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Autore: Francine    01/05/2014    4 recensioni
Saori aspetta. Perché sa che oramai è questione di tempo. Oramai ci siamo. La Guerra Sacra di questo secolo è al culmine, e lei può solo attendere. Attendere che il suo fato si compia. Forse, una volta per tutte.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cancer DeathMask, Gemini Saga, Saori Kido, Sasha, Virgo Shaka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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Shura
 
 
e una canzone non è niente 
è un odore o una bugia 
soffia al cuore della gente 
mentre prova a volar via 

 
 


«Aiolia… ascoltami!»
«Stai. Zitto.»
I passi del Leone sono pesanti quanto il suo cuore. Se non fosse stato per l’intervento di Athena, il suo sangue e le sue viscere starebbero decorando la Scalinata Sacra, gradino dopo gradino, fino allo spiazzo antistante la Prima Casa. Un sacrificio d’espiazione. La canzone del capro.
Aiolia freme.
Perché vorrebbe dargli la lezione che si merita?
Possibile.
Perché deve risparmiare la vita di un traditore?
Probabile.
Perché deve trasportare a braccia l’assassino di suo fratello?
Sicuro.
Shura questo lo capisce. Lui, al suo posto, non proverebbe le stesse cose?
«Aiolia…», e solo pronunciare quel nome gli costa moltissimo. Shaka non se n’è andato senza colpo ferire. Anzi. I tre Gold Saint traditori del Santuario sono ridotti ad un cieco, un sordo ed un muto. Un terzo, un terzo, un terzo. Come potrebbero anche solo sperare di farcela contro tre assi?
Se non avesse l’assoluta necessità di avvisare Aiolia, di parlargli, di farsi ascoltare, a Shura scapperebbe da ridere.



Il ritorno verso il mondo dei vivi non è una passeggiata. Devono percorrere al contrario l’angusto anfratto della Bocca dell’Ade. È un imbuto dalle pareti lisce, senza appigli. «O le anime tenterebbero la risalita», ha spiegato Mask tra una bestemmia e l’altra. Una prova impossibile. Eppure lo affrontano. Scalano quel dannatissimo imbuto perché sono Santi di Athena, nonostante le Surplice che indossino siano macchie indelebili sull’anima.
Ade non ha concesso loro nulla. Un corpo ed una corazza è tutto ciò di cui si sono dovuti accontentare. Un passaggio diretto per il Regno dei Vivi sarebbe stata cosa gradita. Pulita. Facile. Ma avrebbe dato loro tempo. Per organizzarsi. Per ideare un piano. Per comunicare ai Santi di Athena superstiti le loro vere intenzioni. E questo Eaco e Minosse non potevano permetterlo.
«Risalirete la Bocca dell’Ade. Perché? Che problema c’è? Siete un po’ arrugginiti, del movimento vi farà solo che bene», ha detto il Gigante dai capelli d’argento quando il Sommo Sion ha cercato, invano, un modo più rapido per tornare in superficie.
Ce l’hanno fatta in tre ore. Hanno compiuto un miracolo, il primo di quella lunga notte.
Il secondo, sarà arrivare integri al cospetto di Athena.
Il terzo, non lasciare sul terreno i loro stessi compagni.
Sente lo sguardo di Saga sul suo collo. Gemini vuole parlargli, ma sa anche che non è il momento. C’è qualcosa di più grosso in ballo di un chiarimento e una richiesta di perdono. E il Sommo Sion è stato chiaro. Niente tentennamenti. Niente cincischiamenti. Risolveranno dopo le loro controversie. «Se ne avrete il tempo», ha detto prima di mettersi alla testa del drappello e marciare verso il Santuario.

 


Quando arrivano alla Nona Casa, la mascella del Leone si serra. Freme, la mandibola pronta a spalancarsi ed i denti ad azzannare. Athena ha detto di portarli alla Tredicesima Casa, ma non di portarveli incolumi. E se il Leone volesse avere uno scambio di opinioni con un ex-compagno ridotto ad un ammasso di carne e sangue tenuto insieme per scommessa e fede, né Milo né Mu avrebbero qualcosa da ridire. Anzi. Volterebbero la testa dall’altra parte. O spenderebbero quel tempo per chiarire altre faccende.
Aiolia deve sapere. Aiolia deve ascoltarlo. Perché la sua anima gronda pentimento. Perché vuole espiare la sua colpa. Perché Shura, il detentore della Sacra Lama, ha preso un abbaglio accecante. Come il riverbero del sole su di un pezzo di vetro.
Perché deve avvisarli. Loro devono sapere. Non c’è momento migliore. Potrebbe sussurrare qualcosa alle orecchie di Aiolia. Tutta la verità, nient’altro che la verità, e nessuno oltre a loro due sentirebbe. Le farfalle di Papillon sono un ricordo spiacevole al risveglio, la sensazione di latente pericolo che lascia in bocca un brutto sogno.
L’orecchio di Aiolia è vicino alle sue labbra. Dovrebbe solo farsi uscire il fiato, e tutto sarebbe risolto. Compreso. Capito. Perdonato, no. Ma gli altri saprebbero a cosa stanno andando incontro. Qual è il piano del Sacerdote. Basterebbe così poco, così poco. Tanto quanto manca all’uomo in mare per afferrare il salvagente che potrebbe salvarlo. Ma il Leone allontana ogni speranza con una zampata rabbiosa e feroce. Un gesto di avvertimento. La prossima, sarà quella decisiva. E l’uomo in mare cade giù. Affondando nel buio.


