L’Angelo
Pantaloni: messi; Camicia: stretta alla vita con cintura di cuoio; Imbracatura con spade angeliche, coltelli e pugnali: fissata al petto e sulle spalle; coltello dal manico d’argento regalatomi da Jem: al sicuro, nello stivale destro.
Guardo il mio riflesso nello specchio semicoperto da pile e pile di libri: ormai non vedo più il timoroso ragazzino scontroso, magrolino, con i capelli perennemente spettinati e gli occhi blu spauriti e offuscati dal dolore … no, l’immagine che mi si presenta davanti agli occhi è totalmente diversa. Vedo un giovane uomo alto ed impostato che ha costruito una corazza intorno a sé, non per tenere fuori gli altri, bensì per imprigionare i sentimenti dentro, che non hanno modo di esprimersi, farsi sentire, urlare, neanche attraverso gli occhi.
Vedo un ragazzo affascinante, non faccio finta di essere modesto perché non lo sono. Sono perfettamente consapevole dei miei tratti e del mio fisico, soprattutto da quando, durante le mie passeggiate per le vie di Londra senza la runa dell’invisibilità, noto lo sguardo delle donne (bambine, ragazze, di mezz’età) posarsi su di me e non staccarsi se non quando sfiorano il limite della decenza, per questa nostra epoca.
Vedo il nuovo William Herondale che non potrebbe odiarsi di più, che ha pensato al suicidio una decina di volte ma che è troppo codardo e attaccato alla vita (la quale non gli riserva nulla di buono, di duraturo) per andarsene definitivamente. Il nuovo William Herondale è sarcastico e cattivo. La cosa peggiore è che gli viene naturale esserlo, e questo gli fa paura.
Poso sul comodino il volume di Coleridge che tenevo fino a poco fa in mano ed esco dalla mia disordinatissima e indecente camera.
“Ricorda, niente azioni avventate, Will. Henry ti aspetterà fuori dall’edificio, ti avvertirà in caso di pericolo e, se ce ne fosse bisogno, entrerà nella casa a darti manforte. Tu dovrai solo gridare.”
Charlotte è di fronte a me, a ripetermi per l’ennesima volta il piano.
“Ho capito, ho capito. Sarò un angioletto. Entro, do un’occhiata in giro e me ne vado. Sarò così silenzioso che le vecchie megere crederanno che si tratta della loro ombra, a girare per conto proprio nell’antro. Anche se io sono indiscutibilmente più attraente di loro, o delle loro ombre. Voglio dire, potrebbero anche essere attraenti, ma spero proprio di no, non desidero affatto cedere alla tentazione e prendermi la sifilide demoniaca!”
Charlotte alza le mani al cielo. “Will! Quante volte ti ho ripetuto che la sifilide demoniaca non esiste?!”
Corrugo la fronte, fintamente desolato. “Charlotte, non distruggere i sogni di un bambino.”
Rotea gli occhi e, senza dire più nulla, mi accompagna fuori dall’Istituto, dove Henry mi aspetta dentro la carrozza, armato e vestito di tutto punto con la tenuta, e Thomas sta seduto a cassetta.
La casa di queste “Sorelle Oscure” è un bordello, a quanto ho sentito in giro, durante le mie ricerche su una serie di omicidi nei quali, in qualche modo, questi due demoni superiori chiamati Signora Black e Signora Dark sono invischiati. L’edificio non è molto bello da vedere e di certo non invoglia possibili visitatori a d entrare, anche se chi è disposto a giacere con esseri ripugnati come i demoni non deve avere un gran gusto, in generale.
La carrozza accosta sul retro del palazzo, che tra l’altro sembra abbandonato, e io scendo. Per entrare dentro sono costretto ad arrampicarmi, aggrappandomi ai mattoni sporgenti e ai pochi appigli che riesco a trovare: una grondaia cadente, un traliccio di pianta rampicante, il davanzale di una delle finestre. Alla fine, riesco a trovare una finestra aperta al secondo piano. Non sono capace di disegnare rune decenti, quando sono in posizioni precarie.
Il corridoio in cui mi ritrovo è buio, e puzza di chiuso, come se non ci venisse nessuno da parecchio. Non ci metto molto a capire che tutte le stanze che si affacciano sul corridoio sono vuote, e nessuno si è degnato di chiuderle a chiave. All’interno sono tutte uguali: un letto, una finestra, un tavolino.
Tendo l’orecchio, sperando che un suono qualsiasi mi guidi. Per l’appunto, sento provenire dei passi dal piano superiore. Mi dirigo verso le scale scricchiolanti, preoccupandomi di fare il minimo rumore possibile.
Sono nel corridoio del terzo piano, che non è per nulla diverso rispetto a quello del secondo, i passi si sono fatti più lievi, ma riesco ancora a sentirli. Seguo il suono. Dietro quest’unica porta chiusa a chiave ci deve essere qualcuno. Estraggo lo stilo dallo stivale sinistro e inizio a tracciare la runa di apertura. La serratura scatta e la porta si apre. La stanza è immersa nell’oscurità. Faccio per prendere la stregaluce dalla tasca, ma non ne ho il tempo.
Spazio Autrice: Questo spazio è per ringraziare tutte le persone che seguono, mettono tra le preferite e ricordano la storia, e, ovviamente, per le gentili recensioni! Grazie mille e spero recensirete anche questo nuovo capitolo :)