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Autore: Dragon410    29/04/2014    1 recensioni
«Lo so Dominick, ma mettiamo in pericolo migliaia di persone là fuori.» disse Kate puntando il dito verso la finestra.
«Trentamilasettecentoquarantatre, per la precisione.» disse lei saltando giù dalla scrivania. Iniziò a camminare attraverso la stanza nervosamente, passando una mano tra i ciuffi dei capelli corti che andavano un po’ dove volevano.
«Trentamilasettecentoquarantadue, senza l’uomo o la donna che c’è dietro a questi omicidi.»
Genere: Avventura, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Il silenzio era piombato nella stanza inesorabile e pesante come piombo. L’uomo che aveva comunicato la notizia osservava Dominick temendo la sua reazione isterica, ma lei non si muoveva; era sbiancata, terrorizzata, sudava freddo e non riusciva a controllare il tremore del suo corpo. Il suo peggiore incubo si era appena avverato: non erano riusciti a proteggere Kate dal destino che quel mostro aveva scelto per lei.
Ma, se aveva deciso di agire in quel modo, così diversamente dal solito, voleva dire che in qualche modo avevano fatto centro: si sentiva con il fiato sul collo e questo l’aveva portato a modificare i suoi piani. E, finalmente, un passo falso l’aveva fatto: si era fatto vedere dagli addetti alla guardia.
«Ora voi traccerete l’identikit di quell’uomo.» ordinò.
L’uomo si voltò per uscire, poi si volse di nuovo verso di lei: «Io non credo che serva- fece una breve pausa e riprese poco prima che lei iniziasse ad urlare- l’abbiamo visto, sappiamo chi è, ma è impossibile.» disse abbassando il capo.
Dominick si spazientì definitivamente: «Non m’importa se vi sembra impossibile, quell’uomo ha preso Kate e noi non possiamo perdere altro tempo.»
Lui sembrò titubante, poi aprì bocca per parlare: «So che non ci crederà, che ci prenderà per pazzi…ma era Markus, ne siamo sicuri.»
Dominick osservò gli occhi shockati del ragazzo, mentre una sempre più terribile consapevolezza iniziava a chiudere quel cerchio dispiacevole.
«Chiamate George e sua moglie…immediatamente!» urlò a squarciagola.
 
Dominick camminava avanti e indietro nella stanza degli interrogatori strusciando nervosamente le mani l’una nell’altra.
In quella mezz’ora aveva avuto il tempo di fare una piccola ricerca che le aveva permesso di confermare quello che il video aveva mostrato.
Non poteva credere che fosse successa una cosa del genere, non in quel momento così delicato: Lucas non c’era più e lei era rimasta la sola che poteva cercare di salvare Kate e chissà quante altre donne.
Non riusciva a fare altro che pensare alla prima volta in cui aveva visto quella donna:
Era un pomeriggio d’estate, afoso e bollente.
Era il suo ultimo pomeriggio di ferie e il giorno seguente avrebbe dovuto iniziare ad occuparsi dell’addestramento di una nuova recluta.
Aveva deciso di andare nella sua spiaggia preferita per passare una mezza giornata tranquilla, ma se n’era pentita immediatamente: la spiaggia, solitamente isolata, quel giorno era stata invasa da famiglie e bambini urlanti.
Aveva sistemato il telo sulla sabbia e, dopo aver inforcato gli occhiali da sole, si era sdraiata sperando di poter riposare.
Pochi secondi dopo, il suo cellulare era squillato e Lucas, dall’altra parte della cornetta, l’aveva avvisata che la recluta era arrivata con un giorno d’anticipo.
Quando aveva messo piede nella base, notevolmente seccata e quasi isterica, aveva intenzione di rendere impossibile la permanenza della nuova arrivata: quando, poi, aveva visto i due pozzi azzurri che costituivano gli occhi di Kate, il suo cuore aveva perso un battito.
Quando si furono stette la mano, Lucas le aveva lasciate sole.
