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Autore: Prongs4    29/04/2014    1 recensioni
"Come osava distruggere il quadro di perfezione che, nonostante tutto, Narcissa si era creata riguardo a lui? Come osava lamentarsi, gemere, non trattenere le sue emozioni? Come osava far tremare le mani di Narcissa fino all'inverosimile? Come osava farle uscire gli occhi fuori dalle orbite, colmi di lacrimi? Come osava provocare in sua moglie quella paura e quel dolore? Come poteva anche solo pensare di morire? Come, come?, si ripeteva Narcissa".
Gli ultimi momenti di vita di una persona portano dentro di sé il soffio tragico della morte, e se questi fossero gli ultimi momenti della vita di Lucius Malfoy, non credete che quel soffio di struggimento sarebbe ancora più intenso sulla pelle di Narcissa Malfoy?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy | Coppie: Lucius/Narcissa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mai quanto ti amo io, mia Cissy.

Narcissa non ricordava d’aver mai sentito la voce di Lucius tanto tenue, flebile, fioca.
Anche nei momenti più difficili della sua vita, suo marito non si era mai concesso un atto di debolezza, non aveva mai permesso a se stesso di palesare in qualche modo l’incertezza che talvolta lo divorava o il timore che lo invadeva.
Un uomo, un gentiluomo, un purosangue, si distingue da tante piccole cose, le era stato ripetuto da Lucius molte volte: la camicia accuratamente stirata, la cravatta annodata alla perfezione, i capelli in ordine e, soprattutto, un Malfoy deve possedere sguardo e tono fermi.
Per Lui sono sempre stati questi dei modi per dimostrare il suo potere, per incutere rispetto, per suscitare ammirazione.
Aveva sempre tenuto fede all’immagine  di sé che si era costruito, dunque adesso Narcissa non concepiva come potesse venir meno a tutto ciò.
Perché Lucius non stava combattendo? Cos’era quell’arrendevolezza? Lui non poteva assolutamente permettersela, poco importasse che fosse sul letto di morte!
I lunghi capelli ormai bianchi di Malfoy stavano sparsi disordinatamente sul cuscino, gli occhi erano spenti, la bocca pronunciava incomprensibili parole di un moribondo.
Come osava distruggere il quadro di perfezione che, nonostante tutto, Narcissa si era creata riguardo a lui? Come osava lamentarsi, gemere, non trattenere le sue emozioni? Come osava far tremare le mani di Narcissa fino all’inverosimile? Come osava farle uscire gli occhi fuori dalle orbite, colmi di lacrimi? Come osava provocare in sua moglie quella paura e quel dolore? Come poteva anche solo pensare di morire? Come, come?, si ripeteva Narcissa. 
Nel mondo purosangue vi erano da sempre, ed implicitamente destinate a durare per sempre, regole sui doveri che avevano le varie personalità all’interno del nucleo famigliare; ad esempio le madri dovevano occuparsi  di educare in parte  la propria progenie, la quale a sua volta doveva prestar fede al volere e alle tradizioni del proprio casato.
Ecco, all’interno della loro famiglia, il compito di Lucius era quello di sostenere Narcissa, di essere la sua roccia. E invece Lui la stava trascinando giù con sé.
E non era convenzionalmente accettato, perché Lui doveva essere l’ancora di salvezza di Cissy, non poteva tradirla e non rivelarsi tale. Andava contro il copione tutta quella faccenda. Le ancora non affondano, avrebbe voluto urlargli Narcissa.
Tu non affondi, desiderava fargli capire.
Ma, seppur lentamente, Lui lo stava facendo.
Erano diverse settimane ormai che stava in quelle condizioni, e i Medimaghi dicevano che ormai era semplicemente arrivata la sua ora.
Quella risposta, Narcissa non l’aveva di certo accettata. Pensava che sarebbe potuta essere adatta ad un qualunque essere umano, non a un Malfoy.
