Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: Beatrix82    20/07/2008    3 recensioni
Mentre qualcuno attende impaziente i fiori d'arancio e l'arrivo di un nuovo, piccolo mezzosangue, qualcun altro riemerge dal profondo precipizio in cui era caduto, ritrovando la serenità sulle verdi e spensierate colline dei Paoz... 3° volume della saga "Dragonball NG", dopo "Il signore della Terra" e "Moonlight".
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bra, Goten, Pan, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 1

Capitolo 1 – Qualcosa in sospeso

 

 

NOTA DELL’AUTRICE:

Questo capitolo si colloca temporalmente a metà tra il primo ed il secondo paragrafo del Capitolo 8 di "Moonlight" di Xellass. Se l’avete letto, come spero che sia, potrete facilmente capire il senso del titolo di quello che vi apprestate a leggere. Buona Lettura.

 

----------------

 

 

Pan incrociò le braccia al petto, sbuffando leggermente.

La sua precaria pazienza aveva già cominciato a vacillare, ma cercò di trattenersi, se non altro per rispetto di suo nonno Satan e della palestra che le aveva lasciato in gestione. Non avrebbe disonorato il suo nome e la sua scuola di arti marziali solo per un povero idiota che ce l’aveva con il mondo intero perché la sua carriera non decollava.

La ragazza recuperò il caffè dal distributore automatico della palestra, lanciando un’altra occhiata spazientita all’eccentrico ometto calvo poco lontano da lei, che sollevava con superiorità il mento appuntito mentre la truccatrice vi depositava sopra quintali di cipria. Aveva appena finito di sfogarsi con il suo cameraman, un giovane magro dalla faccia stanca e una gomma da masticare in bocca, che aveva finto di annuire un paio di volte durante la sua arringa giusto per non avere rogne, ma senza veramente avere idea di che cosa stesse blaterando. Adesso, non contento, il basso giornalista aveva cominciato a ripetere il suo tormentato sfogo con l’anziano fonico, che però al momento sembrava più interessato a cercare di evitare i cavi sul pavimento, che due tecnici avevano fatto passare attraverso la palestra per sistemare i riflettori.

“Questa è l’ultima volta, capisci, l’ultima!” ribadì con enfasi, mentre la povera truccatrice tentava disperatamente di farlo stare fermo. “Sono stufo di essere sempre il ripiego del canale per i servizi che Candy Flash non vuole fare! Perché lei è la star, giusto? Lei è la regina dell’informazione! Lei non si abbassa a fare le interviste che non interessano a nessuno! Figuriamoci se veniva in una stupida palestra a fare due domande a una mocciosa, sarà anche la nipote dell’ex campione del mondo, ma ora ce n’è uno nuovo e tutto ciò che riguarda il vecchio non fa più notizia!”.

Pan si appoggiò al muro, sorseggiando il suo caffè con gli occhi ridotti a fessure. Quell’altezzoso ometto stava parlando a voce alta, senza badare al fatto che l’oggetto delle sue dicerie era poco lontano da lui, e che avrebbe potuto spedirlo a calci fuori dalla palestra, mandando a monte il suo bel servizio, di cui certo non avrebbe sentito la mancanza. Ma forse era proprio quello che quell’idiota voleva, in effetti, e allora pensò che non gli avrebbe mai dato quella soddisfazione.

Nel frattempo il giovane cameraman, nell’udire il nome della giornalista più in voga del momento, si era come improvvisamente risvegliato dal suo stato semi-catatonico, allungando il collo con interesse. “Davvero doveva venire la Flash? Che peccato…”.

“Tze!” commentò acido il giornalista, con una smorfia. “Tanto cosa credevi, Tommy, che portava al seguito te?? Ce l’ha già lei il suo bello, atletico e prestante cameraman! Miss Flash si seleziona accuratamente anche quelli, come del resto i servizi che presenta, lasciando gli scarti a me!”.

Tommy biascicò qualche secondo la gomma con espressione vacua e perplessa. “E che servizio presenterà, allora, nel rotocalco delle cinque?”.

“Haha! Come se non sapessimo qual è al momento l’interesse più morboso di quella strega! Trunks Brief, chi altri sennò!”.

I due tecnici, che in quel momento stavano sistemando le luci in modo tale da evitare l’effetto lucido sulla pelata del giornalista, sbuffarono all’unisono, come se quel nome fosse diventato un tormentone di cui cominci ad averne abbastanza. La truccatrice invece alzò esaltata le sopracciglia, mentre faceva passare distrattamente la spugnetta piena di cipria sulla bocca del giornalista, facendogliene ingoiare una buona dose. “Trunks Brief, che bello! Speriamo di staccare presto, non mi voglio perdere il servizio! Sa per caso se l’ha intervistato, signor Peaboy??”.

Il signor Peaboy tossì convulsamente, come se stesse per soffocare, mentre cercava di liberarsi la gola dalla cipria ingoiata. “Maledizione, stai più attenta, Trudy! E comunque, non credo sia riuscita ad intervistarlo, Mr Brief è latitante da settimane, ormai! Secondo l’opinione pubblica, è fuggito per evitare di vedere il suo impero crollare definitivamente davanti ai suoi occhi! In ogni modo, so da voci di corridoio che la Flash aveva intenzione di strappare un’intervista a Ted Norton, sapete, quello della concorrenza”.

“Ah sì!” rispose prontamente Trudy. “Un bell’uomo anche lui, ho visto delle sue foto proprio ieri, su una rivista dal parrucchiere!”.

