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Autore: Anna Wanderer Love    27/04/2014    1 recensioni
Seguito di "Shadows"
Nel Castello di Hogwarts vengono ritrovate due ragazze: Celeste e Rachel Elizabeth Dare.
Nessuno ha idea da dove siano spuntate; e loro non sanno come sono finite in quel luogo tanto diverso dal Campo Mezzosangue.
Nico, al Campo, impazzisce di dolore per la scomparsa della sua ragazza; ma un dio lo aiuterà a ritrovarla... forse.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Rachel Elizabeth Dare
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shadows Cycle'
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Rachel



 

Hogwarts, 10 marzo

L'ufficio della Preside McGranitt non era cambiato dall'unica volta in cui Selene ci era stata. Era un'ampia stanza, con una grande vetrata che dava sui prati. Scaffali pieni di libri disposti ordinatamente correvano lungo le pareti. La scala di legno che portava al piano di sopra, nascosto da un muro, tracciava un corridoio vuoto tra i numerosissimi quadri dei vecchi presidi della scuola.
Seduta dietro al tavolo, le mani intrecciate sul legno, la Preside McGranitt guardava le due figure esili davanti a lei. Tutte e tre si voltarono non appena sentirono entrare Selene e Severus.
Selene concentrò la propria attenzione su Celeste. La ragazza aveva lunghi capelli mossi di color castano scuro, ma con qualche ciocca più chiara tra le punte. Il volto era a cuore, un po' pallido, con grandi occhi verdi colmi di malinconia. La sua mano era stretta a quella di Rachel, la ragazza che Selene aveva già conosciuto.
Rachel aveva lunghi capelli ricci fiammeggianti, un sorriso caldo e le iridi color smeraldo che nascondevano una grande tristezza. Il silenzio calò nella stanza, mentre le tre si osservavano.
Per qualche secondo nessuno parlò, poi la Preside si alzò. Indossava una lunga tunica verde, con delle maniche nere che spuntavano da sotto il tessuto. I capelli grigi erano raccolti in una crocchia. -Selene, siediti- la invitò, agitando la bacchetta e facendo apparire una sedia al fianco di quella di Celeste. La studentessa obbedì, sedendosi con un po' di di nervosismo.
-Severus- il professore si affiancò alla Preside quando lei lo chiamò, incrociando le braccia.
I due si misero a fissare le tre ragazze, che sembravano tutte e tre nervose, anche se lo esprimevano in modi diversi.
Rachel continuava a far guizzare lo sguardo dal volto della Preside a quello di Severus, tormentandosi un nastro di stoffa che aveva legato al polso; Selene teneva lo sguardo puntato sulle proprie ginocchia, a braccia incrociate, e Celeste guardava con sguardo assente solo e soltanto il professore, osservando con attenzione mista a timidezza con le labbra serrate.
Dopo qualche momento di silenzio, Rachel iniziò a parlare.
-Come stavamo dicendo, Preside... noi non abbiamo la più pallida idea di dove ci troviamo ora. Non sappiamo nemmeno come ci siamo finite, qui, e...
-Perché non fa parlare la sua amica?- Intervenne Severus.
Rachel si interruppe e lo guardò aggrottando le sopracciglia.
-Mi scusi, ma prima di tutto stavo parland...
-Rachel.
Il rimprovero non veniva né da Minerva né da Severus. Era stata Celeste a parlare.
Per la prima volta Selene sentì la sua voce. Era dolce, calda, ma in quel momento sembrava estremamente stanca. Così come gli occhi della ragazza, che tuttavia scintillavano di decisione e di una forza d’animo che impressionò la Corvonero.
-Rachel, non essere maleducata- Celeste posò la mano sul braccio chiaro dell’amica e le rivolse un sorriso debole. Poi spostò lo sguardo su Severus, che aveva osservato la scena con la fronte corrugata e una scintilla negli occhi di ossidiana.
-Sono perfettamente in grado di parlare, signore- gli rivolse un sorriso che non ebbe la minima reazione, ma la ragazza non si lasciò deprimere.
-Come stava dicendo Rachel... io, e penso anche lei, non mi ricordo nulla. So solo che ieri sera... la sera precedente al giorno in cui ci avete trovate- si corresse -mi sono addormentata, e quando ho riaperto gli occhi ero in infermeria.
Purtroppo non quella del Campo, aggiunse mentalmente, e sentì una fitta al petto rammentando il volto di Nico che rideva, qualche ora prima della sua scomparsa. Un sospirò la riportò al presente, e sbatté le palpebre, guardando la Preside sedersi nuovamente sulla sedia.
-Va bene... allora potreste dirmi da dove venite?
-New York- disse Rachel prima che Celeste potesse fermarla.
Le scoccò un’occhiataccia, ma la rossa non le badò, abituata com’era. Se ne accorse invece Severus, che continuava a tenere d’occhio Celeste.
-New York?- Chiese sorpresa Minerva, aggrottando le sopracciglia.
-E’ lontano da qui...
-Signora, non non sappiamo neppure se siamo ancora in America- la interruppe Rachel, e un’ombra di un sorriso balenò sul volto segnato della Preside.
-Siamo in Inghilterra.
A quelle parole Rachel si irrigidì e Celeste sussultò.
Severus, Minerva e Selene notarono la cosa, ma non commentarono.
Sinceramente Selene non aveva la più pallida idea del motivo per cui si trovava in quell’ufficio, non riusciva proprio a capirlo. Sapeva solo che non avrebbe mai avuto il coraggio di disobbedire al professore, quindi si era ritrovata costretta a seguirlo. E a sopportare il suo lungo sguardo. Già, anche quello.
Severus intervenne nella conversazione dopo qualche secondo.
-Signorina Clarkson- disse lugubremente, con un’espressione adatta a un funerale -nei prossimi giorni dovrà mostrare il castello alle signorine, che dormiranno con lei nel dormitorio di Corvonero. L’abbiamo spostata in un’altra stanza.
Selene si trattenne dal storcere le labbra, contrariata, ma fece buon viso a cattivo gioco. Annuì, cercando di non mostrarsi troppo infastidita, ma il suo tentativo fu pessimo, a giudicare dal piccolo ghigno che increspò le
labbra sottili del professore.

