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Autore: Polaris_Nicole    28/04/2014    1 recensioni
E se Artemide avesse infranto il voto di castità? E se avesse avuto un figlio maschio?
Jonah Nighthief, figlio di un naturalista inglese, presto scoprirà di essere un mezzosangue e di essere anche il frutto del tradimento della dea della Luna.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gli Dèi, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Un ragazzo vestito di nero (POV JONAH)


Continuavamo a correre imperterriti fregandocene delle occhiate frastornate che ci venivano rivolte dai passanti, ero piuttosto confuso, come facevano a non accorgersi di niente?
A proposito, mi ero dimenticato di dire che stavamo scappando da un cane gigante che mi aveva scambiato per un osso di gomma con le gambe.
Tom era sempre stato più veloce di me, probabilmente, con tutti gli scherzi che rifilava a mezzo mondo – soprattutto al sottoscritto -, doveva per forza essere una scheggia quando correva!
Era davanti a me e correva senza meta alla velocità della luce, erano rari i momenti in cui Tom era realmente spaventato, adoravo quei momenti, quando lasciava inevitabilmente un fianco scoperto lui era il primo a colpirlo – non letteralmente – con un fendente ben piazzato.
Ma allora era diverso, quando si spaventava per un film horror era tutta un’altra cosa! In genere si rivolgeva a me perché sua madre e mio padre non gli permettevano di guardare quel genere di film, quindi quando era spaventato, era un mio compito rassicurarlo – in realtà non facevo altro che spaventarlo di più - .
Tom aveva davvero – davvero – davvero tanta paura dei cani da quando un labrador l’aveva azzannato a nove anni, e trovarne uno gigante per strada non doveva essere il massimo per lui: non era semplicemente spaventato, era letteralmente terrorizzato.
“Tommy! Alla roccia!” urlai senza pensarci due volte, la roccia era un enorme masso di pietra – ma và?! – che si trovava nel parco, quando eravamo piccoli io mi nascondevo lì con i libri di papà, lui invece usava quel posto per nascondersi dopo aver fatto degli scherzi – un paio di volte mi ha anche fatto prendere la colpa al posto suo! -.
Tom comprese subito quello che intendevo e svoltò all’angolo per il parco, non era molto lontano, infatti raggiungemmo quasi subito l’entrata con ancora quel cane alle costole.
Appena vidi quell’immenso ammasso, spinsi Tom proprio dietro di esso e mi appostai accanto a lui sedendomi a gambe incrociate.
“sei impazzito cretino?!” sbottò subito Tom, la voce ancora tremante e il fiatone per la folle corsa, nei suoi occhi ancora impressi la paura e il terrore.
“sta calmo, Tommy, dobbiamo solo trovare un modo per scappare da quel … da quel … quel coso!”
“t-tu sei matto! Che facciamo?! Quello ci fa fuori!” disse frustrato arpionandosi al mio braccio, detestavo quando lo faceva, ma poi appoggiò anche la testa sulla mia spalla e non potei fare altro che tentare di rassicurarlo, come cavolo faceva ad ammorbidirmi in quel modo?! Era fisicamente impossibile!
“sta tranquillo, mi inventerò qualcosa, te lo prometto Tommy” dissi abbracciandolo, non il solito abbraccio, uno sincero, da fratello maggiore.
In quel momento adocchiai un albero, uno dei rami era mezzo spezzato, forse avrei potuto …
Mi scostai dall’abbraccio e mi avvicinai all’albero e presi a tirare il ramo con tutta la forza che avevo in corpo.
“che stai facendo?” chiese Tom guardandomi con fare confuso, i suoi occhi persero per un secondo quel bagliore di paura.
“cerco  … di allontanare … quel coso … se solo … riuscissi a staccare …” non finii la frase che per poco non venni colpito in testa dal ramo di un albero.
Ero stremato, ma trovai comunque la forza di alzarmi e tirare su quel grosso – e pesante – ramo. Quasi nel medesimo istante, il cane mezzo Labrador e mezzo T-Rex apparve all’orizzonte, non mi ero accorto che aveva effettuato una deviazione, ma adesso era davanti a me.
