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Autore: Blue_moon    02/05/2014    3 recensioni
Terzo libro della trilogia Similitudini.
Per la comprensione della storia è necessaria la lettura delle prime due parti, Prigioni e Spie.
Sono passati tre anni da quando Loki è scomparso nuovamente con il Tesseract.
Nè sulla Terra, nè ad Asgard si sono più avute sue notizie.
Apparentemente le cose sono tornate alla normalità.
Ma nell'ombra antichi nemici stanno preparando la loro mossa, dritta al cuore.
Avvertenza: nella trama sono presenti forti SPOILER riguardo Thor: The Dark World e Iron Man 3, se non volete rovinarvi la sorpresa, non leggete.
AGGIORNAMENTI MOLTO LENTI
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Similitudini'
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Ed eccoci qui.
Probabilmente leggendo il capitolo riuscirete ad intuire perché ho impiegato così tanto tempo ad aggiornare.
Da questo momento in poi, le cose precipitano e i piani di tutte le parti in gioco iniziano a prendere forma.
Spero che riusciate ad apprezzare e a perdonare l'attesa.
Vi lascio alla lettura, fate molta attenzione, ci sono indizi importanti.

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Il Carrousel du Louvre era affollato come sempre, meta ambita tanto dai parigini quanto dai turisti, immancabili nella capitale francese. Le gallerie scintillanti dei negozi esclusivi offrivano un ottimo intrattenimento prima e dopo la visita al celebre museo sotto il quale sorgeva il centro commerciale. Lottando contro la calca, una giovane donna tentava di allontanare la propria bambina dalla vetrina di giocattoli davanti alla quale si era incantata da diversi minuti.
«Ma petite», la richiamò dolcemente la donna, tentando di prenderla in braccio, ma la bimba protestò, divincolandosi dalla presa della madre.
Intenerita, la donna si abbassò all'altezza della piccola, cercando di farla ragionare con promesse che probabilmente non avrebbe mantenuto, dato che mai e poi si sarebbe potuta permettere quei balocchi tanto costosi e tecnologici.
Una vibrazione scosse il vetro davanti a loro e il pavimento di lucido marmo.
La donna sussultò, sorpresa e spaventata e, quando riprovò a prendere tra le braccia la figlia, questa non fece resistenza, inquietata dallo strano fenomeno.
Raddrizzandosi sulle gambe instabili, la giovane madre si guardò intorno ma nessuno degli affannati passanti sembrava aver notato la piccola scossa.
Un terremoto? A Parigi? Si domandò incredula la donna, poggiando il palmo della mano sul vetro, come a controllare di non essersi immaginata tutto.
In risposta, una seconda vibrazione, più forte, lo fece tremare violentemente, e questa volta non fu solo lei ad accorgersene.
Lo scalpiccio dei passanti si acquietò improvvisamente, in un inquietante fermo immagine.
Un basso rombo crebbe tra le pareti del centro commerciale.
Un sussulto repentino, un singhiozzo della terra stessa, fece perdere l'equilibro alla madre, che crollò in ginocchio.
«Maman», strillò la bambina, aggrappandosi più forte a lei e nascondendo il visino sulla sua spalla.
«Va tutto bene», tentò di tranquillizzarla la donna, ma la sua voce venne ingoiata dal fragore della vetrina che esplose in mille pezzi, prima che un roboante tuono sovrastasse ogni suono.
L'ennesima scossa di terremoto, questa volta violentissima, squassò la città di Parigi come mai prima nella sua storia.
Per le strade, l'asfalto si crepò in più punti, fino a spalancarsi in decine di bocche fameliche che, in pochi istanti, fagocitarono persone, auto, negozi e la stessa normalità.

La sirena squarciò il silenzio nella palestra del terzo livello, interrompendo gli esercizi dei pochi agenti presenti. Era da poco passata l'ora di pranzo e nel locale vi erano appena sei persone, tra cui Ivy, che stava tentando di persuadere Drew a darle qualche lezione di judo, dopo aver scoperto che il ragazzo era un discreto dilettante nella disciplina.
