Anime & Manga > Puella Magi Madoka Magica
Ricorda la storia  |      
Autore: PotterWatch    28/04/2014    0 recensioni
Si pagava diventando infallibili, come gli dèi.
[Storia partecipante al contest di Setsuka - Alla ricerca dell'umanità]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Homura Akemi, Kyoko Sakura, Madoka Kaname, Mami Tomoe, Sayaka Miki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: Nihil a me alienum

Autore: PotterWatch

Fandom: Puella Magi Madoka Magica

Citazione: Negli uomini non esiste veramente che una sola coerenza: quella delle loro contraddizioni. (Guido Morselli)

Personaggi: Homura Akemi, Madoka Kaname, Sayaka Miki, Kyoko Sakura, Mami Tomoe

Wordcount: 1526 (OpenOffice)

Generi: Introspettivo

Avvertimenti: Missing Moments, Spoiler

Rating: Verde


Nihil a me alienum


Negli uomini non esiste veramente che una sola coerenza: quella delle loro contraddizioni. (Guido Morselli)


Mami credeva nella propria fortuna.


Intorno a una preghiera, caduta sul vuoto dell’asfalto così tanti anni prima, aveva ricostruito una vita da zero. Era impresso in lei, palpabile, l’atto viscerale di quel desiderio; era una luce che rinasceva ogni volta, nei suoi occhi e nei suoi movimenti. Di ciascun combattimento, Mami faceva un rito, come se la vittoria non fosse mai abbastanza per onorarlo.

In fondo, il vero premio era già stato un dono.


Mami era ancora viva. Era la prima certezza a guidarla in battaglia, e l’ultima a rimanere nella scia del finale.


Faceva del suo meglio, Mami, per non perdere di vista la propria benedizione. Cercava di farsi bastare il battito del cuore e il respiro affannoso, unici compagni sulle ali del vento. Accadeva, però, che il suo sorriso si incrinasse; il bagliore dei suoi capelli si spegneva, in quei momenti, per lasciare posto a toni diversi. Un’ombra velata le passava sul cuore, inesorabile – anche la più salda delle fedi, oltre la luce, conosce le tenebre.


Mami non combatteva, in quelle notti. Lasciava cadere le lacrime su un pavimento freddo, credendosi stupida e incosciente. C’era una crudeltà innata nel suo odiare se stessa; ricercava attraverso i rimproveri la gratitudine quasi perduta, intrappolandosi nel pensiero, circolare e solido, che il prezzo di un miracolo si paga per sempre.


Mami piangeva fino all’alba, attendendo, come un dono, i primi raggi del sole. Non li rifiutava mai – accoglieva il loro calore ogni volta, perché lenissero la battaglia che infuriava in lei.


*


Kyoko sapeva di aver fatto la scelta giusta.


Quando il  labirinto svaniva, riportandola all’aria fresca della notte, si sentiva pronta ad andare avanti per sempre. Al di là della stanchezza, e della fatica di nasconderla ogni giorno, durante la notte riusciva a sorridere come non era capace in nessun altro tempo.


A battaglia finita, Kyoko non mancava mai di conservare quell’attimo per sé. Si immergeva nella piena luce lunare, dall’alto dei tetti della città; cercava, nel riflesso dei lampioni, le finestre spente della propria casa, con le labbra aperte come un fiore. Laggiù, dietro le tende, la sua famiglia sognava di costruirsi una vita migliore. Ora era lei, si diceva con orgoglio, a vegliare sui loro sogni.


Si domandava cosa sarebbe accaduto – se solo avesse potuto condividere con loro, come tutto il resto, questa metà della sua vita. Si chiedeva sempre, sfiorandosi i capelli umidi, se sarebbero stati ancora fieri di lei.


Kyoko non aveva paura, non ne voleva avere. Saltava da un grattacielo all’altro, in volo verso casa, con la fiducia sincera di chi crede nel futuro; per quanto giovane, affaticata e debole, avrebbe sempre fatto del suo meglio. Era questa certezza a darle, ogni notte, la forza di ricominciare.


Lo credette con costanza, fino all’ultima volta. Lo credeva ancora quando, con il lume tenue della sua magia, planò verso la finestra; sentì il coraggio fremere, per poi svanire in un battito d’ali, davanti alla sagoma di suo padre.


Eppure, mentre lo guardava – un fascio di nervi piantato sulla soglia, con occhi svegli e disfatti dalla solitudine – si tenne ancora aggrappata alla speranza.


Prima di lasciarla per sempre, nel cuore di un labirinto di strega, Kyoko avrebbe visto morire molto altro.


*


Lungo il sentiero di guerra, Homura aveva smarrito qualcosa.


Era un frammento, un ritmo lieve e costante, del quale aveva smesso di accorgersi. Era scivolato via nelle infinite ore di veglia; si era disperso, a gocce, nel cerchio di luce della lampada. Si era spezzato in combattimento, per poi sfracellarsi nella sconfitta. Lo aveva lasciato andare senza saperlo, quando non aveva occhi a sufficienza; e nel momento in cui aveva capito, ormai assordata dal dolore, non si era domandata neppure perché.