-Perfetto- disse la Preside, sorridendo dolcemente a Selene e scoccando un’occhiata meditabonda alle altre due -andate, allora.
Selene si alzò e si avviò verso la porta senza dire nulla; tenne aperta la porta per far passare le ragazze e prima di richiuderla esitò un istante, sentendo su di sé gli sguardi dei due professori.
Poi la porta si chiuse.
Severus e Minerva aspettarono qualche minuto per sicurezza, poi Severus agitò la bacchetta e con due eleganti movimenti della mano fece sparire le tre sedie e apparire un’altra ben più comoda.
Si sedette e fissò Minerva per qualche istante, mentre lei versava del Whisky Incendiario in due bicchieri. Ne fece galleggiare uno in aria verso di lui, che lo afferrò con uno sguardo torvo.
-Ci nascondono qualcosa- sospirò Minerva, guardando pensosamente il liquido ambrato girare lentamente nel bicchiere, tra le sue dita.
Severus non rispose, ma bevve un sorso della bevanda. Sentì il sapore forte del whisky scorrergli in gola e scaldargli lo stomaco.
-La ragazza... Celeste- disse lentamente, catturando la curiosità della collega -vuole nascondere qualcosa con tutte le sue forze.
-Severus!- Esclamò la Preside in tono di rimprovero -Le hai guardato nella mente?
Severus si limitò a lanciarle un’occhiata inespressiva.
-La sua mente è così...- cercò qualche aggettivo che potesse descriverla al meglio, ma non ne trovò nessuno -è molto... forte. Espansiva. Mi sono limitato a sfiorarla e ho visto subito che voleva nasconderlo.
Minerva assottigliò le labbra, sentendosi in parte contrariata e in parte incuriosita.
-D’accordo- sospirò stancamente -ma per favore, non farlo più.
Severus annuì, ma dopo qualche minuto di silenzio sentì il bisogno impellente di rivolgerle una domanda.
-Adesso? Che facciamo? E’ ovvio che hanno un segreto... e non vedo come sia possibile non ricordarsi nulla della magia. Non sembrano nemmeno streghe.
-Potrebbero essere delle Magono... però è strano in effetti. Non hanno mai sentito parlare di magia, almeno della magia che intendiamo noi. Be’- sospirò la Preside -intanto aspettiamo. Non possiamo fare nient’altro.
Severus vuotò tutto d’un fiato il bicchiere, e si alzò, ma Minerva lo trattenne mentre stava per voltarsi.
-Severus.
Il professore alzò gli occhi sul viso dell’amica e lo vide attraversato da numerose rughe di preoccupazione. Minerva era forte, ma lo stress era molto in quell’ultimo periodo.
-Il... il padre di Selene è appena morto.
Severus la fissò inespressivo, ma dentro di lui si accese una scintilla. Ecco perché la Clarkson era tanto malinconica in quell’ultimo periodo; però non aveva reagito come si sarebbe aspettato. Tante ragazze sarebbero scoppiate in pianti irrefrenabili nei momenti peggiori e più inopportuni, ma lei no.
-Per favore, sii delicato con lei. So che non ti sta particolarmente simpatica, ma cerca di essere più gentile- l’espressione di Minerva aveva assunto una sfumatura decisa, e lo scintillio dei suoi occhi grigi era più intenso del solito.
Severus quasi si lasciò sfuggire un sorriso.
Minerva sembrava proprio una mamma... esattamente quello che era stata per lui per molti anni.
-D’accordo- disse solamente, poi si voltò e lasciò l’ufficio.
Una volta che la porta si chiuse dietro alle sue spalle, Minerva sospirò profondamente e si lasciò cadere sulla sedia.
-Sarà un periodo difficile- mormorò sconsolata.
 

