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Autore: Dragon410    27/04/2014    2 recensioni
«Lo so Dominick, ma mettiamo in pericolo migliaia di persone là fuori.» disse Kate puntando il dito verso la finestra.
«Trentamilasettecentoquarantatre, per la precisione.» disse lei saltando giù dalla scrivania. Iniziò a camminare attraverso la stanza nervosamente, passando una mano tra i ciuffi dei capelli corti che andavano un po’ dove volevano.
«Trentamilasettecentoquarantadue, senza l’uomo o la donna che c’è dietro a questi omicidi.»
Genere: Avventura, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Caro Lucas,
ricordo che quando eravamo bambini io ero la più spericolata e tu facevi di tutto per tenermi al sicuro.
Eri più grande di me di solo un mese, ma questo ti è sempre bastato per sentirti in dovere di proteggermi.
Non c’è stato giorno in cui non ci vedessimo, non c’è stato momento in cui non fossimo insieme, l’uno di fianco all’altra. Ogni volta che avevo paura, sapevo che se mi fosse voltata ti avrei trovato con la mano tesa verso di me.
Ma ieri, quando mi sono voltata verso quel maledetto burrone, ho potuto vedere soltanto la tua auto completamente distrutta. Non sarai più al mio fianco, non mi proteggerai più come fa un padre con una figlia, e questo non posso sopportarlo.
Avevamo promesso, a cinque anni, che saremmo stati amici sempre, fino alla fine.
Avevo ancora bisogno di te. Tutti avevamo ancora bisogno di te, del tuo sorriso e, più di tutto, della tua forza.
Non hai idea di quante volte avrei mollato se non ci fossi stato tu a sostenermi e a ripetermi in continuazione che ce l’avremmo fatta. E ce l’abbiamo fatta, ogni volta. Il sapere che non ho potuto ricambiarti il favore, per tutte le volte che mi hai salvato la vita, sarà per sempre il mio più grande rimpianto.
Ti avevo promesso che quando ci sarebbe stata più calma ti avrei aiutato a trovare l’amore della tua vita. Se mai avessi dovuto decidere di sposarmi, tu saresti dovuto essere il mio testimone.
Avevamo ancora tanto da fare, tanto da vivere. Insieme.
E ora che sono qui per salutarti l’ultima volta, non mi bastano tutti i ricordi felici di noi per poterti sentire ancora vicino a me, al mio fianco.
Ti prometto che io e Kate prenderemo quel maledetto assassino; forse solo in quel momento avrò il coraggio di sorridere di nuovo e di cercarti tra gli occhi dei passanti.
Ovunque tu sia, caro amico mio, ti prego di proteggerci in questa corsa disperata contro il tempo.
Non dimenticheremo mai il tuo sorriso e quella dolcissima fossetta che ti spuntava sulla guancia.
Mi mancherai, fratello.

La Tua Amica di Sempre,
Dominick
Untill We Will Together, Everything We Will Fine.

 
 
