Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: LoveLustHateDesire    30/04/2014    2 recensioni
Tratto dalla storia..
"-Signore e signori, sono lieta di annunciarvi che il tributo femmina del distretto sette sarà Johanna .. – si interrompe e il mio cuore comincia ad uscire fuori dal petto.
Johanna… ?!
Johanna cosa?!
-Non riesco a leggere il cognome. – Dice, facendo cenno ad un pacificatore di aiutarla. "
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Finnick Odair, Haymitch Abernathy, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-Ecco tornata la nostra vincitrice. – Marie mi accoglie con un gran sorriso.
-Sa che ho un’ascia in camera mia, vero? – La minaccio, ma non si scompone.
-Provvederei a toglierla se solo mi lasciassi entrare in camera tua, cara.- Se pensa davvero che il tono di questa conversazione sia amichevole non ha capito proprio un bel niente.
-No, sta bene lì dov’è, non si preoccupi.
-Ma per darle una lucidatina, sono sicura che è piena di polvere, ormai. – Cerca di convincermi. Sorrido, maligna. Poso dolcemente la mano sulla spalla della vecchina che si dovrebbe occupare di me.
-Non si preoccupi. – Ripeto, cantilenante, chiudendo la porta d’ingresso a chiave.
Salgo velocemente in camera mia e prendo la mia ascia che ormai è talmente consunta che non taglierebbe nemmeno un pezzo di carne. Dopo averla impugnata saldamente, apro un cassetto e prendo la scatola che contiene le pietre che mio padre usava per affilare le asce.
Poi scendo in salotto, dove arde il fuoco scoppiettante e Marie sta facendo la pasta per fare il pane.
-Sai, Marie, senza di te non avrei mai pensato di farlo, ma in effetti è davvero ora che io affili la mia ascia. Ti spiego: - Comincio, godendomi la sua faccia preoccupata che controlla ogni gesto. Apro la scatola e sfioro delicatamente ogni pietra. – per affilare la lama di un’ascia, è necessario usare una pietra abrasiva diamantata. In mancanza di quella, si può usare della ceramica, anche se richiede un po’ più di sforzo. Io in questo caso ho la pietra abrasiva diamantata di qualunque grana perché mio padre se ne intendeva, quindi il lavoro mi sarà molto più facile. Vedi? Tocca, dai, mica morde! – Passa le dita sulla prima pietra, poi sulla seconda. Leggo terrore nei suoi occhi. Sorrido, dolcemente, divertita. -  Questa è una grana più spessa, serve per le lame consunte, come la mia. E poi c’è questa, che è di una grana fine e serve per i lavori di rifinitura. In questo caso, ovviamente comincio con quella di grana spessa, perché la mia ascia è molto consumata.
E, sfiorando la lama inoffensiva della mia ascia con un sorriso che è tutto tranne che tranquillizzante, comincio a spiegarle cos’è l’angolo di affilatura e come deciderne l’inclinazione più adatta.
-Poi, queste pietre, se si vuole rendere il loro lavoro davvero eccellente, vanno inumidite. Mi andresti a prendere un bicchiere d’acqua e uno strofinaccio, per cortesia? – Dico, con quanta più gentilezza ho in corpo. Lei si alza di scatto  e torna nell’arco di dieci secondi. Le mostro con quale dolcezza va bagnata la pietra e le faccio vedere come assorbe l’acqua. Si finge interessatissima, cominciando a fare freneticamente la maglia con i due ferri colorati.
Inizio a dare colpi decisi e netti alla mia ascia, commentando con pensieri da vera psicopatica: - Guarda come i trucioli di ferro riflettono il fuoco, non è uno spettacolo?- -Mio padre mi ha insegnato a farlo quando avevo dieci anni, mi divertivo un sacco e ho reso la mia tecnica davvero raffinata!
Ad ogni parola, si discosta un po’ di più da me. Mi scappa una risata sincera: - Non è un lavoro davvero divertente?
La parte più bella arriva quando decido di pronunciare le parole che fanno più paura in assoluto:
-Ecco, per esempio, i coltelli da macellaio, quelli che si sporcano di sangue e sono più grossi, o quelli da sopravvivenza, come i pugnali, necessitano  di un angolo di affilatura maggiore, rispetto a quelli da cucina.
Con questa ci potrei uccidere qualcuno già adesso, ma preferisco ultimare il mio lavoro con una pietra di grana fine per renderla davvero letale. – La guardo negli occhi e sorride in modo tirato.
-Beh, sei davvero esperta. – Dice, con un risatina.
-Vedi questa polverina che rimane? Mio padre la conservava e la faceva fondere con il resto dell’acciaio, dal fabbro. Nulla va sprecato in questo tipo di lavori, come dal macellaio non si spreca nessuna parte del corpo di un vitello, o come i cannibali non sprecano nessuna parte del nostro corpo.
Quest’ultima battuta la fa balzare in piedi.
-Johanna, tesoro, io vado ad infornare il pane, va bene?
-Ma certo!
-Se vuoi qualcosa non esitare a chiamarmi.
-Certamente. – Dico, rigirandomi l’ascia fra le mani.
Lei mi guarda allarmata un’ultima volta e io scoppio a ridere, salendo le scale.
 