La morte doveva per forza comportarsi diversamente con i Malfoy.
Ma come poteva farlo, se Lucius non lottava contro di Lei? Se non la sovrastava, se non le si opponeva fieramente, se non le impediva di prenderlo? Se aveva scelto giusto quel momento per finire in ginocchio e sopportare il corso degli eventi passivamente?
E Narcissa era infuriata, rabbiosa, non comprendeva il gioco di Lucius.
Cos’era quell’improvviso voltafaccia nei suoi confronti? Perché la stava facendo soffrire in maniera così sconvolgente? Non gli piangeva il cuore a percepire i singhiozzi della donna accanto a Lui?
Se lo domandava lì, accucciata al suo capezzale, in attesa che Lucius aprisse gli occhi e decretasse con tono deciso che ci voleva ben altro per abbattere un Malfoy,  e che quella non era certo la sua fine.
Apri gli occhi, parla.. gli intimava Narcissa sottovoce.
Quel suo ordine, che dentro di sé conteneva tutta la disperazione e l’umiltà di una preghiera, sembrò essere ascoltato.
Sbattendo più volte le palpebre, Lucius si svegliò da quello stato di incosciente dormiveglia in cui era caduto ormai da diverse ore.
Aveva le labbra evidentemente secche, e Narcissa vi passò sopra un fazzolettino di seta bagnato per dargli sollievo. Vi depositò poi Lei stessa un bacio, su quelle labbra. Un bacio che non sapeva d’addio, un bacio normale. Uno dei tanti che si erano dati in quegli anni. Uno di quei baci casuali, scambiati durante l’arco della giornata: quando uno dei due usciva, o semplicemente quando, entrambi presi dalle proprie occupazioni, si incrociavano in uno dei numerosi e vasti corridoi di Malfoy Manor.
Un bacio che sembrava solo l’antipasto di altri più arditi che avrebbero gustato successivamente, magari quando si fossero ritrovati soli nel loro letto, a consumare nuovamente un amore che sarebbe restato tuttavia intatto.
E quel bacio era volutamente superficiale: renderlo più profondo gli avrebbe attribuito un’importanza eccessiva,  il potere definitivo che possiede un ultimo bacio. Perché secondo Narcissa non era quello il loro ultimo sfiorarsi di labbra, non poteva esserlo. Ne sarebbero seguiti molti altri negli anni seguire, doveva essere così.
Una carezza sul volto, un sorriso, e la signora Malfoy si sentiva già più tranquilla.
“Amore mio, come ti senti? ”, domandò a Lucius con il tono più dolce che riuscì ad usare. Aveva la voce tremante, e sembrava che quasi temesse la risposta che le sarebbe arrivata.
“Lo sai, Cissy, se.. tu sei con me.. “ iniziò a biascicare con voce roca e affaticata, “..non posso che stare bene”,  concluse tutto d’un fiato. Quelle poche parole sembravano avergli mozzato del tutto il fiato e, dopo aver respirato affannosamente per qualche istante, Malfoy chiuse la bocca cercando di calmare il respiro irregolare.
Piangendo più sonoramente, Narcissa cominciò ad annuire, per fargli capire che sì, lo sapeva.
Per qualche minuto calò in silenzio, e solo quando la donna ebbe riassunto il suo consueto autocontrollo riprese la parola. “Lucius, ti prego, cerca di trovare un po’ di forza.”
Forza. La parola iniziava a suonarle del tutto priva di significato, tanto era il tempo che non aveva a che fare con qualcuno che ne fosse in possesso.
Lucius era il ritratto della debolezza,  e Lei sembrava essere stata contagiata dallo stato dell’’uomo, fisicamente e psicologicamente.
Lucius non le rispose, non ci riusciva, e Lei lo considerò un altro colpo volutamente sferrato contro la sua persona. Perché voleva privarla di sentire la sua voce, ancora e ancora,  fino a quando le sue orecchie non avessero assorbito e fatto ulteriormente loro quel suono? Poteva almeno guardarla negli occhi, darle la possibilità di imprimere nella memoria ogni singola sfumatura del grigio particolare delle sue pupille.
