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Autore: karter    01/05/2014    1 recensioni
Finalmente era giunta davanti al palazzo.
Si fermò un momento per riprendere fiato, posando le mani sulle ginocchia. Non aveva più fiato e il cuore le batteva talmente forte nel petto che pensava potesse esplodere. Nonostante ciò ripartì subito. Doveva affrontare dieci piani di scale e non poteva permettersi di perdere altro tempo. Sentiva che la situazione era grave, troppo.
Con un enorme sforzo iniziò a salire per quegli scalini che tante volte avevano accolto le sue corse e mille altre volte avrebbero dovute accoglierle ancora.
QUESTA FIC HA PARTECIPATO AL CONTEST "COSA CI FA CRESCERE" INDETTO DA Tear of another world CLASSIFICANDOSI TERZA
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nick su EFP: karter
Nick sul forum: karter95
Titolo: Non sempre il lieto fine è felice per tutti
Rating: giallo
Genere: malinconico, sentimentale
Note dell'autore (eventuali): piccola shot su un tema a me caro. È simile ad una storia che ho pubblicato sul fandom di Naruto, ma qui, oltre ad essere di mia invenzione i personaggi, il finale è leggermente diverso e lo sono anche i temi, poiché lì erano amicizia, morte e droga, qui…ti lascio scoprirlo a fine lettura. Spero vivamente ti piaccia anche se credo di essere uscita un po’ fuori tema nella stesura.
 
 
Il sole era alto nel cielo quel giorno, e una leggera brezza accarezzava le fronde degli alberi portando con se piccoli petali di ciliegio, che volteggiando liberamente in quell'immensa distesa azzurra si posavano elegantemente a terra, formando bellissime composizioni astratte.
C'era tanta serenità quel giorno per le strade della città, serenità che però non coinvolgeva tutti, infatti, una ragazza dai lunghi capelli ramati correva trafelata tra quelle strade che tante volte avevano accolto le sue risa e i suoi pianti, mentre con il cuore in gola parlava a telefono con il suo migliore amico.
-Sono preoccupato Haru!- disse la voce al telefono con un tono agitato -È da stamane che proviamo a chiamarla, inutilmente…-
-Anch'io lo sono Shou, infatti, sto correndo da lei!- rispose la ragazza con voce tremante, senza bloccare la sua corsa, aveva troppa strada da fare ancora.
-Io riprovo a chiamarla- rispose con voce più calma il ragazzo dall'altra parte -Tienimi informato!-
La ramata acconsentì a quelle parole mettendo giù la chiamata. Non sapeva perché, ma aveva un terribile presentimento addosso e voleva liberarsene al più presto.
 
 
Una bambina dai corti capelli neri se ne stava seduta, da sola, sotto un grande albero di ciliegio, con le ginocchia strette al petto e il capo poggiato su di esse. Odiava l'intervallo, si sentiva sempre esclusa da tutti, lasciata all'angolo. Nessuno voleva giocare con lei. Era diversa dagli altri lei. Non aveva nessuno su cui contare escluso il suo fratellino.  Sorrise tristemente osservando tutti i bambini giocare assieme felici, quando una vocina acuta attirò la sua attenzione.
-Ciao!- le disse una bambina dai corti boccoli ramati sorridendole.
La corvina la guardò con occhi sbarrati, perché quella bambina le stava rivolgendo la parola?
-Io mi chiamo Haruna, e tu?- continuò la ramata osservando con occhietti vispi quella bambina così particolare ai suoi occhi.
-Ka...Kaori...- rispose balbettando la corvina mentre uno strano sorriso ornava per la prima volta le sue labbra.
-Che bel nome!- rispose la ramata mentre le labbra le si incurvavano in una splendida mezzaluna -Ti va di essere amiche Kaori?- continuò tendendole una mano.
Kaori osservò alternativamente prima la bambina davanti a se, poi la mano tesa. Nessuno aveva mai avuto un gesto gentile nei suoi confronti.
Con mano tremante decise di afferrare quella mano tesa verso di lei. La vedeva come una luce nell'oscurità, un’ancora che l'avrebbe tirata fuori dall'abisso della solitudine.
Un debole sorriso le ornò le labbra a quel pensiero, mentre stringendo quella manina rosea nella sua sibilava un flebile si!
 

