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Autore: Serpentina    28/04/2014    5 recensioni
Lei: ha deciso di dedicarsi anima e corpo al lavoro, nonostante una migliore amica determinata a ravvivare la sua vita sentimentale, "più piatta dell'elettrocardiogramma di un cadavere". Dopo una cocente delusione, ha deciso di fare suo il mantra: "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte".
Lui: strenuo sostenitore del motto "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte". Il suo obiettivo è fare carriera, non ha nè tempo, nè voglia di perdersi dietro ai battiti di un organo che, per lui, serve soltanto a mandare in circolo il sangue.
Così diversi, eppure così simili, si troveranno a lavorare fianco a fianco ... riusciranno a trovare un punto d'incontro, o metteranno a ferro e fuoco l'ospedale?
Nota: il rating potrebbe subire modifiche.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'United Kingdom of Faith'
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Un nuovo capitolo delle (dis)avventure di Faith vi aspetta, ma prima un milione di grazie ai lettori “nell’ombra”, a Bijouttina, Calliope Austen, elev, eli888 e NatalieGjoka, che hanno recensito, a bimbic, cino nero, I_love_Taylor and Robert, piccolacinci e Stella Polare, che seguono la storia, e a Gabrilisa, che la preferisce. Buona lettura!                 
 



Rose rosse per Faith



 
“Resta dubbio, dopo tanto discorrere, se le donne preferiscono essere prese, comprese o sorprese.”
Gesualdo Bufalino
 
Prima dell’incidente, Connie Bishop associava l’espressione “sindrome da stress post traumatico” a pellicole come ‘Apocalypse now’ e ‘Taxi driver’; dopo l’incidente, aveva imparato ad associarla alle crisi d’ansia e agli incubi che l’avevano perseguitata per tre anni. O meglio, l’incubo, dato che si ripeteva sempre uguale ogni notte: Vyvyan che insisteva per guidare, nonostante avesse ingerito una cospicua dose di alcool, “perché non sia mai detto che una femmina scarrozzi me”, lei che, ironia della sorte, lo seguiva per assicurarsi che arrivasse a casa sano e salvo, la stradina a senso unico imboccata contromano, i fari del furgone in avvicinamento e poi… l’impatto.
L’ultimo ricordo di Connie, prima di perdere conoscenza, era stato la vista dei suoi capelli biondi intrisi di sangue. Si era risvegliata tre giorni dopo in ospedale con un tubo in gola, e quando aveva appreso della morte di Vyvyan aveva provato un misto di paura e sollievo: sollievo perché era viva, paura per la consapevolezza che avrebbe potuto perdere la vita anche lei. Era partita per San Francisco il giorno successivo alla consegna dei diplomi, senza salutare nessuno.
–Grazie di avermi accompagnata, Faith- pigolò.
L’altra le strinse la mano e rispose –Non ti avrei mai lasciata sola in un momento tanto delicato. Stai bene?
–Meno peggio di quanto pensassi- asserì Connie. –Sai che non saresti obbligata a venire, vero? Voglio dire, si tratta comunque del fratello dell’essere immondo che ti ha mollata sette giorni prima del matrimonio!
–Cyril è in Australia, e Henry e Catherine a Gretna Green- sospirò Faith, aggiustando i fiori che aveva portato. –Qualcuno deve pur occuparsi della tomba. Per mia fortuna, Monica e Adam mi danno una mano.
Connie si passò la lingua tra i denti, nervosamente, prima di domandarle –Non hai mai pensato che la morte di Vyvyan possa aver posto le basi per il disastro?
Faith scosse la testa ed esalò –Sarebbe successo comunque. L’unica accusa che posso muovere a Cyril è di aver usato i preparativi del matrimonio come scusa per non affrontare la perdita di suo fratello, se escludo la causa finale: ha creduto a quel bastardo di Solomon e non a me.
–L’idiozia è di famiglia- commentò Connie, pensando tristemente a Vyvyan, ai suoi ricci ribelli, alla sua energia, alla sua gioia di vivere, ai sogni nel cassetto che non avrebbe mai realizzato, e tutto perché non si fidava delle donne al volante. Aveva voglia di piangere, ma non voleva rovinare la giornata a Faith, per cui aggiunse –Se non ti dispiace, mi piacerebbe restare ancora un po’. Va pure al lavoro, non tardare per colpa mia.
Faith le sorrise riconoscente, la abbracciò e corse via: se fosse arrivata in ritardo, King l’avrebbe scuoiata viva!