Quando Narcissa cominciò a capire che non era più in potere di Lucius regalarle le emozioni che di solito provava anche solo sentendo il suo sguardo addosso, decise di prendersele da sola. Accostò il viso al collo di Lucius, aspirandone l’odore.
Quando era giovane il suo profumo era fresco, inebriante, tuttavia in quel momento le sembrò altrettanto intenso. Era una parte fissa di Lucius, quel profumo delizioso, come la bocca o le mani. Lo aveva anche quando era fuggito dalla prigione magica, molti anni prima. Pur sporco, ricoperto di tagli, del suo stesso sangue, si poteva percepire in sottofondo il suo odore.
Ogni fibra del corpo di Narcissa negava che presto non avrebbe più sentito quel profumo. Sempre con estrema delicatezza, gli lasciò dei leggeri baci sul collo, solo per poter assaporare sulle labbra e sulla lingua il gusto della pelle di Lucius.
E con quel poco di decisione che gli era rimasta, l’uomo rispondeva a quelle attenzioni, baciando piano la mano di Narcissa che gli aveva accarezzato prima il viso e poi si era soffermata sulle sue labbra.
“Lucius… Lucius… Lucius” mormorava Cissy, presa del panico di non poter più ricevere risposta a quei suoi richiami. Ma l’uomo, con suo sollievo, dava segni di vita con qualche gemito, qualche sospiro,  assicurandole la sua presenza.
“Narcissa”, sentendosi chiamare, subito la donna si scostò, pronta ad alzarsi per dargli qualunque cosa di cui avesse bisogno o semplicemente per guardarlo in quegli occhi che da sempre erano riusciti ad incantarla.
“Dimmi” sussurrò.
“Ti amo”
Il tono che aveva usato, così simile a quello che utilizzava da ragazzo, quando le diceva quelle due parole come se si trattasse di un segreto di inestimabile valore, le fece spuntare sul viso un sorriso sincero e carico di dolcezza. Riuscì persino ad emettere una risatina, mentre riprendeva ad accarezzargli il viso. “Lo so, Lucius. Ma io ti amo di più” ribatté.
Dopo aver preso un respiro profondo,  Lucius emise ancora dei suoni. Dove stesse trovando tutta quella forza improvvisa, Narcissa non lo capiva. Certo non poteva sapere che il marito stava attingendo alle sue ultime energie per dirle qualcosa che reputava molto più importante della sua vita.
Infine l’uomo  riuscì a comporre una frase di senso compiuto. “No... mai quanto ti amo io, mia Cissy.”
Contenta della piega che stava prendendo la conversazione, vogliosa di sentire di nuovo il morso dell’amore pungente su di lei, Narcissa aprì la bocca, pronta a dirgli che non era assolutamente vero. Ma senza rendersene conto, trattenne rumorosamente il fiato.
Lucius Malfoy stava lentamente rovesciando gli occhi all’indietro, e la morbida porzione di pelle che le mani di lei stavano accarezzando diventava gradualmente sempre più fredda. Prima ancora di rendersi conto di quella lugubre situazione, la donna si ritrovò a stringere fra le dita il viso di un cadavere.
Attonita, sorpresa, incerta, come un bimbo abbandonato da solo in mezzo a un bosco: così era Narcissa. Poi, vi fu solo la rabbia.
“No!”, urlò. “No! Non puoi avere tu l’ultima parola! No, Lucius. Apri gli occhi, ascoltami! Io, ti amo di più io. E rispondimi, per Salazar!” gridò con tutta la voce che aveva in gola.
Ma Lui non rispondeva. E aveva vinto una volta per tutte.
Aveva vinto su di Lei, infondo forse anche sulla morte.