“Già” sibilò Peaboy tra i denti. “E figuriamoci se Candy Flash non notava anche lui. Voleva intervistarlo per capire come mai non approfittasse del momento nero della Capsule Corporation per battere finalmente il suo rivale di sempre! Sarebbe l’occasione buona per lui, senza la concorrenza dei Brief, anche mettere sul mercato l’invenzione più futile sarebbe un successone! E invece niente, per ora non ha ancora fatto la sua mossa, e tutti si chiedono cosa stia aspettando. Logicamente la Flash ha fiutato lo scoop e lo sta pedinando da giorni, ma quando ha provato a chiedergli cosa ne pensa del fallimento di Trunks Brief e della Capsule Corporation, lui ha ribadito il silenzio stampa!”.

“Tutto a posto, Pan? Hai bisogno di qualcosa?”.

La ragazza si ridestò rapidamente, fino ad allora distratta dalle lagne del giornalista, mentre metteva lentamente a fuoco la slanciata figura di Phol “Bolide” Tail. Il biondo collega la fissava in aspettativa, un sorriso sornione disegnato sul volto perfettamente rasato.

“Ah, no, grazie, Phol” rispose distrattamente, mentre lanciava una rapida occhiata omicida in direzione del giornalista e della sua combriccola, e alzando di proposito il volume della voce: “Sto solo aspettando di poter cominciare questa…specie di intervista”.

In quel momento il giornalista si liberò non troppo garbatamente della truccatrice, per avvicinarsi con indifferenza verso la ragazza, mentre ostentava il suo più largo e falso sorriso d’avorio e le porgeva la piccola mano. “La signorina Son, giusto? Finalmente ho il piacere di conoscerla!”.

“Il piacere è tutto mio…” disse Pan a denti stretti, con un sorriso forzato, mentre combatteva con la voglia di stringergli la mano un po’ più forte in modo da disintegrargliela. “Signor…oh, mi scusi, mi sfugge il nome!”.

“Peaboy…signor Peaboy” rispose piano l’ometto, allentandosi con una punta di imbarazzo il colletto della camicia. “Di ZTV. Se è pronta, signorina Son, vorrebbe di grazia sedersi qui vicino a me, così cominciamo l’intervista?”.

Appena Pan si fu seduta controvoglia, Trudy si lanciò come una tigre in sua direzione, la spugnetta già alta nella mano destra, pronta a posarsi sul suo viso e ad imbrattarla di trucco.

“No!” la bloccò con decisione Pan, il tono perentorio e l’indice sinistro puntato sulla donna, come la canna di una pistola.

Trudy rimase qualche secondo paralizzata, la spugnetta ancora alta, a pochi centimetri dalle guance della ragazza. Sbattè quindi un paio di volte le ciglia, per poi voltare ubbidiente le spalle ed allontanarsi senza una parola. Ma lo strazio non era ancora finito, dal momento che Phol era rapidamente sgattaiolato verso di lei, inginocchiandosi accanto alla sua sedia e allungandosi per sussurrarle qualcosa.

“Sei sicura, cara, che non ti serve qualche dritta, consiglio o suggerimento da qualcuno che, senza modestia, è abituato alle interviste??” chiese, riavviandosi indietro il vaporoso ciuffo biondo e gonfiando il petto con orgoglio.

Pan alzò dubbiosa un sopracciglio: “No, Phol, non mi serve niente” ripetè pazientemente. “Anzi, sì… buttami via questo, grazie”.

Gli porse distrattamente il bicchiere vuoto del suo caffè, mentre sul viso dell’istruttore si spegneva lentamente il sorriso compiaciuto e si disegnava invece una vaga espressione di delusione. Tuttavia il giovane si alzò, operando un po’ spiazzato la missione affidatagli dal suo capo, per poi abbordare la truccatrice ed iniziare a tediarla con l’ennesima esaltazione di se stesso e dei micidiali concorrenti che aveva sconfitto coraggiosamente agli ultimi tornei.

“Amici di ZTV, mi trovo oggi a Satan City, nella palestra di arti marziali appartenuta all’ex-campione del mondo Mr Satan…” iniziò Beaboy, con un sorriso da schiaffi disegnato sul volto spigoloso mentre Tommy gli dedicava uno stretto primo piano. Il giornalista si addentrò quindi in una lunga introduzione sulla storia del torneo Tentaiki. Probabilmente le arti marziali erano l’ultima cosa che interessava a quell’uomo, ma l’accanita concorrenza con la collega super richiesta l’aveva sicuramente obbligato a mostrarsi preparato sull’argomento e a studiare controvoglia la lezione del giorno.

Pan sospirò piano, sorreggendosi poi la testa con la mano con espressione annoiata. Attese con pazienza ed in silenzio, ripetendosi mentalmente che lo stava facendo per il buon nome della palestra, la palestra di suo nonno, cercando di non pensare a

(il buon profumo del suo dopobarba)

quanto avrebbe desiderato prendere a schiaffi quell’uomo e piantarlo semplicemente lì, ad intervistarsi da solo, come sembrava saper fare alla perfezione. Inspirò quindi profondamente, si raddrizzò sulla sedia e liberò la mente da

(il tocco caldo delle sue labbra)

gli istinti omicida che le erano appena ronzati in testa. Il suo povero nonno Satan, che tanto aveva tenuto all’immagine, non avrebbe di certo approvato un tale scempio nella sua palestra, e per giunta in diretta.

“…ma è qui con noi la nipote del defunto campione del mondo” la introdusse infine Peaboy, come ricordandosi solo allora chi fosse l’oggetto dell’intervista. “La signorina Pan Son, a cui Mr Satan ha affidato…” e qui le lanciò uno sguardo di totale mancanza di fiducia “…la gestione della palestra di arti marziali…signorina Son, come intende portare avanti l’insegnamento di una disciplina così complessa ed antica, che solo i più esperti, maturi e rispettabili campioni sono in grado di tramandare?”. 

