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Autore: Mantinea    29/04/2014    1 recensioni
Ci sono errori di cui ci si pente per tutta una vita, errori stupidi, facilmente evitabili. Sono errori dettati dalla fretta e dalla voglia di cambiamenti, sbagli fatti con l'imprudenza e la frenesia. Bene, questo è il mio più grande errore fin ora: il primo bacio. Errore, appunto, stupido e facilmente evitabile, dettato dalla voglia di emozioni nuove. Un errore piccolo, direte voi, uno di quelli di cui ci si dimentica presto. Ma non per me, purtroppo. Sono troppo stupida, io, per riuscire a superarlo, e ancora più stupida per averlo fatto. Sì, be', e sono anche stupida perché non riesco a comportarmi come una persona normale, neanche una volta.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci sono errori di cui ci si pente per tutta una vita, errori stupidi, facilmente evitabili. Sono errori dettati dalla fretta e dalla voglia di cambiamenti, sbagli fatti con l'imprudenza e la frenesia. Bene, questo è il mio più grande errore fin ora. Errore, appunto, stupido e facilmente evitabile, dettato dalla voglia di emozioni nuove. Un errore piccolo, direte voi, uno di quelli di cui ci si dimentica presto. Ma non per me, purtroppo. Sono troppo stupida, io, per riuscire a superarlo, e ancora più stupida per averlo fatto. Sì, be', e sono anche stupida perché non riesco a comportarmi come una persona normale, neanche una volta. 




Errori da principiante

Parte Prima


Mi sento un po' una stupida, devo ammetterlo. Mi sento una stupida a scriverne, a così tanta distanza; mi sento stupida a starci male, a pensarci continuamente. Mi sento una stupida per molte cose. Certo, adesso, quando dirò di cosa si tratta, mi sentirò ancora più stupida. Perché so che sto parlando di quello, lo so, è ancora imbarazzante per me. È strano dirlo, mi fa strano pensarci e… mi sento una stupida a scriverlo. Si tratta del mio primo bacio.

Ecco, visto? Sono una stupida. Come ho potuto introdurlo così? Sembra ancora peggio, ancora più imbarazzante, come quando una bambina di dieci anni dice alla migliore amica che ha visto i genitori baciarsi. È la stessa sensazione di imbarazzo, solo che io ho diciotto anni, e quella che ha dato il bacio sono io, non i miei genitori. Quanto cazzo mi sento stupida solo Dio lo sa.

Che poi, la cosa divertente – pff, “divertente” – è che pensavo che dopo averlo dato mi sarei sentita meglio con me stessa. Ed è stato così, sotto un certo punto di vista. Ma sotto un altro no, per niente: se prima odiavo solo il mio corpo e mi stimavo come persona, be', adesso mi faccio schifo anche in quello. Mi sono rovinata con le mie stesse mani, ho rovinato i miei ricordi, ho rovinato la mia storia da raccontare a mia figlia, un giorno. Ho rovinato tutto, e solo perché sono una stupida deficiente, un'incosciente, una bambina. Ho diciotto anni, cazzo, e sono una fottuta ragazzina. Mi sono quasi ubriacata quella sera perché avevo l'ansia, perché non riuscivo a stare in mezzo a tutta quella gente; ho bevuto e bevuto, e continuato a bere perché anche Agnese lo stava facendo, perché Raffaele non mi avrebbe presa in giro come suo solito, perché così non sarei stata come Adriana, non sarei stata la ragazzina che si lamenta sempre e che non sa come divertirsi. Oh, ma facendo così sono stata non solo una ragazzina, sono stata anche la ragazzina che ho sempre evitato di essere, pensa un po'. Ah, non scordiamoci di dire che non mi ero mai ubriacata prima, e che Agnese voleva lo facessi per la prima volta; be', forse anche io volevo farlo per la prima volta, solo che ho sempre avuto paura. Oh, la paura, maledetta. La paura di avere paura mi ha definitivamente rovinata. Perché ho sempre paura di qualcosa? Ecco a cosa porta la paura, alla distruzione. Mi ha rovinata, e non riesco a mandarlo giù.