Selene non sapeva cosa dire, cosa fare e come comportarsi, perciò si limitò a far strada alle ragazze verso il dormitorio, indicando loro anche la Sala Grande e le diverse strade per l'infermeria e spiegando in breve dov'erano le aule.
Celeste e Rachel ascoltavano tutto in silenzio, osservando rapite i muri di pietra e i quadri variopinti, dove le figure dipinte le fissavano curiose. Un bambino con delle guance più rosse di una fragola le rincorse anche per un breve periodo, prima di inciampare in una gamba di un tavolo dove quattro uomini stavano giocando a carte.
Incrociarono un po’ di studenti, e alcuni le fissarono con tanta insistenza e curiosità da risultare fastidiosi.
Quando arrivarono alla Sala Comune tutte e tre tirarono un sospiro di sollievo.
Rachel e Celeste, però, appena misero piede nella stanza, rimasero a fissare a bocca aperta la Sala Comune, incantate dal suo splendore. I loro occhi correvano sugli arazzi blu e neri con lo stemma di Corvonero, sulle scale dalle ringhiere di ferro battuto alle poltrone colorate accanto al fuoco, che scoppiettava allegro nel camino.
-È... bellissimo- mormorò Celeste, mentre un piccolo sorriso increspava le sue labbra piene.
Selene sorrise e posò una mano sulla sua spalla.
-Venite- la seguirono su per le scale e sbucarono nello stretto corridoio che curvava dolcemente su sé stesso.
Selene salì le scale fino all'ultima stanza, quella che era sempre rimasta vuota. Sul legno lucido c'erano tre targhette laminate d'oro, che riportavano i loro nomi:
Selene Clarkson.
Rachel Elizabeth Dare.

