Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: blackhina    01/05/2014    4 recensioni
Il liceo è finito, ed è ora di andare al college. La vita autonoma sta per cominciare, con nuove scoperte e nuove amicizie; tutto avrà inizio in una nuova casa, con l'inseparabile compagna delle superiori e due nuovi coinquilini. Ma la calma e la tranquillità previste dalla protagonista saranno solo un sogno lontano, dato che il carattere di uno dei due ragazzi le renderà tutto più difficile, o almeno così lei crederà...
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questo capitolo lo dedico a BellaSwan_1999: grazie per avermi recensito ogni capitolo! Sei davvero fantastica e mi aiuti sempre con i tuoi commenti! Spero ti piaccia, lo spero davvero tanto :)
 
 
 
 
 
Ogni sera il mare era più bello. Le increspature, il rumore dello scroscio sugli scogli al largo, l’odore di salsedine.
Quella settimana l’università aveva chiuso i battenti, tranne la biblioteca fortunatamente. Mancavano tre giorni al Ringraziamento, e l’aria s’era fatta fredda. Ringraziavo gli dei perché ci fosse festa, altrimenti a lezione avrei avuto seri problemi.
Ero da più o meno tre ore seduta sul boro del pontile, appoggiata al palo di legno della lanterna con le gambe che penzolavano dall’orlo. I piedi nudi nell’acqua gelata mi rilassavano.
“- Connie! Ma che razza di pelle hai?” sorrisi. Erin mi diceva sempre che ero strana da ogni punto di vista, ma era proprio per questo che ero il suo tesoro segreto.
Il naso venne scosso da un brivido, poi un altro. Gli occhi si appannarono e la gola si seccò appena: non era proprio il momento di piangere. Avevo resistito fino a quel momento, non avevo intenzione di mettermi a fare la debole.
Mia mamma mi diceva sempre che la debolezza è un pregio, alcune volte. Io non ero poi così d’accordo, infatti rimandai indietro quello che voleva venir fuori.
Una corrente particolarmente forte mi bagnò le gambe fino a sotto il ginocchio.
Sentii dei passi delicati a contatto con le assi di legno del pontile. Si avvicinavano sempre più a me.
- Connie… ti ho portato la tua vestaglia, fa un po’ freddo qua fuori. Non vorrei ti prendessi un raffreddore.- la voce era dolce, quasi dal tono materno.
Mi trasmetteva sempre calore affettivo la voce di mia sorella.
Mi porse la vestaglia di cotone verde scuro, e il contatto tra la mia mano e la stoffa scatenò una serie di piccole sensazioni piacevoli e confortevoli. Mi infilai le maniche e me la chiusi davanti, affondando la testa nel colletto.
- Grazie- mormorio, seguito da un tentato sorriso, che invece risultò più una smorfia di dolore che altro.
- Stai bene?- 
Sentii la sua mano poggiarsi delicatamente sulla spalla.
- Si- il tono fu il più sicuro possibile.
- Sicura?-
- Ho solo mal di testa –
Sentii sospirare. Poi la vidi sedere accanto a me, facendo pressione sulla spalla mentre si abbassava.