Insomma, non so quanto si sia capito, quindi faccio un breve riassunto: sabato sera, evento in discoteca. Io e due mie amiche andiamo insieme a quattro amici più grandi, di venticinque anni. Noi ne abbiamo diciassette, ma non importa. È bello uscire con gente più grande, ma questo è un altro discorso. Dicevo, decidiamo di andarci. Era già qualche settimana che avevo notato qualcosa in Raffaele, un comportamento strano nei miei confronti, solo che, vedendo me e vedendo lui, avevo il terrore di starmi immaginando le cose. Un tizio come lui non può interessarsi a me, in nessun caso: è bello fisicamente (anche se il viso non mi fa impazzire, non si può dire che abbia un brutto corpo), sempre attento ai muscoli, alla palestra; la sua passione è il calcio, va a pesca, e basta. Sì, e basta. Questo è il suo cervello: rigori, squadre, attrezzi da palestra e pesci. Non c'è altro, non gli importa che ci sia dell'altro. E io odio, detesto, disprezzo gente del genere. Ma mi sentivo lusingata degli sguardi che mi lanciava, delle frecciatine dell'amico, di alcuni suoi gesti. Agnese che, quando uscivamo, mi continuava a dire “ti sta guardando. Ancora. Continua a guardarti”, poi, mi ha tranquillizzata sui miei pensieri. Ma, Cristo, io sono grassa, brutta, matura (o almeno, così credevo fino a quella sera), non so niente di calcio, né di pesca, non so niente di steroidi e muscoli, di attrezzi da palestra, né ne voglio saperne qualcosa. Insomma, cosa diamine voleva da me? Forse ero io che volevo succedesse qualcosa, finalmente, nella mia vita; forse Agnese mi incitava solo per farmi stare meglio, per tirarmi su, per farmi credere un po' più in me stessa. Ma sto ancora divagando.

Allora, avevo deciso di vedere cosa sarebbe successo, senza fare nulla, senza fare passi falsi né mosse avventate. Soprattutto perché non riuscivo a capire cosa provassi io per lui – invece sì, cretina, lo sai: non ti saresti mai neanche sognata di pensare a lui in quel modo, se non avessi iniziato a pensare di piacergli. Come hai fatto per un anno intero, ignorarlo, avresti potuto tranquillamente continuare a farlo, senza neanche pensare di farlo. Ti sarebbe venuto naturale.

Ma comunque, torniamo a noi.

Andiamo in discoteca, la mia amica non c'è. Non Agnese, l'altra: Giulia. Lei è un po' più come me, una bambinona, una ragazza che a diciassette anni ha avuto pochissime esperienze più di me – e con lei non mi sento a disagio per il fatto di non essermi mai fatta una canna o per non essermi mai ubriacata, perché neanche lei lo ha mai fatto, e abbiamo sempre detto che non lo avremmo mai fatto, perché sono cose stupide, sono cose da bambini. Tsk.

Ad ogni modo, la serata inizia male: c'è troppa gente, il panico inizia ad assalirmi. Il fiato mi rimane bloccato in gola, non riesco a muovermi. Agnese e Lorena (l'altra amica con cui sono andata) ballano tranquille, i nostri amici anche. C'è Giacomo che sta addosso ad Agnese, le piace, si vede: lei si diverte a stuzzicarlo, ma non so se starebbe mai con lui. Ballano insieme, in modo sensuale, a volte quasi volgare. In un modo davanti al quale arrossisco come se fosse un porno. A Lorena si avvicinano molti ragazzi, ballano con lei, anche se in modo leggermente più discreto. Ed io mi sento solo spintonare, da una parte, dall'altra, la testa scoppia, le immagini girano davanti ai miei occhi in modo vorticoso, io non so che fare; ballo? Non ballo? Come posso ballare? Come si respira? Perché non c'è Giulia? Lei avrebbe notato il mio spaesamento, mi avrebbe aiutata, ora sono sola…

Ma che ti prende? Balla!” questo mi viene ripetuto, tra una spinta e l'altra, e a me viene da vomitare. Ho bisogno d'aria. Dov'è Raffaele? Perché con noi ci sono solo Giacomo e Alessio (oh, questo è un maiale pervertito, ma per fortuna mi ignora, lui vuole Agnese). Dove sono Federico e Raffaele? Tsk, starà con chissà chi, a farsi chissà chi. Ma che importa? Adesso voglio solo aria. Chiedo ad Agnese di allontanarci un attimo dalla mischia, lei mi accompagna, anche se un po' seccata. Non voglio rovinare la festa a nessuno, ma ho bisogno di aria. Voglio andare via, vorrei non essere mai venuta.

Che hai?”

Sto male. Non riesco a fare nulla, mi manca l'aria.”

Dai, rilassati, andiamo a ballare.”