Correva Haruna, il cuore le martellava il petto, e le gambe le tremavano, ma non si fermava, continuava imperterrita la sua corsa, mentre quell'inquietudine le divorava l'anima e le logorava il cuore.
 
 
Una bambina di dieci anni dai lunghi capelli neri raccolti in due trecce osservava l'oscurità della notte dalla sua finestra.
Erano giorni che, rinchiusa in quella stanza, osservava il nulla, senza parlare, senza muoversi da lì.
Fuori da quella stanza, un'altra bambina dalla lunga chioma riccia e ramata, osservava la sua amica chiudersi a riccio in se stessa.
Dal giorno del funerale del fratellino si era chiusa in quella stanza, senza mangiare, dormire, parlare. Era come uno scrigno senz'anima.
Haruna la osservava senza sapere cosa fare, come comportarsi. I suoi occhi, sempre brillanti, ora erano spenti, divorati dall'oscurità, un'oscurità devastante.
Lentamente le si avvicinò cingendola in un abbraccio fraterno, un abbraccio caldo, capace di donare talmente tanto amore da soffocare.
Kaori si lasciò cullare da quel gesto rassicurante, riuscendo a percepire tutto l'amore che l'amica voleva donarle. Sorrise a quel contatto, afferrando una delle mani che la stringeva.
-Grazie!- disse la corvina mentre delle lacrime, finalmente, le rigavano il volto candido.
 

Era quasi arrivata.
Riusciva a scorgere il profilo di quella palazzina nella quale tante volte era rimasta a dormire travolta dai lunghi discorsi intrapresi a metà pomeriggio e portati avanti fino alla mattina. Amavano rimanere sveglie a parlare tutta la notte, ritrovandosi con occhiaie tanto profonde sotto gli occhi che, il giorno dopo, nemmeno chili di correttore riuscivano a coprire. Le piacevano quei momenti in cui riusciva a scorgere una luce in quei bellissimi occhi neri, e un sorriso, uno di quelli veri, dipinto su quelle labbra rosee, sempre piegate amaramente.
Una fitta la travolse a quel pensiero, facendole aumentare la velocità della sua corsa, non poteva mollare proprio ora che era così vicina.
 
 
-Mi domando quando perderai questo brutto vizio!- disse una quindicenne alla sua migliore amica che, camminandole fianco a fianco, fumava una sigaretta.
-Te l'ho mai detto che sei noiosa Haru-chan?- rispose la corvina prendendo un tiro dalla sua Malboro.
-Lo sai che fa male!- la riprese, ponendo le mani sui fianchi, Haruna. Non riusciva a capire cosa ci trovasse di così indispensabile la sua amica nel fumo.
-Lo so, lo so!- le rispose, infatti, Kaori buttando a terra il filtro e schiacciandolo con una scarpa.
-E allora perché?- le urlò contro la ramata correndole dietro, ma la corvina non rispose. Le diede un bacio sulla guancia e si incamminò verso casa sua.
-Per cercare di alleviare il dolore- sibilò, ma ormai era troppo lontana per essere udita dall'amica.
 

Finalmente era giunta davanti al palazzo.
Si fermò un momento per riprendere fiato, posando le mani sulle ginocchia. Non aveva più fiato e il cuore le batteva talmente forte nel petto che pensava potesse esplodere. Nonostante ciò ripartì subito. Doveva affrontare dieci piani di scale e non poteva permettersi di perdere altro tempo. Sentiva che la situazione era grave, troppo.
Con un enorme sforzo iniziò a salire per quegli scalini che tante volte avevano accolto le sue corse e mille altre volte avrebbero dovute accoglierle ancora.
 

