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Autore: _ameliessecrets    27/04/2014    8 recensioni
La nostra esistenza è fragile e precaria, destinata a staccarsi come fanno i fiori di ciliegio, ma anche destinata a rinascere, di nuovo splendida, con la nuova, rosata fioritura della primavera successiva.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rain of pink petals

La nostra esistenza è fragile e precaria, destinata a staccarsi come fanno i fiori di ciliegio, ma anche destinata a rinascere, di nuovo splendida, con la nuova, rosata fioritura della primavera successiva.
 
Una bella giornata, si, quella poteva definirsi davvero una bella giornata: il sole splendeva alto nel cielo che così azzurro si era visto solo poche volte, gli uccelli cinguettavano felici e svolazzavano da un albero all’altro, il ruscello scorreva tranquillamente producendo un rumore rilassante. Tutto quello poteva apparire come il ritratto della felicità, della spensieratezza, se non fosse stato per il viso perso e spento del ragazzo che era buttato lì, come un corpo senza anima sotto l’albero di ciliegio che si distingueva per il colore vivo dei suoi fiori dal resto del verde.
Il ragazzo stonava tra tutta quella bellezza che lo circondava: tutto sembrava emanare vitalità, forza, amore, tranne lui. Era un’anima tormentata, la sua: forse proprio per quello, da un anno, sempre alla stessa ora, puntuale come un orologio svizzero, andava tutti i giorni lì, sotto quell’albero, per sentirsi vivo.
 Allargò le labbra in un debole sorriso mentre una lacrima scendeva dai suoi occhi verdi, come la natura che lo circondava. I suoi occhi… forse l’unica cosa che brillava ancora, non per felicità, ma per le lacrime che ogni giorno riempivano le sue iridi chiare, chiare come l’acqua. Una volta quegli occhi brillavano per davvero: emanavano una strana luce, una luce dolce. Appena li guardavi sembravano scavarti nel profondo, ti entravano dentro e ti rubavano l’anima, il cuore e tutto quello che può mai esserci di buono in una persona.
Prima era lui il ritratto della felicità, della spensieratezza e dell’amore. Aveva un sorriso che avrebbe fatto sfigurare il paradiso. Sempre se esiste un paradiso: lui non ci credeva più, come non credeva più nella possibilità di essere di nuovo felice. Cos’era la felicità se non stare stretti tra le braccia di lei, sentire il suo dolce profumo di cannella, o di fiori… Ma che importava quale profumo era? Non l’avrebbe sentito più.
Lui non la voleva la felicità, se prima non aveva lei.
Aveva pensato anche al suicidio a volte: pensava che fosse l’unico modo per non soffrire più, ma non poteva morire, l’aveva promesso.
La morte… è una cosa bella o brutta? Dipende da che punto di vista la si vede.
Bella… si, può essere anche una cosa bella, perché no? Ti porta via tutto il dolore, ti porta via dalla vita che non vorresti, ti porta dove vuoi, in qualsiasi luogo, lontano dall’orrendo posto dove sei costretto a vivere una vita che non vuoi, a fare un lavoro che odi, lontano da una vita frustante, per portarti dove? Nessuno ancora lo sa con certezza.
Brutta…può essere anche brutta la morte? Si, lo è. Lo è quando ad andare via non siamo noi ma altri. È insopportabile l’assenza di una persona, ma tutti noi siamo egoisti. Perché piangiamo? Quando qualcuno vola via non piangiamo per la sua assenza, ma perché ci mancheranno le cose belle condivise. Quella persona ci mancherà solo perché non potrà più renderci felici. Tante lacrime per cosa? Se la morte porta in un posto migliore, perché piangiamo?
Il ragazzo se l’era chiesto milioni di volte, ma proprio non riusciva a smettere: era come se con le lacrime cacciasse via tutto il dolore che aveva dentro, tutto quel dolore che non voleva andare via, ma che Harry neanche voleva lasciare perché era l’unica cosa che lo legava ancora a lei.
