovrapposte in grembo, mentre sentiva i capelli carezzarle il volto « Resta con me, Gin. Te ne prego. Non lasciarmi indietro.» deglutì appena, facendo una piccola pausa « Cosa ne è stato della nostra amicizia?»

 

Lo percepì appena mentre si sollevava e muoveva passi lenti sul tatami, rumori pigri ed attutiti che venivano soffocati dal vivace ed acuto frinire dei grilli. Sentì le sue lunghe braccia cingerle le spalle, il suo volto affondare fra i folti ed ampi boccoli che le circondavano le gote, abbracciandola come faceva quando voleva calmarla. Rangiku chiuse gli occhi, mordendosi un labbro mentre lui respirava profondamente: diceva sempre che il profumo dei suoi capelli lo faceva impazzire.

 

« Rangiku, Rangiku…» le bisbigliò all’orecchio, come una lenta cantilena, mentre la stringeva con più trasporto. Lei piegò docilmente il viso verso il suo, asservita, ed accolse in silenzio i suoi baci leggeri, prima sulla fronte, sugli occhi, poi lungo il naso, sulle guance, infine sulle labbra. Si lasciò distendere sul pavimento scricchiolante e freddo del portico, permettendogli silenziosamente di fare qualsiasi cosa volesse.

Sentì le sue dita seguire la linea del collo fino ad incontrare i minuscoli magli della sua collana; ansimò appena quando si accorse che giocava ad infilare l’indice nel ciondolo circolare, esplorando la pelle fra i suoi seni nel tentativo azzardato di raggiungere l’estremità proibita di quella sottile catenella d’argento.  

 

« Perdonami.» glielo bisbigliò sulle labbra, prima di guidarla in un bacio che fece gemere entrambi. Incombendo sopra di lei – l’haori bianco del Capitano che li nascondeva tra le sue pieghe – raccolse la collana in tutta la sua lunghezza, stringendola nel pugno, torcendo i magli intorno al suo collo morbido tanto forte da impedirle quasi di respirare.

 

E fu all’inizio di quel gioco sensuale e pericoloso che continuava ormai da molto tempo, che Rangiku comprese il vero significato di quelle scuse che Gin le aveva mormorato prima di baciarla.

 

Non le chiedeva perdono per averle arrecato quel torto durante tutti gli anni passati.

 

Le chiedeva di perdonarlo perché avrebbe continuato a ferirla anche negli anni a venire.

 

« Ti amo, Rangiku

Lo diceva mentre le sue labbra si posavano in ogni parte del suo corpo bollente,  facendola fremere lungo tutta la schiena, fino all’attaccatura dei capelli. Erano quei momenti in cui desiderava semplicemente che lui continuasse a ripeterglielo all’infinito, senza interrompersi, senza smettere di baciarla un solo istante.  Le bastava che lui dicesse quelle parole per convincersi che – per una volta – dalla sua bocca potesse scaturire anche un solo minuscolo frammento di verità.

 

E’ un bugia.

 

Lei lo comprendeva quando i suoi baci diventavano così intensi da impedirle quasi di riprendere fiato; erano affilati e dolorosi come i suoi sorrisi, e pretendevano tutto di lei.

 

Capiva che quelle parole d’amore erano solo bugie quando il suo tocco iniziava a farle male, quando chiamava il suo nome fra i sussurri, bisbigliandoglielo all’orecchio come una silenziosa ed imperiosa richiesta, come ad esigere un prezzo che lei era chiamata a pagare. Un prezzo che lei non riusciva a non farsi estorcere.

 

Le sue confessioni a mezza voce perdevano valore quando, distesa e scomoda sulla sua scrivania, nell’ufficio silenzioso del Capitano della Terza Brigata, lui soffocava fra le labbra i suoi gemiti incerti mentre con le mani scioglieva il nodo dell’obi, esplorava sotto i bordi degli hakama, in fondo alla sua profonda scollatura, quando l’ansimare di entrambi, sovrapponendosi, diventava una musica indecente.

 

Si era chiesta molte volte quale fosse il motivo per cui non riuscisse a chiedergli di smettere. Bastava che lui la guardasse, che le mostrasse quel suo sorriso ingannevole, che socchiudesse gli occhi scintillanti come a porle una muta domanda; bastava incrociarlo in un corridoio, bastava uno sguardo.

 

Anche tu lo vuoi, Rangiku?

Lui sorrideva sempre in quel suo modo snervante, prendendola in giro, sfidandola. Sapeva fin troppo bene quale sarebbe stata la sua risposta.

 

Si.

Una volta fra le sue braccia, irretita dai suoi sguardi e dai suoi sorrisi, abbandonata al suo volere e domata da quelle sue continue e dolci bugie, Rangiku non riusciva a capire.