«Sei davvero pronta? È un addestramento duro e faticoso!» l’aveva sfidata Dominick senza nascondere un tono malizioso e, al contempo, giocoso.
«A vederti così, sembri un’insegnante piuttosto valida.» Kate aveva sostenuto il gioco.
Da quel giorno era sempre stato uno scambio di sguardi e di battute.
Sei mesi dopo il loro primo incontro, al festeggiamento per la promozione di Kate, si erano trovate nei bagni del ristorante allo stesso momento.
Non c’era voluto molto per avvicinarsi e per scambiarsi il loro primo bacio: un bacio veloce, corto, timido, ma incredibilmente caldo.
Da quel momento si erano sempre trovate, ma non avevano mai rischiato di perdersi.
Dominick fu riportata alla realtà quando sentì la porta aprirsi e richiudersi subito dopo. Si voltò e vide George e sua moglie sedersi, mentre una guardia rimase davanti alla porta per sorvegliare il tutto.
George parve meno tranquillo del solito, ma manteneva comunque la sua solita superiorità. Quella che colpì Dominick fu sua moglie Amanda: l’aveva visto spesso, la conosceva abbastanza bene, aveva sempre il sorriso stampato sulle labbra. Ma, quella volta, sembrava in preda al terrore e a una strana consapevolezza.
«Pensavo non avresti più osato, invece, addirittura, insieme a me convochi anche mia moglie.» il suo tono era sfottente, ma Dominick non se ne prese più di tanto: continuava a tenere gli occhi fissi su Amanda notando come il suo sguardo chiedesse pietà.
«Credimi, George, questa sarà l’ultima volta di tutto.» così dicendo, lasciò scivolare lungo il tavolo, verso di loro, un foglio riempito di caratteri solo a metà.
George, dopo averlo letto, cambiò subito espressione: «Cosa significa questo?» domandò notevolmente turbato.
«Non trovi strano che l’ultimo ospedale psichiatrico della città sia stato chiuso quattro settimane fa, poco prima dell’inizio di questo putiferio?!» domandò retorica.
George fece spallucce: «Non trovo come questo articolo possa avere a che fare con me e Amanda.» cinse le spalle di sua moglie, ma lei ormai lo scrutava contrariata.
«Allora ti faccio un’ulteriore domanda: puoi spiegarmi come mai Markus, il figlio che hai sepolto qualche hanno fa, è stato riconosciuto come rapitore di Kate?»
A quella provocazione, George scattò in piedi arrossendo violentemente: «Mio figlio è morto, stupida impertinente!» urlò così forte che le vene del suo collo si gonfiarono a dismisura.
Sua moglie, che fino a quel momento aveva mantenuto in silenzio la sua espressione, scoppiò a ridere. Dominick e George la guardarono senza riuscire a capire quella sua reazione.
«Oh George, sei così stupido; Dominick lavora con te da anni ormai e tu ancora cerchi di farla fessa.»
George piombò seduto sulla sedia, guardando la moglie come si guarda il peggiore dei traditori: «Hai appena condannato nostro figlio!»
«L’abbiamo condannato il giorno in cui l’abbiamo messo al mondo.» ribatté.
Dominick era a bocca a pera come un’ebete, incredula: era riuscita a sciogliere tutti i nodi di quel mistero orrendo.
Si sedette, a gambe incrociate, e prese una boccata d’aria: «Avete finto la sua morte, per vergogna, il giorno in cui l’avete fatto internare; e ora che l’ospedale psichiatrico è chiuso, non avete più il servizio adatto a lui. Da quanto tempo eravate a conoscenza della sua colpevolezza?» chiese con il fiato corto.
Amanda aprì la bocca per parlare, ma George la precedette: «Stavamo solo proteggendo nostro figlio.»
«Rispondi.» gli ordinò Dominick.
«Dall’omicidio di Lucas- sussurrò Amanda con le lacrime agli occhi- ci siamo accorti che non era in casa e quando è tornato era sotto shock.»