“Esattamente come ha sempre fatto mio nonno, con impegno e dedizione. Credo di aver ricevuto dei buoni insegnamenti, non solo sulla disciplina in se, ma anche su come applicarla”. La ragazza fissò l’obiettivo, parlando con rinnovata sicurezza. “Ed è questo che intendo insegnare ai nostri allievi, la perfetta padronanza di una dote al solo fine di potersi difendere, e mai per attaccare”.

Il giornalista tossicchiò piano, come se volesse contestare implicitamente il discorso della ragazza: “Ma mi dica, signorina Son, si sente davvero pronta per un compito del genere? Voglio dire, lei è…sì, insomma, una donna, e per di più molto giovane, crede veramente di riuscire a tener testa ai suoi colleghi uomini o ai suoi allievi più esperti??”.

Peaboy sogghignò, convinto di aver fatto il suo dovere di bravo giornalista e di aver furbescamente trovato il tasto dolente della mocciosa che era stato costretto ad intervistare, mettendo un’altra pietra sopra alla sua reputazione di sfigato del canale. Ma Pan gli rivolse un sorriso sornione, incrociò le braccia al petto con disinvoltura e…”.

 

“E…???” chiesero all’unisono Gohan, Videl, Trunks e Chichi, gli sguardi carichi di aspettativa diretti verso la ragazza, mentre questa finiva di masticare il suo boccone di carne.

“Niente! Gli ho detto semplicemente che io, se voglio, me li mangio tutti quanti a colazione!”.

Una risata divertita si levò dal tavolo, mentre Pan scrollava le spalle, servendosi con disinvoltura e compiacimento un’altra porzione.

“Pan!” la rimproverò bonariamente Gohan. “Nessun pelo sulla lingua, eh?”.

“Ha fatto bene, invece!” commentò orgogliosa Videl, visualizzando mentalmente la faccia del giornalista dopo un simile smacco. “Gli ci voleva proprio a quella nullità di Peaboy”.

“Discreta ma pungente…una buona risposta” convenne Trunks, divertito.

“Avrei voluto aggiungere che lui invece sarebbe stato permetto come stuzzicadenti, ma mi sono trattenuta” aggiunse Pan, mentre la madre si alzava da tavola per togliere i piatti vuoti a Gohan e a Trunks e servire il dolce. “Non volevo certo mettere a rischio la reputazione della palestra”.

“Io credo invece, tesoro, che la tua intervista sarà una buona pubblicità” le assicurò Chichi con un sorriso, aggiustandosi lo scialle sulle spalle. “Vedrai che le iscrizioni raddoppieranno, appena la manderanno in onda”.

“Chissà” sospirò Pan, servendosi il dolce. “A meno che Peaboy non la monti in modo tale da farmi apparire una specie di cannibale o roba del genere!”.

“Immagino che dopo la tua secca risposta abbia continuato l’intervista in modo più tranquillo!” dedusse Trunks, versandosi un bicchiere d’acqua.

“Sì, direi che il tipo ha abbassato la cresta. Deve aver capito che a fare il provocatore sarebbe passato da idiota solo lui. E’ passato quindi a domande più neutrali riguardo alle discipline praticate, ai ritmi di allenamento e ad altre cose strettamente professionali!”.

Questa volta lui l’aveva guardata negli occhi, mentre lei gli rispondeva, e per qualche brevissimo istante continuarono a guardarsi in silenzio, prima che Gohan si volgesse verso la figlia con soddisfatto stupore: “In ogni modo, questa giornata ti ha messo appetito, Pan, hai mangiato più di quanto faccia di solito io!”.

“Ma anche il nostro Trunks ha fatto onore alla cena” aggiunse maternamente Chichi, osservando le pile di piatti che Videl si apprestava a sparecchiare. “Direi che sta a poco a poco ritrovando l’appetito di un tempo!”.

“Tutto merito della tua cucina, Chichi” banalizzò Trunks, assaggiando il dolce con gusto. “E’ quello che ho detto anche oggi a Marron e Ub”.

“Sono passati Marron e Ub?” chiese Pan. “Che peccato, avrei voluto salutarli!”.

“Già, anche Goten li ha mancati per un pelo. Era andato via da appena venti minuti, quando sono arrivati…”.

 

Trunks guardò la familiare figura di Goten issarsi in aria e sparire velocemente ad ovest, verso Satan City. Mentre seguiva con lo sguardo la scia dell’amico attraverso il cielo, si rese conto che stringeva ancora nella mano sinistra la catenina di sua madre, nella destra il foglio di carta ripiegato. Quella lettera era stata dolorosa come le spine di una rosa: per quanto tu possa essere preparato quando la prendi in mano, non hai idea fino a che punto può far male, finchè non ti pungi.

Eppure, quel dolore era stato salutare, quasi catartico.

Qualcosa di pesante si era finalmente liberato da lui e adesso, guardando quella foto di famiglia che era lo screensaver del suo portatile, sorrise debolmente.

Cos'hai sullo schermo?

La voce morbida interrogativa, gli occhi neri illuminati di innocente curiosità, la borsa a tracolla momentaneamente abbandonata sul prato, mentre si era inginocchiata accanto a lui, più di un’ora prima.

La foto perfetta. Difficile a credersi…difficile, dopo essere stato negli abissi più profondi, senza aria e senza luce, dopo aver fatto tabula rasa intorno a se, quando pensavi che non solo niente sarebbe potuto più essere perfetto, ma neanche minimamente normale.