-Mi spieghi perché siamo dovute venire per forza a casa mia?- chiese inarcando un sopracciglio, la corvina e sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Non aveva nessuna voglia di passare la sera chiusa in quelle quattro mura che avevano visto la sua gioia e il suo degrado.
-Non lamentarti sempre!- la riprese Haruna facendole una linguaccia.
A quelle parole la corvina alzò gli occhi al cielo, possibile che quella ragazza non fosse cambiata dal giorno in cui si erano conosciute?
Svogliatamente infilò la chiave nella serratura, pronta a farsi inghiottire da quelle tenebre oscure che erano rappresentate da quell'appartamento troppo grande per una persona, troppo piccolo per una famiglia.
Aprì la porta, pronta a mostrare una maschera che da sempre l'accompagnava entrando in quella stanza, quando improvvisamente la luce si accese...
-Sorpresa!-
Kaori spalancò gli occhi, mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo. I suoi amici erano tutti riuniti lì, a casa sua per festeggiare con lei i suoi vent'anni.
Cercando di non farsi vedere si asciugò quella lacrima silenziosa, mentre due calde braccia la stringevano.
-Piaciuta la sorpresa Ka-chan?- le chiese la ramata notando il bel sorriso che era affiorato su quel volto sempre triste e malinconico.
 
La serata passò tranquilla, tra risate e auguri tutti si divertivano, persino la festeggiata che per una serata era riuscita ad abbandonare la maschera da ragazza forte che indossava ogni volta che si trovava a contatto con altre persone.
-Grazie a tutti!- disse la corvina accompagnando tutti i suoi amici alla porta mentre un velo di malinconia tornava ad ombrarle gli occhi scuri.
 
-Buon compleanno!- le disse Haruna non appena tutti se ne furono andati e porgendole un piccolo pacchetto rettangolare.
Kaori guardò a bocca aperta la sua migliore amica prendendo con mano tremante quel pacchetto che le veniva offerto con un sorriso.
Senza fiatare aprì lentamente la carta, stando attenta a non rovinarla, sotto lo sguardo divertito della ramata. Nonostante tutti gli anni passati a crescere insieme, era così ingenua la sua Kaori. Era cambiata tanto, era caduta nel baratro e si era rialzata più e più volte, e dopo ogni caduta Kaori cambiava, diventava sempre più fragile, più indifesa alla sofferenza del mondo ed aveva bisogno di lei, lei che era diventata la sua ancora di salvezza, l'unica in grado di poter vedere la sua fragilità oltre quella maschera di forza che si era costruita ogni volta che si rialzava, ma nonostante tutto era capace ancora di meravigliarsi per qualsiasi gesto d’affetto le venisse rivolto.
Era sopravvissuta alla morte dei genitori, all’isolamento dei suoi coetanei che la consideravano diversa, alla scomparsa del fratellino che era la luce dei suoi occhi, la sua unica ragione di vita, aveva sopportato i bulletti che l’avevano presa di mira per la sua situazione familiare, aveva affrontato la rottura con Taiki, quel ragazzo che le aveva rubato il cuore ma che l’aveva lasciata troppo presto stroncato da una malattia scoperta troppo tardi, ma nonostante tutto aveva cercato sempre di reagire grazie all’aiuto della sua amica che le era sempre accanto, pronta a tenderle una mano per salvarla, per non lasciarla indietro.
Sorrise Haruna notando gli occhi lucidi e il sorriso felice della sua amica mentre stringeva tra le mani quel ciondolo a forma di cuore che racchiudeva due loro foto. A destra una foto di loro due bambine che si abbracciavano con uno sguardo felice, a sinistra loro due il mese prima durante un weekend al mare, che, con un cocktail in mano, sorridevano alla fotocamera.
Com'erano diverse le due foto!
Nella prima la corvina aveva un sorriso felice, davvero sereno, nella seconda il suo sorriso nascondeva le lacrime, il dolore e la malinconia che ormai la caratterizzava.
Kaori stringeva fra le mani quel ciondolo come se fosse stato il più grande tesoro, non riuscendo a contenere le lacrime.
Abbassò il volto nascondendolo dietro la lunga frangia che si era lasciata crescere per cercare di nascondere i suoi pensieri al mondo. Si sentiva sporca. Come poteva una persona come lei avere un'amica eccezionale come Haruna?
Senza riflettere si lanciò tra le braccia della ramata, sfogando le sue lacrime sulla spalla della sua amica, che le accarezzava dolcemente i capelli, lasciando che esternasse tutto il suo dolore.
-Grazie di esistere!- sussurrò tra un singhiozzo e l'altro Kaori, mentre la ramata le posava un tenero bacio tra i capelli.