Nonostante per Narcissa il semplice fatto di morire fosse un atto di debolezza, poteva consolarsi che nell’andarsene, dopotutto, era stato un degno Malfoy. Il letto in cui era steso l’uomo era il talamo nuziale che aveva condiviso per tanti anni con Narcissa e, come era sempre stato da quando quella era diventata la stanza della piccola e viziata Black, ogni lenzuolo ed ogni federa di quel letto erano di finissima seta, i copriletto fatti a mano erano delicati e pregiati. Da quando il suo declino era iniziato e il suo cuore appesantito lo aveva costretto a letto, era stato circondato di ogni svago che potesse gradire: libri dall’aria preziosa, scacchi d’oro dei maghi, la gazzetta del profeta ogni giorno, cibi prelibati. Persino la sua persona era stata curata quotidianamente: un pigiama elegante e pulito cambiato di continuo, la barba perfettamente rasata, il viso, le mani e il petto rinfrescati spesso.
Il suo tramonto era stato all’altezza dell’alba della sua vita: lussuoso e dovizioso, elegante e raffinato.

La rabbia lasciò presto, troppo presto, il corpo di Narcissa, che avrebbe di gran lunga preferito continuare ad essere infuriata piuttosto che accettare la veridicità di ciò che i suoi occhi le mostravano (Lucius immobile, il suo respiro inesistente).
Al posto della furia, si presentò qualcosa parecchio peggiore: la consapevolezza.
La consapevolezza di un amore assoluto, disperato, totalizzante. La consapevolezza di aver amato tutto di quell’uomo. Ogni singola cosa. La certezza assoluta di averlo amato sempre di più.
Non c’era un lato di Lucius, anche quelli più viscidi e subdoli, che lei non avesse elevato con il suo amore, e non vi era un suo pregio che lei non avesse lodato più e più volte.
Aveva amato i suoi sorrisi, i suoi capelli. Aveva amato il fatto di essere sempre l’eccezione per Lui. Aveva amato i suoi occhi freddi, distanti, e infuocati, brucianti quando incrociavano quelli di sua moglie. Aveva amato in maniera viscerale i suoi baci, aveva amato il corpo scolpito di Lucius. Aveva amato quel suo dannato bastone da passeggio, la sua espressione perennemente altezzosa,  aveva amato il suo orgoglio, la devozione al suo casato. E non poteva esprimere quanto aveva amato la sua folle gelosia, i suoi abbracci, il modo in cui le sue mani la toccavano avide, quanto aveva amato, da ragazza, il pensiero di diventare un giorno la signora Malfoy, sua moglie. E quanto, ma quanto l’aveva amato ogni volta che l’aveva fatta sua, rimarcando l’appartenenza del suo corpo a quello di Lucius, l’appartenenza del suo cuore a quello di Lucius, persino l’appartenenza della sua mente a quella di Lucius. Lo aveva amato in maniera sconvolgente, tanto da farle desiderare di stare costantemente con Lui.
Lo aveva amato più di quanto non fosse lecito fra i purosangue.
E aveva amato la sua convinzione di essere infinitamente più innamorata di Lui di quanto Lucius non lo fosse di Lei, più di quanto lui non potesse nemmeno immaginare. 
Ma quella sua convinzione era stata brutalmente cancellata, tanto velocemente quanto era stata cancellata la vita di Lucius.
Un secondo, era bastato un secondo soltanto a spazzare via molti e lunghi anni pregni di fatica, sollievo, amore, piacere, pregni di vita. Era bastato un battito di ciglia a trasformare una persona reale, in carne ed ossa, in un ricordo.
Ma Narcissa non poteva permetterlo, e non avrebbe concesso alla Morte un potere così enorme e assoluto. Il potere di cedere l’ultima parola a Lucius e al contempo quello di eliminarlo. La Morte, quell’entità temuta che inconsciamente ci portiamo dentro, più vicina di quanto non vorremmo, non poteva portarsi via Suo marito, perché in Lui era contenuto tutto ciò che Narcissa aveva amato su quella terra.