Sarebbe stato più facile per tutti se...

Non è vero io...non...

Chiuse gli occhi, portando la testa leggermente all’indietro e lasciando che l’aria calda gli accarezzasse le guance per alcuni secondi.

Il mondo non è fatto solo di persone forti.

Aprì lentamente il palmo della mano. La catenina aveva un taglio decisamente femminile, ma anche se non l’avesse portata direttamente al collo, l’avrebbe conservata per sempre come il tesoro più prezioso. La fece scivolare nella busta insieme alla lettera, che poi ripose con attenzione nella valigetta del suo computer.

Riportò quindi lo sguardo sullo schermo del suo portatile, dove ripristinò il grafico a cui stava lavorando. Mentre cercava di concentrarsi sul file, non notò immediatamente le due auree che si stavano avvicinando, finchè una voce femminile lo richiamò all’attenzione.

“Ma guarda un po’…stacanovista fino in fondo!”.

“Ti aspettavi davvero che il nostro Presidente non si portasse il lavoro anche in vacanza?”.

Il Brief alzò la testa, incontrando le familiari figure di Marron e Ub che attraversavano il prato sorridenti, candida vaniglia lei, illuminata di grano e del sole di primavera, soffice cioccolato al latte lui, sfoggiante ancora la sua etnica cresta corvina.

“Ehi!” sorrise in risposta Trunks, alzandosi in piedi e andando incontro ai due amici, ormai coppia fissa e conviventi da diversi mesi. “Ciao ragazzi, che piacere vedervi!”.

Marron si avvicinò a lui con occhi luminosi, per poi appoggiargli le mani sulle spalle e guardarlo dall’alto in basso con orgoglio, come una madre che, rivedendo il figlio dopo un po’ di tempo, si compiace di quanto lo trovi cresciuto.

“Ti trovo davvero in forma, Trunks” sorrise dolcemente la bionda infermiera, l’espressione sinceramente felice, mentre lo baciava sulle guance. “L’aria di montagna ti ha fatto bene!”.

“Già” confermò Trunks, salutando anche Ub con una stretta di mano. “Non sarò mai abbastanza grato a Gohan e a Videl per avermi ospitato qui!”.

“Siamo passati da Chichi, prima, ci ha detto che ti avremmo trovato fuori. Mi rincuora pensare che anche se lavori, lo fai all’aria aperta e senza lo stress della città! In ogni modo, Trunks, volevo farti una breve visita medica, anche se il tuo rinnovato colorito la dice già lunga”.

Lui annuì, mentre l’infermiera si apprestava a tirar fuori dalla sua borsa l’apparecchio per la pressione. In fondo, si aspettava che l’apprensione dell’amica non le permettesse di limitarsi solo ad una semplice visita di cortesia, non quando ormai era diventata, suo malgrado, anche la consulente clinica della sua sfortunata famiglia.

“Senti ma…l’aria di montagna invece dov’è?” chiese Ub per allentare la tensione, mentre la compagna aggiustava la fascia elastica al braccio del suo paziente, sollevando appena lo sguardo con un mezzo sorriso. “Ops…volevo dire…Pan!”.

Trunks abbassò gli occhi, sorridendo divertito. Aveva come l’impressione che il lapsus del ragazzo non fosse stato per niente casuale. Ultimamente aveva acquistato un po’ più di confidenza con lui, sembrava molto più spontaneo e naturale, forse per la maggiore autostima ricevuta con il titolo di Campione del mondo, forse per il fatto di avere accanto una compagna che le si addiceva alla perfezione…in ogni modo, non era la prima volta che faceva qualche strano riferimento a Pan in sua presenza e solo ora, forse, Trunks si trovava inevitabilmente a rifletterci.

“E’ scappata in palestra poco fa, aveva un’intervista di lavoro” lo informò. “E’ venuto a prenderla un suo collega, un certo…Tail…”.

“Ah, sì, il grande Bolide” commentò divertito Ub. “L’ho rivisto a qualche torneo di arti marziali…un lottatore mediocre, anche se crede di essere un fuoriclasse. Non so come, ma dal tono con cui hai pronunciato il suo nome ho l’impressione che non ti vada molto a genio!” sorrise il ragazzo, scrutandolo di nuovo con sguardo vagamente indagatore.

“Non è vero, è…è che è arrivato qui con un mezzo della Norton, copiato spudoratamente da un nostro vecchio modello, e ha falciato via buona parte della vegetazione…dovevate vedere Goten com’era furioso!”.

Marron tolse la fascia dal braccio di Trunks, soddisfatta: “70-110, direi nella norma. Hai detto che è passato Goten? Come se la passa con…tua sorella?” chiese, con un accenno di timore nella voce.

“Conosci Bra…quindi puoi immaginare” rispose il Brief, mentre Marron annuiva arrendevole. “Lo sta facendo letteralmente impazzire, con i preparativi del matrimonio…credo che se non fosse per il piccolo Golden in arrivo, tenterebbe la fuga senza pensarci due volte!”.

I tre risero con leggerezza, prima che l’espressione di Marron tornasse di nuovo seria e professionale, mentre si avvicinava di nuovo a Trunks per esaminargli gli occhi: “Hai ancora gli incubi?”.

“Qualche volta”.

“Sempre…gli stessi?”.

“Sì” rispose piano lui, rabbrividendo impercettibilmente. L’immagine di due figure in decomposizione e dagli occhi rossi come l’inferno era balenata nella sua mente come un razzo, due figure dall’aspetto dannatamente familiare e tuttavia così spaventoso, ma l’aveva scacciata subito con forza. “Ma non mi fanno più così paura…credo che stia imparando ad ignorarli”.