 
***

–Sei una veggente, oltre che un’insuperabile patologa!- esclamò Julian King entrando nell’ufficio del primario, Astrid Eriksson.
La donna gli rivolse uno sguardo di educata perplessità, per poi chiedergli –Come, prego?
Julian sorrise e le porse un foglio.
–La prossima volta che scegli di raccontare frottole pondera bene la scelta, perché si avverano- ridacchiò.
–Oh, porca miseria!- esalò Astrid, dopo una lettura sommaria. –Un congresso! A febbraio! UN CONGRESSO!
–Esatto- la interruppe Julian. –Per caso hai qualche altra predizione? Che so… una mia vincita alla lotteria?
–Stupido!- gnaulò lei, dandogli un pugno amichevole sul braccio. –Piuttosto, sarà un problema trovare due anime pie che partecipino insieme a me.
–Non dire sciocchezze!- tuonò Julian, agitando una mano per enfatizzare la frase. –Semmai, sarà un problema scegliere un’anima pia… perché, cascasse il mondo, verrò con te. Siamo una squadra.
Astrid sbuffò una risatina: come al solito, il suo fidato vice non aveva letto il programma fino in fondo.
–Julian, a giudicare dal tuo entusiasmo deduco che non hai letto le date…
Il dottor King, sbuffando, le tolse di mano il programma del congresso e lo rilesse nei dettagli, poi impallidì e soffiò –Merda!
–Non avrei saputo esprimermi meglio- sibilò Astrid. –Mi sa che dovrò fare a meno della tua compagnia, stavolta. Ma non preoccuparti, ho già in mente due ottimi sostituti.