 
 
Haruna corse per le scale, mai le erano sembrati così tanti quegli scalini. Aveva il fiato corto e le gambe pulsanti, ma nonostante tutto continuava a correre. Delle lacrime le rigavano il volto, lacrime che non riusciva a spiegarsi, per le quali non trovava una ragione. Con mani tremanti si asciugò quelle lacrime ribelli che le offuscavano la vista, continuando a correre, mentre il ricordo della loro ultima telefonata le rimbombava nelle orecchie.
 

 
Il cellulare squillò per vari minuti prima che una ragazza dai lunghi capelli ramati, avvolta da un semplice asciugamano si decidesse a rispondere a quell'aggeggio fastidioso che aveva interrotto il suo bagno rilassante.
-Pronto?- rispose con voce acida, senza neanche leggere il mittente di quella chiamata.
-Disturbo Haru-chan?- chiese una voce tremante dall'altro lato del telefono.
-Sei tu Kaori?- chiese riconoscendo immediatamente la voce della sua migliore amica -Cosa succede?- continuò non ricevendo risposta alle sue domande
-...-
-Kaori che ti prende?- urlò questa volta la ramata stringendo più forte il telefono tra le mani e dirigendosi in tutta fretta nella sua camera alla ricerca di qualcosa da mettere.
-Perdonami Haruna...- disse la persona dall'altro lato del telefono con voce piatta.
La ramata rimase qualche secondo impalata sul posto a quelle parole, non riuscendo a spiegarsele.
-Perdonami per averti reso la vita un inferno in questi ultimi quindici anni- continuò la corvina e la ramata ci avrebbe messo la mano sul fuoco, Kaori in quel momento aveva lo sguardo basso, un sorriso amaro a ornarle il volto e gli occhi spenti, opachi, rigati di lacrime.
-Non dire scemenze!- le urlò contro la ramata colpendo il muro con un pugno -Come puoi pensare queste assurdità?- continuò vestendosi in fretta e uscendo di casa sbattendo la porta dietro di se.
-È la verità! In questi anni sono stata solo un peso per voi, mi avete sempre dovuta sorreggere e aiutare a rialzarmi ogni volta che cadevo, e sono caduta tante volte, troppe...-
La ramata si fermò di colpo a quelle parole, mentre una nuova angoscia la coglieva dentro.
-Stronzate!- rispose incamminandosi verso il parco dove era certa di trovarla.
Kaori non rispose a quelle parole, limitandosi a osservare il proprio riflesso nel laghetto davanti a se. Era cambiata tanto in quegli anni, sia fisicamente che psicologicamente. Il suo intero universo era cambiato, ma una costante era sempre stata fissa: Haruna.
Osservò attentamente il suo riflesso, non riconoscendosi più in quei capelli corvini così lunghi, quegli occhi neri spenti, privi di vita e circondati da occhiaie troppo profonde per riuscire a coprirle. Aveva abbandonato nell'armadio quei vestiti colorati che indossava da piccola, rimpiazzandoli con vestiti sempre più larghi (o forse era lei che si assottigliava ogni giorno di più?), sempre più scuri.
Senza distogliere lo sguardo da quell'immagine assurda indossò il cappuccio della felpa per provare a nascondere il suo volto che ormai non sentiva più suo.
-Che ti sei fumata questa volta?- le chiese Haruna riconoscendo in quel corpo troppo esile per la sua età la figura della sua amica.
La corvina non ebbe bisogno di girarsi per capire che l’amica stringeva i pugni lungo i fianchi e stava facendo di tutto per non prenderla a schiaffi, ma nonostante ciò continuò ad osservare il suo riflesso, stregata da quella visione così estranea.
-Adesso mi ignori?- le urlò allora la ramata senza spostarsi dalla sua posizione, mentre delle lacrime premevano per uscire dai suoi splendidi occhi nocciola.
-Affatto!- replicò la corvina, volgendo il suo sguardo a quello dell'amica e facendo incontrare la terra e l'oscurità per l'ennesima volta -Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo perché sapevo avresti reagito a questo modo- continuò osservando i suoi occhi, ma senza vederli realmente.
Haruna invece sgranò gli occhi a quelle parole. Come poteva la sua migliore amica pensare una cosa del genere? Senza rendersene conto le si avvicinò con due falcate e istintivamente le lasciò una manata su quel volto troppo pallido per essere vivo.
Kaori non rispose a quel gesto, limitandosi ad abbassare lo sguardo al suolo, sapeva di meritare quello schiaffo.
-Sei una sciocca!- le urlò contro la ramata non riuscendo più a trattenere le lacrime, prendendola tra le braccia e ascoltando i singhiozzi silenziosi dell'amica.
Rimasero a lungo abbracciate a consolarsi a vicenda come facevano sempre da piccole quando una delle due aveva un problema e come avevano smesso di fare crescendo.
-Grazie Haru-chan!- bisbigliò la corvina sulla spalla dell'amica, ma fu un suono così debole che la ramata non riuscì a percepirlo. 
 