Sono coricata sul letto nel dormiveglia aspettando che Marie mi chiami per la cena, quando sento qualcuno bussare.
-Johanna, tesoro..
-E’ pronta la cena?
-Non ancora.
-E allora cosa c’è? – Dico, scostante. La sua voce dolce e consolante mi urta. Non voglio essere consolata, non me lo merito. Ma mi merito ancora meno di vivere con una capitolina in casa, quindi alla fine non so cos’è peggio.
-Delle signore stanno mettendo a posto casa tua.
Mi alzo, istintivamente e tendo le orecchie, aprendo la porta e appoggiandomi allo stipite. – E quindi?
-Hanno trovato questa scatola di foto sotto il tuo letto e hanno pensato che la volessi.
-Certo che la voglio. – Dico, strappandogliela dalle mani.
-E hanno anche insistito perché ti dicessi i loro nomi..
-Sì, sì, le ringrazierò poi. Ciao. – La interrompo, sbattendole la porta in faccia e cadendo per terra.
Nello sbattere il sedere sul pavimento, mi scivola dalle mani quella stramaledetta scatola e le foto cadono sparpagliate per terra.
La mia vita di prima su quattro mattonelle impolverate.
Juliet sull’altalena, io e Josh che ci baciamo, la mamma e il papà abbracciati.
Io che tengo in braccio Juliet, appena nata e la mamma che ci guarda con le lacrime agli occhi, ignara di essere compresa nell’inquadratura. Probabilmente era l’effetto degli ormoni sbalzati dal parto, perché credo di non aver mai visto trapelare tanta dolcezza dalla sua faccia da schiaffi.
La mia maledettissima vita di prima.
Appoggio la schiena alla porta e, dopo davvero tanto tempo, piango.
Non per isteria, non per paura, ma per tristezza.
Non c’è rabbia nelle mie lacrime, non c’è nemmeno desiderio di vendetta, solo abbandono e infinita voglia di una casa che ormai non esiste più.
Così mi alzo, vado a sciacquarmi la faccia facendomi colare tutto il trucco sul viso, ma senza curarmene, mi bagno la fronte con acqua fredda e aspetto di far uscire dalla gola anche l’ultimo singhiozzo.
Poi, con una lentezza esasperante, scendo le scale e mi presento in cucina, dove Marie è voltata di spalle.
-Non mi chiami mai più vincitrice. Se glielo sento uscire dalla bocca, è la volta buona che la decapito davvero. – dico, tentando di “ricominciare da capo” con lei.
Lei si volta e, se inizialmente si spaventa, si apre in un dolce sorriso.
-Va bene. – Asserisce, per poi sedersi davanti a me, a tavola.
-Mia madre era una stronza, mio padre è morto un sacco di tempo fa, amavo il mio ragazzo e mia sorella stava benissimo. Non sono state morti improvvise, qualunque cosa lei voglia pensare, sappia che non lo sono state e che di sicuro c’entra quel bas… bestione di Snow.
-Sono una capitolina, non dovresti fare discorsi simili con me.
-Non ho più nulla da perdere e morire adesso mi sembra una prospettiva allettante. Anche uccidessi il presidente, non ci perderei, avrei tanto di guadagnato. – dico, addentando un panino.
Lei sospira, guardandomi preoccupata.
-Ti metterai nei guai.
-Non le pare che di guai io sappia già qualcosa?
-Non è stato Snow a fare una cosa simile, tesoro. Con che cuore avrebbe potuto farlo?
-Altra stronzata per cui potrebbe partirmi un’ascia e piantarsi nella sua nuca, stia attenta. – Scherzo, ma non penso che colga l’ironia, visto che sta per impazzire. – No, dico, le sembra che abbia un cuore quell’uomo? Lei ha la minima idea di cosa vogliano dire gli Hunger Games?
-Illuminami, vista la tua grande conoscenza. – Mi dice, spazientita, sbattendomi un pezzo di carne sul piatto.
- Si tolga quel dannato paraocchi! – Esclamo. Cerco di mantenere la calma e aggiungo: -Poniamo che ogni anno, da ogni quartiere di Capitol City vengano estratti un ragazzo ed una ragazza. Bambini, nulla più. Vengono messi tutti insieme in una grande scatola, la chiami arena o come vuole, non cambia nulla, e viene detto loro: “Ammazzatevi, quando tra voi rimarrà solo un ragazzo o una ragazza, allora questo gioco sarà finito.”.
 -Ma è un gioco, appunto!
-Ogni anno muoiono ventitré persone! – Urlo.
Mi guarda, preoccupata. Non connette, inutile perdere il mio tempo. E io non ho nemmeno la forza di tentare di aprirle gli occhi, ad essere sincera. Lei, la mia stilista. Affogano tutti nello stesso brodo, lì a Capitol City.
E se noi dei distretti siamo stati sottomessi, almeno questo ci dà la possibilità di pensare ciò che vogliamo e di non prendere per oro colato tutte le stronzate che gli insegnanti ci propinano a scuola facendo cenno di no con la testa come a dire "ma cosa mi tocca fare per mangiare..". Loro vivono meglio, sono privilegiati, e probabilmente in questo modo Snow si è guadagnato uno stupendo esercito a lui devoto nei secoli dei secoli amen. 
Non bastano quattro vincitori per la rivolta. 
– Vado a prendere una boccata d’aria. 


Sono tornata! 
Era un po' che non aggiornavo e questo capitolo è assolutamente fuori dal normale, ma dovevo dare una svolta e mi è sembrato un modo carino, ditemi che ne pensate! Rigrazio R_12H e Alexander_Supertramp per le recensioni che, come sempre, mi fanno un sacco piacere (:
Alla prossima! 

 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: LoveLustHateDesire