 
Pioveva, la pioggia cadeva incessante, gocce enormi cadevano veloci come saette sulle strade, sulle case, sulle persone. Era un tipico temporale estivo, sembrava che il cielo avesse deciso di buttare sulla terra tutta le sue riserve d’acqua.
Harry era in quel paesino sperduto tra le montagne del Giappone da meno di una settimana e già non vedeva l’ora di tornare nella sua amatissima New York, nel suo lussuosissimo appartamento al venticinquesimo piano di un grattacielo. Non sapeva neanche perché avesse scelto il venticinquesimo piano, soffriva di vertigini lui.
Voleva scappare a gambe levate da quel posto, tornare nel suo grande ufficio da dove ammirava tutti i giorni il panorama di New York, voleva tornare a stare ventiquattro ore su ventiquattro su un computer per scrivere un articolo, come faceva tutti i giorni da quando era diventato un giornalista.
Invece gli toccava stare lì, in un minuscolo paesino arretrato del Giappone, dove era l’unico ad indossare una giacca e una cravatta, o forse era l’unico a possederle. Maledisse il giorno in cui il suo capo era entrato nel suo ufficio con due segretarie alle spalle e gli aveva annunciato con voce strozzata che aveva ventiquattro ore per decidere se partire per il Giappone, o rimanere a New York. Se avesse rifiutato si sarebbe potuto scordare il posto di vice direttore, se al contrario avesse accettato, sarebbe diventato vice direttore e avrebbe goduto di un ottimo stipendio e inoltre avrebbe avuto anche lui due gran belle segretarie. Harry aveva scelto, a malincuore, di partire per il Giappone. E si ritrovava lì, l’unico americano in quel paesino, o così gli sembrava.
Allentò il nodo della cravatta che gli stringeva il collo. L’aria era umida, faceva caldo e non si riusciva a respirare, e la pioggia sembrava aver peggiorato la situazione. Se ne stava lì, ad aspettare che la pioggia cessasse, sotto il balcone di una vecchia casa. Nonostante avesse trovato riparo sotto il balcone era tutto bagnato, i capelli gli scendevano lungo le tempie e la fronte, le gocce di acqua percorrevano il suo viso, sembravano unire i nei che il ragazzo aveva sulle guance.
Non era solo sotto quel balcone, i passanti andavano a ripararsi tutti lì, c’era quasi folla, un motivo in più per non poter respirare.
«Odio la pioggia!» imprecò il ragazzo alzando gli occhi al cielo, sicuro che nessuno l’avesse capito
«Io l’adoro invece, è come se anche il cielo si commuovesse» disse una voce alle sue spalle.
Harry si girò sorpreso. In fondo pensava di essere veramente l’unico americano. I suoi occhi incontrarono quelli della ragazza che poco prima aveva pronunciato quelle parole. Più che un incontro fu uno scontro, due paia di occhi così diversi ma così tanto simili. Chiaro e scuro. Gli occhi scuri della ragazza contro quelli chiari e verdissimi del ragazzo. Harry per un attimo sembrò perdersi nella dolcezza di quegli occhi dalla forma leggermente a mandorla.
«Sei americano vero?» domandò la ragazza sorridendo
«Si, si vede così tanto?» disse Harry ricambiando il sorriso
La ragazza notò subito la fossetta che fece capolino sulla guancia sinistra del ragazzo, e la trovò adorabile.
«Beh… diciamo che sei l’unico in giacca e cravatta, che ha tra le mani un iPhone, che non ha gli occhi a mandorla e che ha un accento americano invidiabile» disse la ragazza ridendo, seguita da Harry
«Tu invece?»