Dapprima, quasi spaventata dall'intensità del suono, la ragazza si guardò intorno spaesata, cercando sul volto di Drew una spiegazione.
Il giovane agente le fece cenno di aspettare, sollevando il dito indice.
«Tutti gli agenti di livello sette a rapporto alla plancia di comando», disse la voce del Direttore Fury, da uno dei numerosi altoparlanti sparsi per la base.
Dopo l'annuncio, solo due degli agenti presenti, Triplett e May, se Ivy non ricordava male, lasciarono di tutta fretta la palestra.
«Cosa significa?», chiese Ivy, tornando a fissare il giovane tecnico informatico al suo fianco.
«Guai», replicò Drew, spegnendo con un gesto il tapis roulant che aveva appena acceso.
«Sei stato convocato anche tu?».
Drew scosse la testa. «No, io sono appena un livello quattro. Ma è meglio che ti accompagni alla tua stanza, potrebbero convocarmi a breve», spiegò, facendo cenno alla ragazza di seguirlo.
«Ma cosa può essere successo?», insisté Ivy, mentre camminavano lungo il corridoio che portava alla maggioranza degli alloggi.
«Una cosa grossa, per richiedere tutti gli agenti di un livello così alto... Triplett, May e Barton sono schizzati come molle non appena hanno sentito l'annuncio».
Ivy annuì distrattamente, evitando di domandare dove diavolo fosse Barton, dato che non l'aveva visto nella palestra. Immaginava che fosse appollaiato da qualche parte sopra di loro, facendo onore al suo soprannome, evidentemente meritato.
All'interno dello Helicarrier c'era una tensione palpabile da giorni. Da Asgard non erano giunte notizie di nessun tipo e le ore si consumavano nell'attesa e nell'inattività, almeno fino a quel momento.
«Forse ci sono notizie da Asgard». Ipotizzò tra sé e sé la ragazza, mordendosi le labbra.
Drew la fissò. «Non credo. Se fosse stato così non avrebbe senso convocare tutti gli agenti di alto livello della base, ma solo alcuni, più i Vendicatori... no, qualsiasi cosa stia succedendo, riguarda il nostro piane...», il ragazzo si interruppe improvvisamente, bloccandosi nel bel mezzo del corridoio.
«Drew?», lo chiamò Ivy, indecisa se ridere o preoccuparsi per l'espressione del giovane.
Lui la ignorò. «Vieni con me», le intimò, afferrandole la mano.
«Drew!», squittì lei, sorpresa, ma in parte eccitata per quell'improvvisa agitazione.
Per quanto potesse fingere, iniziava ad annoiarsi immensamente, parcheggiata lì a far nulla.
Lungo i corridoi non incontrarono nessuno, e la cosa apparve strano ad Ivy, normalmente c'era sempre un sacco di gente in giro a quell'ora.
«Drew, dove mi stai portando?», chiese la ragazza, strattonando la mano per convincere il ragazzo a lasciarla ed affiancandolo nella corsa.
«Alla mensa», replicò lui, con il fiatone.
Ivy aggrottò la fronte. «Abbiamo appena mangiato, nel caso te lo fossi scordato».
Drew sbuffò. «Non per mangiare!», esclamò, rallentando il passo fino a fermarsi.
«Illuminami», lo incitò Ivy, sarcastica.
«Un'emergenza tale da richiamare solo gli agenti di alto livello deve per forza essere qualcosa di grosso... molto grosso», spiegò Drew.
«Ok, c'ero già arrivata, stiamo per morire tutti, ma ancora non mi è chiaro cosa diavolo ci andiamo a fare in mensa? Un ultimo pasto?», lo interruppe Ivy, sempre con tono polemico.
«La televisione!», cedette Drew tra il divertito e l'esasperato. «Qualsiasi cosa stia succedendo, certamente i giornali ne staranno parlando».
Ivy sembrò confusa solo per un attimo poi, senza proferire parola, di voltò e riprese a correre.