Era difficile ricordare la sensazione di vivere. Quando rientrava da notti intere di cammino – molte spese a inseguire, come foglie secche, le strade tracciate ogni volta dal fato – Homura guardava il cielo, cercando un segno nelle sue profondità. Tentava, nell’ordine ormai distrutto dei suoi pensieri, di separare inizio e fine, distinguendo a malapena il buio dal mattino.


Il tepore dei sensi le ricordava, a tratti, cosa significasse la realtà di un essere umano. Conservava a fatica l’eco dei giorni passati al sole; il suono delle voci, una mano calda, l’immagine di un volto amico. Tutto, inesorabile, sbiadiva con lo scorrere del tempo.


A renderla umana era stato un sogno – l’incoscienza, fragile e quieta, di credere nell’eternità della gioia. Tanto aveva pagato, Homura, per scambiarla con un’altra illusione.


Non erano previsti errori, questa volta. Non potevano esistere cecità, incongruenze, errori di calcolo; esistevano le regole, ma non ll’occasione di infrangerle. Ciò che era concesso nel mondo là fuori, nel suo aveva perso qualsiasi significato. Si pagava diventando infallibili, come gli dèi.


Homura non era più un essere umano; ma da molti cicli, ormai, aveva perso la certezza di poter cancellare gli errori. Ed era questo, forse, il peggiore di tutti gli inganni.


*


Sayaka capì all’ultimo momento. Fu proprio il tempo di quella rivelazione, così netto e puntuale, a renderla spietata.


Non si sarebbe accorta di nulla, forse, se non fosse stato per la musica. Passò rapida come un sospiro, riversandosi dentro e fuori di lei; da sempre in circolo nella sua anima, il ritmo delle sue emozioni la abbandonò senza freno.


Non c’era modo di tornare indietro, non c’era mai stato. Fu l’ultima certezza che il dolore le suggerì.


Non appena toccarono il mondo, le note si fecero colori. Caddero al suolo come lacrime, contorte e alterate, trasformando l’aria in un pianto disperato di archi. Ciò che Sayaka aveva perso divenne leggibile – si incise nei loro riflessi, scritto in un alfabeto senza tempo.

In quei pochi istanti, nel suo cuore passarono mille secoli di sofferenze. La verità fulminò la sua coscienza; il male del sapere, intollerabile, si confuse con il lacerarsi della sua anima. Ma del vortice di lamenti che Sayaka avrebbe voluto ripetere al mondo, per preservare e guarire anime simili alla sua, neppure una parola passò il confine delle sue labbra.


Era stata soltanto ingenua. Si era convinta che, alla fine del suo percorso, la ricompensa sarebbe stata il nulla – aveva creduto di potersi spegnere nel mezzo dell’abbandono, lenta e indisturbata. Sayaka avrebbe voluto cancellare se stessa, eliminando qualsiasi traccia dal suolo di un mondo tanto ingannevole.


Tuttavia, nell’ultima ferita della coscienza, l’intera realtà era differente ai suoi occhi. Si convinse di averlo meritato, fin dall’inizio; quel corpo e quel respiro, quei doni che aveva ridotto a guscio vuoto, non le spettavano più. Si rese conto di quanto avesse perso – si vide altrettanto falsa, nell’errore e nella cecità.


Il gioco era grande, le condizioni avvolte nell’ombra. Lei, come tante, non era stata all’altezza.


La disperazione non smise mai di echeggiare, piena di contrasti, in quell’orchestra mossa dalla furia. Continuò a salire in vortici, a tingere la sua pelle, ad annodare il tessuto deforme della sua immagine – nessuno dei suoni conobbe più alcun riposo, fino a che una voce lontana non si sacrificò per lei.


Un’eternità dopo aver perso la speranza, Sayaka si risvegliò. Ascoltò la preghiera, accolse la tregua; e finalmente, con una gratitudine senza più voce, ritrovò il silenzio.


*


Madoka non aveva alcun rimpianto.


Slegata dal tempo e dallo spazio, nel limbo senza confini del divino, si rendeva ancora conto del peso del proprio sacrificio. Ogni istante speso a contatto con il mondo, scorrendo nella trama dell’essere, risvegliava le immagini della persona che era stata; la placida malinconia del conoscersi, del ricordare quel mondo, stemperava in saggezza la gioia del suo incarico.


Conosceva davvero, ora, l’importanza dell’equilibrio universale. Non avrebbe potuto mai intervenire, se non riscrivendolo – era una costante, e persino lei era costretta a vivere nella traccia dei suoi confini. Eppure, nell’immensa energia del proprio desiderio, Madoka sapeva di averlo corretto nel profondo; e il risultato, nella sua rinnovata perfezione, era riuscito persino ad oltrepassare la sua originaria speranza.