Quindi se lo sarebbe tenuto quanto voleva. Quello era il suo nuovo capriccio, ed abituata a vedere sempre realizzati i suoi capricci, per un attimo Narcissa credette che sarebbe andata così anche quella volta. Veloce come era successo, la donna arretrò nel tempo, portò indietro i minuti, come se fosse in suo potere, e di nuovo amava Lucius, non aveva amato. Di nuovo, era tutto come prima, come se nulla fosse accaduto.
 Ma quella gloria, quel compiacimento selvaggio che invade l’uomo al pensiero di poter sconfiggere qualcosa di così possente e travolgente come la morte, la abbandonò immediatamente.
Tuttavia, con stupore si rese conto che l’ angoscia che l’attanagliava acuiva il suo amore per Lucius, rendendolo diverso e più grande, più intenso.
Sentiva il suo cuore scoppiarle, fuoriuscire dalla cassa toracica e dissolversi in mille pezzettini, ed era Lucius a farla stare così male, ma lo amava.
Le gambe le cedettero, facendola cadere rumorosamente e rovinosamente a terra, procurandole sbucciature sulle ginocchia, ed era Lucius a farla stare così male, ma lo amava, sempre di più.
Strinse le proprie unghie nel palmo della sua mano, creò graffi profondi, sanguinò anche, sbatté quelle stesse mani contro il pavimento, ribellandosi a tutto quello, ed era Lucius a farla stare così male, ma lo amava, di nuovo e sempre con più convinzione.
Apriva la bocca, cercando di chiamare Draco al piano di sotto, ma l’unico nome che riusciva a pronunciare era quello di Lucius, prima più piano e poi in un grido più potente, sempre più forte. Ed ogni volta che pronunciava il suo nome era un colpo violento al suo cuore, ed ogni colpo lasciava segni più profondi, e le sue ferite crescevano, ed era Lucius a farla stare così male, ma ad ogni pena in più che provava lo amava sempre di più.
Cercava di calmarsi, di ragionare, ma quella razionalità fredda così presente in lei fino a un minuto prima, così presente in lei per tutta la sua vita, sembrava averla abbandonata. Proprio come aveva fatto Lucius.
Ogni cosa in quella stanza le sembrava una trappola posta intorno a Lei per braccarla, impedendole non solo di respirare, ma di capire cosa fare, come comportarsi.
In preda al panico, al dolore, si scostò bruscamente dal comodino al quale si era appoggiata nella disperazione. Solo in quel momento infatti si era accorta che vi era posta sopra una foto sua e di Lucius il giorno delle loro nozze. Riuscì a guardare il volto sorridente del marito solo un secondo prima di rendersi conto che se l’avesse fissato ancora le sarebbe letteralmente esploso il cuore.
Con furia, iniziò a voltare la testa da un lato all’altra della camera, cercando di non soffermare lo sguardo su nulla che potesse turbarla ulteriormente. Ma fra un movimento e l’altro, perdeva pezzi di sé.
Ogni oggetto era suo nemico, ogni angolo era un pericolo sul suo cammino.
Si svolse tutto in pochi minuti, ma a Narcissa sembrò un’eternità. I pensieri si accavallavano l’uno sull’altro, travolgendola, colpendola, ferendola.
Una poltrona in un angolo, dove tante volte aveva costretto Lucius a sedersi per legargli i capelli con un nastrino nero: ordinato, fiero, proprio come piaceva a lei.
No, non poteva guardarla.
La specchiera, quella non poteva contenere nulla di brutto. Gli specchi erano sempre stati amici di Narcissa, suoi alleati. Lei si sentiva bella e loro glielo confermavano: erano complici.
Ma Lei non vedeva la specchiera. Vedeva un uomo e una donna. Lucius e Lei.