«Io sono per metà americana e per metà giapponese, cosa ci fai qui? Intendo in questo paesino sperduto»
«Lavoro» rispose semplicemente il ragazzo sorridendo
«Mh…dovrai abituarti a questi temporali improvvisi, qui è cosi: ti svegli con il sole e un attimo dopo piove»
«Vorrà dire che mi proteggerò sempre sotto il primo balcone» disse il riccio sfoggiando un sorriso.
Ci furono secondi di silenzio, dove l’unica cosa che si sentiva era la pioggia che picchiettava sull’asfalto ormai completamente bagnato.
«Comunque io sono Harry, piacere» disse il riccio rompendo il silenzio e porgendo la mano alla ragazza
«Piacere mio, io sono Sam, senti, ti va di prendere qualcosa di caldo? Conosco un posto dove cucinano benissimo, e non a caso è il ristorante di mio nonno» disse la ragazza ridendo.
Pochi minuti dopo si ritrovarono al caldo, tra le piccole mura di un ristorante giapponese. Erano seduti al tavolo e chiacchieravano tranquillamente, come due persone che si conoscevano da una vita.
«Allora giornalista, cosa ordina?» disse la ragazza scherzosamente, scatenando le risate del riccio.
«Facciamo una cosa: scegli tu per me, non conosco bene le tradizioni giapponesi, ne tanto meno il cibo, cosa mi consigli?»
«Mmm… vediamo, escludo il sushi… troppo generico… nonno! Portaci uno yaki» disse la mora girandosi verso un signore e sorridendogli
«Uno yaki? Cos’è?»
«Fidati» sussurrò la ragazza
«Non vorrai mica avvelenarmi!» disse il ragazzo spalancando gli occhi,
Sam scoppiò a ridere, ed Harry fu come incantato da quella risata, così limpida e cristallina, la guardava, osservava ogni minimo centimetro di quella pelle chiara, osservava come metteva la lingua tra i denti quando rideva, come arricciava il naso, come quegli occhi adorabili si chiudevano in due fessure, e come riprendeva fiato dopo una lunga risata.
«Tu invece? Cosa ci fai qui? Non ci sono molte possibilità di lavoro in questo posto» chiese Harry guardando la ragazza.
«Sono qui da mio nonno… diciamo che a volte gli do una mano al ristorante. Da dove vieni di preciso?»
«Sono di New York» rispose il ventottenne.
«New York… non ci sono mai stata, ho sempre vissuto sin da bambina a San Francisco, dopo, un bel giorno di un anno fa, ho deciso di mollare tutto, lasciare la mia vita, il mio lavoro, il mio ragazzo e venire qui, a scoprire le mie origini»
«Ci vuole coraggio per fare una cosa del genere, io non ci riuscirei mai»
Si sorrisero, con dei sorrisi ingenui, carichi di felicità. Si conoscevano da circa un’ora e gli sembrava di conoscersi da una vita, volevano sapere tutto uno della vita dell’altro. Harry continuava ad osservarla, era come attratto da quella ragazza, era attratto dalle sue parole, dal modo in cui muoveva le sue labbra rosse per raccontare della sua vita, di come si era trovata male il primo mese a vivere in quel posto e di come lo aveva amato subito dopo. Era attratto, ma non quell’attrazione fisica, no, quella specie di attrazione non gli aveva sfiorato neanche la mente. Era semplicemente interessato a lei, come persona. Parola dopo parola, non si sarebbe mai stancato di ascoltarla.
Dopo aver mangiato uscirono fuori a passeggiare, per prendere una boccata d’aria, o forse per smaltire quello che avevano mangiato. Harry non aveva apprezzato particolarmente quel cibo ma aveva mangiato lo stesso, era troppo affamato. Camminavano sottobraccio, aveva smesso di piovere e l’aria sembrava essersi rinfrescata, non di molto, ma adesso si respirava e l’odore della pioggia riempiva le narici.
