Anything
but ordinary.
“Luke,
te
l’ho detto, sono negata!” esclamai per
l’ennesima volta. “Mi manda in
confusione il fatto che tu sia mancina,
nient’altro!” fece lui, cercando di
capire come farmi mettere le dita.
Stava
cercando da tutto il giorno di iniziarmi all’arte della
chitarra, me, che come
uniche esperienze musicali avevo avuto il flauto dolce delle elementari
e delle
medie e quello traverso, che avevo abbandonato dopo un anno
perché ogni nota
era un giramento di testa. La chitarra e il pianoforte mi avevano
sempre
attirato e Luke l’aveva capito appena mi aveva visto guardare
il suo strumento.
Si era messo in testa di insegnarmi e ormai, a mio parere, era per lui
una
sfida personale.
Come fargli
capire, che ero negata?
Mi veniva
da ridere ogni volta che lui si concentrava per capire come farmi
mettere le
dita. Era come tradurre una lingua. “Dammi almeno uno spunto
sulla canzone!” mi
disse. impallidì quando gli feci sentire Why.
“Hai mai preso in mano una chitarra?” chiese.
“Non precisamente.”
“Allora
non
è meglio iniziare con qualcosa di leggermente più
facile.”
“Darlin, non concedo altro.”
“Non
la
conosco.”
Gliela feci
sentire e lui sembrò convinto. “Dovrebbe essere
adatta” decretò.
Mezz’ora
dopo, ero ancora all’inizio, ci mancavano solo le dita
annodate alle corde.
Luke stava perdendo ogni speranza. “Luke? Possiamo
smetterla?” chiesi implorante.
“Ok, facciamo un’altra volta”
accettò lui. Ci alzammo, con evidente sollievo da
parte di tutti e due, e decidemmo di uscire. Era passata una settimana
da
quando eravamo andati su quel palazzo, e continuavo comunque a
pensarci. Avevo
scattato un milione di foto come minimo e le avevo appese in camera
mia.
Non ero mai
stata una ragazza da foto, al massimo da qualche poster. Stare con quei
ragazzi, però, mi aveva fatto venir voglia di avere dei
ricordi permanenti, da
poter guardare e vivere di nuovo.
Anche quel
pomeriggio, io e Luke scattammo un sacco di foto. La mia preferita era
quella
in cui eravamo noi due, in un angolo della foto, con uno sfondo
spettacolare:
un’enorme nuvola da cui filtravano i raggi di un sole
rossastro per il
tramonto. Sembrava magica.
Magica,
come ogni istante che passavo con Luke.
Sentivo di
provare qualcosa di grande per lui. Non sapevo cosa significassero per
lui quei
baci che ci eravamo scambiati, ma per me erano stati indimenticabili.
Quegli
occhi mi avevano catturato da subito, ma non avrei mai avuto il
coraggio di
dirglielo.
“Dove
andiamo?” chiese lui. “Prima mi hai fatto provare a
suonare la chitarra. Ora ti
faccio provare io una cosa” dissi enigmatica, prendendolo per
mano e mettendomi
a correre per non perdere l’autobus che passava in quel
momento.
Qualche
minuto dopo, eravamo dall’altra parte della città.
Quando lui vide il nome
dell’edificio, sgranò gli occhi. “Il
Poligono? Davvero?” chiese stupito. “Ehi,
non sono un angelo. Anche a me piacciono queste cose” dissi
facendo spallucce
con un sorriso. Lui ridacchiò e entrammo, finendo in pochi
minuti in una stanza
divisa in due: da una parte, tanti bersagli, a forma di uomo o a cerchi
concentrici. Luke si mise gli occhiali protettivi e prese un fucile. Ragazzi, pensai scuotendo la testa.
Impugnai una semplice pistola e inforcai gli occhiali, guardando Luke
sparare.
Centrò una spalla del manichino e mi guardò
vittorioso. “Posso?” chiesi. Lui si
spostò e io mi misi davanti a lui, sparando sei colpi molto
vicini. Quando
finii, soffiai sulla pistola, come se fossi in un film. Lui mi
guardò
esterrefatto: avevo fatto un buco nell’altra spalla,
esattamente alla stessa
altezza di Luke, e cinque nello stomaco. Il risultato era uno smile
sorridente.
