“Allora
ragazzi, ricordate il piano, vero?”
“Si.”
Risposero all’unisono i suoi compagni.
“Perfetto.
Io e Ryan andiamo a consegnare questa roba a chi di dovere, Christian,
fai il
palo e controlla che non arrivi nessuno. Chaz, rimani in macchina e
appena torniamo
parti. Chiaro?”
“Si.”
Risposero di nuovo i ragazzi alzando gli occhi al cielo, stanchi di
sentirsi
ripetere sempre le solite cose. Justin, quando si trattava di affari,
era molto
puntiglioso. Tutto doveva andare secondo i piani. Un minimo errore e
sarebbe
saltato tutto, loro non avrebbero ottenuto i soldi, e i clienti non
avrebbero
ricevuto la loro roba. E ciò significava diminuire i
guadagni e correre il
rischio di inimicarsi qualcuno. Justin e i ragazzi erano i migliori
spacciatori
della città. La loro era roba buona, di qualità.
E garantivano un servizio
celere e sicuro. Erano in questo giro da poco più di due
anni, e non avevano
mai sbagliato nulla, era sempre filato tutto liscio, non si erano mai
fatti
beccare. Di qualunque cosa tu avessi bisogno, loro te la procuravano in
meno di
una settimana. Inoltre i guadagni erano gratificanti, e con i soldi
ricavati i
ragazzi mantenevano i proprio vizi e, ovviamente, compravano la droga
che poi
rivendevano ad un prezzo notevolmente più elevato.
“Bene.”
Disse Justin guardando i ragazzi che sedevano ancora in macchina
insieme a lui.
“Si va in scena.” E così dicendo, si
infilò la bustina contente della polvere
bianca in tasca, e si diresse insieme a Ryan verso il capannone
abbandonato in
cui lui e Vincent, uno dei suoi clienti di fiducia, si erano dati
appuntamento.
Appena fuori dalla struttura lo vide, insieme ai suoi leccapiedi,
illuminato da
un luce fioca proveniente dall’ultima lampada a neon che
ancora funzionava. Uno
degli uomini di Vincent teneva in mano una valigetta, Justin sapeva
cosa c’era
lì dentro: i suoi più che meritati soldi.
“Hai
la roba?” chiese Vincent con tono basso. Justin
annuì e fece un cenno verso la
sua tasca. “Hai i miei soldi?” chiese di rimando.
L’uomo con in mano la
valigetta fece un passo avanti e la lasciò ai piedi di
Justin. Quest’ultimo
estrasse la bustina della tasca, e nel modo più naturale
possibile, l’allungò
all’uomo che gli aveva porto la valigetta, che con un
movimento rapido la passò
a Vincent che la mise nella tasca interna della sua giacca.
“Sono duecento
vero? Questa era la quota che avevamo prestabilito.”
“Ti ho mai dato la quota
sbagliata, Bieber?” “No Vince, ma
c’è sempre una prima volta.”
“Non con me.”
Justin annuì con un sorrisetto sulla faccia, raccolse da
terra la veligetta, e
fece dietro front insieme a Ryan, diretti verso la sua Range Rover nera
che
aveva lasciato parcheggiata sull’altro lato della strada.
Aprì la portiera e
con un gesto poco gentile fece intendere a Chaz che doveva sposarsi e
cedergli
il posto di guida. Quest’ultimo scese dall’auto e
andò a sedersi nei sedili
posteriori, insieme a Christian. Davanti, al posto del passeggero,
sedeva Ryan.
Justin accese l’auto e fece inversione a U, diretto verso
casa sua. Una volta
arrivato, salutò gli amici, che presero le loro auto e
tornarono a casa.
Eccetto Christian. Aveva appena compiuto i sedici anni, e non aveva
ancora
preso la patente, così Chaz dovette dargli un passaggio.
Questa
scena ormai, si
ripeteva quasi tutte le sere da ormai più di due anni. Ormai
questa era diventata
la loro vita. Erano entrati in
questo giro e non potevano più uscirne. Ma a loro, tutto
sommato piaceva.
Guadagnavano ingenti cifre di denaro per la loro età, e
potevano spendere i
propri soldi come e quando volevano. Ormai la vendita di droga era
diventata la
loro quotidianità, vendere droga per loro era diventato
normale. Ryan lo faceva
soprattutto per aiutare la proprio famiglia con le spese, non si poteva
dire
che navigassero nell’oro. Anzi, tutt’altro. Chaz
metteva da parte i soldi per
il college, una volta finito il liceo aveva intenzione di andare ad
Harvard.
