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Autore: Wazzighez    02/05/2014    0 recensioni
Scrivere una lettera ad un fratello perso troppo presto, per confidare al cielo e all'invisibile qualcosa che abbiamo dentro, qualcosa che tenta ogni giorno di esplodere, che non riusciamo più a trattenere. Il dialogo di un uomo che solo vorrebbe sentirsi sempre un ragazzo, e avere ancora accanto la propria metà.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco un'altra storia, è simile alla precedente nel senso che si tratta sempre di una lettera e chi la scrive è lo stesso personaggio, ma il destinatario è diverso. Se vi va date pure un'occhiata anche agli altri miei racconti e lasciate una piccola recensione! Buona lettura.

“Il foglio bianco è qui davanti a me, e pare fissarmi in un ostinato silenzio, come in attesa che la mia penna cominci a scrivere. Ma è la prima volta da tanto tempo che mi mancano un po' le parole, che non so bene come iniziare, come avviare il discorso. Vorrei dire talmente tante cose che la mia mente sta tentanto invano di arginare le più futili e concentrare quelle più importanti, ma il vorticoso giro di idee e pensieri e parole non dette ed emozioni nascoste non mi dà tregua, e perciò non mi resta altro da fare che rassegnarmi e scrivere, buttare su questa carta bianchissima e quasi nuova tutto ciò che mi tengo dentro da tanto, troppo tempo.
Sono passati trentacinque anni, Max, trentacinque anni: sono talmente tanti che devo ripetermi il numero più e più volte per capacitarmene, devo sbirciare nello specchio davanti a me per rendermi conto che ormai i miei capelli non sono più biondi, ma un po' ingrigiti dal tempo, e che il mio viso non è più sempre così liscio e allegro, ma un po' più contratto, la fronte aggrottata, gli occhi più scuri. Ogni volta che mi guardo e mi accorgo dello scorrere del tempo, il cuore comincia a battere più forte, e allora capisco che sono trascorsi trentacinque anni da quel giorno in cui te ne sei andato.
Ne sono successe di cose, e probabilmente se tu fossi ancora qui le avrei sapute affrontare meglio, le avrei sapute gestire meglio, e ad oggi avrei ancora il sorriso di un tempo, e la testa non mi farebbe così male ogni sera per il panico che a volte mi prende quando penso a te e mi accorgo che non sei qui, ed è come se me ne accorgessi sempre per la prima volta, è come se qualcuno mi trascinasse indietro nel tempo fino al momento in cui mi dissero che te n'eri andato.
Ma sono passati anni, Max, sono passati anni: e ormai tutto si è risolto in una triste abitudine, svegliarsi la mattina e non dover più andare a scuola in motorino ma al lavoro in macchina, fare colazione con a malapena un caffè chiacchierando con tua moglie, invece del solito thè al limone e gocciole mentre ascolti il quieto parlare di tuo fratello. Tornare a casa la sera e trovare la cena già pronta e due figli che ti si attaccano al collo subissandoti di domande, ma non vedere da nessuna parte tuo fratello che ti sorride e ti indica la tavola da apparecchiare.
Ogni tanto, quando il lavoro mi dà un po' di tregua e posso concedermi qualche minuto da solo, nel mio studio, seduto ad una meravigliosa scrivania di mogano lucido con un barattolo di penne blu davanti a me, allora mi ritrovo spesso a fissare la foto che campeggia all'angolo destro, accanto alla montagna di cartelle cliniche e documenti da archiviare. Ci siamo noi, io e te, la nostra ultima estate assieme, abbracciati con la nostra maglietta preferita e seduti per terra, sull'asfalto bucato del Villaggio, il sole a illuminarci i capelli scompigliati e un sorriso sulla faccia, con i denti bianchi in bella vista, e siamo così allegri in quella foto, così felici, così spensierati, in pantaloncini e ciabatte infradito, e quando la vedo vengo sempre sommerso da un'ondata di ricordi che mi perseguitano per tutto il giorno, io e te che corriamo giù per le discese con le nostre biciclette, e i papaveri e le risate e il muretto e i servizi in pizzeria. E poi penso che è tutto finito e mi prende sempre un po' di scoraggiamento, e allora mi metto a vagare per i corridoi del reparto, volo giù al pronto soccorso, sai a volte quando arriva qualche caso disperato con un buco nello stomaco o un polmone schiacciato, a volte prego che sia tu, tu che magari eri scomparso e ti hanno ritrovato solo ora, oggi, a trentacinque anni di distanza. Ma poi ovviamente scuoto la testa, e me ne vado, vado a prendere una boccata d'aria tentando di non scoppiare a piangere, perchè da un primario scene del genere non ci si possono aspettare.
Noterai sicuramente lo stile un po' stentato di questa lettera, magari tu che ricordi ancora i miei racconti dell'adolescenza, così buttati sul foglio di getto ma così belli e pieni di vita. Ma non ho molto tempo e le cose da dirti sono talmente tante che una furia cieca prende le mie dita che reggono la penna facendole correre sempre più forte.
Trentacinque anni, Max, e io ricordo ancora la tua voce sempre così allegra e rassicurante, e il tuo sorriso sempre così pieno di vita, e il tuo abbraccio che sapeva farmi dimenticare tutto. Trentacinque anni e tu sei ancora insieme a me, nella mente, ed è come se non fosse passato nemmeno un attimo, è come se ancora dovessi alzarmi il sabato mattina e sentire tu che mi dici “dai, due ore di matematica passano in fretta, e domattina potrai dormire”, è ancora come se domani fosse il primo giorno d'estate e tu mi facessi trovare la bicicletta pronta giù in cortile con la tua espressione affabile e un sacco di pane nel cestino.
Mi manchi, Max. Mi mancherai sempre, anche quando sarò in punto di morte, anche quando i miei figli si stancheranno di sentirmi raccontare storie su di te, anche quando prima o poi la foto che ho nel mio studio verrà persa e dimenticata, anche quando la mia bicicletta sarà così arrugginita da non poter far più nemmeno dieci metri di strada. Mi mancherai anche quando chiuderò gli occhi la notte e mi lascerò andare al sonno, perchè sono trentacinque anni, Max, che dormo nella speranza di svegliarmi, la mattina, e vederti al mio fianco già vestito, vivace, allegro e scattante come al solito, vedere al mio fianco mio fratello, e avere la meravigliosa consapevolezza che il tempo, e la vecchiaia, e la tediosa esistenza che mi perseguita sono stati soltanto l'incubo di una notte troppo lunga, ma giunta al culmine."

  
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