Lui mi guardò esterrefatto. “Esattamente, quanti
anni fa hai iniziato a
sparare?” chiese. “Un sacco. E tu, con la
chitarra?”
“Un
sacco.”
“Vedi,
siamo pari” dissi, tornando a puntare al manichino. Stavolta
mirai al cuore e
alla fronte. “Potresti uccidere qualcuno”
commentò. “Chi ti dice che non
l’abbia già fatto?” chiesi.
“Coco, mi fai paura” mi disse. Io mi misi a ridere,
terminando con un colpo in mezzo al collo. In quel momento, suonarono i
cellulari. Messaggio da parte di Cristine, mia cugina
(un’altra, non dalla
parte di Carol) che abitava in Francia: “Ciao Coco, ti
ricordi Daniel, il mio
ragazzo? Ci sposiamo fra un mese!! *-* e siccome non ci vediamo da
tanto,
vorrei chiederti se vuoi venire… è qui, a Parigi,
lo so che è lontano ma ti
prego, ci tengo davvero!!! E vorrei chiederti anche se ti va di essere
la
testimone, come ringraziamento per esserci sempre stata per me
<3 ti prego
fammi sapere in fretta, l’invito è aperto anche a
Carol, Manuela e Emmaline!!”
spalancai la bocca, stupefatta. Cristine si sposava?! Ero troppo
felice!! Notai
con piacere che si era sforzata di scrivere in italiano… E
rimasi basita nel
leggere il nome di Emmaline. Cristine non sapeva niente di lei?! Non ci
potevo
credere. Vidi che anche Luke rimaneva sorpreso nel leggere un
messaggio. “Mia
cugina si sposa!” esclamai. “Un mio amico si
sposa!” fece lui nello stesso
instante. Ci guardammo sorpresi e, come se ci fossimo messi
d’accordo, ci
scambiammo i cellulari. “Sei cugina di Cristine?!”
“Sei
amico
di Daniel?!” chiedemmo di nuovo all’unisono. Ci
mettemmo a ridere per quelle
coincidenze, poi annuimmo. “Ci andiamo?”
“Certo.”
“Portiamo
i
ragazzi?”
“Pensavo
fosse ovvio!” risposi. “Ok, andiamo a dirlo agli
altri!” esclamò lui, esaltato.
“Aspetta un attimo!” feci io. Mi voltai verso il
bersaglio e feci un secondo
smile, stavolta in faccia. “Ok, possiamo andare”
dissi tutta allegra. “Metti
giù quella pistola!” mi intimò lui
bianco in volto. Io scoppiai a ridere e
obbedii, pagammo e tornammo a casa. Nel tragitto in autobus,
rispondemmo ai
messaggi, e io dissi che Emmaline non ci sarebbe stata.
Quando
arrivammo a casa, notai che c’era posta. Che noia, la solita
pubblicità. La
presi, tanto per portarla dentro, e iniziai a buttare
l’inutile. Una rivista di
un supermercato. Via. Un depliant di una pizzeria. Da parte.
Pubblicità,
pubblicità, pubblicità. Via, via, via. Mi bloccai
all’ultimo, con le mani che
tremavano. Un’altra lettera di Emmaline, nemmeno avessi
invocato il diavolo. “Coco?”
mi chiamò Luke. “Arrivo” dissi in
fretta, posando la lettera sul mobile,
accanto a quella precedente. Le avrei aperte quando mi fossi sentita
pronta.
“Ragazzi,
preparate i bagagli, si va in Francia!” esclamai quando
arrivarono gli altri.
“E perché?” chiese Manuela stupita.
“Cristine si sposa!” feci rimanere di
stucco Manuela e Carol. “Con Daniel!” aggiunse
invece Luke, lasciando
sbalorditi Michael, Ashton e Calum. “Su, su, che ci facciamo
ancora qui?! A
fare i bagagli!” esclamò Carol esaltata.
Nel giro di
tre ore eravamo pronti, coi biglietti prenotati per il giorno
successivo. I
ragazzi erano tornati a casa loro, a prepararsi, e per una volta
Manuela, Carol
ed io eravamo da sole. “Coco, prendi la siringa”
disse Manuela. “Perché?”
chiedemmo io e Carol all’unisono.