Celeste Guerra.
Rachel aspettò prima di entrare nella stanza, dopo le due ragazze. Gettò un'occhiata alle targhette e lesse il cognome di Celeste aggrottando le sopracciglia rosse.
Non aveva mai detto a nessuno qual'era il suo cognome, al Campo, e sentì un moto di turbamento nel vedere che invece l’aveva detto ai professori. Sbatté le palpebre, e dopo qualche istante la scintilla di irritazione scomparve dai suoi occhi smeraldini. Si affacciò sulla stanza, rischiando anche di inciampare nel gradino della soglia, e rimase nuovamente a bocca aperta.
La stanza era fantastica. C’erano tre letti a baldacchino con le coperte blu, ognuno  sistemato in un angolo della stanza. Il pavimento era di legno, con vari tappeti dai ricami d’oro o d’argento che lo coprivano in gran parte.
Le pareti erano di pietra, ma dei grandi finestroni le bucavano regolarmente.
Senza aspettare Rachel si diresse alla vetrata più vicina e osservò meravigliata il panorama. Erano in una torre, e da lì, oltre a sentire l’aria fresca soffiarle sulle guance arrossate, vedeva gran parte dei prati e una piccola parte del lago.
-Ma è fantastico!
Rachel la pensava allo stesso modo di Celeste. Sentì la risatina di Selene seguire alle sue parole, e si voltò.
La ragazza era in piedi in mezzo alla stanza e faceva guizzare lo sguardo da una all’altra. Un sorriso le illuminava le labbra, ma non contagiava i suoi stupendi occhi grigi, che rimanevano tristi.
-Già- annuì, stringendosi nelle spalle.
Rachel saltellò verso di lei, e le si parò di fronte. Tese una mano in avanti, sorridendole.
-Non ci siamo presentate a dovere. Io sono Rachel.
-Selene- la Corvonero le strinse la mano, un po' sorpresa.
-E lei è Celeste- aggiunse Rachel voltandosi verso l'amica, che la guardava male.
-Oh, dai, non fare quella faccia!- Sbuffò la rossa, poi si diresse verso l'unico letto libero.
Celeste si era seduta su quello davanti alla porta, attaccato alla parete di pietra, e su quello a destra della porta era posata una valigia. Selene si diresse verso il suo letto e spostò la borsa per terra, incerta sul da farsi. Per fortuna ci pensò Celeste a spezzare il silenzio con la sua voce dolce.
-Chi erano? Voglio dire... la donna e l'uomo.
Selene le rivolse un' occhiata interrogativa.
-Quando ti sei svegliata?
La ragazza abbassò lo sguardo sulle proprie caviglie, imbarazzata.
-Non so... un' ora fa?
-Oh, povera te! In un' ora sola ti sei ritrovata sballottolata da tutte le parti- sospirò Selene, provocando le risate delle altre due.
-Allora... la donna è la Preside della scuola, Minerva McGranitt. Insegnava Trasfigurazione,  prima e durante la guerra... ma questo non importa- si affrettò a concludere. -L'uomo invece è il professor Piton, insegnante di Pozioni. Era Preside l'anno scorso.
-Che ha fatto al collo?- Chiese curiosa Rachel, e Selene si sentì seccare la gola.
Sospirò.
-Ho capito... vi devo raccontare tutta la guerra. Be', mettetevi comode.



 

Campo Mezzosangue, 11 marzo.
 