 
C'era quasi Haruna, riusciva a distinguere chiaramente quella porta rossa che tante volte l'aveva accolta. Con tutta la volontà di cui disponeva accelerò ulteriormente ignorando le urla del suo corpo.
-Kaori! Sono Haruna!- disse battendo più colpi sulla porta -Ci sei?-
Continuò a battere sulla porta la ramata, invano, finché decise di usare la chiave di scorta che l'amica aveva nascosta all'interno di una pianta di crisantemi neri che aveva vicino alla porta.
Infilò lentamente la chiave nella serratura, mentre il cuore le batteva sempre più forte, come se fosse stato trafitto.
-Kaori?- chiamò nuovamente aprendo lentamente la porta e sentendo il telefono squillare ripetutamente. Con passi lenti vi si avvicinò rispondendo con mano tremante.
-Ka-chan, finalmente hai risposto!- urlò una voce allegra dall'altra parte del telefono.
-Shou...- replicò invece con voce tremante la ramata.
-Haruna?- domandò il ragazzo dall'altro lato del telefono -Che succede?-
-Non lo so- replicò la ramata osservandosi attorno cercando tracce dell'amica -Sono appena entrata usando la chiave di scorta- proseguì entrando nelle varie stanze che avevano visto crescere e smarrirsi quella ragazza corvina privata della felicità troppo presto.
-...- Shou non rispose. Aveva gli occhi sbarrati e le dita stringevano troppo forte quell'apparecchio telefonico.
La ramata d'altro canto non indagò oltre, troppo impegnata a cercare indizi che la portassero a quella ragazza con la quale aveva condiviso la vita intera. Entrò nella cucina, trovandola vuota, così come il salotto e la sua splendida camera. Si perse ad osservarla Haruna. Aveva le pareti rosso sangue. Kaori le aveva ridipinte il giorno del suo undicesimo compleanno non riuscendo più a sopportare più quel bianco che la circondava. Fece vagare lo sguardo sui mobili rigorosamente neri, tetri come la sua anima da quel maledetto giorno che le aveva cambiato la vita. Un sorriso amaro curvò le labbra della ramata a quel pensiero, perché una persona buona come la sua Ka-chan aveva dovuto soffrire a quella maniera?
Stava per uscire da quella stanza, quando un dettaglio colorato attirò la sua attenzione.
Posata sul letto c'era una fotografia. Con passo incerto la prese osservandola attentamente.
Raffigurava un gruppo di sette ragazzi. Nel centro c'era lei, Kaori, che osservava con occhi sgranati la torta davanti a se. Alla sua sinistra c'erano i due piccoli del gruppo, lei dai lunghi capelli azzurrini e gli occhi cremisi che veniva stretta in un caldo abbraccio da un ragazzo dai capelli color sabbia e due intensissimi occhi cioccolato come i suoi. Che dolce il suo fratellino mentre stringeva fra le braccia la sua Yumi, sotto lo sguardo irritato di un Makoto geloso che, mentre la stringeva a se mandava fulmini agli altri due che stringevano fra le braccia la sua sorellina Yumi e la sua gemella. A destra vi erano Shou, quel ragazzo che ora era a telefono e aspettava che lui le desse qualche segno di vita, che stringeva Aoi, che con quella sua lunga treccia color caramello e gli occhi blu sembrava una bambina divertita. Com'erano felici quel giorno.