«Cosa facevi a San Francisco?» domandò curioso il riccio
«Lavoravo come fotografa, è una passione che ho ancora tutt’ora, infatti l’unica cosa che ho portato qui che appartenesse alla mia vecchia vita è la mia macchinetta fotografica»
­ «Bel lavoro…il tuo ragazzo non l’avrà presa bene quando gli hai parlato della tua decisione»
«No, infatti ci siamo lasciati» rispose la ragazza sorridendo. Quel sorriso fece presto a trasformarsi in una risata quando vide la faccia sconcertata di Harry.
Camminarono fino a tarda notte; erano due gran chiacchieroni, o meglio, lei era una gran chiacchierona, e a Harry piaceva ascoltarla.
«Oddio scusami, ti avrò annoiato. Lo so, sono una gran chiacchierona, lo dice anche mio nonno. Comunque io sono arrivata, tu dove dormi?»
«Non preoccuparti, non mi hai annoiato. Io dormo in una casa qui vicino, almeno il mio capo si è preso la briga di affittarmi un posto per dormire»
Sorrisero, di nuovo, per l’ennesima volta in quella serata, e come avrebbero continuato a fare come due dementi quando la notte invece di dormire l’uno pensava all’altro, e a quando sarebbe stato bello rincontrarsi la mattina seguente.
Si erano dati un appuntamento. Sam aveva promesso ad Harry di fargli conoscere tutti i posti belli di quel paesino, e che si sarebbe ricreduto.
Andò esattamente così: quella mattina Sam lo portò in giro, al mercato del paese, dove si potevano ammirare i colori vivi e accesi degli ortaggi e della frutta, dove si poteva ammirare la bellezza dei fiori e ammirare la freschezza del pesce appena pescato. Harry quella mattina si presentò nuovamente in giacca e cravatta, Sam appena lo vide scoppiò a ridere. Gli fece indossare un paio di jeans e una maglia di lino bianca. Il riccio si prese parecchie occhiatacce al mercato, per via dei tatuaggi che ricoprivano il suo petto e le sue braccia, ma non sembrò neanche accorgersene, era tropo impegnato a vivere quel momento, immerso in quell’esplosione di colori.
Sam li trovava molto carini invece quei tatuaggi. Anche lei ne aveva uno, un fiore di ciliegio, sul polso sinistro. Quel tatuaggio per lei era molto importante, segnava l’inizio di una nuova vita, e allo stesso tempo indicava le sue origini.
La ragazza quel giorno scattò tantissime fotografie, molte ritraevano Harry impegnato ad osservare le bancarelle che vendevano spezie. I giorni passarono così velocemente che Harry non si accorse neanche che era passato già un mese dal suo arrivo in Giappone. Aveva scritto un paio di articoli quando Sam era impegnata al ristorante. In quel mese aveva imparato ad apprezzare il cibo del posto.
Aveva anche imparato a pescare, grazie a Sam e a suo nonno. Era un uomo molto simpatico sulla sessantina, tanto paziente da essere riuscito a insegnare a lui, che era impedito, come pescare.
Lo ricordava bene quel giorno, avevano fatto quasi quattro ore di macchina per raggiungere la costa: c’era il sole che spaccava le pietre, e il mare era calmissimo. Quel giorno vide Sam in costume per la prima volta, vide le forme delicate di quel corpo tanto fragile quanto bello e rimase letteralmente incantato. Cenarono sulla spiaggia e pensò che non c’era niente di più bello che guardare il tramonto tra le braccia di Sam.
In quei mesi Harry era cambiato: non era più l’uomo a cui interessava solo la bella vita, non era più schiavo della società. A volte si dimenticava persino di caricare il cellulare, lo teneva spento per giorni. Aveva imparato a vivere quasi in simbiosi con la natura, si svegliava quando il sole sorgeva e rimaneva lì, affacciato alla finestra della sua camera ad osservare come poco a poco il paesino prendeva vita.