Nico si morse il labbro inferiore, sospirando. Si sedette sul gradino più basso degli spalti di pietra, facendo una smorfia nel sentire i muscoli della spalla tendersi nuovamente. Appoggiò ii gomiti sulle ginocchia, curvando la schiena, e guardò intensamente le figure minute di Joanna e Laura mentre combattevano.
Laura gli aveva intimato di andare  sedersi e non muoversi per altri quindici minuti, e Nico non aveva osato disobbedire vedendo la scintilla di ferocia brillare negli occhi chiari della figlia di Apollo.
A detta sua, Nico era diventato più spericolato e meno attendo a non ferirsi negli allenamenti, da quando Celeste era sparita nel nulla. Celeste e Rachel.
In quel momento avrebbe dovuto essere alla Clarion Academy, ma Percy e Annabeth avevano scoperto che era scomparsa anche lei quando erano andati alla scuola per farle una visita a sorpresa.
Il figlio di Ade si passò una mano sul volto sudato, chiudendo gli occhi. Immediatamente avvertì ciò che gli stava intorno. La terra sotto i suoi piedi, l’aria fredda che gli pungeva la pelle delle braccia e gli rinfrescava il volto, le gocce di sudore che gli imperlavano la fronte, il bruciore del taglio che si era appena fatto combattendo con un figlio di Ares.
Sussultò quando una mano si posò sulla sua spalla, e si voltò di scatto, guardando con occhi incupiti il ragazzino che lo guardava con un’ombra di rabbia nascosta negli occhi blu.
A giudicare dai ricci biondi e i lineamenti uguali ai suoi fratelli doveva essere un figlio di Apollo. Nico si alzò in piedi e lo sovrastò con tutta la testa. Il ragazzo gli arrivava appena alla spalla. Doveva essere appena arrivato dato che non l’aveva mai visto prima.
-Sei tu Nico Di Angelo?
La voce del ragazzino sembrava matura per la sua età. Nico ebbe l’impressione di averla già sentita, ma anche sforzandosi non rammentava dove.
-Sì- annuì.
-Chirone ti vuole vedere. Vieni con me.
Il ragazzo si voltò e Nico si ritrovò a seguirlo, perplesso. I campi di pallavolo e idi esercitazione per gli arcieri erano dall’altra parte del Campo. La Casa Grande era a destra. Perché lo stava portando vicino alla foresta?
Istintivamente, una mano del figlio di Ade corse al proprio petto. Lì, attraverso il tessuto leggero e leggermente umido della maglia di cotone, sentì il profilo spesso e irregolare della cicatrice che gli attraversava il petto. Riportava alla mente brutti ricordi. Lui, Connor e Travis Stoll erano stati attaccati da un segugio. I fratelli erano sprofondati in coma, e lui si era sentito in colpa per settimane, anche dopo aver appurato che non poteva fare nulla per Travis: si sarebbe svegliato solo quando Morfeo sarebbe stato liberato dalla prigionia dello spettro di Agamennone.
Quella cicatrice gli ricordò, come sempre, la sua impotenza. Celeste, la sera, quando dormivano insieme nella loro casa ai margini della valle, la percorreva con le dita e lo guardava con i suoi dolci occhi verdi, ricordandogli che non era mai stata colpa sua.
Nico si riscosse dai propri pensieri quando vide il ragazzino voltarsi.
Erano arrivati al limitare degli alberi. L’ombra degli arbusti si protendeva sopra le loro teste, proteggendoli dal sole e da sguardi indiscreti. Nico si sentì inquieto, quando si accorse di come il figlio di Apollo lo guardava.
Il suo sguardo si era completamente tramutato. Da sereno e irrequieto che era, ora sembrava un mare in tempesta, pieno di rabbia e furia, inquietudine, dolore.
Passò qualche secondo, poi una luce abbagliante costrinse il figlio di Ade a chiudere gli occhi, riparandosi il volto con un braccio. Non appena avvertì la luce scemare scostò il braccio e rimase spiazzato.
I suoi occhi di ossidiana corsero ad osservare il ragazzo che gli stava davanti.
I ricci erano gli stessi, solo molto più corti. I suoi occhi erano dorati, ed emanavano una forza incredibile. Era alto quanto lui, con una corporatura asciutta e muscolosa, ma slanciata. Indossava dei jeans e una maglietta a maniche corte, che lasciava intravedere la pelle ambrata delle braccia. Il suo viso era bellissimo, con lineamenti regolari e un po’affilati, accentuati dalle occhiaie e dalla preoccupazione che trasudava dal suo sguardo.
-Apollo- mormorò Nico, confuso.
Il dio alzò un angolo della bocca in un sorrisino obliquo, che apparve più come una smorfia triste.
-In persona.
-A che devo questo onore?
Nico non avrebbe voluto suonare sarcastico, ma evidentemente la sua voce voleva il contrario. Apollo inarcò un sopracciglio, un po’ seccato.
-Il mio Oracolo è sparito- disse asciutto, e a quelle parole il suo volto si contrasse in una smorfia di rabbia -e anche la tua ragazza, a quanto ne so.
Nico serrò la mascella, mentre il suo petto veniva invaso da una scossa di dolore. Il suo volto, però, restò impassibile.
-Esatto.
Apollo incrociò le braccia, corrugando la fronte. Il figlio di Ade notò che attorno a lui stava cominciando a formarsi una specie di aura dorata, e cominciò a preoccuparsi.
-La loro sparizione non è casuale. Sono collegate.
-Per quale motivo? Cos’hanno in comune? Nulla- protestò Nico, ma sentiva che il dio aveva ragione.
Apollo lo guardò in silenzio, con gli occhi dorati che sembravano perforare l’anima del ragazzo, metterla a nudo, leggendo ogni suo pensiero e ogni suo segreto.-Hai dato la tua vita per salvare quella di tre semidei- disse all’improvviso, e Nico sbatté le palpebre, confuso nel sentire una scintilla di rispetto e ammirazione nella sua voce.
-A quanto pare- la sua voce suonò strozzata, e una sfumatura di dolcezza colorò lo sguardo addolorato del dio.
-Sei stato coraggioso. Mi chiedo se...- Apollo si interruppe all’improvviso, conscio di aver rischiato di rivelare al ragazzo il suo più grande segreto. Sospirò, affrettandosi a cambiare argomento nel vedere lo sguardo scuro del figlio di Ade incuriosirsi.
-Insieme a Morfeo e a mia sorella ho cercato di capire dove diamine possano essere finite.
Prese un respiro profondo, deglutendo nervoso.
-Cos’hai scoperto?- Nico impallidì.
Temeva già il peggio. Celeste poteva essere morta... o torturata, tenuta in ostaggio, dispersa.
-Non sono in questo mondo.