“Bene” approvò l’infermiera, abbassandogli le palpebre inferiori nel suo esame scrupoloso. “E’ così che devi fare. Lo sai che sono solo frutto della tua immaginazione…andranno via presto”.

Trunks annuì, sospirando. Quanto voleva che avesse ragione…

“Ok” concluse la bionda, rilassando finalmente il volto in un sorriso. “Mi sembra che non ci sia bisogno di prescriverti nessun farmaco, solo aria pulita, sana alimentazione, relax e pensieri positivi…e qui dovresti avere tutto questo in abbondanza!”.

“Quindi…sono guarito?”.

“Direi…con cautela…che ci siamo” rispose lei senza sbilanciarsi, ma con uno sguardo di sincero ottimismo, mentre Ub, accanto a lei, annuiva sorridendo, le mani incrociate sul petto.

“Credi che sia pronto per tornare?”.

“Beh…fisicamente senza dubbio” osservò, recuperando la sua borsa, mentre con l’altra mano accarezzava piano la spalla dell’amico, guardandolo negli occhi con affetto. “Emotivamente…puoi saperlo solo tu, Trunks”.

 Ma lui sospirò comunque di sollievo, chiudendo per qualche attimo gli occhi in un muto ringraziamento.

 

“Sono contenta che Marron ti abbia trovato bene” disse sinceramente Pan.

“Già, questa sì che è proprio è una bella notizia” convenne Chichi, sospirando al pensiero che ne avevano avute di molto poche ultimamente.

Trunks annuì, sorridendo, prima in direzione della più anziana, poi passando lentamente lo sguardo in direzione di Pan, che lo fissava con ammirazione. Abbassò quindi gli occhi sulla tavola, stropicciando distrattamente il tovagliolo con la punta delle dita. La ragazza si morse il labbro inferiore, mentre sentiva che non sarebbe riuscita molto oltre a rimanere seduta su quella sedia.

“Caffè, famiglia?” chiese Gohan, mentre sua moglie e sua figlia annuivano e Chichi reclinava l’offerta.

“No, grazie, Gohan, io sono a posto” disse Trunks, massaggiandosi lo stomaco. “Credo che invece andrò a fare due passi fuori, se non vi dispiace. Immagino si stia a meraviglia stasera”.

“Ok, a tra poco allora” lo salutò Gohan, mentre il Brief si alzava educatamente da tavola e si avviava alla porta, concedendosi all’aria fresca della sera.

Pan lo seguì con lo sguardo, cercando di ostentare la massima indifferenza, ma si accorse solo allora che aveva trattenuto a fatica il respiro e che aveva maledettamente bisogno di riprendere fiato. Fece caso appena a suo padre che le porgeva una tazza di caffè fumante, l’attenzione rivolta altrove.

“Ehm…credo di aver cambiato idea, papà” mormorò, incontrando il cipiglio di suo padre. “Non…non mi va più il caffè…credo che andrò fuori anch’io”.

Si alzò da tavola senza tante cerimonie, di fronte allo sguardo allibito di suo padre, per poi sgattaiolare verso la porta e richiudersela dietro.

Trunks era lì poco lontano, voltato di spalle, le mani in tasca e l’atteggiamento rilassato. Pan rimase immobile qualche secondo, incerta sul da farsi, chiedendosi improvvisamente se desiderasse semplicemente starsene un po’ da solo. Poi decise di avvicinarsi con discrezione.

“Bella serata, eh?” esordì lui. Si era voltato appena nella sua direzione, sentendola arrivare, tornando poi a guardare l’orizzonte.

“Già” concordò Pan, fermandosi al suo fianco, rendendosi spiacevolmente conto che non aveva niente di meglio da dire, da aggiungere.

Effettivamente, la serata era piacevole, deliziosamente calda per un metà Aprile. Una falce di luna spiccava nel cielo stellato, appena sopra il boschetto di larici in cima alla collina, dando all’aria una luminescenza argentea. I grilli cantavano nei cespugli tutt’intorno, unica musica in quell’angolo tranquillo dei Paoz.

Rimase per un buon minuto in silenzio, a godere di quella suggestiva atmosfera, ma fortemente consapevole della presenza di lui al suo fianco, silenzioso, immobile, lo sguardo sicuramente rapito verso il cielo, come non avesse bisogno di altro.

Sembrava così in pace, accidenti. Chissà, forse per lui era maledettamente facile tenere a bada le emozioni…ma non per lei, per lei no, e non ci pensò neanche troppo prima di fare un paio di passi, appoggiargli le mani al petto ed alzare lo sguardo verso di lui.

Fece appena in tempo a vedere i suoi occhi chiari abbassarsi finalmente su di lei, che le loro labbra si stavano già unendo, quasi così fosse scontato, fosse perfettamente naturale. Sentì le mani di lui che le cingevano delicatamente la vita, partecipare a quel bacio che si faceva a poco a poco più profondo, più avvolgente, e allora si alzò in punta di piedi, facendogli passare le braccia intorno al collo, così da perdervisi dentro.

Calda, così piacevolmente calda quella sera, carezzata solo dal canto dei grilli…

Le loro labbra si staccarono, ma le loro fronti quasi continuavano a toccarsi, le mani di lui che adesso le tenevano il volto, appena sotto le orecchie, dietro alle quali ravviava delicatamente alcune ciocche della ragazza, per poi accarezzarle le guance con i pollici, occhi negli occhi.

Le sorrise con dolcezza, e lei fece altrettanto, ora più sicura e rilassata.