Un ricordo sembrava essere proiettato in quello specchio. Come se l’avessero trattenuta per tutti quegli anni, le retine di Narcissa le facevano rivedere una scena che le era rimasta impressa: il muro di fronte  all’elegante specchiera coperto da due corpi avvinghiati. Aveva il letto accanto a sé, ma Lucius aveva voluto prenderla direttamente lì, su quella parete. E lo sguardo della donna, ancora ventenne, era rimasto fisso su quella specchiera in cui poteva vedere riflesso il  perfetto fondoschiena di suo marito muoversi ritmicamente.
Quel momento lo rivedeva nitidamente.
Quella felicità che inevitabilmente accompagnava il ricordo, era il peggior nemico che Narcissa avesse mai affrontato. Prese un oggetto accanto a sé, e lo scaglio contro il vetro, infrangendolo.
Dopo quella effimera pausa, i pensieri e le immagini ricominciarono a vorticarle in testa.
Forse  spinta dalla follia, forse semplicemente  dal dolore, o più probabilmente dalla paura di aver perso irreversibilmente la sua unica ragione di vita, e di conseguenza la sua stessa esistenza, pose gli occhi sul marito accanto a lei. Quello in carne ossa. Presente, ma morto.
Il principio di un attacco di panico che sentiva nascere dentro di sé la portò a concentrarsi non sul corpo dell’uomo, ma per lo meno sul suo giaciglio.
Non avrebbe mai più potuto sfiorare quel letto, non se l’avesse ricordato come quello che era stato: uno dei tanti, piccoli palcoscenici su cui si erano esibiti lei e Lucius.
Il letto su cui avevano concepito Draco.  Il letto in cui si erano stretti tante notti, cercando calore l’una nell’altro, cercando riparo da un gelo che spesso non aveva a che fare con la temperatura, ma con la realtà che li circondava e che, nonostante il loro essere di ghiaccio, stava rappresentando la loro rovina. Ma quel dolore della guerra magica, quella paura, non erano esistiti in quella camera, ancor meno in quel letto. Le braccia con cui si stringevano a vicenda, le gambe intrecciate, avevano rappresentato un riparo abbastanza forte.
Un formicolio nelle mani, un formicolio nel cervello.
Qualcosa era entrato nel suo corpo senza possibilità di estirparlo, anche se lei lo avrebbe tanto voluto. Le pizzicava tutto, la pelle le bruciava, la testa le scoppiava. Voleva strappare quella sofferenza che sembrava provenirle direttamente da  dentro, così forte da farle spalancare la bocca, illudendola che potesse fuoriuscire.
La porta era la sua unica possibilità per evadere da quella stanza, da quella realtà. La fissò, fiduciosa. Una volta raggiunta avrebbe trovato la pace, ne era certa. La salvezza era ad un passo, doveva solo camminare, sfiorarla, e la porta avrebbe fatto il suo dovere, trasportandola altrove; in un altro luogo, magari in un altro tempo.
Mai si era sentita tanto sciocca Narcissa, ma il suo banale ed immediato pensiero fu che Lucius aveva toccato milioni di volte quella porta e quella maniglia. La sua mano, ancora calda, si era stretta attorno a quel pomello. Ciò ai suoi occhi lo rendeva addirittura sacro.
Un’ esitazione durata un secondo, uno sguardo di sbieco verso ciò che restava del suo cuore e del suo amore, mollemente lasciati dove si trovava Lucius, e Narcissa decise di rispettare la legge della natura.
Senza un cuore che batte, ed essenzialmente senza un cuore, non si può vivere.
Lei il cuore l’aveva perso, era giusto che non vivesse.