 

Nico:
 

Guardai il volto di Apollo per vari secondi senza dire nulla. Sapevo che probabilmente il dio stava aspettando una mia risposta, ma in quel momento la mia mascella e la mia lingua sembravano incollate con cemento armato.
In testa avevo un caos infernale. Pensieri su pensieri, parole, immagini si accalcavano una sull’altra senza nessun collegamento logico e soprattutto senza nessun senso.
In che senso non sono in questo mondo? Non è possibile. A meno che...
La mia faccia doveva tradire i miei pensieri, visto che Apollo si affrettò a parlare.
-Non fraintendermi, non sono nell’Ade. Sono ancora vive... o almeno lo spero- le ultime parole gli si strozzarono in gola, e mi ritrovai a guardarlo intensamente.
-Sei innamorato di Rachel- soffiai, quando quella consapevolezza mi colpì come un schiaffo.
Il viso del dio impallidì all’istante, per poi diventare di uno strano colore tendente al verde chiaro e poi arrossarsi all’improvviso.
Aprì la bocca, mentre l’aura dorata aumentava d’intensità attorno al suo corpo e faceva un passo verso di me, irrigidendosi, ma lo precedetti.
-No dirò niente a nessuno- mi affrettai a dire. -E poi a chi dovrei dirlo, e per quale motivo? Non sono fatti miei.
Lui mi studiò per qualche lungo istante, assottigliando le labbra in una linea sottile. Probabilmente lo convinsi, poiché distolse lo sguardo.
-D’accordo- mormorò, ma vedevo benissimo che era nervoso.
Poi puntò di nuovo lo sguardo nel mio, mentre l’intensità di quegli occhi dorati mi faceva girare la testa.
-Non una parola. Decideremo quando intervenire. Per ora non possiamo fare nulla.
E poi sparì, così, all’improvviso, accecandomi con la sua luce abbagliante e lasciandomi confuso e solo tra gli alberi.
 

   
 
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