“Scusami, ma stavo impazzendo” ammise Pan con sincerità, la voce bassa, quasi sussurrata. “Sai, non mi piacciono le cose in sospeso”.

Lui sorrise, compiaciuto.

“Concordo. Oggi Goten poteva scegliere un momento migliore per fare la sua entrata, non è così?” chiese, ammiccandole.

“Appunto” convenne Pan con un piccolo sbuffo d’insofferenza. “Mio zio non conosce la discrezione, è una caratteristica degli uomini Son, non lo fanno apposta, è che proprio non ci arrivano…la prossima volta, però, giuro che si ritroverà in faccia molto di più della tua cartella dei documenti!”.

Lui rise, divertito, per poi accettare di nuovo le sue labbra, morbide e calde, come quella sera di Aprile.

 

Gohan sorseggiò di nuovo dalla tazza, nonostante avesse finito il suo caffè da un minuto buono. Sua madre era già andata a coricarsi, stanca, mentre Videl era rimasta a rigovernare le ultime stoviglie dell’abbondante cena. Lui, invece, era appoggiato allo spigolo di muro subito accanto alla finestra, appena dietro le tendine semitrasparenti che certamente pensava lo mimetizzassero, ma il suo sguardo, nonostante la maschera di indifferenza, si sollevava di tanto in tanto furtivamente, per controllare quanto avveniva fuori.

“Quando mai avrai finito quel caffè, Gohan, ti dispiacerebbe sparecchiarmi la tavola?” chiese Videl, alzando con pazienza gli occhi sul marito, che sembrava quasi paralizzato nella sua posizione.

“Oh. Sì. Subito” rispose lui, abbandonando la tazza nel lavello e dirigendosi verso la tavola.

Non mancò però di gettare un’ultima occhiata al di là dei vetri, con espressione allibita.

“Ti rendi conto…si stanno baciando” disse, quasi così volesse rendere legittimo il suo prolungato trattenersi davanti alla finestra.

“Sì. Lo so” si limitò a dire Videl, continuando a lavare un piatto senza alzare lo sguardo, ma con espressione più che tranquilla, anzi, quasi compiaciuta. “E comunque, Gohan, non mi sembra carino stare a spiarli dietro la finestra come una zitella curiosa che non ha visto mai niente!”.

“Io non li stavo spiando” si difese l’uomo, non troppo convinto. “Solo che…insomma…Trunks non…”.

In quel momento la porta si aprì, mentre il diretto interessato faceva il suo ingresso, e Gohan ricacciò in gola le parole, tossendo poi con indifferenza. Aveva abbassato lo sguardo, aggiustandosi con un dito gli occhiali sul naso e mettendosi meccanicamente a spazzare via alcune briciole inesistenti dalla tavola, mentre Videl, le mani e buona parte degli avambracci ancora immersi nel lavello schiumoso, alzò gli occhi luminosi, sorridendo al Brief.

“Sto andando a dormire” annunciò con tranquillità Trunks, mentre Gohan pensava come mai in quella stanza dovesse essere l’unico ad essere in imbarazzo. “Anche Pan era stanca, mi ha detto di dirvi che stava tornando nella dependance. Vi serve una mano, prima che salga in camera?”.

“Oh, no, figurati, abbiamo quasi finito!” gli assicurò Videl. “Vai pure a riposare”.

“Ok, allora” sorrise lui, avviandosi per le scale e rivolgendo un ultimo saluto ai due coniugi. “Buonanotte Videl. Buonanotte Gohan”.

“Buonanotte” rispose Gohan, facendo eco alla moglie, sforzandosi di sorridere.

Già, vai pure a nanna, Trunks, anche se non mi sembravate tanto stanchi appena un minuto fa, là fuori, pensò Gohan in un recondito angolo della mente, pentendosene quasi subito. Non riusciva a capacitarsi come in quel momento venisse fuori da lui tutto quel cinismo ingiustificato.

Videl attese di sentire la porta della vecchia camera di Goten che si chiudeva, poi si rivolse verso il marito, scrutandolo con leggero rimprovero: “Non dirmi che cadi completamente dalle nuvole, Gohan. Sapevi che sarebbe successo, era solo questione di tempo. E credo che tu lo sapessi anche quando hai proposto a Trunks di venire a stare da noi, facilitando inevitabilmente le cose”.

Gohan sospirò, fissando nuovamente fuori dalla finestra, dove rimaneva ormai solo il paesaggio notturno e la luce proveniente dalla camera di sua figlia, nell’attigua dependance.

“Sì, lo sapevo” ammise debolmente. “Ma è dura quando ci si arriva davvero”.

 

La camera da letto era buia, rischiarata solo dall’argentea luce lunare che filtrava dalle tendine della finestra, ma Pan accostò la porta senza accendere la luce, gettandosi direttamente sul letto, senza nemmeno disfare le lenzuola o indossare il pigiama. Rimase invece a fissare il soffitto con sguardo vacuo, sognante, portando su le mani ad afferrare le estremità del cuscino sotto la sua testa, come un appiglio alla realtà.

Era successo. Era successo davvero, e ancora non ci credeva. Non che nelle ultime settimane non l’avesse ritenuto probabile, non che dopo quella mattina non ne fosse stata ormai completamente sicura…eppure, era ancora strano pensare a come fosse stato tutto così semplice, alla fine.

E’ vero, era stata lei a prendere l’iniziativa, in entrambe le occasioni, ma lui aveva risposto immediatamente, lui non l’aveva rifiutata. Ed era proprio questo che aveva spaventato Pan ogni volta che se ne presentava l’opportunità: il suo possibile rifiuto. Sarebbe stato un dolore troppo grande, e questo le succhiava via gran parte del suo ben noto coraggio, inducendola a non rischiare.

