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Autore: Alex Wolf    29/04/2014    1 recensioni
Ringil (stella fredda), è una giovane "cambia pelle" affidata alle cure di Gandalf già da quando è in fasce. La sua famiglia, il clan del nord, è stata distrutta da Azog il profanatore e lei è determinata a vendicarsi; ma, per riuscire a rivendicare le sue terre, e riprende il posto di regina che le è stato sottratto, sarà costretta ad accompagnare Thorin e la sua compagnia nell'avventura che li attende. I due non si sopportano, infatti, prima di conoscere la vera natura della ragazza, Thorin le da la caccia dopo che ha quasi staccato il braccio al nipote Fili. Assieme incontreranno ostacoli e pericoli; e Ringil si troverà a dover abbassare tutte le proprie difese davanti a Re Thranduil. Cosa accadrà dopo che la battaglia contro Azog sarà conclusa (Apparentemente) e il suo regno riconquistato? Aiuterà Thorin a riconquistare Erebor?
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao ragazze, scusatemi il ritardo. Sono orribile, lo so. Volevo avvertirvi che da adesso in poi i capitoli saranno più veloci e corti. Volete sapere il perché? Ringil entrerà a far parte di “Storia d’Inverno” e perciò non posso permettermi di mandare per le lunghe questa FF.
Ora vi lascio a leggere, un bacio a tutte/i.

 
Il richiamo del lupo. 
 

“Mi dicono che ho un brutto carattere, e hanno ragione perché, a differenza di molti, io non lecco il culo a nessuno.”

— Dr. House

 

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Calon.
 