 Dominick fece ricadere la lettera, chiusa in una busta, nel cumolo scavato nella terra che conteneva la bara di legno del suo fratello nel cuore.
Aveva organizzato il suo funerale in breve tempo, avvertendo solo i famigliari e gli amici più stretti.
La madre di Lucas non aveva fatto altro che guardare nel vuoto per tutto il tempo, stretta al braccio del suo uomo.
Il cappellano aveva iniziato a riversare la terra nel cavo e, pian piano, la bara era completamente sepolta da una montagna di terra marrone.
Dominick e Kate si tenevano per mano, incapaci entrambe di versare una sola lacrima.
Dominick non se n’era ancora resa conto, o forse non voleva crederci e basta; quello che aveva appena sepolto era l’unico uomo che avesse mai coperto una vera e propria importanza nella sua vita.
Il padre di Dominick aveva abbandonato lei e sua madre pochi mesi dopo la sua nascita e lei non l’aveva mai più rivisto. Lucas l’aveva aiutata, in tutta la vita, a riprendere fiducia in sé stessa e negli uomini e, soprattutto, l’aveva aiutata a comprendere che il suo orientamento sessuale non aveva niente in comune con la storia di suo padre.
La madre di Lucas si avvicinò a loro e Dominick non poté fare a meno di notare quanto fosse invecchiata dall’ultima volta: il dolore della perdita della figlia l’aveva ridotta pelle e ossa, si reggeva in piedi per miracolo. Aveva i capelli bianchi e il viso completamente pieno di rughe. Sicuramente non perdeva tempo a fingere di essere più giovane e ancora felice.
Dominick sperava che Alexandra fosse abbastanza forte per sopportare una seconda perdita così dolorosa, ma in cuor suo sapeva che, questa volta, non avrebbe retto: non aveva motivo di farlo, non c’era più Lucas e tenerla in piedi.
«Grazie…per tutto quello che hai fatto per lui.» sussurrò Alexandra, con gli occhi gonfi, facendo una piccola carezza sui corti capelli di Dominick.
Lei non riuscì a dire niente e l’abbracciò forte; sua madre era morta quando lei aveva solo diciotto anni e da quel momento Alexandra aveva fatto il massimo per prendersi cura di lei.
«Promettimi che lo prenderai.» la pregò.
Dominick fece un respiro profondo, si allontanò da lei e prese la mano di Kate: «Fosse l’ultima cosa che faccio.» promise a denti stretti.
 
 
Quel pomeriggio, a casa di Kate, Dominick era stesa sul divano e osservava il soffitto cercando di mettere un po’ di ordine alle sue idee: non poteva aspettare che l’assassino facesse un passo falso, doveva acciuffarlo prima che si macchiassi di nuovo di sangue, che facesse sua un’altra giovane anima.
Kate si avvicinò al divano e lei le fece spazio per permetterle di sdraiarsi. Si strinsero forte, a lungo, con amore, aveva bisogno l’una dell’altra in quel momento più di sempre. Avevano passato fin troppi mesi, soprattutto a Kate, a nascondere quello che era il più vero dei sentimenti che entrambe avessero mai provato. Ora avevano la necessità di essere vicine e farsi forza, insieme. Magari sempre.
«Non credi che dovresti andare in ufficio?» domandò Kate dopo averle dato un bacio nell’incavo del collo.
Lei scosse il capo: «Abbiamo diritto anche noi a una mezza giornata di lutto.» sentenziò con gli occhi serrati. Stava per cedere, ma non voleva e non poteva: se avesse pianto, avrebbe significato l’accettazione della morte di Lucas. E questo era impossibile.
«Tesoro, va tutto bene. Puoi lasciarti andare ora.» le sussurrò Kate con un bacio sulla fronte, lasciandosi sfuggire una lacrima. Anche lei teneva molto a Lucas, era un ragazzo d’oro.
Dominick strinse i denti e i pugni: aveva voglia di distruggere ogni cosa si trovasse davanti.
«Dominick, amore, non fa bene tenere dentro tutto il dolore; si trasforma tutto in rabbia, lo sai.» cercò di convincerla, ma Dominick continuava a deglutire il nodo alla gola.
Quella perdita aveva distrutto l’ultimo straccio del loro equilibrio. Kate continuava a essere in pericolo di vita e, probabilmente, rischiava di essere proprio la prossima.
«Kate, ho perso una colonna portante della mia vita e ora rischio di perderne un’altra. Non posso permettermi di lasciarmi andare a inutili sfoghi.»
Kate provò un brivido lungo la schiena: in quei due giorni aveva quasi dimenticato, allontanato, il pericolo che stava correndo.
Pensò che non fosse pronta a lasciare il mondo, che aveva ancora troppo da fare, da vedere, da vivere; in quel periodo aveva compreso quanta importanza occupasse Dominick nella sua vita. Voleva costruire qualcosa di solido insieme a lei, qualcosa che fino a quel momento aveva continuato a rinnegare, rifiutare.
«Quanto tutto questo finirà, ritroveremo il sorriso.» disse baciando Dominick sulle labbra.
In quel momento credere a quell’affermazione risultava impossibile: si trovavano in un labirinto buio che sembrava non avere una via d’uscita.
Fuori dall’abitazione, la scorta era parcheggiata nascosta tra un paio di cespugli; il sole iniziava a calare e, si sa, la notte porta inquietudine.
«Dormi qui, stanotte?» domandò Kate.
Dominick parve sorpresa: era raro che dormissero insieme, Kate era sempre abbastanza contraria.
Si lasciò andare a un cenno di consenso, notando l’unico particolare bello di tutta quella faccenda: si stavano avvicinando.
Senza particolare fatica, si addormentarono poco dopo strette come radici.
Erano stanche…fisicamente e, soprattutto, psicologicamente.
 