 
 
«Dove mi porti oggi?» disse il riccio sorridendo come non aveva mai fatto
«È una sorpresa» sussurrò la ragazza avvicinandosi al ragazzo
Quella mattina Sam aveva caricato in auto grossi scatoloni; Harry le aveva chiesto cosa contenessero ma lei continuava a dire che fosse una sorpresa.
Salirono in auto, la ragazza accese la radio e ci infilò dentro un cd. Partirono le note di diverse canzoni, tutte canzoni che fecero la storia della musica negli anni settanta. I due cantarono a squarciagola per tutto il tragitto. Harry iniziò a preoccuparsi quando la ragazza imboccò la strada per il bosco.
­ «Harold, non preoccuparti, non ci perdiamo» disse la ragazza scherzosamente guardando la faccia del ragazzo.
Quella mattina Harry aveva indossato un cappello che gli aveva regalato Sam quando erano andati alla fiera del sushi, in un paesino vicino a quello dove abitavano loro. Harry invece le aveva regalato una collana, una di quelle fatte a mano. Sam la portava sempre al collo. Dopo circa una mezz’oretta la ragazza fermò la macchina.
«Da qui si continua a piedi» disse sorridendo.
«Come a piedi?!»
«Ma sei un uomo o cosa?!» disse Sam tirando un pugno sulla spalla del riccio che la fissava.
«Ne varrà la pena credimi, ti porterò in un posto meraviglioso, non ci ho mai portato nessuno, vado lì per rilassarmi, per stare sola con me stessa, fidati»
«Ti ricordo che l’ultima volta che mi hai detto ‘fidati’ non ho dovuto mangiare solo dei bastoncini di pollo, ma tutte le parti del pollo!»
La ragazza scoppiò a ridere, infilò una mano nei capelli del ragazzo per scompigliarli, adorava farlo.
Come aveva ordinato Sam, proseguirono a piedi, e Harry da gentiluomo portò la scatola più pesante. La ragazza ad un tratto si fermò e si girò, andando a sbattere contro Harry. Per pochi secondi si ritrovarono a pochi centimetri di distanza, come la prima volta che si incontrarono, i loro occhi si scontrarono, gli occhi di lei contro quelli di lui. Sam arrossì violentemente, per quanta confidenza potesse avere con Harry, non si erano mai trovati così vicini. Erano vicinissimi, le punte dei loro nasi erano ad un soffio dal toccarsi.
«Scusa» disse la ragazza imbarazzata. «Comunque siamo arrivati, preparati a vedere lo spettacolo» continuò allontanandosi di qualche centimetro.
«Sono pronto»
Attraversarono un piccolo ruscello e arrivarono. Uno spettacolo. Sam lo aveva definito così, ma era molto di più: il ritratto della felicità. Così lo definì Harry.
Era uno spazio circondato da alberi e piante, ma la cosa più bella, la più bella di tutte, era l’albero di ciliegio che sorgeva al centro. Era enorme, sotto di esso petali rosa sparsi sull’erba, altri petali continuavano a scendere dall’albero, si sentiva il rumore del ruscello e il cinguettare degli uccelli.
«Sam… è stupendo» riuscì a dire in un soffio il ragazzo che rimase a bocca aperta davanti a tutta quella bellezza.
«Lo so Harry, lo so…»
Presero gli scatoloni e andarono sotto l’albero. Quegli scatoloni non contenevano nient’altro che un cesto con del cibo, delle coperte e dei bastoncini di incenso profumato. Sam preparò tutto mentre Harry andò a bagnarsi a piedi al ruscello. Mangiarono sotto l’ombra di quell’albero dai petali rosa, ogni tanto cadevano sui capelli del riccio che sorrideva togliendoli.
Ogni volta che sorrideva, puntualmente il cuore di Sam si bloccava, quasi perdeva il respiro ogni volta che il ragazzo sorrideva sfoggiando quella dannata fossetta sulla guancia sinistra. Ogni volta che ci infilava un dito dentro, le sembrava più profonda della volta precedente. Quella volta non lo fece, non ci infilò il dito, preferì osservare e godersi quel meraviglioso sorriso che ogni volta illuminava il volto di quel bellissimo ragazzo dagli occhi tanto verdi.