 
Non era molto che il Clan del Nord era riuscito a tornare sulle montagne a cui era appartenuto anni prima. Il loro villaggio era caduto preda degli orchi anni orsono, durante l’attacco di Azog, ma adesso ogni cosa giaceva immobile innanzi agli occhi di Calon, come se fosse stata dimenticata dai Valar. Lui, che era poco più che un ragazzo all’epoca – il ragazzo che aveva dato l’allarme-, ricordava ogni cosa. E ogni cosa era diversa da adesso. Quel giorno, con le nubi che erano alte nel cielo e dipingevano colori tetri a terra, i tetti caduti delle case in disuso sembravano scheletri, rovinati dall’usura del tempo e dal deterioramento a cui erano stati abbandonati; la grande casa-palazzo, da cui si accedeva tramite dei gradini –distrutti- era invivibile. Persino da li, e dopo mesi di lavori, i lupi di Magnus non avevano potuto fare poi molto per rimettere in piedi le proprie abitazioni. L’odore di orco, inoltre, infestava ancora l’aria con un puzzo fetido e insistente.
Calon, il legittimo alfa dopo la dipartita di Magnus e la sua regina, morti in battaglia contro Azog, si passò una mano fra i corti capelli castani e si gettò a sedere su un tronco a sedere. Lasciò che le lunghe gambe si stendessero in avanti – i tacchi degli stivali lasciarono un solco nel terreno umido-; poi portò le mani al volto e le passò più volte sul viso tentando di cancellare le immagini di quell’attacco, ma era come impossibile. Da quando era tornato con il suo branco ogni cosa di quel luogo gli ricordava l’attacco di Azog; la morte di Magnus e Kemen, il loro sangue che scorreva rosso e acceso nelle crepe della terra; l’ultima richiesta di Magnus, ancora sotto l’aspetto di lupo nero: « Trova mia figlia. Salvala da lui. »
Ma Calon ancora non c’era riuscito, a trovarla. Non sapeva neppure che aspetto potesse avere. Erano passati anni da quando l’aveva vista l’ultima volta, e lei non era stata altro che una bambina in un fagotto. Una piccola lupa di appena tre mesi. Come avrebbe mai potuto ritrovarla? Dove l’aveva portata Gandalf?
« Mio signore, Calon. Mio signore, nuove importanti. » Una giovane lupa dalla pelle scura corse verso di lui.
I capelli neri e ricci le ondeggiavano sul collo, gli occhi scuri brillavano contro la grigia luce delle nubi e la bocca era piegata in una smorfia stanca. Con un ultimo scatto, dopo essere scivolata fino a lui, tenendosi in equilibrio con le braccia, la donna lo raggiunse. Aveva una strana luce negli occhi, come se fosse felice, e ora un sorriso si era dipinto sulle labbra piene. Calon alzò il sopracciglio scuro, scrocchiò le nocche e stirò i muscoli indolenziti  delle braccia.
« Aggiornami, allora. Che aspetti? » Sborbottò poco dopo. Un ciuffo di capelli ribelli gli era caduto sul viso, incollandosi alla fonte madida di sudore a causa delle molte ore passate a risistemare il vecchio mulino al fiume, assieme ai suoi due fratelli minori.
Una volta era stato possedimento della sua famiglia. Era una bella casa di pietre, con un fienile accanto dove tenevano i cavalli per i campi –sebbene su quelle montagne non si coltivava poi molto; Vicino scorreva un fiume e, attaccato al lato della casa adibito a frantoio, stava l’enorme ruota di legno. Vi era affezionato, a quel posto. Avrebbe fatto di tutto pur di riportarlo a quello che una volta, per lui, era lo splendore e la sicurezza di una casa.
« Alcune settimane fa, un gruppo di tredici nani, uno hobbit e uno stregone è stato visto aggirarsi nelle colline, poca strada prima di Gran Burrone. »
« Thorin Scudo-di-quercia, lo so. Gandalf stesso era venuto a cerarmi chiedendomi di unirci alla causa del Re senza una montagna, ma io ho rifiutato. Non mi hai detto nulla di nuovo. »
« No, Calon, non capisci. Lasciami finire. » La lupa riprese fiato; il sorriso ancora impresso a fuoco nel volto. « Sono stati attaccati da dei troll; le farfalle di Dama Galadriel hanno visto che una lupa li ha aiutati. Una lupa bianca, dagli occhi neri che poi si è trasformata in ragazza dopo che uno dei troll l’aveva colpita. O meglio:  la ragazza combatteva sotto forma di donna, poi l’hanno colpita e si è trasformata davanti a tutti e, successivamente a un colpo, e stata scaraventata nella boscaglia  riacquistando le sue vere sembianze… una lupa, Calon, capisci? Magari potrebbe essere… Ringil. »
Calon rizzò la schiena e portò indietro le gambe, allungandosi in avanti per sentire il resto della storia. Ringil, fu la prima cosa a cui pensò e la seconda, invece, fu: ha il pelo bianco come la madre. Poi si rianimò e la sua mente elaborò varie immagini sfocate di un lupo che veniva gettato chi sa dove da un poderoso colpo di troll; il corpo di una ragazza dolorante e semisvenuta a terra. Che si fosse ferita gravemente? Doveva scoprirlo al più presto.
La donna sorrise, felice di aver attirato su di se l’attenzione, e si schiarì la  voce con un gesto teatrale. La cascata di folti ricci scuri le oscillò sulle spalle, simile a un onda di marea nera. Gli occhi azzurri del maschio alfa sorrisero alla lupa, mentre si alzava, passava nuovamente le mani fra i capelli e scioglieva le spalle. Si accarezzò la mandibola con decisione, grattandosi leggermente la barba. La donna dalla pelle scura ancora lo fissava; le spalle ora dritte come la schiena, in una posa ben studiata per apparire più alta di quel che era in realtà.
« Vai avanti. » Le ordinò, e finalmente la lupa parve sorridere veramente.
« Pare che successivamente all’attacco dei troll, la ragazza abbia avuto dei problemi con la compagnia di Scudo-di-quercia, ma che alla fine abbiano raggiunto assieme Gran Burrone. Da li, non abbiamo più notizie, Calon. » La donna si massaggiò il collo. « Cha hai intenzione di fare, capo? »
« Andiamo a Gran Burrone, o almeno ci mettiamo in viaggio. Spedisci qualche messaggero di volo, digli di chiedere ai cervi di Aldëa, a Beorn, a Re Elrond e…persino a Thranduil. »
« I cambia-pelle cervi e Thranduil, mio signore? Ma come… » Sussurrò meravigliata la lupa.
« Il re degli elfi silvani vorrà sapere che nelle sue terre potrebbero aggirarsi nani, troll o una lupa per noi molto importante, non trovi? E lo stesso i cervi. A quanto mi ricordo, abbiamo un accordo che impone a entrambi i branchi di aiutare l’altro in caso d’aiuto; bene, questo è un caso in cui ci servirà aiuto. Non è così? »
« Si, mio signore. » La donna fece un leggero inchino e corse via. Scomparì dietro una costruzione di legno e con lei anche il suo odore.
Calon sorrise fra se e se. L’inizio di una nuova era, si disse.
 
 
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Thorin.
 