George prese parola dopo di lei, consapevole di non poter fare altro per salvarlo: «Credo sia riuscito a origliare il mio colloquio con Lucas; probabilmente si è sentito sotto pressione.»
«Ormai ho perso il conto delle donne che ha ucciso, credo che dire che si sentisse “sotto pressione” sia un po’ riduttivo.» ironizzò Dominick.
Per qualche secondo, il silenzio fece compagnia ai tre come un oscuro amico. Dominick comprendeva bene quello che George e Amanda aveva cercato di fare, ma rimaneva che avessero coperto un pluriomicida.
«Ha Kate, avete un’idea di dove possa essere?»
I coniugi si scambiarono uno sguardo comprensivo e si strinsero la mano; fu solo in quel momento che Dominick si rese conto della minuscola cicatrice di Amanda.
«C’era un posto, dove andavamo spesso quando era bambino, ma è fuori città.» Amanda tirò su con il naso.
Dominick scosse il capo: «Segue uno schema preciso e non lo modificherà di nuovo.»
George e Amanda rimasero ancora in silenzio. Erano preoccupati per quel figlio che non potevano smettere di amare.
«Dominick, sappiamo che nostro figlio ha sbagliato, ma non ne era consapevole. Quando lo troverai, cerca di non fargli paura. Credo che sia terrorizzato.» la prego George.
«Dimmi dov’è ed io farò del mio meglio; ma se ha fatto del male a Kate, non risponderò delle mie azioni.» sentenziò.
«Il vecchio mulino lungo il fiume…in una mappa, nella sua stanza, erano contrassegnate quelle coordinate.»
Dominick si alzò in piedi di scatto, ora guardando con tenerezza quei due genitori: «Non avete fatto altro che proteggere il vostro ragazzo, nessuno può condannarvi per questo.»
Così dicendo si voltò e uscì di corsa.
Doveva correre, prima che fosse troppo tardi.
 
Un’ora dopo, nel suo ufficio, Dominick si assicurò l’antiproiettili e caricò la sua arma; aveva messo in moto tutti gli uomini dell’unità per riportare a casa Kate sana e salva.
Mise l’arma in cintura poi, prima di uscire e passare all’azione, prese una cornice dalla sua scrivania tra le mani: la foto che ritraeva lei e Lucas.
«Sono sicura che avessi capito tutto. Ora mi serve il tuo aiuto e la tua vigilanza.» baciò la foto, all’altezza della fronte del suo migliore amico, poi la riposizionò al suo posto.
Uscì e ordinò a tutti gli uomini di mettersi nelle auto di servizio come avevano prestabilito: «Ricordate che dobbiamo mantenere la calma. A Markus ci penso io. Voi, una volta che l’avremo fatta uscire da lì, dovrete solo portare Kate al sicuro.» ricordò, poi partirono.
Mantennero una velocità sostenuta per tutto il tempo, correndo contro di esso nella speranza di trovarla ancora viva.
Quando furono davanti al vecchio mulino, le auto si fermarono sgommando: i quindici uomini presenti si disposero dietro le auto, con i fucili puntati verso la vecchia porta di legno marcio del mulino. La struttura di pietra era leggermente diroccata e un po’ instabile. Dietro di essa, il fiume scorreva impetuoso.
Dominick scese dalla sua vettura con l’altoparlante in mano: «Markus, sei circondato! Esci da lì con le mani in alto prima di Kate!»
Non fece in tempo a terminare la frase che un colpo di pistola squarciò quella timida quiete.
Dominick alzò la mano per bloccare gli uomini giù pronti a intervenire; spense l’altoparlante e lo lasciò cadere a terra, poi fece segno a uno dei suoi di avvicinarsi: «Io vado dentro. Datemi dieci minuti di tempo, poi intervenite. Se sentite spari, non esitate un secondo.»
Il ragazzo annuì, poi tornò in posizione insieme agli altri.