 

Perché lo sto facendo? Se lo chiedeva mentre Gin la intrappolava contro il muro, sfilandole la stola di seta rosa, facendole cadere di mano i documenti che aveva usato come pretesto per andare da lui.

Lo amo? Sentiva la parete contro le scapole, il suo corpo premuto impudentemente contro il proprio, il frusciare dei loro abiti, le stoffe nere e bianche confondersi fra loro fino a diventare un solo, unico, dipinto a tinta unita.

Non sono pentita? Era una domanda che sfumava e perdeva consistenza quando, colmandosi di lui e del suo odore, con la voce tremante e le labbra che ancora sapevano della sua pelle, dei suoi baci, dei suoi morsi e della sua sadica cattiveria, mormorava quelle tre lettere.

« Gin…» il semplice pronunciare il suo nome ad alta voce le dava l’illusione che lui davvero le appartenesse, che tutto quel trasporto che lei provava non fosse un sentimento a senso unico. Le permetteva di credere, in quegli istanti in cui gli si donava completamente, che lui non la stesse solo usando come un bellissimo burattino, che non stesse giocando con lei per poi avere il piacere di vederla rompersi in mille pezzi nel momento in cui l’avesse abbandonata, assetata e dipendente dal suo amore.

In quei momenti, lui apriva gli occhi e la guardava con intensità, incontrando giocosamente la propria fronte con la sua. Sorrideva appena, accaldato, e una fossetta sottilissima appariva lungo l’angolo piegato della sua bocca, curvando bruscamente la linea liscia e perfetta della sua guancia. C’era qualcosa nel tono con cui Rangiku lo chiamava che lo divertiva particolarmente, che lo faceva sentire ancora più soddisfatto della sua opera, della creatura che quella donna stava diventando per piegarsi ai suoi maliziosi capricci.

« Sono qui…» le bisbigliava, con tono compiacente, avvolgendo la mano di lei nella sua, carezzandola con quelle sue dita affusolate e ossute. Non sembravano le mani allenate di uno spadaccino, non avevano calli sui polpastrelli o sul palmo per il continuo e strenuo esercizio con la zampakuto. Erano sempre state mani eleganti e veloci, rapide e sfuggenti, e potevano essere tanto delicate quanto aggressive.

« Sono qui, Rangiku.» la baciava, come se quello potesse bastare a tenerla a bada, a darle la sicurezza che lei disperatamente gli chiedeva.

« …Stupido…» le sfuggiva un minuscola rivincita, chiudendo arrendevole gli occhi, mentre accoglieva ancora il miele nauseante che trasudava dal suo tocco e dalla sua lingua tagliente.

 

Gin.

Sei un maledetto bugiardo.

 

________________________________________________________________________________

{ surrender  ×  sorrow } • Act. 0 – Anemone ~ Broken Butterfly [×] end.

 

 

~ Never stop hoping

Need to know where you are

But one thing's for sure

 

You're always in my heart




(×××)



Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Tite Kubo; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 

Nota dell'autrice: E dunque qui finisce ._. Prolungare l'agonia di Rangiku sarebbe stato solo un gesto di estrema cattiveria nei suoi confronti, anche se prevedo di approfondire ancora il rapporto fra loro due, che mi piacciono così tanto <3 ...e come al solito io so essere solo laconica nelle mie note dell'autrice, di cui farei volentieri a meno XD

Ringrazio profondamente tutti coloro che hanno letto e commentato questa storia, e tutti coloro che probabilmente lo faranno in futuro <3 Vi sono davvero tanto grata!

@ Keute: Ti ringrazio, arigatou *inchino* Mi piacciono tanto i tuoi papiri, non nasconderli XD Hitsugaya è anche più basso di un metro e mezzo X3 Per la precisione sfiora il metro e trentatrè, ma mi sarei sentita troppo cattiva a specificarlo in maniera così "cruda", quindi meglio arrotondare X3. Ad ogni modo, Hitsugaya è uno dei miei MUST ù_ù In un modo o nell'altro, appare sempre nelle mie fanfiction, assieme a Ukitake e Kyoraku. Riesco sempre a ficcarceli in qualche modo, che si tratti di caramelle, tazze e ceramiche XD E non hai idea di quanto sia d'aiuto Memorie di una Geisha <3, davvero. Non solo mi è stato utile per gli accenni di "giapponesità", ma l'OST è una cosa splendida se hai bisogno di costruire un'ambientazione orientale >_< ...oltre a tante ore di ricerche passate al pc per trovare termini specifici...
...e ti dirò...aiuta molto anche quando si tratta della Kuchiki Mansion ._. Ormai la malattia è cronica :D 

grazie ad Alicyana che sempre mi sostiene <3<3
Nel futuro c'è una certa nobile pubblicazione silenziosa, e qualche progetto in corso *risatina maliziosa & forti colpi di tosse* ...chissà....!

 

   
 
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