Si asciugò una silenziosa lacrima che le rigava il volto e si incamminò verso l'ultima stanza, il bagno. Con il cuore in gola si fermò davanti quella porta. Aveva un bruttissimo presentimento. Allungò lentamente il braccio verso quella maniglia che sembrava bruciare e lentamente aprì la porta. In quel momento il cuore le si bloccò nel petto, le gambe divennero molli e la presa sul telefono svanì. Le sembrava di trovarsi in una dimensione parallela, un mondo fatto di illusioni, una bugia. Non poteva credere che quello che aveva davanti agli occhi fosse reale.
Rimase a osservare quella scena per tempo indeterminato, incurante delle urla dell'amico dall'altro lato del telefono. Lei la ragazza sempre solare con il perenne sorriso sulle labbra era rimasta senza parole mentre gli occhi troppo gonfi di lacrime le liberavano facendole scorrere su quel volto ora pallido.
Con passo incerto si avvicinò alla vasca incurante dell'acqua tinta di rosso che ricopriva il pavimento. Aveva bisogno di sapere.
Avanzò lentamente con il cuore che le batteva nel petto troppo forte, sembrava volesse uscirle dal petto.
Osservò attentamente quella figura distesa in una pozza di acqua e sangue lasciandosi cadere sulle ginocchia. Non c'erano dubbi.
I lunghi capelli corvini le ricadevano ormai fradici sulle esili spalle marchiate da quel tatuaggio a forma di stella marina, il suo animale preferito. Le gambe snelle e affusolate marchiate da cicatrici ormai vecchie erano immerse in quella poltiglia rossa. Le braccia magre e piene di tagli profondi erano lasciate fuori dalla vasca, mentre con la mano sinistra stringeva ancora quel taglierino sporco di sangue, macchiato da quella sostanza vermiglia ormai rappresa, e nella destra stringeva accuratamente quel medaglione a forma di cuore, come se fosse un tesoro. Nemmeno la morte gliel’aveva strappato di mano. Ciò che però catturò l'attenzione della ramata non fu quello scenario di morte, ma l'espressione sul volto della sua amica, un'espressione che raramente le aveva visto sul volto superati i dieci anni. Sorrideva. Aveva un sorriso sereno, felice e gli occhi, coperti da quelle pallide palpebre erano distesi come se stesse facendo il più bello dei sogni.
Lacrime amare rigarono il volto della ramata, mentre un sorriso amaro le ornava le labbra sottili.
-Spero che, almeno ora che sei di nuovo con loro, tu possa tornare a sorridere!- bisbigliò abbassando il volto e lasciando che le sue lacrime si mescolassero a quella macchia di acqua e sangue.
 
 
  
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