Rimanemmo per qualche minuto in silenzio ad osservare le onde, ad ascoltarne la musica, la meravigliosa sinfonia che danzava nel vento che creava piccoli vortici intorno a noi.
- Ti voglio bene-
- Non ti piace il silenzio, vero?-
- No- la sua risposta nascondeva una risatina.
- Ti voglio bene anch’io-
Cominciarono frasi intervallate da lunghi silenzi, tanto per fare un compromesso.
- Sai quanto tempo siamo state qui?- Erin mi scosse un pochino.
Tolsi i piedi dall’acqua: a momenti mi sarebbero spuntate le squame. Sarebbe stato meraviglioso.
- Spara-
Alzò una mano e la mise a ‘elle’ orizzontale, puntata verso di me.
- Da un’ora- sparò.
- Credo che sia l’ora di andare in biblioteca- mi alzai, facendo scivolare i fianchi della vestaglia lungo i miei.- comunque ti sei dimenticata di inserire le munizioni- sorrisi.
Sorrise anche lei, con un’espressione comprensiva.
Mi avviai verso casa, tenendomi pronta a qualsiasi incontro.
Aprii la porta sul retro e un profumino di frittatina e pane tostato mi invase la testa.
Wayne comparve da dietro lo sportellone del frigo, che stava chiudendo.
- Dove sei diretta, mia prode guerriera?- mi mise un braccio intorno al collo e mi diede un buffetto sulla punta del naso.
- Alla raccolta segreta e polverosa di libri magici nella tetra terra universitaria- feci un movimento con le mani, come se stessi facendo una magia.
-Allora aspetterò il tuo ritorno per l’ora del tesoro.- il suo sguardo si fece eccitato e mistico.
- Tranquillo, mio fidato stregone, sarò di ritorno alla reggia per… la cena!- i miei occhi copiarono i suoi. I nostri corpi cominciarono a muoversi come se fossimo in acqua, volteggiando con le braccia a mezz’aria.
Scoppiammo in una risata interminabile, abbracciandoci.
Mi stringeva forte, come se quello che avrei dovuto fare, fosse davvero un lungo viaggio. Appoggiai le mie mani sulle sue scapole, facendo passare le braccia sotto le sue. Affondai il viso nel suo collo, inspirandone tutto il profumo.
Mi premette il petto contro il suo, e sentii il suo cuore battere veloce.
- Sto bene, davvero- la mia voce uscì soffocata contro la sua pelle, rendendola più calda di quanto non fosse già.
Mi strinse ancora di più.
- Ci sono io a proteggerti- il suo sussurro in un orecchio.
Ci allontanammo e mi sistemai i capelli che mi aveva scompigliato.
- Va ora, e torna con un libro. O anche due, a me non fa differenza…- ridemmo entrambi.
Mi girai e vidi, nel riflesso del vetro della credenza, Khaled. Era lì, aveva sentito ogni parola.
Decisi di ignorare l’istinto di voltarmi verso di lui e gridargli, e mi incamminai stringendo i pugni verso l’ingresso.
Buttai la vestaglia ancora calda, sul divano e acchiappai il giubbotto appeso all’attaccapanni, infilandomelo.
Sospirai, aprii la porta, facendomi scompigliare di nuovo i capelli dal vento, e la richiusi subito, alle mie spalle.
 
