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Autore: Megan Alomon    29/04/2014    0 recensioni
Connie viene dal distretto 2, John dal 12. Sono completamente diversi se non per il fatto che entrambi sono i partecipanti dei 21° Hunger Games.
Connie è arrabbiata, e ferita. Come se non bastasse non è stata allenata per i giochi.
John è buono, fin troppo. E come Connie, non è stato allenato.
Che i 21° Hunger games possano avere inizio! Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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John.
 
Mi sono svegliato per via del freddo pungente che mi avvolge. Fa più freddo del solito, stanotte.
Mi stringo a me stesso e sbuffo. Mi volto e vedo Connie a pochi passi da me: è rannicchiata su se stessa e ha la faccia contratta in una smorfia di sofferenza. Forse sta avendo un incubo.
Le metto una mano su una guancia: è gelata. Mi stendo in fianco a lei e le sposto una ciocca di capelli dal viso.
Ho un’idea. Abbraccio Connie in modo che sia il più possibile a contatto con il mio corpo: se sommiamo il calore dei nostri corpi forse riusciremo a scaldarci un po’. La mia idea funziona e dopo poco le guance di Connie si scaldano un poco e io mi riaddormento.
Sono svegliato bruscamente da un grido.
Connie è seduta, le mani sulla bocca e la fronte imperlata di sudore. Respira così velocemente che mi fa paura, se va in iperventilazione poi sviene e io non so che fare.
“Tutto bene?” sussurro. Lei si volta e mi guarda, pare calmarsi.
“Scusa. Non volevo svegliarti John.”
“Tranquilla. Hai fatto un incubo?”
“Sì…” inarca un sopracciglio, “…Per quale motivo siamo così vicini?”
Io le spiego la mia idea e lei annuisce.
Guardo il cielo.
“Non ci sono stelle, qui.” Dico.
“E a cosa ci servirebbero?” risponde sarcastica Connie, “Non ci danno nemmeno un cielo azzurro di giorno, figurati le stelle di notte. È tanto che ci sia la lun… e quello?”
Connie indica un puntino argenteo che si avvicina al suolo. È un paracadute… che viene verso di noi!
Trasporta qualcosa di grosso e si appoggi a qualche centimetro dalla mia mano destra. Allora ho davvero degli sponsor!
Prendo il pacco e lo apro. È una coperta di lana! Una gigantesca coperta di lana!
Sorrido a Connie “è grande abbastanza per due. Vieni qui.”
“No. È roba tua.”
“Oh, avanti, non fare così.” E le getto un lembo di coperta sulle spalle. Il resto lo metto sulle mie.
“Al 12 coperte così ce le sogniamo. Questa è fatta davvero bene, costosa… forse viene direttamente da Capitol City… chissà.”
Connie tace, sembra persa in un altro mondo, molto lontano da qui.
Mi fa pena. Pena… una come lei non dovrebbe farne per nulla. E invece è così, mi fa pena. Ha lo sguardo fisso su un punto indefinito e la bocca dritta come l’orizzonte.
Mi schiarisco la voce “Ho lasciato mia madre, mio padre e mia sorella. Mia sorella ha dieci anni. Quando hanno chiamato il mio nome… ‘John Artwich… John… vieni, vieni qui.’… ha detto la donna che aveva estratto il biglietto, e lo ha detto con una voce che sembrava… felice. Era felice. Mi mandava alla morte e lei era felice. Capisci? Mamma piangeva, papà pure, mia sorella pure. Poi hanno chiamato Claudia. È salita sul palco a testa alta, sfidando la donna e guardando dritto nelle telecamere. Fingeva di non avere paura, ma ne aveva. Portava un vestito rosa e delle scarpe nere. Era molto carina…” mi si spezza la voce ma cerco di continuare. Connie mi fissa senza dire nulla, “…era carina, sì… Oh, e poi c’è Shawna. Lei è bellissima. Bionda, occhi chiari, bella… dovresti vederla Connie, ti piacerebbe.”
“Come fai a sapere che mi piacerebbe?” risponde brusca.
“Io… io non…”
“E tu la ami? Voglio dire, la ami sul serio?”
Sta sorgendo il sole.
Il viso di Connie si illumina di luce arancione e le brillano gli occhi. Si sposta una ciocca di capelli dal viso in attesa di una risposta.
“Certo!” dico.
Ma mentre fisso il profilo di Connie che si staglia contro il cielo grigio e guarda l’alba, non sono più tanto sicuro della mia risposta.
 
 
  
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