Era una sorta di scontro finale, in cui si sarebbe deciso il destino di tre vite ormai intrecciate tra loro da un filo invisibile.
Dominick caricò la pistola quando fu a un passo dalla porta che poi aprì con una leggera spinta. L’interno era freddo e umido: un’unica scala a chiocciola conduceva al piano di sopra, nella sola stanza esistente in quel luogo.
«Markus, sono Dominick. Ti ricordi di me?»
Attese qualche secondo, ma non ricevette risposta.
«Markus, sto salendo e sono armata. Ma non ti farò del male, a meno che tu non ne faccia a me e a Kate.»
Iniziò a salire le scale, scricchiolanti, lentamente. Teneva la pistola tesa, ma le mani sudavano terribilmente.
Quando fu davanti alla stanza, priva di porta, tirò un sospiro di sollievo: Kate era viva.
Markus le teneva una mano sulla bocca e la stringeva davanti a sé come diversivo.
Quando vide Dominick, puntò la pistola sulla tempia di Kate che tremava senza controllo.
Il viso di quel ragazzino non tradiva la sua malattia: aveva la barba incolta e i capelli lunghi spettinati. I suoi occhi erano scuri e assenti e le sue mani continuavano a tamburellare imperterrite sul grilletto dalla sua arma metallica.
«Markus, non voglio farti del male. Abbassa l’arma e lascia andare Kate. Ti porto fuori da qui con me, i miei uomini non ti faranno niente.»
Quelle parole non fecero altro che innervosirlo maggiormente: strinse Kate con maggiore fermezza e digrignò i denti.
«I tuoi genitori ti aspettano, sai? Se ci uccidi, non avrai via di scampo, i miei uomini qua fuori sono pronti a intervenire.»
Kate mugugnò qualcosa e Dominick cercò di trattenere l’impulso di saltare addosso a Markus; un qualsiasi passo falso e Kate era spacciata.
«Markus, non sei una persona cattiva. Puoi ancora salvarti, qualcuno può ancora aiutarti a tornare indietro.» lo pregò Dominick facendo un passo avanti.
Non poteva nemmeno immaginare quello che aveva passato quel ragazzo: era stato messo, per vergogna, in un manicomio poco più che bambino.
Pazzo tra i pazzi, era finito per peggiorare.
Forse era quello il motivo per il quale uccideva le donne con le cicatrici alle mani: quel particolare gli ricordava la madre, che probabilmente incolpava più del padre.
Kate continuava a mugugnare il nome di Dominick.
Ancora pochi minuti e gli uomini sarebbero intervenuti scatenando il putiferio.
«Vattene via!» urlò Markus. Aveva ancora la voce di un bambino innocente.
Quando un rumore di legno spezzato avvertì i tre predestinati che gli uomini stavano per intervenire, si scatenò il delirio.
Markus lanciò Kate contro il muro.
Poi uno sparo e un tonfo.
Un corpo senza vita in un lago di sangue.
L’ultima anima di quella storia era appena volata via.
«Dom!!!»
Kate si lanciò al collo di Dominick mentre gli uomini correvano verso il corpo del ragazzo.
«Va tutto bene tesoro, ora ti porto a casa con me, è finita.» sussurrò Dominick all’orecchio di Kate. Si era stretta a lei scoppiando in un pianto disperato.
Si strinsero forte come non avevano mai fatto, assaporando la loro esistenza che ricominciava.
«È morto.» disse uno degli uomini.
«Una vita per una vita.»
Lucas aveva avuto la sua giustizia.
Era tutto finito, tutto poteva ricominciare il suo corso regolare.

 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti,
che dire?
È finita, ma non del tutto.
In questo momento mi sento un po’ spezzata a metà, ma ho ancora un epilogo da scrivere prima di dire addio (forse solo per ora) a questi miei personaggi che tanto adoro.
I ringraziamenti al prossimo e ultimo capitolo!
  
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