No, sto qui seduta per un po'. Non me la sento.”

Intanto anche Giacomo si è accorto che faticavo a respirare, e ci ha raggiunte.

Sicura di voler stare qui da sola?” dice lui.

Certo, andate.”

Tentano di convincermi, ma non mi muovo. Non voglio rientrare lì. Però, Dio, perché non riesco ad essere normale? Perché per una sera non posso divertirmi e basta, essere una ragazza normale, senza dare nell'occhio, senza rovinare le serate? Adesso penseranno a me qui, penseranno che sono un accollo. Perché è voluta venire? Perché fa così? Sta solo cercando attenzioni. Questo pensano, ora. Ed io non ho la forza di fare niente, se non di stare qui a respirare, piano… oh cazzo. No, dimmi che non ho visto bene, dimmi che mi sto sbagliando… non voglio che venga lui. Si sta spingendo tra la folla, mi guarda, cerca di uscire da lì. Dietro a Raffaele c'è Federico. Cazzo, perché sono venuti? Non voglio che mi vedano così. Raffaele mi paragonerà alla sua ex, quella con l'ansia per qualsiasi cosa, quella che ha mollato proprio dopo uno dei suoi attacchi d'ansia, quella di cui sparla in continuazione con gli amici. Se avevo qualche speranza di piacergli, ecco, adesso è tutto buttato nel cesso. Fanculo a me, all'ansia, alla debolezza, all'anormalità…

Che fai qui?” chiede una volta avvicinatosi. Leggo il labiale perché la musica è troppo forte. Federico gli sta accanto, ma a malapena lo guardo.

Niente” faccio cenno. “Perché siete venuti?” Raffaele non capisce e si sporge verso di me. Ho i brividi, non sono abituata a parlare così ad un ragazzo. E in più ancora mi batte forte il cuore per la musica e per l'ansia. Ripeto la domanda, spero che risponda che volevano solo andare in bagno e mi hanno vista lì.

Ci hanno detto che stavi male” mi dice lui, all'orecchio. Cazzo. Fanculo. No, questo no. “Che hai?” mi guarda negli occhi e so che non posso dire di avere mal di pancia. So che già lo sa, perché avrà visto migliaia di volte quello stesso sguardo in Adriana.

Prima ancora di poter pensare, dico: “È solo che c'è troppa gente. Mi manca l'aria, non ci riesco.”

Claustrofobia? Perché non ce lo hai detto?”

No, è che… Voi andate, davvero, io sto bene qui.”

E mi sento così stupida, gli ho dato la prova, ho fatto vedere quanto sono anormale. Poi, la frase di Federico mi spiazza: “Ah, proprio come Adriana!”

Mi ha sentita, ha sentito cosa ho detto. Ma soprattutto, è come se mi abbia letto nella mente le paure. La mia testa scatta verso di lui, poi subito su Raffaele, che si gira verso Federico. “No, non è per niente la stessa cosa. Sono due cose diverse.”

Non so se essere felice per quell'esclamazione irritata, come se mi stesse difendendo. So solo che mi mette a disagio, e che mi sento male. Come posso reagire? Che posso fare? Non voglio dimostrare loro di essere come Adriana, io non voglio. E poi, boom, mi viene in mente il bigliettino che ho in tasca. È una consumazione, posso prendere qualcosa da bere e scolarlo giù. Magari l'ansia va via, magari riesco a divertirmi.

Federico non fa in tempo a replicare alla frase di Raffaele che mi alzo in piedi, di scatto. Entrambi mi guardano perplessi.

Ho sete” faccio. Raffaele si avvicina perché non sente e si sporge perché gli ripeta la frase.

“Ho sete, vado a bere.”

Acqua?” chiede. Ovviamente. Che altro potrebbe prendere una persona come me?

No, certo che no!” replico, offesa, tirando fuori il cartellino.

Guarda che starai peggio. Non ti fa bene bere-”

Davvero, papà?” lo sfotto. Adesso fa il preoccupato? Io devo bere. Se non bevo sarò come Adriana. Io non sono come lei, io voglio fare come tutte le persone normali. Agnese starà bevendo, Raffaele avrà già bevuto. Perché io non posso farlo?

Bene, fa' come ti pare” risponde, forse un po' irritato. Non voglio che sia irritato, Adriana lo faceva irritare. Io non voglio essere come lei.

Mi accompagni?”

“Ok, andiamo” e fa strada tra la folla.


  
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