Scattò in piedi, raggiunse la porta che per un secondo le era sembrata una via di scampo, e la spalancò. Poi iniziò a correre a perdifiato, lasciando nella sua corsa le scarpe. Scomposta come una bambina che corre in un bosco, cosa che lei non aveva mai fatto nella sua infanzia, Narcissa salì sulla torre più alta, senza aver percezione della stanchezza.n
Non pensava, per la prima volta in vita sua. Cercava solo calore, per proteggersi dal gelo che la stava congelando dove una volta vi era il muscolo cardiaco. Lucius non poteva più darle calore, non poteva più stringerla a sé, non poteva più avvolgerla ed abbracciarla con le coperte. Gli aveva sempre detto, mentendo spudoratamente, che non aveva assolutamente bisogno di lui per sopravvivere, e adesso gliel’avrebbe dimostrato: avrebbe provveduto a sé. Prima si sarebbe trovata calore da sola, e poi avrebbe obbedito alla mortalità umana.
Correva, si riscaldava.      
Arrivò davanti alla finestrella della torre più alta, si gettò. Obbedì alla natura.

Sollievo immediato per i pensieri e l’angoscia su cui finalmente aveva la meglio: le scivolavano via, lasciando dietro di lei nient’altro che una scia.
Meno ansia, più serenità: sapeva che alla fine del suo percorso, ci sarebbero state le braccia di Lucius ad accoglierla.




*Angolo autrice*
Eccomi con un'altra storia su Lucius/Cissy! 

 Ammetto di aver nutrito grandi aspettative verso questa storia; avevo un'idea piuttosto precisa di come volevo impostarla e delle descrizioni da fare, ma la monumentalità che mi auguravo di conferire alle emozioni di Narcissa temo non sia riuscita ad imporsi nel testo. Anche se questo spetta a voi dirlo!
I toni di questa one - shot sono parecchio lugubri, soprattutto il finale. Il gesto che compie Narcissa è estremo, e mi sembra giusto spiegare il motivo che mi ha portato a dare alla mia amata Cissy questa triste fine.
In sostanza, le ho fatto compiere un atto di una tale gravità proprio perché Lei è una Black. La sua reazione doveva essere volutamente lugubre, perché volevo una Narcissa che presa dal dolore manifesta una delle caratteristiche fondamentali dei Black: la follia.
Il mio intento era, per una volta, di concederle di essere impulsiva, assoluta, come d'altronde è sua sorella  Bellatrix.
Il formicolio che d'un tratto prova nelle mani, nella mia visione, è il modo di Narcissa di difendersi da quel dolore lancinante: dapprima è la follia che lentamente inizia a strisciare dentro di lei e a corroderla, e poi in quel estremo atto finale diventa una fitta che si scatena in tutta la sua intensità, intorpidendole la mente, impedendole di pensare.
E nella mia ottica, Narcissa è più simile a Bella e agli altri Black, allo stesso Sirius, più di quanto non sembri. La sua gelida facciata è quella che la distingue dagli altri, insieme al suo straordinario autocontrollo, ma dentro brucia come loro.
Lei non è Lucius: lui è freddo dentro e riflette il suo gelo anche all'esterno, ma per la sua natura da Black, Narcissa è arsa dal fuoco. Ciò che mostra al mondo, allo stesso Lucius, è l'immagine di sé che le piace, è il quadro vuole far vedere al mondo, è ciò che si è imposta, abituata ad essere e soprattutto ciò che vuole essere.
Ma in questo momento non è Narcissa Malfoy. Non ci sono inibizioni, c'è soltanto un dolore assoluto e sconvolgente che la scuote. Non c'è la figura di se stessa che ha creato, è sparita con Lucius. Resta solo la Black. Resta l'amor proprio di Narcissa, che non accetta di subire quella disperazione e che unendo la follia dei Black al suo desiderio di sollievo, compie quel gesto. Ha senso tutto questo? No, non lo ha affatto, ma ero così presa dalla fic che quando mi è venuto in mente che sarebbe stato il finale adatto, mi sono persuasa che lo sarebbe stato anche per Narcissa.
Ringrazione la mia beta, MrsBlack4, tutti coloro che stanno leggendo e naturalmente chi vorrà lasciarmi una recensione per farmi conoscere il suo parere sulla storia!
A presto.
Prongs4


 
  
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