 
«Aiolos non c’è. »
Saga interrompe la sua ricerca e il potente Gemini, l’uomo che assomiglia ad un dio sceso in terra, quasi trasale quando il Capricorno gli piazza gli occhi nei suoi. Lo sguardo di Shura è fuoco liquido color verde bosco che divampa nel blu oltremare di Saga. Un blu cupo e tranquillo allo stesso tempo.
Si fronteggiano per istanti eterni. Muti. Nessuno interrompe quel dialogo silenzioso.
Shura non sa cosa vogliano fare gli altri. Se vogliano discutere con Saga. E al momento non gli interessa. Adesso vuole solo potersi chiarire con Aiolos. Chiedergli perdono, per aver alzato la mano contro un compagno d’arme, contro un fratello, quasi, invece di sentire le sue ragioni. Avrebbe dovuto dimostrare maggior buonsenso, ma Saga aveva saputo come e dove soffiare perché nel suo cuore infuriasse un incendio di sentimenti contrastanti.  Aiolos era il suo mito. Il suo modello. L’esempio a cui guardare per tendere verso l’infinito. E Saga sapeva che una cosa sola avrebbe distrutto il piedistallo su cui il giovane Shura aveva posto il Sagittario. La salvezza di Athena.
«E non ci sarà.»
Il Sommo Sion si intromette. Cerca Shura con lo sguardo, calmo, limpido, sereno. E il Capricorno capisce.

 


Vorrebbe presentarsi a lei, farle sapere che anche da morto, anche dal Regno di Ade, lui è un suo fedele servo. Indegno del suo amore e di maneggiare Excalibur, ma pronto a rischiare tutto e ancor di più solo per lei. Vorrebbe cadere in ginocchio. Vorrebbe chiederle perdono con la sua voce e specchiarsi nei suoi occhi. Dicono che siano cerulei, ma la realtà, Shura lo sa, è un'altra. Azzurro è il riverbero dell’armatura sulle iridi della divina Athena. I suoi occhi sono verdi. Li percepisce mano a mano che si avvicina, le gambe malferme, le ginocchia che tremano e scricchiolano, come se stessero per spezzarsi. Gli occhi di Athena sono verdi. Splendenti come laghetti di montagna. Come pezzi di vetro, pensa, da qualche parte dentro di sé. 
Ci siamo già incontrati. Tanti anni fa, vorrebbe dirle. Ma la lingua tace. Non ci sono parole, non le trova più. E anche se Shura sa che sono sempre lì, sulla punta della lingua, pronte a ruzzolare via e a perdersi in questa sera disgraziata, lui le ha dimenticate. Peccato.
La notte odora di gelsomini. E violette tenere. Di quelle che spuntano timide, al bordo delle strade. Percepisce solo un’ombra, davanti a sé. Un’ombra splendente. Che rifulge d’oro contro il nero della notte. Come a sfidare le tenebre. Un’immagine pazzesca, ma questa notte ha ben poco di normale. Questa, è una notte di prodigi e miracoli. Questa è la notte in cui i cieli e la terra finiranno. Questa è la notte per cui si è preparato da quando ha l’età del ricordo. E adesso che la sta vivendo, pur se come spettro, adesso tutto passa in secondo piano.
Ha il fiato corto, Shura. È stanco. Per la battaglia. Per le lotte. Non è uno scherzo combattere scalando la collina dello Zodiaco, tempio dopo tempio. Eppure, adesso che Athena è così vicina, la sua sola presenza cancella la  stanchezza, il dolore e il rimorso. C’è Athena. Andrà tutto bene, si dice, in un angolo della mente. Raccontandosi una pietosa bugia. Una delle tante che ha costellato la sua breve esistenza. Non sa cosa abbia in mente il Sommo Sion. Cosa dirle. Come convincerla a seguirli nel regno dell’Oltretomba. E lottare con loro. Che la difenderanno. La proteggeranno. E le apriranno la strada. Fino a raggiungere Aiolos.