Quella mattina, invece, era successo tutto così in fretta che non aveva avuto modo di pensare alle possibili, disastrose conseguenze. L’aveva fatto e basta, solo perché si sentiva di farlo. E, con suo grande sollievo, sembrava che lui avesse desiderato esattamente la stessa cosa. Forse, stava semplicemente aspettando lei.

Chiuse gli occhi, inumidendosi le labbra e riassaporando la sensazione di lui, il cuore che le batteva ancora.

Ringraziò piano la luna, che pallida ed eterea illuminava quella notte. Ringraziò tutte le stelle del firmamento, tremolanti e lontane, e ogni singolo insetto del giardino che aveva cantato per loro. Ringraziò le colline e la loro erba, i monti del paesaggio, gli alberi e le loro scure fronde accarezzate dalla brezza.

Ringraziò l’intero creato per quel singolo momento. Adesso poteva pure esplodere il mondo. Lei era felice, e non desiderava altro.

 

***

 

Goten fece scattare con un leggero sbuffo di esasperazione la difettosa serratura, aprendo poi il portone con un sonoro cigolio. Era già un bel po’ che aveva intenzione di cambiarla, così come di oliare i cardini di quella porta che tanto irritava gli altri condomini quando tornava a tarda notte dal pub, ma era inevitabile che il ciclone che aveva travolto la sua vita negli ultimi tempi facesse passare molte cose nel dimenticatoio.

L’appartamento era avvolto da un silenzio ovattato, mentre dalla porta accostata della camera da letto proveniva tiepida la luce dell’abat-jour.

Lasciò le chiavi sul mobiletto di seconda mano dell’ingresso, per poi passare vicino all’angolo cucina. Notò abbandonata sul tavolo una scatola vuota di cibi pronti surgelati, e allora si ricordò di non aver lasciato niente di già cotto in forno o nel frigo. Nel lavello, invece, erano stati abbandonati ancora sporchi due piatti, un bicchiere e un paio di posate, e pensò quindi per l’ennesima volta che non tutti possono riuscire a fare a meno di una lavastoviglie.

Non certo la sua coinquilina.

Si affacciò in camera, aprendo piano la porta. Lei era seduta sul letto, appoggiata alla spalliera. Indossava un’estiva camicia da notte azzurra, appena più chiara dei suoi capelli adesso così corti e che non avevano ancora trovato un giusto verso dopo il taglio repentino, tirati ora indietro da una fascia che aveva legato dietro la nuca. Tra le sopracciglia le si era disegnato un piccolo solco, come ogni volta che era concentrata, mentre con mano esperta e decisa disegnava rapidi tratti sul blocco di carta appoggiato sulle sue ginocchia.

Sollevò brevemente gli occhi, mentre lui entrava completamente nella stanza e si sedeva sul letto, davanti a lei.

“Credevo fossi al pub” commentò, senza smettere di disegnare. “Come mai sei tornato così presto?”.

“Ho deciso di staccare prima, stasera” rispose il Son, facendo poi vagare lo sguardo nella stanza con finta indifferenza. “Ma se la cosa non ti aggrada, principessa, posso pur sempre tornarci”.

Il fruscio della matita sul foglio di carta si interruppe bruscamente, mentre Bra alzava gli occhi su di lui, trafiggendolo con schegge di diamante: “Non ci provare”.

Il tono era stato basso ma deciso, facendo sorridere Goten, prima di sporgersi con curiosità a sbirciare sopra il blocco della ragazza. Nella carta spiccava il bel rosso acceso di un abito da sera, che avvolgeva con grazia le stilizzate figure di un corpo femminile, come la bozza di uno stilista.

“Credevo studiassi chimica, non moda!” osservò il ragazzo, sorpreso ma allo stesso tempo affascinato dalla bellezza di quel modello, gli spallaccini morbidi che si allacciavano dietro il collo, lasciando la schiena scoperta, il bordo della gonna asimmetrico poco sotto il ginocchio, a donargli eleganza ma allo stesso tempo freschezza.

“Infatti” si limitò a rispondere lei, dando al disegno gli ultimi ritocchi, e Goten decise di non approfondire. Se non altro, quella bizzarra occupazione la faceva momentaneamente distrarre dall’infinita stesura della lista degli invitati, da decisioni amletiche riguardo al menù del buffet o alle decorazioni floreali, e dall’ardua scelta del vestito, come suggerivano le pile di riviste di abiti da sposa accatastati sul comodino. Insieme ad esse era riposto anche qualche annuncio immobiliare ritagliato da giornali, dato che la sua ultima fissazione era la ricerca di una casa decente, come la definiva lei, adatta a far crescere un figlio, e senza dubbio con la lavastoviglie. Anche se più che una casa, come appariva dai prezzi esorbitanti, sembrava fosse alla ricerca di un castello.

Goten sospirò arrendevole, ripensando all’ultima bolletta del telefono, che nell’ultimo mese sembrava essersi magicamente quadruplicata.

“Hai fame? Vuoi che ti prepari qualcosa?” le chiese.

“Grazie, ma ho già cenato”.

“Ho visto, ma intendevo qualcosa di più salutare!”.

“Mmh...per adesso non ho più fame”.

“E non hai voglia nemmeno di…queste?”.