[…]
 
Tenevo le mani in tasca, il colletto alzato per coprire il collo, la lampo chiusa fino in cima.
Le dita giocavano con le chiavi nella tasca destra e gli occhi saltavano dalla strada davanti a me al cielo sfumato di rosa. Il sole che tramontava dietro di me.
C’era poco traffico quel giorno.
Decisi di prendere il tram: i binari che si nascondevano nelle lastre di pietra marroncina in mezzo alla strada riflettevano  a tratti la luce dei lampioni.
Scesi dal marciapiede con un piccolo salto e attraversai velocemente. Camminai fino alla fermata tenendomi in equilibrio sul paracarro di pietra a bordo della strada.
Sentii dietro di me il suono della campana del vagoncino rosso che mi avrebbe portata davanti al parco del college.
Mi voltai appena raggiunta la panchina della fermata e la luce del faretto mi accecò. Feci una smorfia e il tram si fermò pochi centimetri da me: la porticina si aprì ed io salii cercando un posto a sedere.
Occupai quello accanto all’uscita, anche se in tutto c’erano cinque persone, compresa me.
Ci vollero dieci minuti per arrivare.
Il piccolo interfono nell’angolo del vagone emise alcuni suoni: annunciava l’imminente arrivo all’università.
Mi alzai, attirando l’attenzione di due vecchiette.
Mi appoggiai alla porta di vetro, in attesa che il tram si fermasse.
Mi tirai su, allontanandomi di qualche centimetro dall’uscita, che si aprì appena arrivati alla fermata.
Scesi e l’aria fredda mi bruciò nei polmoni, dandomi la sensazione di avere tanti piccoli buchini in gola. Chiusi gli e inspirai profondamente: la sera si faceva vicina. Avrei chiamato Wayne egli avrei detto che non sarei tornata per cena. Ci avrei pensato più tardi.
Mi incamminai verso il college, passando per il parco davanti ad esso. La luce soffusa delle ultime ore di luce del giorno proiettavano le lunghe ombre degli alberi, ormai spogli, sul prato.
Arrivai all’ingresso dopo qualche minuto di camminata rilassante: spinsi la porta di vetro ed entrai. La luce, che illuminava i vari corridoi che portavano alla biblioteca, era soffusa e delicata.
Lessi il cartello con su scritto ‘Biblioteca’ ed una freccia affianco. Andai nella direzione indicata dalla freccia e dopo qualche corridoio sbucai in biblioteca.
Era enorme, immensa. Era una meraviglia. Colma di libri e di volumi, divanetti e tavoli di legno qua e là e le lampade sui tavolini illuminavano perfettamente l’area lettura.
La tappezzeria era scura, sul verde, e c’era molto legno, tanto che il suo odore impregnava i vestiti di chiunque rimanesse lì per almeno cinque minuti.
Posai lo zainetto di pelle marroncina e il giubbotto nel guardaroba. Frugai nella tasca sinistra e ne tirai fuori un elastico blu. Mi legai i capelli in una coda di cavallo alta, faceva caldo lì dentro, ma l’atmosfera era una delle mie preferite.
A quell’ora di sera c’era poca gente, quasi tutti studenti in preda agli esami di fine trimestre.
Mi avviai verso il reparto romanzi: avevo una gran voglia di leggere un qualcosa d’avventura.
Mi addentrai tra gli alti scaffali colmi di libri di ogni grandezza e dimensione. Scorsi con lo sguardo lungo alcune file, poi mi fermai.
- Trovato!- un sussurro impercettibile.
La mia mano si alzò e feci qualche passo in avanti, con un’espressione sognante e illuminata. Le mie dita sfiorarono la costola liscia e fredda di un libro, né tanto grande né tanto piccolo.
‘Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban’. Il mio preferito.
Lo sfilai dal suo posticino e lo aprii: ne annusai le pagine, le parole impresse sulla carta.
I libri erano la cosa che mi allietava di più, dopo il mare. La mia mente usciva dal mio corpo, viaggiava in mondi diversi, ogni volta, ogni storia.
Li preferivo di gran lunga alle persone. Non avevo mai detto a nessuno quello che pensavo.
Mi ripresi da quella fragranza estasiante, e mi diressi verso uno dei tanti divanetti.
Arrivata poggiai il libro sulla seduta e mi diressi verso la caffetteria. Mi fermai e feci retro front: il libro sarebbe venuto con me, al diavolo il posto sul divano.
Mi trovai davanti ad un tavolo con bicchieri di cartone col logo del college sopra, tazze di coccio colorate, varie caffettiere con vari tipi di caffè caldo dentro e bustine di zucchero.
Acchiappai il manico della brocca con caffè americano semplice e lo versai in una tazza azzurra, aggiungendoci una bustina di zucchero.
Recuperato il libro e afferrata per bene la tazza, mi diressi verso il posto prescelto gustandomi il fatto che fosse ancora libero.
Mi sedetti , togliendomi le scarpe e mi misi a gambe incrociate. Aprii il libro, alla prima pagina.
Avrei ricominciato a leggerlo per la quindicesima volta. O sedicesima, avevo perso il conto.
 