«Che fai?», la rimproverò bonariamente Drew, rincorrendola.
«Voglio un posto in prima fila!», scherzò la ragazza, accelerando il passo.

L'agente Whedon non era stato l'unico a fare l'ovvio collegamento tra la televisione e l'annuncio di Fury. La sala ristoro era gremita di persone, ma il silenzio, quando Ivy e Drew vi entrarono, era pesante come un macigno.
Facendosi largo a gomitate, la ragazza riuscì ad avere finalmente una visuale del grande schermo al plasma appeso alla parete sopra la caffetteria. Quando i suoi occhi riuscirono ad interpretare ciò che stava vedendo, le passò di colpo tutta la voglia di scherzare.
Sgranò gli occhi, mentre qualcosa tra lo stomaco e lo sterno si agitava, come una serpe capricciosa. Un fiotto di bile le salì nella bocca, mentre i suoi occhi osservavano i palazzi distrutti, accartocciati come fogli di carta, l'asfalto pieno di crepe e canyon profondi, simile alla terra inaridita di un deserto.
La figura familiare della Tour Eiffel pendeva obliqua, semi sommersa da ciò che restava della Senna.
Improvvisamente anche le pareti intorno a lei iniziarono a tremare, ed Ivy era di nuovo una bambina, sola nel fragore del mondo che le precipitava intorno.
Come allora, si coprì le orecchie ed iniziò ad urlare.

Un secondo colpo centrò la torretta, tranciandone di netto la cima e minandone la stabilità.
Per un secondo rimase in bilico, poi si riavvolse su sé stessa, precipitando lungo la piazza sottostante, sommergendo asgardiani ed Elfi Oscuri.
Il crollo diede tempo all'esercito asgardiano, completamente colto impreparato dall'attacco nel cuore della notte, di riorganizzassi, almeno in parte.
Thor, ricoperto di polvere e sangue non suo, richiamò a sé Amora e Sif, entrambe provate ma illese.
«Lady Amora, i nostri alleati e mio padre sono al sicuro?», chiese Thor.
«Il padre degli Dei è ben protetto. I sovrani di Alfheim, Muspelheim, Hel e Vanaheim ci hanno assicurato il loro appoggio, in questo drammatico frangente. Hanno declinato l'offerta di lasciare Asgard attraverso il Bifrost», asserì la Dea, brandendo la spada e finendo con un colpo preciso al petto un Elfo ferito ai suoi piedi.
Thor annuì. «Rintraccia il generale Tyr, capite da dove stanno arrivando e fermatene l'avanzata, con ogni mezzo».
Amora annuì, con una lieve riverenza. «Come ordinate».
Sif, con la guardia alta, si guardò velocemente intorno.
Il crollo aveva sterminato gran parte dei nemici, ma anche del contingente sotto il suo comando, i pochi ancora in vita sembravano feriti troppo gravemente per continuare a combattere.
Gli occhi le si riempirono di lacrime di frustrazione. L'attacco era iniziato nel bel mezzo del banchetto di addio alla Regina, proprio mentre la maggioranza dei soldati erano vulnerabili.
La maggioranza di loro era caduta senza avere nemmeno la possibilità di difendersi in modo onorevole.
Immediatamente la confusione non aveva permesso loro di comprendere da dove il nemico fosse giunto, poi era divenuto lampante che interi contingenti di Elfi Oscuri erano come comparsi dal nulla in molte parti della città e, lasciando una scia di panico e morte per le strade di Asgard, ora stavano puntando dritti al palazzo reale.
Quando l'allarme era scattato, era ormai tardi e troppe vite si erano perdute in modo irreparabile.
Ora la situazione stava rapidamente peggiorando con l'arrivo delle navi da guerra degli Elfi, potenti e numerose, simile ad uno stormo di corvi neri dagli occhi di fiamma.
«Sif», la chiamò la voce di Thor.
La donna si affrettò a nascondere le lacrime, fingendo di asciugarsi dell'immaginario sudore dalla fronte rigata di polvere scura. «Cosa ordini?», domandò, con voce meno limpida di quanto avrebbe voluto.