 
***

Per metabolizzare il trauma, siccome le piaceva scrivere (passione trasmessale dalla madre, autrice di libri per bambini), Connie aveva pensato di utilizzare carta e penna ( o tastiera e foglio di Word) come strumenti di catarsi; dopotutto, esistevano musicoterapia, aromaterapia e pet therapy, perché non sperimentare la writing therapy?
All’inizio aveva pensato a un’autobiografia, ma l’idea era stata immediatamente accantonata: mettere a nudo la sua anima la spaventava, così aveva optato per un romanzo; il progetto originale prevedeva una rivisitazione della sua storia con Keith: lei ama lui, lui sembra ricambiare, invece la scarica all’improvviso, lasciando campo libero al suo migliore amico di lui, che si mette con lei. Tuttavia, dopo numerosi quanto infruttuosi tentativi di non far scadere la storia nel banale, aveva cambiato rotta, addentrandosi nelle sconosciute acque del giallo. Addio tormentata storia d’amore, benvenuto omicidio misterioso. Era ufficialmente nato ‘Avvocati alla sbarra’.
Sua sorella Leonie l’aveva letto, e, a sua insaputa, l’aveva spedito a vari editori, tra cui, con enorme sconcerto di Connie, il padre di Keith. Risultato? Di punto in bianco, da giornalista free lance disoccupata si era ritrovata ad essere un’autrice (quasi) pubblicata.
–Vorrei fossi qui, Vyv- piagnucolò, asciugandosi le lacrime. I suoi amici storici, Monica e Adam, l’avevano praticamente costretta a recarsi al cimitero: era vergognoso, secondo loro, che in tre anni non avesse mai fatto visita alla tomba di Vyvyan. –Forse ci saresti, se…
–“Se” e “ma” sono i genitori delle seghe mentali, l’ultima cosa di cui hai bisogno, Ciambellina- disse qualcuno alle sue spalle.
Connie si girò a occhi chiusi: avrebbe riconosciuto quella voce tra miliardi!
–Keith!- esclamò. –Cosa...?
–Quello che stai facendo tu- rispose lui. –Vedo che non hai rinunciato al look floreale.
–Mi piace, perché cambiare?- pigolò Connie, allontanandosi. –E non chiamarmi in quel modo! Forse… è meglio che…
–Non andartene a causa mia- la bloccò. –E, soprattutto, non sentirti in colpa. Nessuno può sapere con certezza se non sarebbe successo comunque.
–La fai facile tu! Non eri lì, non hai idea… non puoi capire come mi sento! Non puoi capire che ho evitato voi e questo posto perché mi fa male ricordare quella notte, e ancor di più pensare che Vyv è qui sotto, sepolto, quando io me la sono cavata con questa!- sbottò, mostrandogli una vistosa cicatrice, che le deturpava l’intero avambraccio.
–Non è colpa tua- ripeté Keith, la abbracciò e la baciò sulla tempia. –Andiamo, hai pianto abbastanza.
–Perché sei carino con me?- chiese all’improvviso Connie, mentre camminavano. –Mi hai fatto capire molto chiaramente che avresti preferito non fossi tornata.
–E’ successo a ottobre- rispose Keith, mettendosi al volante. –Siamo a gennaio. Anzi, visto che hai tirato in ballo il nostro, ehm, diverbio…
Diverbio? Mi hai dato della puttana!- ruggì Connie, oltraggiata. Normalmente era timida e incapace di imporsi, ma quella lite le bruciava ancora, non gli avrebbe fatto sconti. –Diverbio. Tsk! Te lo do io il diverbio!
–Ok, lo ammetto: ho esagerato- concesse lui, alzando una mano in segno di resa. –Ma devi capirmi: dopo giorni a vegliarti mi sono assentato un’oretta per andare a casa a farmi una doccia, e al mio ritorno... puff! Eri sparita! Poi, dopo tre anni di buio totale, sei ricomparsa come niente fosse. Mi sono girate, non so se mi spiego: niente e-mail, niente messaggi, nemmeno una cartolina, dovevo mendicare tue notizie da Monica, e sai che ce l’ha ancora con me per averti mollata in modo, ehm, poco gentile…
–Poco gentile?- strillò Connie, arrossendo di rabbia. –Mi desti il benservito davanti a tutta la scuola, oltretutto mettendo in piazza che facevo dei pompini da schifo! Poco gentile! Il calcio nelle terga che ti darò appena parcheggi sarà poco gentile!
–Avevamo sedici anni, e poi Vyvyan credeva fosse la mossa migliore!- si giustificò Keith.
–Mi hai lasciata perché te l’ha suggerito Vyvyan? Cos’è, avevate un cervello in due?- sputò Connie.
–Ho sbagliato, ok?- latrò Keith. –Tutti sbagliano. Sto provando a rimediare: chi credi che abbia convinto mio padre a dare una possibilità al tuo libro?
Punta sul vivo, Connie ribatté –Tuo padre ha accettato il mio libro perché è ben scritto, con una trama avvincente e personaggi ben caratterizzati!
–Dì piuttosto… reali- replicò Keith, per poi aggiungere, in risposta all’espressione sgomenta di Connie –Tranquilla, credo di essere l’unico ad aver notato che gli avvocati del romanzo sono la versione quarantenne di Nicky e Adam, per non parlare della protagonista: Cassie Bloom, C.B., professione… giornalista. Comunque, in caso non lo sapessi, nessun editore accorto prende in considerazione l’opera prima di una Miss Nessuno.
–Miss Nessuno a me?- abbaiò Connie a braccia conserte, pentendosi di aver accettato un passaggio da lui.
–Non voglio sminuire la tua bravura, Ciambellina. Hai scritto un giallo di alto livello - ho cominciato a leggerlo prima di addormentarmi e mi sono ritrovato alle tre del mattino con gli occhi gonfi di sonno perché non riuscivo a chiuderlo prima del finale - ma l’editoria è come la moda: più del prodotto, conta la firma. Se la Duchessa di Cambridge scrivesse un libro di ricette potrebbero far vomitare, andrebbe lo stesso a ruba, perché l’autrice è la Duchessa di Cambridge.
Inaspettatamente, Connie scoppiò a ridere, ed esclamò –Non ce la vedo la Kate nazionale a scrivere un libro di ricette!
–Nemmeno io, ma non so fino a che punto sia un male- ridacchiò Keith, lieto che si fosse allentata la tensione. –Ora che credo di non rischiare più la morte per mano tua, posso confessarti che…
–Hai estorto a Nicky i miei impegni giornalieri e sei venuto a prelevarmi per condurmi a una colazione “di lavoro” con l’editore, pardon, il fastidioso figlio dell’editore, prima, e al servizio per le foto di copertina più programmazione del lancio del libro, poi. Correggimi se sbaglio.
–Io… io… ma come…?
–Nicky è la mia migliore amica, senza contare che, come hai giustamente affermato poco fa… ce l’ha ancora a morte con te per la figura di merda che mi facesti fare cinque anni fa- cinguettò amabilmente Connie, sorridendo dell’espressione esterrefatta dipinta sul volto di Keith. –Ah, naturalmente la colazione la offri tu.