Saldai la presa sullo spesso ramo di quercia che tenevo tra le mani con una certa fatica e con un gesto repentino – tentando di non colpire la pulce e cavargli un occhio o staccargli di netto la testa – lo lanciai il più lontano possibile.
Il cane rimase interdetto, si fermò, ma rimase comunque interdetto rivolgendo alternatamente uno sguardo a me e uno al “bastoncino” gigante.
“vallo a prendere palla di lardo!” sbraitai contro di lui con tutta la forza che avevo in corpo, la faccia di Tom che diventava più pallida dopo ogni parola – chiunque lo farebbe se ti mettessi a sbraitare ad un cane gigante la cui bocca è abbastanza spaziosa da poterci organizzare un party in piena regola -.
Il cane però sembrò darmi retta e si voltò in direzione del bastone e corse via dimenticandosi di me e della pulce ancora nascosta e immobilizzata in posizione fetale.  
Mi lasciai andare accanto a lui intontito sdraiandomi sull’erba verdeggiante e ancora fresca di rugiada chiudendo gli occhi e respirando a bocca spalancata.
“se n’è andato?” chiese Tom ancora un po’ scosso, io gli rivolsi un’occhiata come per dirgli “mi stai prendendo per il deretano?!” (per dirla in un modo carino …), ma alla fine risposi rendendomi conto che comportarmi in quel modo non lo avrei aiutato per niente.
“tranquillo pulce, è andato via” controllai un secondo l’orologio e sussultai “cavolo! Dovevi essere a scuola un’ora fa!” presi Tom per il braccio e lo trascinai via cercando di trovare una scusa decente da rifilare al preside della sua scuola perché, francamente, non mi sembrava molto accreditante dire “scusi il ritardo! Ma sa com’è, un cane gigante ci ha sbarrato la strada, sono cose che accadono tutti i giorni!” sarei stato fortunato se non mi avesse mandato al manicomio seduta stante.
Eravamo stanchi, stremati, stavamo praticamente collassando sul posto … quindi perché non farsi un’altra corsetta fino a scuola?
La scuola di Tom era la stessa a cui ero andato io alla sua età, era la classica scuola media con i muri che cadevano a pezzi, la palestra pericolante e con 30 alunni tutti stipati in una stanza paragonabile solo ad un armadio porta-scope – e non stiamo mica parlando di quello di Hogwarts! -.
“fermati Jonah! Mi fai male!” mi ammonì Tom afferrandomi il braccio con la mano libera, non esercitò alcuna pressione, come una muta richiesta.
Io obbedii e notai una piccola chiazza rossiccia sul jeans chiaro che indossava quel giorno.
“ma cosa …?” mi inginocchiai e gli tirai su il pantalone, fino ad arrivare al punto della ferita per poterla esaminare meglio, senza trarre conclusioni affrettate.
Non era una ferita profonda ed era anche piuttosto netta, dovevo avergliela fatta quando l’avevo spinto dietro all’enorme masso del parco, non era grave, ma non smetteva di sanguinare.
“sta fermo, provo a disinfettarla con un po’ d’acqua” presi una bottiglia che avevo nello zaino e ne riversai un po’ su un fazzoletto asciugando quasi completamente la ferita per poi armeggiare con un fazzoletto e del nastro adesivo a mo’ di cerotto; mi stupii nel costatare che Tom non si era ribellato per niente a ciò che gli stavo facendo.
“ho finito, adesso è meglio andare” dissi senza rivolgergli neanche uno sguardo, lo presi per mano e ci incamminammo in direzione della scuola restando nel silenzio più totale.
Ogni tanto gli rivolsi uno sguardo, ma non riuscivo ad interpretare cosa stesse succedendo, eravamo confusi … e tentavamo in tutti i modi di non di mostrarlo.
Probabilmente era il nostro unico punto in comune: l’orgoglio.
Arrivati all’entrata della scuola, c’era ancora un ultimo ostacolo da superare, e sarebbe stato anche peggio del cane gigante da aggirare.
“scordatelo” queste erano state le uniche prole che ero riuscito sottrarre al più irascibile, inquietante e idiota custode scolastico dell’intero universo.