Quegli occhi… Sam avrebbe pagato per vederli sempre, ogni volta che volesse. Ma sapeva benissimo che non sarebbe stato così. Allora voleva vedere quel viso, quegli occhi, quel sorriso, quei capelli senza forma fin quanto le sarebbe rimasto da vivere.
Finirono di mangiare e andarono al ruscello. Si sedettero sull’erba fresca e infilarono i piedi nell’acqua ghiacciata. I raggi del sole illuminava i loro visi. Harry prese la mano della ragazza e la strinse nella sua. Fu un gesto spontaneo, neanche si accorse di averlo fatto. Era come se avesse bisogno di quel contatto, come se non ne potesse più fare a meno. Sam guardava la sua mano intrecciata a quella del riccio e sul suo viso spuntò un sorriso. Si sentiva bene quando era con lui, si sentiva viva, avrebbe tanto voluto che quegli istanti fossero durati eternamente.
«Harry…»
«Dimmi» disse il ragazzo girandosi in direzione della ragazza.
«Sai… mi dispiacerà lasciarti andare» disse quelle parole con un nodo alla gola, e con gli occhi e ad ogni parola diventavano sempre più lucidi
«Ehi, Sam, la mia partenza è prevista tra mesi… non andrò via… non ti lascerò sola, non lo farò» disse il ragazzo portando il polso della ragazza vicino alle labbra e lasciando un bacio proprio sopra al tatuaggio.
«No Harry… non capisci, non sarai tu a lasciare me. Ti lascerò io… prima che tu te ne possa accorgere, sarò io a lasciare solo te»
«Cosa intendi? Non capisco» disse il ragazzo allungando una mano verso il viso della ragazza e accarezzandola.
«Harry… è dura dirlo, io… sto per morire» disse tutto d’un fiato la ragazza. Dirlo ad alta voce faceva più paura che pensarlo solamente.
Harry rimase fermo lì, senza nessuna espressione ad illuminare il suo volto. Non aveva più un goccio di saliva in bocca. Tutto quello a cui stava pensando scomparve, lasciando nella sua mente un grande buco nero. Nero, era nero tutto quello che vedeva, dove erano andati a finire i colori?
«Non è possibile» riuscì a dire
«Pochi mesi, mi rimangono solo pochi mesi di vita. Harry, sono malata, ho un tumore»
Una lacrima rigò il viso della ragazza. Era stata dura per lei dire quelle cose alla persona che amava. Si, amava Harry dal primo istante che lo aveva visto. Quel buffo americano in giacca e cravatta che si riparava sotto un balcone. Aveva fatto di tutto per parlarci, ma poi era stato lui a dire ‘odio la pioggia’ e così era iniziato tutto.
L’unica cosa che fece Harry fu buttarsi tra le braccia della ragazza, immergersi in quel dolce profumo, farsi avvolgere da quelle esili ma forti braccia. Gli occhi del ragazzo si velarono di lacrime, lacrime che non riuscì a cacciare.
Gli era caduto il mondo addosso quando aveva sentito quelle parole: non poteva essere vero. Sam era la ragione per cui ogni mattina, da quando l’aveva conosciuta, si svegliava con il sorriso sulle labbra, si svegliava carico, con tanta voglia di vederla e di abbracciarla. Sam era la persona più dolce che lui avesse mai conosciuto, era bella dentro e fuori. Harry si era innamorato prima della sua anima, del suo modo di pensare, poi era arrivata l’attrazione fisica. Erano innamorati persi l’uno dell’alto, si vedeva da come ogni giorno si lasciavano per andare ognuno a casa propria. Si vedeva da come si guardavano, come due che non si sarebbero mai voluti dividere, come due a cui non rimaneva nient’altro che nutrirsi di sguardi, di gesti, di carezze e di attimi.