« Una lupa! » Thorin gridò così forte che le pareti di roccia della caverna tremarono e qualche sasso crollò a terra, fra i nani muti e ancora sotto shock. Scudo-di-quercia si accarezzò i capelli e poi passò le mani sul volto. Era stanco, con i muscoli doloranti e le mani graffiate a causa del soccorso che aveva resto a quel Baggins. Quello stupido hobbit non aveva fatto nulla di buono dall’inizio del loro viaggio; si era sempre e solo cacciato nei guai, così come Ringil.
Oh, Ringil, se avesse potuto l’avrebbe presa a schiaffi. Lei e il suo carattere testardo, cocciuto e stupido. E i suoi segreti, specialmente i suoi segreti. Come aveva potuto non accorgersi che lei era una cambia-pelle? Come? Avrebbe dovuto capirlo dopo aver notato la sua cicatrice quella sera al fiume; da come si muoveva; da come se ne stava in disparte e da come diveniva sfuggevole quando le si chiedeva della propria vita. Avrebbe dovuto capirlo, ma era stato stupido e aveva pensato che tutte quelle cose facevano parte di un passato ormai sepolto. Oppure, le aveva lasciate passare perché… perché infondo le si era affezionato in quei mesi. Troppo affezionato.  Certo, aveva mantenuto la sua maschera da duro e nobile re, ma lei era quasi riuscita a farla cadere una sera. Thorin ancora ricordava perfettamente tutti gli avvenimenti di quella notte, dopo tutto erano passate poche settimane.
Si ricordava di aver avuto il cuore in gola quando uno dei troll l’aveva colpita spedendola contro un tronco –aveva persino gridato il suo nome-, ma quando lei si era rialzata i suoi occhi erano gialli e vivi. Una luce sinistra era sorta in essi, e quando Ringil si era tolta l’armatura che portava come protezione ed era corsa in avanti, gettandosi in aria come per volare e il grosso lupo bianco aveva preso il suo posto, Thorin si era impietrito. Era rimasto a guardare le mascelle dell’animale chiudersi contro sopra una caviglia di troll ancora, e ancora e ancora per non ricordava quanto; finché la lupa non era stata gettata nella boscaglia con forza e Ringil non era tornata se stessa. Quando Berto, uno degli assalitori, l’aveva riportata all’accampamento –vestiti a brandelli, ferita e quasi senza più coscienza- e l’aveva gettata in un sacco acanto a Thorin, lei gli aveva detto: « mi dispiace, di non avertelo detto prima. Perdonami. » Poi, era svenuta senza più forze. Per tutto il resto del viaggio, dopo che Gandalf li ebbe salvati dai troll, nessuno le rivolse la parola. Non aveva più notizie di lei dal allora e, in un certo senso, si sentiva più svuotato di prima. Era come se, per tutto il viaggio passato, Ringil l’avesse aiutato ad andare avanti senza che nessuno dei due se ne accorgesse; e ora lui era solo, col pensiero costante di lei nella mente, la sua voce nelle orecchie e la sua bugia sotto gli occhi.
« Lei era quella dannata lupa che ti ha quasi strappato il braccio… » osservò suo nipote Fili e scosse il capo.
« Beh, però ha tentato di rimediare. Ci ha aiutato non poco con quei troll. » Il giovane nano rivolse allo zio uno sguardo triste – anche lui si era affezionato a Ringil- e poi passò al fratello. « Dopo tutto: ha salvati Kili da quell’attacco con i mannari, ha attaccato quel mostro quando ti stava per attaccare da dietro e si è ferita per fare ciò. Te lo ricordi zio? Si? »
Thorin  non poteva di certo averlo dimenticato. Si ricordava perfettamente il momento in cui Ringilsi era gettata contro quel mannaro che aveva provato ad attaccarlo alle spalle, trasformandosi a mezz’aria nella lupa dal pelo candido. Si ricordava di aver visto i due grossi animali rotolare nell’erba alta e di aver udito Ringil guaire, prima di uccidere la creatura e raggiungere i nani. Sulla sua pelliccia scendeva una scia di sangue scarlatto, le macchiava il pelo ma lei non si era lamentata e ne si era ritrasformata in umana. Era rimasta lupo a capo della fila, seguita da Dwalin, in caso ci fosse da comabattere.
« Ti ha quasi strappato il braccio, come fai a perdonarla? » Thorin si sentiva sporco mentre pronunciava quella frase, ma gli venne naturale. Come poteva suo nipote pensare quella cosa, perdonarla?
« Siamo noi che abbiamo attaccato lei per primi: se non ci fossimo messi in testa l’idea della caccia al lupo, lei non avrebbe fatto nulla… inoltre, si è fermata. Non mi ha staccato del tutto il braccio.» Fili sorrise divertito. « E poi, zio, alle ragazze le cicatrici piacciono. »
« Però a quelle furbe non piaci tu » rise Kili, trascinandosi dietro le risate di tutti gli altri.
 