“Ma lei deve farlo entrare! È successo un gran casino stamattina e se lei potesse …”
“ascoltami bene ragazzino, non lo ripeterò due volte, sono stanco delle volta continue scuse! Oggi è stata una giornataccia anche per me quindi non ho intenzione di …” il suo sguardo si portò su Tom che lo guardò un po’ diffidente.
“sai, forse sono stato un po’ troppo duro con te, mi occuperò personalmente del marmocchio” disse con un sorriso un po’ inquietante – forse TROPPO inquietante – ma era solo un custode un po’ fuori di testa.
“tu che fai?” mi chiese Tom senza togliere gli occhi dal custode, quasi stesse aspettando una sorta di messaggio segreto o simile.
“Ormai è tardi” sospirai sommesso “penso che farò un giro”.
Feci per andarmene quando, proprio in quel momento, Tom sgranò gli occhi, non era rivolto verso di me, ma verso il custode, come se avesse appena visto qualcosa di tremendamente importante ma, conoscendo lo spirito teatrale di quel chihuaua, lasciai correre.
“Jonah … dovrei dirti una cosa …” disse con tono serio mentre il custode gli fece cenno di entrare.
“non mi rompere, Pulce, va a scuola e restaci” dissi calandomi il cappuccio della felpa sulla testa e allontanandomi con le auricolari nelle orecchie.
Feci pochi metri a piedi, poi svoltai in direzione del parco.
In molti penserebbero “ma è matto?! Proprio dove ha trovato quel cane!”, ma era come la storia dei fulmini: non colpiscono mai due volte lo stesso punto.
Solo che non avevo considerato una cosa: cani e fulmini sono due cose molto diverse.
Appena entrai nel parco, infatti, venni sovrastato dal peso di un consistente ramo di quercia che mi atterrò sulla pancia bloccandomi a terra e, proprio davanti a me, vi era un cane nero enorme.
Si avvicinò furtivamente, io tentai di divincolarmi, ma era tutto inutile ma, invece di squagliarmi vivo e usare le mie ossa come stuzzicadenti, mi diede una consistente leccata su tutta la faccia.
“Mrs. O’leary cuccia!” urlò una voce alle mie spalle, il cane si ritrasse e mi permise di alzarmi in piedi.
“Jonah Nighthief” disse la voce misteriosa, mi girai e mi ritrovai davanti due occhi di un nero intenso come l’oscurità che mi fissavano.
Era un ragazzo, aveva sicuramente la mia età, portava abiti neri che si confondevano con i suoi capelli sparsi un po’ ovunque lungo il suo collo sottile e davanti a quegli occhi che mi facevano venire la pelle d’oca.
“niente di rotto spero” continuò il ragazzo assumendo un finto tono mellifluo.
“chi sei?” chiesi un po’ disorientato.
“non credo sia importante adesso, dov’è l’altro?” disse con voce arrogante, come di chi non vede l’ora di andarsene.
“l’altro chi? Non starai parlando di Tom?” dissi senza pensare.
“Tom” ripeté lui con un ghigno dipinto sul volto, poi mi guardò con i suoi occhi penetranti “dov’è? Dovete venire entrambi con me” sentenziò infine.
“cosa? Io non ti conosco e non ho intenzione di seguirti, tantomeno Tom!” sbraitai.
“è importante, ti devi fidare, dové Tom? La scuola è vuota quindi non …”
“VUOTA?!” chiesi sbalordito, il ragazzo vestito di nero annuì ed io mi accorsi dell’errore che avevo commesso non dando ascolto agli avvertimenti di Tom.
Cominciai a correre verso la scuola seguito da quello strano tipo e dal suo cane che sembravano non volersi staccare da me per nessuna ragione al mondo.
Scavalcai con un balzo in cancello automatico della scuola e corsi verso le aule, il ragazzo aveva ragione: la scuola era deserta.
Appena entrai venni accolto da un silenzio tombale … che dopo qualche secondo fu rotto da un grido di dolore lancinante, capace di far sgretolare i muri.
“Di là!” indicò il ragazzo facendomi cenno con la spada nera che teneva in mano, non l’avevo notata, e non mi opposi alla sua indicazione.