 
La mattina dopo, quando Dominick si decise a riprendere in mano il suo lavoro, entrò in ufficio sperando di trovare sulla sua scrivania la descrizione del profilo psicologico di quel pazzo. La descrizione sarebbe dovuta arrivare quel lunedì mattina; non potevano indugiare oltre.
Quando aprì la porta del suo studio, la busta gialla fu la prima cosa che le fu evidente. Si sedette dietro alla scrivania e l’accarezzò con il dorso della mano: lì dentro c’era la verità sull’uomo che aveva ammazzato il suo migliore amico e che ora cercava di colpire la sua donna.
Strappò il lembo all’estremità della busta e ne estrasse il contenuto:

 
Caso n° 1845
Profilo Psicologico
Dopo un attento esame delle carte riferite a caso in questione, posso affermare con certezza che l’uomo che cercate è affetto da una grave forma di psicosi sottovalutata o, nelle peggiori delle ipotesi, mai curata.
La psicosi sopracitata può essere stata causata da un eccessivo affetto materno in età infantile, subendo poi una grave delusione dalla stessa. Questo potrebbe spiegare l’eccessiva fissazione per le cicatrici alle mani, la quale madre potrebbe avere.
È inoltre possibile che ci troviamo di fronte a un ragazzo da poco uscito dall’età adolescenziale.
È un soggetto pericoloso non solo per le vittime, ma per chiunque tenti d’impedirgli l’azione regolare.