«Trova Khalida e portala via da qui, Heimdall ha ordine di lasciarla passare», iniziò il Principe, prendendo la compagna per una spalla, stringendo appena per incoraggiarla. «Tu andrai con lei, a Midgard devono sapere cosa sta accadendo».
«Anche qui c'è bisogno di me», protestò Sif, quasi incredula. «Questa è la mia città, la mia gente, Thor. Non posso abbandonarli».
«Non è ciò che ti chiedo. Dopo aver informato lo S.H.I.E.L.D. di ciò che sta succedendo, farai ritorno, portando i Vendicatori con te », replicò Thor.
Sif aprì la bocca per protestare, ma Thor la fermò, prendendola per le spalle e fissandola negli occhi. «Ho bisogno del tuo aiuto in questo. Sei l'unica di cui mi fidi».
Nuove lacrime salirono agli occhi di Sif, perché sapeva che Thor le stava mentendo.
Benché il Principe si fosse dimostrato, in più occasioni, ignaro dei sentimenti che la guerriera provava per lui, non aveva mai esitato ad utilizzare l'ascendente che aveva su di lei, spesso in modo piuttosto meschino, convincendola a fare cose che non riteneva né giuste né sagge.
Eppure la consapevolezza di essere usata non aveva affatto diminuito i suoi sentimenti, n'è quel potere di Thor su di lei.
Arrendendosi per l'ennesima volta a quel sentimento che disprezzava, la guerriera più forte di Asgard chinò il capo. «Come ordini», mormorò, portando lo scudo al petto.
Thor accennò un sorriso. «Grazie Sif», disse.
Ma lei non lo stava più ascoltando.

Nell'aria c'era odore di polvere, mischiato all'aspro sentore della carne bruciata.
Khalida chiuse gli occhi, scacciando le lacrime.
Non sapeva dire quanto tempo fosse passato dall'esplosione, potevano essere pochi minuti, ma anche molte ore, per quanto riusciva ad intuire.
Sollevandosi a sedere con cautela, Khalida osservò le proprie braccia e il resto del corpo, in cerca di ferite. L'abito prezioso che indossava era ricoperto di polvere e schegge di metallo, lacero e ormai irriconoscibile, ma fortunatamente era illesa.
Esplosioni e sibili riempivano il silenzio, illuminando l'oscurità di lampi cremisi. Benché dallo squarcio aperto nella grande porta davanti a lei non riuscisse a vedere nient'altro che fumo nero e denso, era chiaro che Thanos aveva fatto la sua mossa.
Khalida strinse le labbra, serrando la mano sull'asta di Match, che ancora stringeva in mano; in quel momento l'innaturale energia dell'arma le sarebbe stata utile, ed eventuali preoccupazioni sulla sua salute non avevano senso.
Usando l'arma come un bastone, si tirò a sedere sui talloni, guardandosi intorno con circospezione.
Il fumo le oscurava la visuale ma, per quanto riusciva a vedere, era sola e la cosa la confortò. Gemendo per una fitta al braccio destro, Khalida strappò con decisione gran parte della lunga gonna che l'avrebbe solo impicciata durante la fuga. Sperava di essere in grado di passare inosservata e riuscire ad arrivare al Bifrost senza dover ingaggiare battaglia.
Non era un codarda, ma non aveva intenzione di affrontare nessun Elfo.
Quella non era la sua guerra.
Il fragore della battaglia si intensificò, e Khalida comprese che non era tempo di indugiare oltre.
Quando fu in piedi, si ricordò di Loki.
Fu in parte sorpresa di riconoscerne la familiare figura acquattata nei pressi della porta, in una posizione di favore che gli permetteva di scrutare l'esterno senza però essere visto da eventuali nemici.
Lui le dedicò solo un breve sguardo, e le fece cenno di non fare rumore.
Khalida annuì, lasciando morire la flebile luce di Match, per evitare di svelare la sua posizione.