Le urla provenivano da una classe, era l’unica ad avere la porta aperta, la serratura era stata forzata e c’erano ancora pezzi di maniglia sul pavimento. Un altro grido.
Essendo più vicino alla meta, riconobbi subito la voce di Tom, senza pensarci due volte, entrai nella stanza senza curarmi delle intimidazioni del ragazzo vestito di nero che mi ordinava di starmene al mio posto.
Rivolsi uno sguardo alla parete di fronte a me: lì, accovacciato a terra, c’era Tom.
Era ricoperto di graffi e di sangue, il suo sangue, che sgorgava da ogni ferita sul suo corpo pallido e all’apparenza dolorante.
Si voltò in direzione della porta e urlò un’altra volta spingendo la testa nell’incavo creato dalle ginocchia e portandosi le mani alla testa.
“Tommy … sta calmo … sono io” cercai di dirgli ma, prima che potessi rendermene conto, una manata mi spinse via, allora capii che a spaventare tanto Tom non ero stato il, ma un gigante con un occhio solo … un ciclope.
“tu! Mezzosangue! a fianco a quell’altro!” mi intimò brandendo un’enorme falce.
Io mi avvicinai istintivamente a Tom che mi afferrò subito per le ginocchia, sembrava che non riuscisse ad emettere neanche un suono. Mi sedetti accanto a lui e lo strinsi a me cercando di non fargli male.
“andrà tutto bene” gli dissi tentando di convincere anche me stesso.
“io non ne sarei così sicuro” disse ghignante il ciclope che scaraventò la falce contro di me graffiandomi il braccio, mi morsi l’interno della bocca determinato a non emettere un fiato.
Il ciclope prese ad avvicinarsi, quando il ragazzo in nero entrò nella stanza brandendo la sua spada.
“m guarda chi si rivede, non ti avevo già fatto fuori qualche annetto fa?” chiese ghignante distraendo il ciclope e cominciando a combatterlo.
Intanto io feci cenno a Tom di uscire, ma lui non si alzò, fu allora che notai una ferita molto profonda sulla gamba destra, così lo presi in braccio e cercai di incamminarmi verso la porta senza farmi notare.
Il ciclope non fu così stupido da cascarci e cercò di afferrarci, così, cominciai a correre verso l’uscita con l’altro ragazzo che continuava ad urlare al ciclope frasi come “non ho ancora finito con te!”.
Una volta fuori, non riuscivo più a respirare e, sebbene non gliel’avessi ordinato, le mie gambe si arrestarono, ebbi solo la forza di voltarmi e vedere il ciclope andare in frantumi sotto il fendente che il ragazzo in nero gli aveva rifilato.
Il ragazzo senza neanche un mimino di preavviso mi prese per la spalla ed io mi sentii avvolgere dall’oscurità e dal freddo più totale.
Provai una sgradevole sensazione di vuoto, ma non riuscii a definirla molto bene poiché durò solo pochi secondi.
Quando tornai a scorgere la luce, non eravamo più fuori la scuola di Tom, ma in un’immensa sala colma di ragazzi che avevano più o meno la mia età, anche se qualcuno sembrava più grande.
“ti stavamo aspettando” disse un uomo con un mazzo di carte in mano che stava sulla sedia a rotelle aggrottando la fronte.
“un piccolo imprevisto, ma sono qui, no?” disse prendendo un scolandosi una lattina di coca cola che si trovava sul tavolo e, contemporaneamente indicando me e Tom che se ne stava ancora tra le mie braccia con la testa poggiata sul mio petto incapace di riprendersi.
“chi sei?” chiesi di nuovo a quello strano ragazzo che contrasse il viso in una smorfia divertita.
“io sono Nico di Angelo, figlio di Ade, benvenuto al Campo Mezzosangue Jonah”.    

NOTE D'AUTRICE: comincio col ringraziare tutti coloro che hanno letto il capitolo e tutti coloro che seguono/preferiscono/ricordano/recensiscono questa fanfiction.
In questo capitolo abbiamo l'inserimento di un altro personaggio: Nico di Angelo *fangirla*.
In questa storia, Nico avrà un ruolo moto importante, ma non voglio anticipare niente (BAD TIME) quindi, al prossimo capitolo!         
 
          
     
 
 
  
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