 
***

Che piovesse o splendesse il sole, che fosse in atto una tempesta di neve o di sabbia, che fosse un processo spontaneo o indotto dall’apparecchio apposito, la sveglia di Franz Weil seguiva un rituale ben preciso: si girava su un fianco, poi sull’altro, apriva un occhio, poi l’altro, li richiudeva e infine li riapriva entrambi, si metteva a sedere e si stiracchiava.
Quella mattina il rituale venne interrotto a metà dal fastidioso squillare del telefono.
–Pronto?
–Franz? Sono Ronda. Ho sentito il messaggio e ti ho richiamato il prima possibile.
“Alle sette di mattina? Da quando le modelle lavorano di notte? O ha cambiato mestiere?”
–Oh, ehm, ciao, Ronda. Come va?- esalò stancamente.
–Diciamo bene- rispose lei in tono scocciato. –Senti, ti ho chiamato per disdire qualunque cosa abbia architettato mia madre.
–Mi stai prendendo in giro?- sbuffò Franz, storcendo il naso. –Mia madre mi ha detto - urlato sarebbe più corretto- che tua madre era estasiata all’idea che uscissimo insieme!
–Appunto. Lei è contenta, io no- replicò Ronda. –E nemmeno il mio fidanzato.
Franz rimase interdetto: fidanzato?
“Quella là ha un uomo? Ma se ho sbirciato delle foto su internet e, più che fare la modella, sembra aver mangiato una modella!...  O due”, pensò, prima che gli venissero in mente le parole di Faith. “No, no, no. Basta pensieri malevoli da vecchia comare. Devo smetterla di pensare da persona vuota e superficiale, devo dimostrare a me stesso e a Faith che sono meglio di così”.
–F-Fidanzato? Wow, questo sì che cambia le carte in tavola! Se l’avessi saputo…
–Credo alla tua buona fede, tranquillo- soffiò Ronda. –E mi dispiace che mia madre ti abbia incasinato.
–Io, ehm… davvero non me l’aspettavo.
–Neppure io, credimi. Sto con Dave da sei mesi, e mia madre sta cercando con ogni mezzo di separarci; non le piace perché… non l’ho ben capito, onestamente. Il succo, comunque, è che mi tartassa, organizzando appuntamenti al buio a mia insaputa.
–Mi trovo nella stessa situazione- sospirò Franz. –Mia madre mi sfianca con appuntamenti su appuntamenti, tutti disastrosi, al solo scopo di trovarmi una fidanzata.
–Buona fortuna, allora- sbottò Ronda, chiaramente poco incline alle chiacchiere di prima mattina. –Scusa ancora e ciao.
Franz riattaccò e disse –Se il buongiorno si vede dal mattino, questa giornata promette di essere memorabile!
Le ultime parole famose.