Raggiunse Loki appena in tempo per vedere spuntare in fondo al lungo corridoio un manipolo di circa una decina di Elfi.
Erano tutti a volto coperto, con le lunghe orecchie dalla pelle bruciata che spuntavano ai lati delle maschere inespressive. Alcuni portavano lunghe spade ricurve al fianco e cinture cui erano appese piccole sfere nere, la maggioranza imbracciava armi che le ricordavano i fucili alimentati dal Tesseract. In mezzo al drappello di soldati, svettava un Elfo dalla statura nettamente superiore rispetto ai suoi simili, che erano piuttosto bassi e tarchiati. Al contrario dei compagni, indossava un'armatura nera come cenere, e la pelle stessa delle sue braccia sembrava ustionata e spaccata. Dietro il grande elmo, un luccichio rosso vivo faceva intuire la presenza degli occhi, in quell'oceano di oscurità. Quando gli elfi passarono proprio all'esterno della sala delle armi, Khalida istintivamente trattenne il fiato, anche se sapeva che Loki avrebbe potuto facilmente nasconderli alla vista dei soldati.
Loki attese qualche minuto, prima di azzardarsi a muoversi.
Khalida valutò per un'istante se fosse il caso di seguirlo o meno, poi l'istinto ebbe la meglio. Forse Loki non l'avrebbe protetta, ma con lui accanto aveva più possibilità di non venire uccisa.
L'esplosione aveva aperto un foro nella possente porta di metallo, largo poco più di un metro e mezzo, dai bordi frastagliati e taglienti.
Quando Khalida provò a fare leva con le mani per scavalcarlo e oltrepassare l'uscio, riuscì solo a ferirsi le mani.
Trattenendo un imprecazione tra le labbra, la donna si preparò ad un secondo tentativo, ma Loki non gliene lasciò il tempo. Senza proferire parola, si sporse dall'apertura, le circondò i fianchi con le braccia e dopo pochi istanti la depose nuovamente a terra.
«Grazie», mormorò Khalida, sorpresa dal gesto.
Si guardò intorno, e il fiato le fuggì dai polmoni.
Aveva vissuto gran parte della sua vita in zone di guerra, devastate e sventrate da conflitti feroci e logoranti, eppure niente l'aveva mai toccata tanto come la vista della splendente città di Asgard accesa dai fuochi della distruzione. Caccia affilati come lame, virgole nere nel fumo, solcavano il cielo, scaricando sugli edifici raffiche di proiettili luminosi, che sembravano possedere una potenza inaudita. Ognuno di essi era in grado di fare a pezzi intere torrette.
La donna intuì che doveva essere stato uno di quei colpi a perforare la porta e devastare il bel balcone dove fino a poco prima ardeva il braciere. Solo allora, notò il sangue sulle pietre, e ciò che restava dei due soldati di guardia alla sala delle armi.
Cercando di distogliere lo sguardo, incrociò gli occhi di Loki, fissi e attoniti nell'osservare la città, che tanto aveva disprezzato quando bramato, ora in fiamme, prossima al collasso.
Un luccichio di lacrime fece capolino nei suoi occhi, ma svanì immediatamente dopo.
Nervosamente, si guardò intorno. «Siamo troppo esposti, dobbiamo spostarci», constatò.
Khalida annuì.
Nonostante ciò che aveva pensato poco prima, qualcosa dentro di lei bramava la battaglia, anelando a vendicare la bellezza violata di un luogo eterno come Asgard che mai, in millenni di storia, aveva conosciuto la guerra sul proprio suolo.
Si accorse, dopo un breve secondo di stupore, che il desiderio non proveniva da lei, ma dall'entità dentro Match.
La cosa la spaventò ed eccitò in egual misura, rendendola consapevole che Match la rendeva effettivamente qualcosa di più, rispetto ad un normale essere umano.
Un caccia saettò poco lontano da loro, scaricando una nuova raffica di colpi sugli edifici sottostanti. Una delle torrette più alte del palazzo reale tremò, poi collassò su sé stessa, facendo vibrare il pavimento sotto i piedi di Khalida.