Christian invece, usava la maggior parte dei suoi soldi per comprare
un’infinità di inutili giochi per il PC, per la
PSP o per l’XBOX. Nessuno però
sapeva cosa se ne facesse Justin dei suoi soldi. I suoi amici non
concepivano
il motivo per cui lui conducesse quel genere di vita, lui era
tutt’altro che
bisognoso di soldi. I suoi genitori, i signori Bieber, lo avevano
adottato
quando aveva soltanto quattro anni. Sua madre adottiva, Pattie
Mallette, era una
dottoressa famosa in tutti gli Stati Uniti per le sue competenze e le
sue
capacità. Suo padre, Jeremy Bieber, era un imprenditore
proprietario di
un’azienda di telecomunicazioni. Era lì che Justin
avrebbe dovuto lavorare una
volta finito il college, anche se lui, di andare al college, non voleva
proprio
sentirne parlare. Ma a detta dei suoi genitori, se non fosse andato al
college,
nessuno lo avrebbe preso sul serio, e tutti in quella famiglia avevano
frequentato il college, e prima o poi, anche contro la sua
volontà, sarebbe
toccato anche a lui. Justin era figlio unico, aveva sempre voluto dei
fratelli,
ma i suoi genitori non lo avevano accontentato. Dicevano che in quel
modo
sarebbe cresciuto in maniera più indipendente, e non avrebbe
avuto bisogno di dipendere
da nessuno. Era la classica famiglia perfetta. Troppo perfetta per
Justin.
Talmente tanto perfetta, che lui, si sentiva di troppo, non si trovava
a suo
agio all’interno di quella sfrenata ricchezza e a quel lusso.
Era cresciuto in
maniera rigida, e gli erano stati imposti tanti paletti, tanti divieti,
tante
regole. E lui, crescendo, si era ribellato a tutto ciò che
gli era stato
imposto. Ed era per questo che aveva deciso di entrare nel giro della
droga.
Per sfuggire a tutta quella perfezione, a quella rigidità, a
quel controllo che
gli era stato imposto sin da piccolo. Gli piaceva trasgredire le regole
che i
suoi genitori lo obbligavano a rispettare, lo facevano sentire vivo.
Nonostante
ciò, non era un cattivo ragazzo. A
scuola riusciva ad andare in maniera decorosa, non era uno
di quelli che
si ammazzava per lo studio, si manteneva nella media. Era uno di quelli
che
manteneva la sufficienza in tutte le materie. Tranne in matematica,
quella non
c’era verso di fargliela entrare in testa. Non era uno di
quelli a cui piaceva
fare a botte, a meno che non venisse stuzzicato, e tutti sapevano come
andava a
finire. Justin otteneva sempre la meglio, e il suo avversario andava
dritto in
infermeria con un occhio nero e un labbro spaccato. E, strano a dirsi,
non
faceva uso di droghe. Però aveva il vizio della sigaretta,
lo liberava dai
pensieri e dallo stress, facendolo sentire più leggero.
Ovviamente fumava
all’insaputa dei genitori, se lo avessero scoperto
probabilmente lo avrebbero
chiuso in una botte di ferro per il resto dei suoi giorni. Era
cresciuto con
degli ideali ben precisi, e tra questi vi erano la famiglia, la salute
e
l’amore. Già, l’amore. Justin ancora non
era riuscito a trovarlo, non che si
fosse impegnato a cercarlo, ma dal suo punto di vista la
“ragazza perfetta” per
lui non esisteva. E ogni qualvolta qualcuno gli accennava qualcosa
riguardo a
una sua presunta relazione lui rispondeva in tono acido “non
ho tempo per
queste stronzate.” A scuola, nessuno lo aveva mai visto con
una ragazza. Alcuni
dicevano addirittura che fosse vergine, e un sacco di ragazze si
facevano la
guerra per essere la sua prima volta. “Stupide
illuse”. Pensava Justin ogni
volta che una qualsiasi ragazza gli si avvicinava per fargli delle
avance. Non
le sopportava. Erano tutte stupide figlie di papà. Con la
faccia imbrattata dal
trucco, le tette rifatte messe in risalto dalle magliettine scollate e
le
gonne, se così si potevano chiamare, che gli coprivano a
mala pena il sedere.
Erano tutte attratte da Justin, ma d’altronde lui era il
ragazzo più figo del
liceo. Il classico “bad-boy” che ogni ragazza
desidera al suo fianco. Il tipico
ragazzo che porta il cappellino dei Chicago Bulls in testa, i capelli
tirati su
con cura e precisione, in un ciuffo biondo. Gli occhiali da sole della
Ray Ban,
che non permettevano di incrociare i suoi occhi color caramello fuso, i
pantaloni col cavallo basso, le scarpe alte abbinate
all’elastico dei boxer e
una semplice t-shirt con lo scollo a V. Con un semplice sorriso era
capace di
far cadere ai suoi piedi tutte le ragazze del liceo. Tutte tranne una.