 
***

Se c’era qualcosa che Astrid Eriksson non tollerava, era il disordine. Nel suo reparto tutto doveva filare liscio come in una catena di montaggio. Perciò quando, entrando nella stanza medici, si trovò davanti un capannello di persone intente a bisbigliare e indicare qualcosa sul tavolo, si infuriò.
–Si può sapere il perché di tanto baccano? I vostri deretani dovrebbero essere sugli sgabelli, in laboratorio! Quanto a voi sparite, non sopporto estranei nel mio reparto!
–Calmati, Astrid, ho dato io il permesso di prendersi una pausa- rispose dall’altro capo della stanza il suo vice.
Le parole e il tono rassicuranti del dottor King sortirono l’effetto contrario. Furibonda, Astrid urlò –Quoque tu, Julian! A momenti dovrebbe arrivare la biopsia che ti ho affidato, e te ne stai in panciolle insieme a questi sfaccendati?
–Oh, andiamo, Astrid, non puoi rimproverarci una curiosità lecita- ribatté il dottor King.
–E cosa avrebbe scatenato tale curiosità? Sentiamo- sbottò la Eriksson, assumendo la classica posa da massaia con un diavolo per capello.
Jeff, facendosi coraggio, con la consueta teatralità indicò un enorme mazzo di rose rosse sul tavolo e disse –Lo meriterebbe davvero, prof, ma non è per lei: è per Faith!
–Avete letto il biglietto?- ruggì Astrid. –E’ violazione della privacy!
–Tranquilla, abbiamo solamente sbirciato l’esterno- le assicurò Julian. –Una volta appurata l’identità del destinatario, non abbiamo avuto dubbi su quella del mittente.
–Ah, sì? Chi sarebbe, secondo voi?
I presenti si scambiarono occhiate maliziose, prima di rispondere in coro –Weil!

 
***

Ansante, Faith attraversò di corsa l’atrio del Queen Victoria Hospital, maledicendo il traffico cittadino, che l’aveva fatta tardare al lavoro per la prima volta in vita sua.
Ebbe l’impressione di essere oggetto di occhiatine e commenti, ma si disse che era una sua paranoia, e decise di non darvi peso.
Non fece in tempo a mettere piede nello spogliatoio che Jeff la afferrò per un braccio e la trascinò nella stanza medici, blaterando qualcosa su quanto fosse fortunata ad aver incrociato la sua strada con quella di un uomo dolce come Weil.
Allibita, esalò –Jeff, sei sotto l’effetto di droghe, per caso?
–Non dire assurdità- sbuffò lui, per poi farsi strada nella piccola folla assiepata intorno al tavolo. Faith rivolse ai colleghi un’occhiata rapida, mentre concentrò l’attenzione su Jeff, che avvampò e squittì –E non fissarmi in quel modo!
–Hai, ehm, qualcosa sul… collo- rispose Faith, facendogli l’occhiolino.
Jeff divenne, se possibile, ancora più rosso, e balbettò –E-Ecco, v-vedi, D-Demon ha l’abitudine di darmi il bacio del buongiorno…
–Chi l’avrebbe mai detto? Mi amigo es un hombre caliente!- scherzò Faith, poi sbiancò e chiese, indicando le rose –E’ uno scherzo?

 
***

“Dove sono finiti tutti?”
Questa fu la domanda che si pose Franz quando entrò in laboratorio: era arrivato con un ritardo mostruoso, e si era cambiato alla velocità della luce, mentre gli scorrevano davanti agli occhi le immagini delle torture da Inquisizione che avrebbe subito non appena King si fosse accorto della sua presenza.
Invece, incredibilmente, in laboratorio non c’era anima viva.
Il brusio lo guidò verso la stanza medici, dove venne accolto da fischi, pacche sulle spalle e pollici alzati. Confuso, chiese –Cosa… ma che…?
–Sei cotto perso, eh!- gridò Chester Sullivan.
–Così si fa!- trillò Josh.
–Rose rosse, un evergreen- sentenziò Rajiv Sandee.
–Sapevo che sotto sotto sei un romanticone!- asserì il dottor Connors.
–Ammettilo, speri che ti trascini nel deposito dei coloranti per “ringraziarti”! -sghignazzò Jeff.
–Ma che state dicendo? Quali rose?- esclamò Franz, bloccando sul nascere altri commenti.
–Queste- rispose Faith, accarezzando un morbido petalo tra le dita. –Ho creduto… cioè, mi hanno fatto credere... non le hai mandate tu?
–Se l’avessi fatto me ne ricorderei, non ti pare?- sputò Weil, rabbioso: chi aveva osato mandare dei fiori alla Irving? Stava cercando di riconquistarla, nessuno doveva permettersi di ostacolarlo!
–Io.. credo di sì- pigolò lei, poi, su richiesta del folto pubblico, aprì il biglietto e sospirò –Sono da parte di Marcus.
Risolto il mistero, calò un silenzio imbarazzato, rotto da Astrid, che tuonò –Ok, vi siete divertiti abbastanza. Avanti, sgomberare! Voi no- aggiunse ai suoi, che rimasero pietrificati: quando la professoressa Eriksson indiva una riunione, anche se estemporanea, c’era da preoccuparsi. –Voi restate fermi dove siete.
–Cosa c’è, prof?- chiesero in coro.
–Stamattina il dottor King mi ha informata che a febbraio si terrà un congresso internazionale sulle nuove frontiere della tossicologia… a Miami!- trillò, eccitata come una ragazzina alla gita scolastica.
–Naturalmente, la professoressa Eriksson vi prenderà parte… insieme a due di voi- aggiunse il dottor King, risentito.
Si diffuse un mormorio eccitato, sovrastato dal commento pratico (o da tirchio, a seconda dei punti di vista) di Franz.
–Gli Stati Uniti non sono a buon mercato. Rimborsano qualcosa?
–Oh, giusto, dimenticavo: è tutto spesato!
–Tutto?- esclamarono all’unisono i presenti, compreso il dottor King, che, come al solito, non leggeva mai brochure e volantini fino alla fine. –Grandioso!
Le manifestazioni di giubilo divennero sempre più rumorose, finché la Eriksson non ritenne opportuno riportare la calma e comunicare un dettaglio che aveva volutamente tralasciato: niente l’avrebbe divertita maggiormente che vedere le espressioni dei suoi sottoposti tramutarsi da gaie a deluse in un nanosecondo. –Frenate l’entusiasmo!- gridò. –C’è un “ma”. Anzi, due.