“Perché vi sto per dare una notizia che
potrebbe farti uscire di testa, Carol.”
“No,
seriamente, mi trattengo” disse lei. Manuela
sembrò dubbiosa, ma si fidò. “Io e
Michael ci siamo messi insieme!” disse in un soffio, con un
sorriso così
raggiante e degli occhi così luminosi che poteva illuminare
l’intera stanza. Io
la guardai stupefatta, così come Carol. Le saltammo addosso,
stritolandola in un
abbraccio enorme. “Oddio, oddio, oddio, Splendore che bella
cosa!” urlai
esaltata. Carol mi imitò. Eravamo troppo felici per lei.
“Si festeggia!”
esclamò mia cugina.
Mezz’ora
dopo, eravamo in salotto, con lo stereo al massimo, a ballare un valzer
a tre molto
improvvisato sulla musica di Hello
Heartache, nonostante non fosse nemmeno adatta. Quando la
canzone finì,
rimanemmo qualche secondo deluse, prima di sentire le prime note di The best damn thing. Da un valzer molto
esagerato passammo a saltare dappertutto come matte, cantando. Fu
così per
tutta la sera.
Era bello
avere diciassette anni.
Il mattino
dopo, ci trovammo davanti all’aeroporto con i ragazzi. Loro
avevano quattro
valigie e un borsone, più la chitarra di Luke. Noi: quattro
valigie degne di un
trasloco, tre borsoni, sei borse e una sacca. Mi venne da ridere.
Notai con
piacere che c’era anche Madison, anche lei con mille bagagli.
Si vedeva, che
eravamo ragazze, e ne andai fiera.
Michael e
Manuela, Ashton e Carol si salutarono con baci plateali, facendomi
sentire
molto, molto sola. A far diminuire questa mia sensazione, ci fu Luke,
che mi
abbracciò. “Ciao Coco” mi disse
dolcemente a poco dal mio viso. Dal suo tono
sentivo che stava sorridendo e questo mi fece sciogliere. Era troppo
tenero,
qualsiasi cosa facesse, anche quando non era intenzionale.
“Ragazzi, mi
dispiace interrompere questo bel quadretto ma dobbiamo ancora
prepararci per il
volo!” ci interruppe Calum, mentre Madison gli tirava una
gomitata che voleva
sembrare oltraggiata, ma che ai miei occhi era solo divertita. Ormai la
magia
era stata interrotta, così ci dirigemmo agli imbarchi e,
mezz’ora dopo,
finalmente sull’aereo. “Speriamo di non perdere
nessun bagaglio!” fece Carol,
ancora segnata da quando durante un viaggio le avevano perso il
beauty-case.
Oltre al danno anche la beffa: era finito alle Hawaii, dove lei non era
potuta
andare. Nonostante tutto, avevo riso fino a star male.
Noi ragazze
ci sedemmo su quattro sedili da un lato, i ragazzi
dall’altro. Ci aspettava un
volo di un’ora e mezza, ma sentivo che non saremmo stati
tranquilli nemmeno un
secondo, se non per dormire. Fu proprio quello che feci per
mezz’ora: mi misi
gli auricolari nelle orecchie, con la playlist che usavo per
addormentarmi, e
reclinai di poco lo schienale, giusto per non dar fastidio al
passeggero dietro
di me. Madison mi prese il cellulare – chiedendomi il
permesso – e sbirciò la
playlist. “Wow, come fai a dormire con queste? Non ti
inquietano, o ti
intristiscono?” chiese. Io ridacchiai. “Con una
cugina – non Carol, Cristine –
che per dormire ascolta industrial metal, questo è una
ninnananna. Una volta le
ho chiesto di mettere una canzone carina e mi ha fatto sentire Schizo doll. Queste possono essere un
po’ dark, ma hanno un effetto fantastico su di me.”
“Ovvero?”
“Va in
trance” disse Manuela, che aveva ascoltato tutto.
“Che forza, quindi ti metti
in contatto con i morti o cose del genere?!” mi chiese
entusiasta Madison,
facendomi ridere. “No, semplicemente dormo ma non dormo, non
so spiegarlo.