La mano tesa che gli è apparsa davanti è quella del Sommo Sion. Ha spaccato il ghiaccio della Caina e lo ha estratto da quell’avello gelato sollevandolo per le ascelle. Ha sorriso, Sion dell’Ariete. Una curva mesta, sulle sue labbra rosate. Un’ombra nello sguardo aperto, limpido, sincero. Il riflesso di un passato lontano, perso nel tempo. Shura vorrebbe sapere che giorno sia. Shura ha perso il conto del tempo, ma con l’eternità davanti, Shura si chiede se abbia senso porsi questa domanda.
«È ora,
Campeador», gli dice il vecchio Sacerdote. E qualcosa dentro di lui risponde al richiamo. Gli sembra di riconoscere in quel ragazzo, giovane e forte, l’uomo con la palandrana e la maschera rituale che presiedeva al culto della divina Athena. Che spiegava loro la mitologia, l’astronomia, e li preparava alla battaglia. Tuttavia, gli pare anche di riconoscere un compagno. Sion dell’Ariete. Ma è solo un attimo. Shura sbatte le palpebre e l’incantesimo si spezza. Sulla pelle, l’artiglio del ghiaccio e le raffiche di vento. Nel cuore, la contezza di chi è. Di chi è stato. Di una donna che lo attende, accanto alla finestra, i capelli color delle viole e gli occhi come laghetti di montagna. Di un chitone candido come le nuvole. Di una canzone da cantare di padre in figlio. Di una spada brandita. Per uccidere. Per vivere. Per la Giustizia.
«Vieni. Andiamo», e il Sommo Sion si passa un braccio attorno al collo e lo aiuta. Un passo. Le gambe non rispondono. I piedi slittano sul ghiaccio.
«Adagio, ragazzo», lo esorta il Sacerdote. «Adagio.»
Shura scivola ancora. Una volta, due, tre. «Io… Io non posso.»
Lo dice come se fosse una scusa. Perché lui può. Eccome, se può. Solo che ha dimenticato come si cammina. Come si sta eretti. E come può combattere e saltare se le gambe non lo supportano?
«Puoi.»
E mentre il Sacerdote avanza, lui si ritrova a seguirlo. Scivolando, slittando, sdrucciolando. Cadendo. E rialzandosi.
Le gambe fanno meno male. Si stanno svegliando. Deve muoversi. Deve camminare. Deve andare avanti. Perché Athena lo sta aspettando.   

 


Aiolos è lì. Accanto a lui. Come da bambini, quando osservavano assieme le stelle, una bibita tra le mani e il naso all’insù a scrutare il cielo viola. Qui non si vede il cielo. Qui il Muro del Pianto è così alto da incombere su di loro a perdita d'occhio. All’infinito. Su, su, su e oltre. Come nei fumetti.
A vederlo, diresti che il cuore si gela. Muore, dentro il tuo petto. E se lui non fosse già morto – due volte – il suo cuore proverebbe la disperazione più pura e profonda che esista. Il pianto inconsolabile del bambino che ha perso il padre. Del fratello che seppellisce l’altro fratello. Ma lui è già morto. E c’è Aiolos, accanto a lui, adesso.
Pensava che avrebbero parlato. Pensava che il Sagittario non l’avrebbe guardato in faccia. Si sono scambiati uno sguardo, un battito di ciglia o poco più, e si sono chiariti. Un battito di ciglia, e niente più. E Shura ha capito che Aiolos lo ha perdonato. E Aiolos sa che Shura ha compreso. Tutto rientrava in piano ben più ampio. E loro, piccole pedine di un gioco assai più grande, non han potuto che arrendersi al destino deciso dalle Moirai.
Le ali del Sagittario splendono. La freccia è incoccata. L’arco si tende. La corda freme. Shura alza il braccio.
Sono i Cavalieri della Speranza. E la speranza è ciò che resta agli uomini dopo che Epimeteo aprì il vaso di Pandora. La Speranza del colore dell’arcobaleno. La Speranza di luce. Quella che loro dodici faranno risplendere in quest’ora di tenebra.
«La notte è più scura prima che sorga il sole», gli ha detto Aiolos tanti e tanti anni fa, mentre Venere si faceva attendere e Aiolia dormiva già, vinto dalla stanchezza.
«Ma per quanto la notte possa sembrarti interminabile, il sole sorgerà sempre. Di nuovo. Per un altro giorno.»
Shura lo mormora, un sussurro appena, e le labbra di Aiolos si arricciano all’insù.
«Andiamo», sussurra il Sagittario. Aiolos. Sisifo. Shura. El Cid. E chi è venuto prima di loro. La notte è più buia prima che sorga il sole. Un istante prima di scagliare la freccia.
   
 
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