 
***

–Fammi… capire….- ansimò Chris, stremato da un lungo e faticoso allenamento in palestra. –Congresso internazionale… in una cornice da urlo come Miami… tutto spesato… e si sono tirati indietro?
–Tutti tranne me. rispose Franz. –E… Faith.
–Aha!- esclamò Robert Patterson, battendo un pugno sulla panca dello spogliatoio della palestra. –Ecco spiegato il tuo buonumore!
–Eh, beh, Husky non è mica scemo- asserì Harry James, impegnato ad allacciarsi le scarpe. –Accettando, avrà la Irving a sua completa disposizione per cinque giorni… senza terzi incomodi. Un’occasione irripetibile!
–Tranquillo, Husky bello, penseremo a tutto noi- gli assicurò Chris, annuendo vigorosamente. –Abbigliamento da rimorchio, profumo feromonale, intimo sexy, i migliori amici dell’uomo che rifugge la paternità… li preferisci al cioccolato, oppure alla fragola?
–Frenate i bollenti spiriti, la Irving è in forse: ha chiesto al Grande Capo ventiquattr’ore per pensarci. Probabilmente vuole chiedere il permesso al bamboccio delle rose- ringhiò Franz.
–Non sei tu?- chiese Chris.
–Chrissino, a volte la tua ingenuità sconfina nella stupidità: ti pare che Husky si sarebbe auto-offeso, definendosi un “bamboccio”?- lo rimbeccò Harry.
–Oltretutto, è ormai noto che Faith si vede - senza impegno, stando a quanto mi ha detto Maggie Bell- con quel chirurgo plastico, Best- dichiarò Robert con aria di superiorità.
A quel punto Chris rise e commentò –Senza impegno, come no! Chi sprecherebbe soldi per una che non gliel’ha data? Deve avergli fatto almeno un “servizietto”, se capite cosa intendo, altrimenti non avrebbe mosso un dito, quello!
–Chris!- lo rimproverarono Harry e Robert, indicando Franz, che a quell’insinuazione aveva appallottolato la t-shirt e l’aveva sbattuta contro il muro.
–Primo: Faith non lo farebbe mai…
–Con te- scherzò Chris.
Franz, trattenendosi a stento dallo scagliarsi contro di lui, digrignò i denti e sbottò –Secondo: io non le avrei mai preso quel verdurame fetente. Si vedeva lontano un miglio che erano rose da autogrill. Terzo: premesso che i soldi spesi per Faith non sono mai sprecati, li avrei spesi in libri, perché ho imparato a conoscerla, io, e lei è una di quelle strane creature che non amano i fiori!
–Esiste una donna che non ama i fiori?- esalarono in contemporanea gli altri tre.
–Mi sono espresso male: detesta i fiori recisi, perché, cito testualmente, “il vegetalicidio immotivato mi fa ribrezzo. Vedo già abbastanza cadaveri al lavoro”- spiegò Weil, sorridendo al ricordo di una delle ultime conversazioni amichevoli che aveva avuto con Faith. –Quelli in vaso le piacciono.
–Non sono sorpreso, sebbene dovrei- ridacchiò Robert. –Dopotutto, paragonata a quella tua ex inquietante che ti regalò una boccetta con dentro il suo sangue, Faith è la quintessenza della normalità!