Il ragazzo alzò la testa e guardò la ragazza che gli stava avanti, aveva gli occhi gonfi di lacrime e le guance bagnate.
«Sam… ci sarò, rimarrò fino alla fine. Non andrò via, non lo farò» le sussurrò il ragazzo in un orecchio, spostandole i capelli su una spalla. «Da… da quanto tempo sai di essere malata?»
«Lo so da più di un anno, da prima che arrivassi qui. Scusa Harry, scusa davvero, non voglio lasciarti. Ti giuro, sei la cosa più bella che mi potesse capitare.» disse la ragazza con la voce interrotta dal pianto
«Shh…» il ragazzo posò un dito sulle labbra morbide di Sam, adesso anche le sue guance erano bagnate, le lacrime era scivolate via dagli occhi. Si avvicinò al viso della ragazza e appoggiò le sue labbra su quelle di lei. La sensazione più bella del mondo. La stessa cosa pensò lei. Quello era un bacio carico di passione, di amore, carico di attesa, di dolcezza. Quel bacio racchiudeva tutte le cose belle del mondo, tutte le parole dolci che Harry avrebbe voluto dirle, quelle parole che, anche se non dette a voce, arrivarono al cuore di Sam. Avevano le farfalle nello stomaco, sembravano due adolescenti al loro primo bacio. Labbra contro labbra, un incontro di lingue e di dolcezza. Con quel bacio, persino le loro lacrime diventarono tutt’uno, scendevano dai loro occhi e scivolavano sulle guance, per poi incontrarsi. La ragazza mise le sue mani nei capelli di Harry, li strinse forte. Le mani del ragazzo andarono a posarsi su i fianchi di lei che si mise a cavalcioni su di lui.
«Ho voglia di fare l’amore, ti prego Harry… fammi respirare, fammi vivere» disse Sam ad un soffio dalle labbra di Harry e con le mani posate sulle sue guance.
Il ragazzo serrò la mascella a la guardò dritta negli occhi.
«Ti amo» disse solamente, per poi ritornare a baciare quelle labbra che erano già diventate una dipendenza. Infilò le sue grandi mani sotto la maglia della ragazza e accarezzò ogni centimetro di quella pelle liscia e morbida facendole venire la pelle d’oca. Sam dolcemente giocherellava con i suoi riccioli, con le guance colorate di rosso continuava a guardarlo negli occhi, come se di quegli occhi verdi non ne avesse mai abbastanza. Pelle contro pelle, labbra contro labbra, occhi contro occhi, cuore contro cuore. Riuscivano a sentire solo i loro respiri affannati, con le pupille dilatate continuavano a guardarsi, a sorridere dopo ogni bacio. Sotto quell’albero di ciliegio continuarono a fare l’amore per ore, non si sarebbero mai stancati. Si erano appena trovati e non si sarebbero mai più lasciati.
 
Dopo quella volta, andarono sotto quell’albero quasi tutti i giorni, lo vedevano come un posto sacro, un posto tutto loro, dove fare l’amore, dove progettavano il loro futuro anche se consapevoli che loro un futuro insieme non lo avevano. Facevano ogni giorno l’amore come se fosse l’ultima volta. Harry continuava a vedere ogni giorno che passava come Sam iniziava a distruggersi lentamente. Negli ultimi tempi usava delle bandane, per coprire la testa, odiava vedere i capelli cadere, ma il ragazzo la vedeva ugualmente bella.