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Ringil.
 
« Sto bene, Re Elrond. Glielo giuro, non è nulla. » Feci per alzarmi ma un fitta profonda mi attraversò il ventre, asciandomi senza fiato. Socchiusi le labbra, strizzai le palpebre e lasciai che Elrond mi poggiasse nuovamente sul letto.
Erano passate settimane dall’ultimo attacco a cui avevo partecipato, ma il morso del mannaro era ancora li. Quel bastardo era quasi riuscito a perforarmi il fianco destro, ma io ero stata più veloce e avevo affondato i denti nel suo collo spezzandoglielo con un colpo secco; questo non mi aveva impedito di restare ferita. Avevo resistito per tutto il viaggio fino a Gran Burrone, poi ero crollata davanti a Lindir sotto la mia forma umana – per fortuna l’elfo aveva avuto la decenza di coprirmi con il suo mantello. Non avevo più notizie di Thorin da due settimane, era come se fosse scomparso nell’aria come gli altri. Nessuno voleva permettermi di vederlo. Era una tortura, dovevo dirgli che mi dispiaceva prima che iniziasse a odiarmi, sempre che non l’avesse già fatto, e dovevo chiedere scusa a Fili per quella brutta ferita e a tutti gli altri per aver mantenuto il segreto.  Gettai ripetutamente la testa contro lo schienale del letto e repressi un grido, odiavo starmene seduta. Dovevo uscire, sgranchirmi le ossa, rimettere in moto i muscoli ma quella dannata ferita ci stava mettendo più del previsto a guarire.
« Cosa credi di ottenere facendo così, Ringil? » Mi domandò Elrond, che stava versando dell’acqua in un bicchiere.
« Senza offesa, voglio andarmene da qui, mio signore. » Scrocchiai le nocche delle mani e il collo. « Devo trovare Azog e ucciderlo. »
« Ah, si giusto: l’orco. Bambina cara, non puoi affrontarlo da sola, tanto meno nelle tue condizioni attuali. Guardati », i suoi occhi esaminarono la fasciatura del fianco, la cicatrice della spalla. « Sei forte e coraggiosa Ringil, come tua madre Kemen, ma sei anche cocciuta e avventata come Magnus. » Mi porse il bicchiere, che racchiusi fra le dita come se dentro vi fosse contenuta la mia stessa salvezza. « Ma non posso permetterti di andartene; questa è l’ultima casa accogliente prima delle terre selvagge. Se la ferita s’infettasse, nessuno sarebbe li con te per curarti. »
« Thorin! » Esclamai subito, e il mio cuore accelerò. Sembrava il battito d’ali di un colibrì, veloce, silenzioso e prossimo alla morte. « Thorin mi aiuterebbe, non mi lascerebbe morire. Io lo so. » Non conoscevo il motivo della mia determinazione, sapevo solo che qualcosa mi aveva spinto a dirlo. Un qualcosa più grande di me, più grande di tutto quello che stava accadendo. Che mi fossi invaghita di lui, senza rendermene conto? No, non poteva essere. Impossibile. « A proposito, dov’è Thorin? Perché non è ancora venuto a trovarmi? Sono passate due settimane dal nostro arrivo, anche se è arrabbiato con me… »
« Thorin non verrà. » Il volto etereo di Lord Elrond mi osservò con tristezza, dolore velato negli occhi. Analizzai ogni tratto di viso e ingoiai un fiotto di saliva.
« Cos… perché? »
« Se n’è andato, mia cara. Lui e la compagnia sono partiti otto giorni fa. »
Fu come ricevere una stilettata al cuore, dritta nel petto. Lasciai cadere a terra la coppa d’acqua, il contenuto si riversò sul pavimento, e socchiusi le labbra. mi sentivo vuota e delusa, sola e… abbandonata.
Mi avevano abbandonata.
Dopo il dolore sordo e lo stato di shock, sentii la rabbia crescermi nel petto. Saliva, si ingrandiva rapidamente e cresceva come l’edera. Un parassita che aveva trovato radici in me. Ignorai il dolore al ventre quando mi alzai e gli ordini di Elrond che mi diceva di tornare a letto, e corsi fuori. Gettai la vestaglia che indossavo a terra, davanti alla porta della mia stanza, e mi trasformai. Thorin scudo di quercia mia aveva abbandonata, bene: l’avrei trovato e gli avrei strappato la vendetta che tanto bramava contro Azog. L’avrei trovato e gliel’avrei fatta pagare. 
  
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