La ragazza alzò meccanicamente lo sguardo, cogliendo il Son che tirava fuori da dietro la schiena una busta di plastica trasparente, ripiena di morbide, dolci e coloratissime caramelle gommose alla frutta. Gli occhi di lei, fino a poco prima così concentrati, brillarono ora di bramosia, mentre abbandonando rapidamente il blocco da disegno sul comodino si allungava verso di lui a strappargli quella deliziosa refurtiva.

“Dove le hai trovate?” chiese eccitata, mentre apriva la busta senza troppo garbo, quasi come un leone affamato che sbrana la sua preda.

“Supermercato di Satan City, ultima confezione. Direi che è il tuo giorno fortunato, spettro”.

Ma Bra già non lo ascoltava più, aveva già messo in bocca un paio di caramelle, gustandole lentamente e ad occhi chiusi, mentre si faceva sfuggire un basso gemito di piacere. Nelle ultime settimane aveva avuto modo di imparare quanto fosse complicato accontentare una donna incinta, soprattutto una sajan, ma vederla poi così appagata come in quel momento lo ripagava appieno di ogni sforzo.

“Sono passato da Trunks, stamattina” la informò, mentre lei sollevava cautamente lo sguardo su di lui. A volte, parlare di suo fratello la metteva ancora a disagio, forse per qualche infondato strascico di sensi di colpa, ma nei suoi occhi, al di là dell’ostentata compostezza, intravedeva anche un chiaro barlume di apprensione.

“Come…come sta?”.

“Oh, benone, dovresti vederlo!” la rassicurò con un sorriso. Poi, più serio: “Gli ho dato la lettera di tua madre. Ha voluto che gliela leggessi io”.

Bra finì lentamente di masticare una caramella, un’impercettibile smorfia sul volto come se avesse perso gran parte del suo sapore. “L’ha presa male?”.

“Beh, ammetto che è stata dura leggergli quelle brutte parole, ma alla fine credo che abbia capito il senso del messaggio e che possa servirgli per star meglio”.

“Lo spero davvero” sospirò lei pensierosa, stringendosi ora nelle spalle. “Mi dispiace solo che debba affrontare tutto questo da solo, lassù in quella landa sperduta!”.

“Primo, i Paoz non sono una landa sperduta, sono un parco protetto!” protestò lui, facendola sorridere. “Secondo, Trunks non è affatto solo, ci sono mio fratello e Videl, c’è mia madre che lo vizia fino all’esasperazione, e poi Pan, che gli è vicina…molto vicina” scandì, sornione. “Dovevi vederli com’erano carini stamattina mentre si baciavano in giardino!”.

Bra spalancò gli occhi, che sembrarono emettere ora bagliori infuocati, mentre quasi si strozzava con una caramella. “Ma come…come ha osato quella disgraziata approfittarsi di mio fratello! Io…io…!”.

“Rilassati, Bra, non mi sembrava che a Trunks fosse dispiaciuto così tanto, e comunque era già un bel po’ che stavano flirtando apertamente, devi fartene una ragione!”.

Goten rise, mentre la ragazza borbottava qualcosa di incomprensibile in stile molto Vegetesco, sicuramente qualche commento non molto carino nei confronti di sua nipote. La guardò quindi riaffondare la mano nel sacchetto di caramelle, mentre questa volta pescava, invece della solita gommosa, un piccolo oggetto circolare.

“E questo che diavolo è!” esclamò, ancora adirata, mentre portava l’oggetto davanti agli occhi.

Goten si sporse verso di lei, simulando sorpresa.

“Ma guarda un po’!” osservò, fissando l’anello di plastica azzurro, dal taglio decisamente grossolano ma simpatico, con un grande cuore fucsia che lo sormontava. “Mi sembra che con tutti i preparativi per le nostre attesissime nozze, era proprio quello che ancora mancava per una futura sposa…un degno anello di fidanzamento!”.

Lei lo guardò per qualche secondo interdetta, per poi farsi sfuggire una risata: “Stai scherzando, vero? Non penserai davvero che indossi un anellino di plastica trovato nelle caramelle!”.

“Non sono mai stato più serio!” la contraddisse lui, prendendole l’anello di plastica dalla mano e mostrandoglielo tra pollice e indice. “Lo so, principessa, che non è il massimo, ma è tutto ciò che posso permettermi, al momento” confessò, donandole poi un caldo, dolcissimo sorriso. “E poi, tra noi è successo tutto così in fretta che non c’è stato nemmeno il tempo di una vera proposta di matrimonio…quindi, anche se poi vorrai buttare questo anellino…Bra Brief, vuoi sposarmi?”.

Bra sorrise, accarezzando piano la guancia di Goten, che la guardava con occhi colmi d’amore, quegli occhi così profondi, così veri, così pieni di vita.

“Beh..." rispose, simulando indecisione, ma con il sorriso sulle labbra. "Chissà. Può darsi che mi sia dato di volta il cervello e che voglia davvero sposarti, Goten Son”.

Lui sembrò soddisfatto e le infilò l’anellino all’anulare sinistro, dove le calzava alla perfezione. Risero entrambi del buffo effetto che aveva quel pacchianissimo oggetto da bambina sulle sue mani curate, poi lui si abbassò piano, sollevandole delicatamente la camicia da notte e appoggiando dolcemente le labbra sul suo ventre, dove ora cominciava a vedersi un leggero rigonfiamento. Vi depositò una scia di piccoli baci affettuosi, per poi abbandonare la testa sulle gambe di lei ed assopirsi tranquillo.

In quell’istante, mentre lei gli accarezzava con dolcezza i capelli, Goten seppe con certezza che qualsiasi cerimonia, per quanto bella e sfarzosa, non  sarebbe mai potuta essere più intensa, intima ed emozionante di momenti come quelli.

 

Continua...

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Beatrix82