 
***

–Fammi capire- biascicò Connie, la bocca piena di delizioso cibo spagnolo. –Congresso internazionale, in una città meravigliosa come Miami, tutto spesato… e hai rifiutato?
–Ho chiesto di poterci pensare fino a domani- precisò Faith. –Se per te è sinonimo di rifiutare…
–Uffa! Odio quando hai ragione!- gnaulò Connie, pestando un piede sul pavimento. –Perdonami, però, se non capisco come mai non hai accettato al volo.
–Il direttore amministrativo, maledetto coglione, vuole scalare i giorni dalle ferie e, ciliegina sulla torta, sarei allietata dalla presenza di Weil- sbuffò Faith, consapevole di stare mentendo: al suo “cervello inferiore” sapere che Franz sarebbe venuto faceva piacere, eccome. Era questo il problema: temeva di non rispondere delle proprie azioni. Nulla era più semplice che rintanarsi in un angolino appartato durante un intervento noioso, oppure salire in camera dopo cena…
“No, no, ancora no! Non lo permetterò!”, pensò, ingollando un bicchiere di sangria.
–Tutto qui? Getteresti nel cesso - passami il “francesismo”- un’occasione d’oro per quello lì?
–Tu accetteresti a scatola chiusa un viaggio di cinque giorni con Keith?
–Ti ricordo che non sarete soli, ci sarà il tuo capo, la Kapò svedese. Aperta e chiusa parentesi. Per rispondere alla tua domanda: dipende dalla posta in gioco- disse Connie, scrollando le spalle. –Keith è di ottima compagnia, e poi è dolce e sensibile, decisamente diverso dal tuo Franz!- ignorò lo stizzito “Non è il mio Franz!” dell’amica e proseguì col monologo. –Comunque, tanto per mettere le cose in chiaro, sei stata tu a consigliarmi di tenere Keith sulle spine e lasciare che sia lui a riconquistarmi; sto seguendo il tuo consiglio perché ti reputo intelligente e affidabile, altrimenti sarei già a casa sua a…
–Va bene, ho capito, risparmiami i dettagli erotici- esalò Faith, coprendosi il viso con le mani. –Oggi Marcus mi ha fatto trovare un mazzo di rose in reparto.
–Oddio, che dolce!- trillò Connie con gli occhi a cuoricino. –Anche Keith mi ha dato delle rose, alla fine del servizio fotografico… per la foto sulla quarta di copertina, sai…
–Dolce? Volevo sprofondare dalla vergogna!- ululò Faith, aggredendo con la forchetta un malcapitato crostaceo nella sua paella. –Non mi vanno a genio i gesti eclatanti, sono di gusti semplici.
–Marcus è un chirurgo plastico, per lui accontentarsi di poco equivale ad accontentarsi delle briciole, vuole dimostrare che può darti molto di più- asserì saggiamente Connie.
–Ulteriore prova che non mi ascolta quando parlo: se conoscesse qualcosa di me oltre ai dati anagrafici saprebbe che non sono il genere di donna che si fa incantare dalle smancerie, e… che mi dà fastidio che dei poveri fiori muoiano per colpa mia!
–Cavolo- commentò Connie. –In un colpo solo hai ucciso il romanticismo!
–Romanticismo e smancerie sono diversissimi- obiettò Faith. –Il primo è spontaneo e gradevole, le seconde studiate e stucchevoli. Ad ogni modo, allegato ai fiori c’era un biglietto: mi ha invitata a cena a casa sua. Per San Valentino- pigolò Faith, arrossendo furiosamente.
–Accidenti! Al dottorino piace bruciare le tappe!– esclamò Connie, con tanto di fischio di apprezzamento, ma Faith raffreddò subito il suo entusiasmo.
–Il congresso va dal dodici al sedici febbraio.
–Oh. Wow. Beh… non vedo il problema- replicò l’altra. –Portalo con te. Potrà prendersi cinque giorni di pausa, no?