La
ragazza, che a detta di tutti, era la più intelligente del
liceo. Caitlin
Beadles, non che sorella maggiore di uno dei suoi migliori amici,
ovvero
Christian. Lei e Justin avevano la stessa età, diciotto
anni, e frequentavano
insieme il corso di matematica. Materia in cui Caitlin, a differenza di
Justin,
eccelleva. Lei non si era mai interessata a lui, suo fratello le aveva
sempre
proibito di avvicinarsi a lui e lei gli dava retta, anche
perché Bieber non rientrava
nei suoi interessi. La sua priorità era la scuola. Tutta la
sua vita e il suo
futuro ruotava intorno ad essa. E Justin, a sua volta non si era mai
avvicinato
a lei. Non che fosse intimidito dalle minacce di Christian, che spesso
gli
intimava che se soltanto l’avesse sfiorata con la punta
dell’indice gli avrebbe
staccato le palle, ma semplicemente lei non rientrava nel canone di
“ragazza
ideale” che lui si era fissato in testa. Lui voleva una
ragazza socievole,
simpatica, radiosa, che lo facesse sentire vivo. E secondo lui Caitlin
non
rispecchiava questa descrizione. Lei non aveva molti amici, non amava
uscire il
sabato sera per andare a stupide feste per ubriacarsi, non le piaceva
truccarsi
come una bambolina e non le piaceva andare in giro con quei trampoli
vertiginosi comunemente chiamati tacchi. Era una ragazza semplice, coi
capelli
mori, lunghi e mossi, un sorriso timido che sfoderava raramente, e che
solitamente
era accompagnato dall’arrossire delle gote, e due occhi di
una bellezza
sconvolgente, era come se avesse incastonati sul volto due zaffiri blu.
Ed erano
proprio così i suoi occhi: tondi, blu e luminosi. Ma a
volte, al variare della
luce variava anche la loro tonalità, e se guardati
attentamente si potevano
notare delle venature di azzurro e di verde, aveva degli occhi di una
bellezza
unica. Era una ragazza timida, introversa e per certi versi anche
insicura. Le
uniche persone di cui si fidava ciecamente
erano la sua migliore amica Deborah, chiamata Debby, e il suo migliore
amico
Liam. Ma lei non era sempre stata così, prima
dell’incidente non era
così. Ma in pochi sapevano che lei,
appena compiuti i 16 anni, era stata vittima di un tragico incidente,
in cui
aveva rischiato la vita. Ma fortunatamente, dopo un lungo periodo di
terapia e
riabilitazione era tornato tutto normale. Ma Caitlin, dopo
quelterribile
avvenimento non era più la stessa. Non era più la
ragazza solare, vitale e socievole
di una volta, si era chiusa in sé stessa. Si era creata
intorno un muro
invalicabile, che in pochi riuscivano ad abbattere. E Justin
sicuramente non
aveva intenzione di farlo, visto che anche lui era segnato da un
passato
difficile. Prima dell’adozione la sua vita era stata un vero
e proprio inferno,
e tutt’ora, a distanza di quattordici anni, i demoni del
passato continuavano a
perseguitarlo. Ma lui non poteva farci nulla, erano parte di
sé, e aveva
imparato a conviverci. Esattamente come faceva Caitlin. Entrambi
avevano un
passato burrascoso che aveva stravolto le loro vite, questo fatto li
accomunava, ma loro non potevano saperlo. Perché in fin dei
conti, loro neanche
si conoscevano veramente.
NOTA
AUTRICE: Ciao
ragazze! Sono tornata, con una nuova storia totalmente diversa da
quelle
precedenti. Nuovi personaggi, nuovi ambienti, nuove
situazioni… Va beh, penso
di aver reso l’idea. Anyway, questo è solo
l’inizio di una complicata vicenda
ahah. Ho scritto questo breve prologo per farvi capire a grandi linee
come sarà
la trama della storia e come procederà. Ovviamente
è una storia incentrata sui
Jaitlin, che sono i personaggi principali. Non ho idea di come
andrà avanti, non
so quando andrò avanti e non so nemmeno se finirò
la storia. Ho un’idea di
partenza, ma non so come mandarla avanti, quindi chi vivrà,
vedrà! Spero che il
prologo vi abbia incuriosite e mi lascerete una piccola recensioncina
per dirmi
cosa pensate della storia e cosa vi aspettate dai prossimi capitoli. Un
bacio
enorme, alla prossima! <3