Cioè, sogno, ma sento comunque la musica, e quando finisce
la canzone mi
sveglio e non ricordo nulla, se non che mi lasciano sconcertati.
È strano e
bellissimo.”
“Madison,
non farci caso, a volte è più inquietante lei di
Cristine” disse Carol. Io le
feci una linguaccia mentre Madison guardava di nuovo le canzoni. Le
scorrevano
sotto gli occhi titoli come Together,
Forgotten, Nobody’s
home e cose del genere.
Il mio
tentativo di dormire durò poco, circondata di pazzi
com’ero. Ad un certo punto
aprii gli occhi e vidi che i ragazzi si stavano facendo una foto.
Curiosa,
schizzai in piedi per vederla. Luke e Michael erano in primo piano, con
dietro
Calum e Ashton. Scoppiai a ridere per la faccia di Ashton, sembrava
molto il
folletto di Harry Potter. Calum e Michael erano venuti bene, non
potevano
lamentarsi. Luke… oddio, la voglia di prenderlo e ricoprirlo
di baci era
tantissima, da quanto sembrava un cucciolo. Praticamente lo costrinsi a
passarmi la foto, facendolo ridere. “Dormito bene,
prima?” mi chiese. “Ho
sognato, non mi ricordo cosa. So che era strano” dissi con
disappunto. Lui
ridacchiò. “Riprova, se ti va.”
“Manca
troppo poco” dissi piano, tornando ad appoggiarmi al mio
sedile quando la
hostess mi guardò male. Mi trattenni dal ridere quando
Manuela la imitò,
esagerando.
Era bello
divertirsi così con gli amici. Essere così
strani… era un modo come un altro
per sentirsi vivi. Alcuni si drogavano, altri si alcolizzavano, altri
ancora si
tagliavano. Noi ci divertivamo a uscire dagli schemi. Un modo come un
altro, ma
a mio parere migliore di tutti gli altri. Era bello sapere di essere
unici.
Chiusi gli
occhi e canticchiai con un filo di voce: “I’d
rather be anything but ordinary, please.”
Poco dopo,
arrivammo in aeroporto, prendemmo i bagagli – fortunatamente
erano tutti al
loro posto – e superammo le soglie dell’aeroporto.
Io mi guardai attorno e
sospirai. “Casa dolce casa” dissi, con una punta di
malinconia. “Abitavi qui?”
chiese Ashton. Io annuii sorridendo a tutti i bei ricordi che mi
invadevano.
“Facciamo una sorpresa a Cristine e Daniel, o andiamo in
hotel?” domandò
Madison. La guardammo e ci mettemmo a ridere. “Maddy, tu davvero vuoi andare in giro con mille
bagagli?!” chiese Manuela.
Lei si guardò e fece un sorriso innocente. “Fate
come se io non avessi detto
niente” fece candidamente. Prendemmo un taxi e arrivammo
all’hotel che avevamo
prenotato. Mentre stavamo mettendo a posto tutto – io e le
ragazze in una
camera, i ragazzi nell’altra – mi venne in mente
una cosa piuttosto importante.
Sgranai gli occhi e chiamai gli altri. “Ehm, ragazzi,
c’è una cosa che dovrei
dirvi, prima che Cristine vi spaventi. Il suo stile è
gothic, molto dark. Mi ha
sempre detto che il suo matrimonio avrebbe rispecchiato il suo stile,
quindi
sarà piuttosto tetro, niente vestiti bianchi frufru e cose
del genere. Vi prego
di non terrorizzarvi” dissi cauta. “Quindi
sarà una cosa tutta in nero, cupa?”
chiese Michael. Io annuii. “Che cosa fantastica!”
urlò Manuela esaltata. Gli
altri la imitarono e io sospirai sollevata. “Ok ragazzi, dopo
finiamo di
mettere a posto, adesso andiamo a trovare Cristine!!”
esclamò Carol. Tutti
annuimmo e uscimmo dall’hotel, cercando la casa di Cristine,
mentre la torre
Eiffel ci faceva da sfondo.
*Angolo
autrice*
Ecco
la foto,
grazie a tutti!!
Ciaoo
Ranya