Era passata almeno un’ora da quando avevo cominciato a leggere. Dovevo mandare un messaggio a Wayne. Chiusi il libro, che avevo divorato per metà. Lo posai sul tavolino accanto a me, sotto la lampada di vetro verde.
- Il telefono è nello zaino… mi sembra logico- il tono era basso, ma lasciava trasparire una punta di nervosismo.
- Puoi usare il mio- un tono caldo, niente di sconosciuto.
Mi girai lentamente: dietro di me, al di là dello schienale c’era un uomo alto, dal fisico sicuro e forte. Alzai lo sguardo verso il viso.
Porca merda.
- Prof… professore. Buonasera- balbettavo. Santo cielo, balbettavo.
- Faccio quest’effetto agli studenti?- la sua voce era suadente.
I nostri sguardi s’incrociarono. I suoi occhi. Era proprio bello: i lineamenti mascolini e decisi del viso, i capelli mossi di un biondo miele, che addolcivano il nero della montatura degli occhiali.
- Si… cioè no, volevo dire no, assolutamente no- rise, e anche se si contenne, sapevo che dentro si stava sganasciando dalle risate.
- Allora, vuoi usare il mio?-
- Oh, si grazie!- ero piuttosto imbarazzata.
Tirò fuori dalla tasca il suo smartphone e me lo porse gentilmente. Lo presi, sfiorando le sue dita.
Composi il numero e inviai il messaggio. Sentivo i suoi occhi addosso a me, scrutarmi e osservare attentamente i miei movimenti.
- Ecco… grazie di nuovo prof- gli porsi il cellulare.
- Non è necessario che tu mi dia del lei fuori dalle lezioni. Chiamami Derek. Semplicemente Derek, ok?-
- Ok, Derek- sorrise, sorrisi anch’io.
- Posso sedermi qui con te?-
Rimasi interdetta, col fiato sospeso. Non me lo aspettavo. O forse si.
- Certo!-
Fece il giro e notai i jeans attillati: non ne ero sicura, ma pensai che mi fosse saltato un nervo e qualcosa di simile.
Si sedette delicatamente, e vidi i muscoli delle gambe sorreggere il peso. Si accomodò, si girò e i suoi occhi ghiaccio si posarono nuovamente sui miei.
- Allora… Connie Ethan… la nuova studentessa di medicina. Come ti trovi, qui?-
- Bene, insomma è forte, interessante, fico…- balbettavo. Connie Ethan balbettava, la forte e intrepida ragazza-guerriera  non riusciva a comporre ordinatamente una frase, per di più davanti al professore di medicina.
E che professore.
Mi scossi e cercai di riprendermi dalla ‘bella’ figura appena fatta.
Si schiarì la voce.
- Dunque… tu vieni spesso in biblioteca?- piegò di poco la testa, tenendo fisso lo sguardo nel mio.
- Oh si! Io adoro leggere, sentire il profumo dei libri, sfiorarne le pagine e la copertina-
- I tuoi occhi…- la sua voce era sfumata da un tono sognante.
- I miei occhi? Cos’hanno?-
- Si sono illuminati. Sono così belli.-
Arrossii, e abbassai la testa, guardandomi le mani appoggiate sulle ginocchia.
Sentii le sue dita sfiorare delicatamente il mio mento, alzandomi il viso lentamente.
- Vuoi nascondermelo?-
Riportai lo sguardo sul suo, trovando un sorriso dolce e avvolgente, oltre alla distesa di ghiaccio nelle sue iridi.
- Potrei-
- Sono il tuo professore- il tono si fece scherzosamente più serio.
- Non qui-
La mia bocca si piegò, formando un sorriso malizioso e ingannatore.
- Fregato-
- Puoi dirlo forte-
Le dita sotto il mio mento scorsero lungo la guancia fino a posarsi dietro l’orecchio, accarezzando la pelle ed i capelli.
Avvicinò il viso al mio, lentamente, fino a sfiorare la punta del naso.
- Voglio portarti in un posto speciale- mi sussurrò appena.
- Dove?- sussurro di rimando.
- Il reparto dei libri proibiti- la sua allusione ad Harry Potter mi fece sorridere ancora di più.
- Allora portamici-
Si allontanò dal mio viso, prendendomi la mano. Si alzò e mi aiutò a fare lo stesso.
Con la coda dell’occhio vidi la bibliotecaria osservarci attentamente.
Fece un passo, poi un altro, scivolando via lentamente, tenendomi per mano e portandomi con se.
Ci allontanammo sufficientemente per non essere visti dalla bisbetica bibliotecaria e cominciammo a correre, poggiando i piedi per terra come se fossero nuvole.
Ogni tanto si girava verso di me, guardandomi e sorridendomi, per poi tornare a guardare avanti stringendomi di più la mano.
Dopo qualche minuto di corsa per i passaggi e gli scaffali bui della grande biblioteca, arrivammo davanti ad un arco semi nascosto. In cima ad esso c’era un cartello di legno.
Libri Dimenticati.
- Libri dimenticati…- la mia voce uscì leggera.
- Angolo segreto…- mi sorrise, avvolgendomi nuovamente col suo sguardo gelato.
 