Iniziò ad usarle anche Harry. Non condivideva affatto l’idea della ragazza di non volersi curare, litigavano spesso per questo, ma un attimo dopo si ritrovavano abbracciati. Avrebbe fatto di tutto per farla vivere, persino dare la sua vita, ma non poteva. Tutto quello che gli era successo negli ultimi mesi era qualcosa di surreale, non c’era niente di più brutto che trovare l’amore e conoscerne la data di scadenza. Diede la colpa a se stesso per tutto quello che gli stava succedendo, a volte avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e non essere mai partito per quel posto, ma poi non avrebbe mai conosciuto Sam.
Invece di piangere a volte rideva, lo faceva per dare forza a Sam e anche a se stesso, perché forse sentendo il suono della sua risata si convinceva che tutto quello era solo uno scherzo di pessimo gusto, e che la fine non sarebbe arrivata né per lui né per lei. Cercava di convincersi che il loro amore sarebbe durato per sempre, che lui avrebbe mollato tutto, New York, il lavoro, la promozione, tutto pur di stare con lei.
Beh… non fu così, la fine arrivò, con lei arrivò la paura, la solitudine, arrivò, e come tutte le cose che arrivano vanno via, però insieme a loro andò via anche Sam. Sam non c’era più. Prima di andare aveva sussurrato all’orecchio del ragazzo che lo amava e che lo avrebbe fatto per sempre, che non importava se lei non ci fosse più, lui doveva andare avanti e vivere anche per lei. Si diedero l’ultimo bacio, l’ultima carezza, l’ultimo sguardo e dopo essersi sussurrati l’ultimo ti amo, lei chiuse gli occhi. Sembrava respirasse ancora, su quel letto dalle lenzuola immacolate, Harry per un momento pensò seriamente che fosse tutto uno scherzo, desiderò con tutto se stesso che Sam si alzasse e iniziasse a ridere, di quella risata che non ti permette neanche di respirare, e a quel punto avrebbe iniziato a ridere anche lui. Morì in un giorno d’autunno, quando gli alberi iniziano a spogliarsi e il paesaggio inizia a diventare triste. Triste, si, Sam si era portata tutte le cose belle, tutto dopo la sua morte diventò triste.
Harry cominciò a distruggersi, giorno dopo giorno, la sua vita non aveva più senso. Amava ricordarla con il sorriso sulle labbra, ricordava ogni minimo centimetro della sua pelle, ricordava i suoi occhi mentre facevano l’amore, sempre lucidi, sempre pieni d’amore, di speranza. Avrebbe ricordato per sempre il tocco leggero delle sue morbide mani affusolate, il sapore dolce delle sue labbra, il suono della sua risata, la morbidezza dei suoi lunghi capelli, il profumo della sua pelle. Non avrebbe dimenticato niente, perché lui con quei ricordi sopravviveva. Solo così riusciva ad andare avanti, ricordandola in tutta la sua bellezza.
 
Era ancora sotto quell’albero, con gli occhi persi nel vuoto e la testa piena di ricordi. Un petalo gli cadde sul volto; chiuse gli occhi e fece un profondo respiro, sentì l’odore dalla pioggia: sicuramente da lì a poco sarebbe piovuto, un tipico temporale estivo. Harry aveva imparato ad amare della pioggia, in fondo grazie ad essa conobbe Sam. Rimase lì, ad attendere la pioggia e il ritorno delle sua amata, che non sarebbe mai più tornata ma che lui avrebbe comunque continuato ad aspettare.
Per sempre.
 
NOTE AUTRICE:
Salveee eccomi qui con una OneShot.
È la prima volta che ne scrivo una, ci tengo molto c:
Spero con tutto il cuore che vi piaccia.
Come sempre se vi va lasciate una recensione, mi renderebbe felicissima.
Un piccolo avvertimento:
D’ora in poi firmerò i capitoli non con il mio vero nome ma con Amelie.
Anche i capitoli di Shivers li firmerò così.
A proposito di Shivers… mi scuso per l’enorme ritardo, ma sono stata impegnata
e poi questa Os mi ha rubato tempo ed energie, spero di aggiornare presto!
Ciao e grazie <3
-Amelie
  
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