Dominick rilesse il foglio più di una volta prima di essere sicura di aver assorbito ogni particolare. Quella descrizione faceva saltare in aria ogni idea che si era fatta fino a quel momento: il capo non era di certo uno psicopatico.
Poteva essere chiunque là fuori, l’assassino; era come cercare un ago in un pagliaio, o la goccia più grande di tutte durante un violento temporale.
Sperava di potersi avvicinare alla conclusione grazie a quel documento, ma in realtà non aveva fatto altro che metterla davanti alla dura verità: erano ancora lontani anni luce dalla risoluzione del caso.
Le uniche cose che aveva in mano erano quel foglio, che avrebbe stracciato a breve, e il video sul telefono di George. Nessuna di quelle due cose sembrava servire a qualcosa.
Aveva bisogno di altro: sarebbe bastata un’impronta digitale, o della suola della scarpa sul terriccio, o ancora un capello nell’auto di Lucas.
La stampa, fuori, continuava a bramare un’altra sua dichiarazione.
Si sentiva con il fiato sul collo: non poteva deludere la popolazione, non poteva deludere Alexandra, non poteva perdere Kate.
Era un putiferio.
Cercò di respirare con calma e regolarità: rischiava di essere colpita da un attacco di panico, ci mancava solo quello.
Una donna fece capolino con la testa dalla porta dell’ufficio, urlando: «Il video! Devi venire a vedere il video!»
Dominick non se lo lasciò ripetere due volte: si alzò in piedi di scatto e iniziò a correre freneticamente verso i laboratori. Se avevano trovato qualcosa, il cerchio forse si sarebbe chiuso in fretta.
Quando raggiunse il laboratorio, un paio di addetti erano davanti a uno schermo sul quale correvano le immagini a rallentatore del video dell’incontro tra Lucas e George.
«Che succede?» domandò facendosi spazio tra le poche persone.
«Guardi.» disse semplicemente un ragazzo con il camice bianco mentre premeva il pulsante play.
Dominick tentò di captare ogni singola differenza di colore: pensava che il video fosse stato manomesso. Eppure non riusciva a notare niente.
In quel momento l’assenza di Lucas si fece ancora più tangibile; lui si sarebbe sicuramente accorto nell’immediato.
«Ma è un’ombra, là!» scattò poi vedendo un’ombra correre dietro la porta di vetro dello studio di George.
Era inconfondibile: un’ombra correva, in una frazione di secondo, da un lato della porta all’altro, probabilmente verso l’uscita dell’abitazione.
Si sentì percorrere da un brivido lungo tutto il corpo, un brivido che secondo dopo secondo l’avvicinava a una terribile consapevolezza: l’omicida era dentro alla villa del capo mentre lui e Lucas tenevano il loro colloquio.
Ancora però era impossibile collegare George al caso: era risaputo che vivesse solamente con la moglie. Il loro unico figlio era morto tre anni prima, e, nella descrizione del profilo, lo psicologo aveva espressamente detto che il serial killer era, senza ombra di dubbio, un ragazzo.
Quindi l’unico filo logico conduceva all’idea che l’uomo si fosse introdotto in casa di George per una qualche ragione sconosciuta e che poi, solo successivamente, fosse nuovamente uscito per manomettere i freni di Lucas. Ma quale poteva essere il motivo che l’aveva spinto a entrare nella villa, con due uomini dell’unità, rischiando di essere scoperto e di mandare all’aria ogni cosa?
Nessuno poteva saperlo, nessuno poteva immaginarlo.
«C’è un modo per riuscire a isolare l’ombra da tutto il resto?» domandò lei speranzosa.
L’operatore annuì, ma decisamente abbattuto: «Abbiamo già provato il tutto per tutto, ma non c’è modo di riuscire a isolare l’ombra in modo da poter identificare anche solo idealmente la persona alla quale appartiene.»
Quella era la prima vera prova tangibile, ma non era utilizzabile.
Dominick strinse i pugni irata: c’era qualcosa, una sensazione, che le impediva di allontanarsi dall’idea che George sapesse qualcosa. In una villa come la sua doveva essere sicuramente attivo un allarme: per evitarlo il serial killer avrebbe dovuto conoscere a perfezione l’abitazione, ma non c’era niente che potesse condurre all’idea che quel pazzo potesse essere interessato alla vita di George e sua moglie.
Fece un respiro profondo, l’ennesimo, poi si voltò verso la donna che poco prima l’aveva raggiunta nel suo ufficio: «Chiama il capo, digli di venire qui al più presto, voglio sottoporlo a un nuovo interrogatorio.»
La ragazza stava per aprire bocca, quando un urlo che proveniva dal corridoio fece rizzare i capelli di tutti.
Qualcuno urlava il nome di Dominick.
Quando uno degli uomini che era stato destinato alla scorta di Kate si lanciò dentro al laboratorio, Dominick barcollò un istante: «L’ha presa- disse lui cadendo a terra in ginocchio, bianco come se avesse visto un fantasma- l’ha rapita! Ma l’abbiamo visto. È una cosa impossibile!»
Dominick si fiondò vicino a lui: «Cosa significa che l'ha presa?» gli domandò in un urlo.
«L’ha rapita, ha rapito Kate! Ma è impossibile…lui…lui…doveva essere morto!»


 
  
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