[…]
 
Eravamo là dentro da non so quanto. Eravamo seduti per terra, con due lampade poggiate sugli scaffali intorno a noi. Pile di libri ci circondavano, alcuni aperti altri con poggiati con le pagine rivolte verso il basso.
- Guarda qui! C’è scritto che in Giappone c’è un vortice in mare che si chiama Naruto!-
- Fa vedere!- io amavo il Giappone.
- No- allontanò il libro, impedendomi di vedere cosa c’era scritto.
- Ehi!- mi buttai addosso a lui, agitando le braccia in aria cercando di afferrare il libro. Troppo alto, era decisamente troppo alto, lui e il suo braccio.
Appoggiai la mano sul pavimento morbido, in mezzo alle sue gambe incrociate. Il mio petto contro il suo, il mio viso che sfiorava il suo collo.
- Na na na… voglio qualcosa in cambio, cosa credi?- la sua voce si abbassò, divenendo dolce e soave.
- Cos… cosa vuoi in cambio?- balbettavo. Di nuovo.
Piegò la testa sulla mia, ed io alzai lo sguardo verso il suo: le punte dei nostri nasi si sfiorarono. Socchiuse la bocca e gli occhi.
Sentii il suo respiro sfiorare la mia pelle, sentii la sua mano accarezzarmi la nuca delicatamente.
I battiti di entrambi i cuori accelerarono. I respiri veloci e caldi.
La mano libera abbracciò la mia vita, tirandomi a sé.
Dalla nuca, le sue dita, scivolarono sotto il mento. Mi alzò il viso.
Un senso di calore invase la testa, irradiandosi nella pelle. L’umidità delle sue labbra, la dolce pressione che imprimevano su esse.
Oddio.
Si staccò di qualche millimetro, tenendo sempre le dita sotto il mio mento.
- Questo. Ma all’infinito- un sussurro.
Portai le mie mani sotto i suoi orecchi, affondando le dita nei capelli morbidi e arruffati. Scivolai a sedere in mezzo alle se gambe, che si sciolsero dall’intreccio e che mi strinsero. Le mie passarono sopra le sue, nel senso contrario al loro.
Le sue braccia passarono sotto le mia, stringendo delicatamente le mani sulle mie scapole.
Poggiai nuovamente le labbra sulle sue.
Sentivo le sue dita giocare con la stoffa della mia maglietta.
Le sue mani scesero lungo i miei fianchi, afferrandomi la maglia e tirandola leggermente su.
I nostri respiri si fecero alterati.
Le mie mani corsero anch’esse sulle sue anche, afferrando il golf rosso bordeaux. Strinsi ancora più forte la stoffa e sentii le sue mani poggiarsi sulle mie.
Lentamente tirammo su la sua maglia, scoprendo l’addome e il petto.
Rimasi incantata, lo sguardo correva per il suo corpo.
La pelle sfumata di bronzo, scolpita perfettamente.
Il cuore stava esplodendo, sentivo le pulsazioni fin nei polpastrelli.
Mi attirò a sé, togliendomi la maglietta: rimasi in reggiseno. Un brivido corse per la mia schiena, facendomi uscire un gemito dalla bocca.
La sua mano afferrò delicata la mia guancia, portandomi la bocca sulla sua.
Sentii la sua lingua bussare alle mie labbra, che aprii, lasciando così intrecciare le nostre lingue.
La mano libera scivolava e saliva per il mio corpo, sfiorando e solleticando la pelle nuda.
Chiusi gli occhi e Derek mi avvolse nelle sue braccia.
Mi sentivo al sicuro.
Movimenti rapidi. Aprii gli occhi e guardai oltre la sua spalla: c’erano i nostri vestiti sparsi sopra i libri, compresi i pantaloni. Non ricordavo di averli tolti.
Sorrisi.
Sentii il tocco della sua bocca lasciare boccioli umidi sul collo. Socchiusi la bocca, e inclinai di poco la testa all’indietro.
L’ultimo lembo di stoffa che indossavo, scivolò via. Anche il suo.
Le sue carezze percorrevano tutto il mio corpo, tutto. Piccoli frammenti di gemiti scivolavano fuori dalla mia bocca, quando il suo tocco raggiungeva la mia delicatezza.
La stretta delle sue dita si fece più forte, e le mie braccia intorno al suo collo si strinsero.
Mi prese in collo. Una scarica di calore si irradiò nel mio corpo.
Tutto si fece silenzioso, incredibilmente sospeso tra il caos e la pazzia.
La mia bocca aperta, non emetteva alcun suono, solo un lento e sibilante respiro irregolare.
Anche lui, come il tempo, si fermò.
Il suo petto si alzava e si abbassava velocemente. Sentivo il suo battito incalzante e impazzito. Lo sentii deglutire, i suoi capelli che sfioravano il mio collo.
Il suo viso si mosse lentamente e piccoli baci si posarono sul mio seno.
Cominciammo a muoverci, ed agni piccola mossa una scarica di brividi elettrizzanti mi percorrevano da capo a piedi.
Passarono minuti, ore. Persi la cognizione del tempo.
 