Prima e ultima, Madoka aveva conosciuto le radici di quella sofferenza millenaria. Aveva visto generazioni di donne, dall’anima afflitta e splendente, crollare sotto un’unica maledizione; aveva ascoltato il loro canto, mentre i salmi di gratitudine morivano in pianti senza tono e misura.


Più di tutte le loro lacrime, era stata una sola certezza a far scorrere le sue – da sempre, attraverso l’inganno, il male nasceva dai loro stessi desideri.


Alto, eterno, era stato il prezzo da pagare. Ma la ricompensa splendeva nei loro sorrisi, e Madoka poteva soltanto esserne felice.


Non le lasciava mai. Da un mondo tessuto in altri spazi, stringeva le loro dita mentre piangevano. Gettava raggi di luce, inondando le loro vittorie; neppure un istante di trionfo doveva essere dimenticato. Combatteva perché non dovessero più, per alcun motivo, vedersi tinte in luce ed ombra, ma solo come realtà complete.


Non avrebbero più creduto di mancare al loro dovere. Le cadute erano parte della loro natura, tanto quanto lo era, ogni volta, rialzarsi e ricominciare a lottare.


Con le fila dell’universo in mano, Madoka sorrideva in eterno. Era serena, stabile, nella sua scelta infinita – l’aver dato se stessa perché, in ogni tempo e luogo, ciascuna di loro potesse ritrovarsi.

___

Salve a tutti i fan di Madoka Magica!

Firmo il mio esordio nella sezione italiana partecipando al contest di Setsuka, Alla ricerca dell'umanità.


Non scrivevo fanfiction in italiano da mesi, e non sono abituata a partecipare a contest; ma il tema - l’umanità, appunto - mi ha catturata da subito, soprattutto per la sua assonanza con lo splendido anime di cui ho scritto. Madoka è una delle opere che mi hanno colpita maggiormente in tutta la mia vita, ed è innegabile che una grandissima parte del suo fascino venga esattamente dalla sua profonda esplorazione dell’animo umano. Si tratta di un’esplorazione a tratti ragionata, ma soprattutto emotiva e viscerale; ed è per questo che, nei nostri cuori, è risuonata così vera e condivisibile.


La citazione da me scelta esprime un concetto a me molto caro e ricorrente nell’anime. Sono diverse le realtà che davvero ci rendono umani; ma l’origine di tutte loro, a voler ricercare fino in fondo, sarà sempre il limite. Siamo, in quanto uomini, limitati; e a rompere l’equilibrio, proprio come succede in Madoka e in infinite altre storie, è la consapevolezza di non poterlo superare, unita al desiderio di farlo.


Dai nostri limiti vengono gli errori e le contraddizioni, ma viene anche il nostro fascino. A rendere la vita degna di essere vissuta è la capacità di riconoscerli ed accettarli, in quanto parte di noi; e ciò che mi ha colpita di più nel corso dell’anime, con Sayaka in primo luogo, è l’evidenza di questa verità. Le ragazze si perdono quando perdono se stesse; o meglio, perdono la capacità di accettare il loro essere, prima e dopo il cambiamento. Il vero dono di Madoka è stato restituire a tutte loro la possibilità di non cadere in preda allo sconforto. Di credere in loro stesse, come Madoka chiede, fino alla fine.


Per questo ho strutturato la mia storia in cinque parti, scegliendo una Puella Magi per i diversi stadi di alienazione - o, possiamo dire, perdizione e allontanamento dalla realtà umana. Da Mami a Homura, passando per Sayaka ormai strega, Madoka ritorna alla fine, a ristabilire l’equilibrio che ogni ragazza magica del mondo ha dovuto rompere.


Questo è anche il senso della citazione che ho scelto; l’unico modo che abbiamo di essere umani, la nostra unica coerenza, è la via della contraddizione e del limite. Per quanto ci appaia restrittivo, abbracciarla è il solo modo che ci sia concesso per vivere in modo completo e sereno. Una curiosità: dal punto di vista etimologico, “perfetto” significa completo. Il più grande dono che un essere umano possa fare a se stesso è ricercare la perfezione giusta; quella familiare, raggiungibile, già dentro ad ognuno di noi. Probabilmente, questa è la più grande lezione sull’umanità trasmessa da Madoka; sono davvero felice di aver avuto un’opportunità per svilupparla.


Una nota sul titolo: come molti di voi sapranno, la citazione è parte di una celeberrima commedia di Terenzio, l’Heautontimoroumenos. Terenzio caratterizzava, a differenza dei commediografi dell’epoca, i suoi lavori con una forte impronta umanitaria e un’attenzione singolare alla profondità dei personaggi. La battuta intera è Homo sum: humani nihil a me alienum puto, ovvero Sono un uomo, e ritengo parte di me qualsiasi cosa umana.


Grazie per l’attenzione!

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Puella Magi Madoka Magica / Vai alla pagina dell'autore: PotterWatch