–Le spese sono coperte per i partecipanti, non per gli accompagnatori. Ecco la ragione per cui hanno rinunciato quasi tutti: sarebbero lontani dalle loro più o meno dolci metà nel giorno più melenso dell’anno. Il povero Chester non ha fatto in tempo a spiegarle che era per lavoro che sua moglie ha minacciato di divorziare! Questa fissazione per San Valentino non la capirò mai: per me ci si dovrebbe festeggiare ogni santo giorno!
–Di nuovo: hai ucciso il romanticismo. Comunque non vedo il problema. Hai idea di quanto guadagna un “taglia e cuci” estetico? Può permettersi un volo andata e ritorno e quattro notti in hotel!
Faith curvò le labbra in un sorrisetto sardonico, e osservò –Secondo te perché adesso mi trovo qui con te col morale a terra? Abbiamo litigato. Il signorino pretende che ceda il mio posto perché sotto San Valentino c’è il pienone, e lui vuole passarlo con me senza rinunciare ai lauti guadagni. Come se il mio lavoro non contasse.  
–Non ha pensato a Weil? Al suo posto mi roderei dalla gelosia, sapendo che la donna che frequento - senza impegno, ok, ma comunque uscite insieme, pomiciate come due adolescenti e, prima o poi… insomma, vi frequentate- sta dall’altro lato dell’Atlantico con un grandissimo pezzo di figo che se la farebbe volentieri! La carne è debole, e quella di Weil, a giudicare dalle foto, è sesso puro!- esclamò Connie, brandendo la forchetta , spedendo così un pezzo di pollo con avellanas nella paella di Faith. Realizzato cosa aveva appena pronunciato, Connie si tappò la bocca con le mani e pigolò –Oddio! Non dire a Keith che ho fatto apprezzamenti su un altro, ti prego!
–Rilassati, il tuo segreto è al sicuro- la tranquillizzò Faith.
–Meno male. Non ti sei offesa, vero?
–Per quale motivo? Il bello si ammira sempre, se dovessi essere gelosa di chiunque posa lo sguardo su Franz farei la fine di Otello- asserì Faith. –Per carità! “Il mostro dagli occhi verdi che dileggia la carne di cui si nutre” non ingrasserà a mie spese.
–Ingrasserà a spese del dottor Best, allora- dichiarò solennemente Connie. –Poco fa ti ho raccomandato di non gettare nel cesso un’occasione d’oro per Weil. Beh, ora ti ordino di non farlo per Marcus. Se ne stia pure a rimpolpare i canotti al botulino e a piallare le rughe delle povere illuse che credono di poter fermare l’orologio del tempo. Tu andrai a Miami, amica mia, e se dovessi perdere la testa per un Mojito di troppo e finire a letto, o sul divano, o in piscina, o dove ti pare con Weil…. ben venga!
Faith rimase a bocca aperta, domandandosi che fine avesse fatto la timida adolescente con le trecce che ricordava, ma si riprese in fretta e, animata da puro spirito vendicativo “alla Serpent”, sibilò –Hai perfettamente ragione.

Nota autrice:
Ho inserito persino la citazione shakespeariana. Me happy! ^^
Scusate lo sclero, ma adoro Otello, è una delle opere del Bardo che preferisco.
Faith ha lasciato emergere la “serpe” che è in lei e ha deciso di partecipare al congresso… cosa succederà tra lei e Franz? Berrà, per usare le parole di Connie, un mojito di troppo e darà finalmente aria ai piani bassi? Oppure l’ennesimo ostacolo si frapporrà tra loro? Lo scoprirete nei prossimi capitoli, perciò stay tuned!
Precisazione culinaria: il pollo con avellanas è il pollo alle mandorle, l’ho gustato due estati fa nel nord della Spagna. Olé!
Au revoir!
Serpentina
 
 
 
 
 
   
 
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