[…]
 
Avevo il fiatone, ce l’aveva anche lui.
Era sdraiato per terra, io sopra di lui, la sua mano abbandonata sulla mia schiena nuda. Il mio viso sprofondava nel suo petto, che si alzava e si abbassava velocemente.
Ero cullata dal profumo di sudore caldo e di libri vecchi.
Aprii gli occhi e si tirò su, sui gomiti. I muscoli delle braccia si gonfiarono e le vene si resero evidenti.
Con una mano mi accarezzò la fronte, poi la guancia, scendendo dietro l’orecchio.
Io alzai lo sguardo, fino ad incrociare il suo.
- Stai bene?- mi sussurrò delicatamente.
- Mai stata meglio- il mio era un punto di voce in mezzo al mare di silenzio che ci circondava.
Mi sorrise. Io gli risposi con uno dei più bei sorrisi che avevo, cercando di sconfiggere al meglio la stanchezza.
Sentii i rintocchi della mezzanotte della chiesa vicino.
- Io… io devo andare. È tardi- Osservai la sua espressione: era triste, sconsolata. – Guarda che non scappo mica, vado semplicemente a nanna- gli sorrisi ancora di più.
- Va bene, ti lascio andare-
Mi alzai, cercando alla cieca i vestiti: ci trovavamo vicino alla finestra, e da essa filtravano i raggi di luna che illuminavano un po’ la roba per terra.
Mi rivestii in fretta e riordinai le mie cose. Mi fermai un attimo e sorrisi. Mi abbassai e acchiappai i suoi pantaloni. Glieli lanciai.
- Pensi di rimanere come mamma ti ha fatto ancora per molto?- ridacchiai.
- Mah.. ci stavo pensando. È così comodo…- rise anche lui.
Mi avvicinai a gattoni a lui, ed una volta davanti a lui mi sporsi sulle sue labbra. Chiusi gli occhi e rimanemmo così per alcuni secondi.
Mi staccai e mi rialzai. Presi lo zainetto che mi ero portata dietro e mi avviai verso la porta d’uscita.
Mi girai poco prima di uscire.
- Ci si vede a lezione, professore…- sorrisi ed uscii, pronta per tornare a casa.
 
 
 
 
Ed ecco il settimo capitolo! Accidenti siamo già a questo punto… bene bene…
Ringrazio tutti quelli che leggono la mia storia, spero che vi piaccia e che non vi annoi.
In questo capitolo sono successe un po’ di cose, e per Connie il peso dell’inganno si sta facendo più leggero, grazie soprattutto ad il professore Derek! Dovranno stare attenti se non vogliono finire nei guai…
Beh non mi resta che dirvi alla prossima!
Bacioni, Tex.
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: blackhina