Istintivamente strinse i denti e la presa su Match, che si riaccese sfrigolando.
L'energia pulsava e premeva per uscire e la donna non era più sicura di avere un motivo per trattenerla.
Quella scintilla di incertezza venne spazzata via da un pesante rumore di passi, metallo contro il marmo lucido della terrazza.
Un drappello di Elfi, probabilmente lo stesso che era passato poco prima, comparve alle spalle di Khalida e Loki e, dopo una rapida esitazione, puntò le armi contro di loro, caricandoli.
Loki rilassò le braccia lungo il corpo.
In ognuna delle mani teneva un pugnale dalla lama sottile, lunga circa venti centimetri. Dello Scettro non c'era traccia e la donna immaginò che, dato che lui era l'obiettivo di quell'invasione, non volesse farsi riconoscere tanto facilmente.
«Se fossi intelligente, ora scapperesti», mormorò Loki, osservandola mettersi in posizione di difesa, con i piedi piantati a terra, le gambe divaricate, Match stretto in entrambe le mani.
Un sorriso feroce salì alle labbra di Khalida. «Sono umana, non intelligente», replicò, formando con la mente una sfera d'energia grande quanto un pallone da calcio.
Stava diventando sempre più facile, man mano che smetteva di resistere alla forza di Match. Come se l'entità fosse un muscolo, che si rassodava con il costante esercizio.
Lo trovava spaventoso ed affascinante al contempo.
Espirando con forza, Khalida scagliò il proiettile d'energia e Loki si lanciò contemporaneamente all'attacco, moltiplicando la sua immagine per confondere gli avversari.
Propagandosi in fulmini azzurri sui primi due Elfi del gruppo, la sfera s'infranse, sfrigolando e scaraventando le sue vittime indietro di diversi metri, intralciando l'avanzata degli altri.
Loki colse l'occasione per finire rapidamente gli altri sei Elfi, tagliandogli di netto la gola, alle spalle.
Khalida si aggrappò forte a Match, mentre l'arma reclamava altra energia da lei.
Un fiotto caldo di sangue le uscì dal naso e lei non si prese il disturbo di asciugarlo.
Nonostante l'utilità dell'arma fosse indubbia, se voleva farsi strada con la forza fino al Bifrost doveva trovare un modo alternativo di difendersi, altrimenti sarebbe morta nel tentativo.
Sforzandosi di apparire stabile sulle gambe, Khalida avanzò di qualche passo, esaminando i cadaveri.
I fulmini di Match avevano disegnato una ragnatela nera sul metallo delle armature.
Con la punta del piede rigirò il cadavere più vicino. Del sottile fumo si levava dal corpo.
Un forte odore di carne bruciata le salì alle narici, facendole arricciare il naso.
Il metallo del fucile che l'alieno ancora imbracciava, nell'ultimo spasmo di vita, rifletté la luce di un'esplosione lontana.
Khalida si cucciò a terra, afferrando l'arma con entrambe le mani, strappandola senza sforzo alla presa inerte dell'Elfo.
La soppesò, trovandola più leggera di quanto si aspettasse: riusciva a sostenerla tranquillamente con entrambe le mani. Il suo funzionamento sembrava elementare; accanto all'impugnatura c'era una piccola leva che poteva raggiungere facilmente con la punta delle dita.
Incuriosita, Khalida sollevò le braccia e mirò al fondo del corridoio, flettendo appena l'indice.
Un proiettile di luce rossa si staccò dalla punta dell'arma, producendo un lieve sibilo, e andò a colpire una delle colonne.
Khalida si lasciò scappare un sorriso.
Il rinculo era praticamente nullo e la potenza dei colpi solo poco inferiore alle armi caricate con l'energia del Tesseract. La sua mira era ancora pessima, ma quella non dipendeva certo dall'arma.
Con un ultimo sguardo analizzò le armi dell'Elfo e decise di prendere anche la cintura con le sfere nere, ognuna di circa sette centimetri di diametro.
Ne sfiorò una con cautela, seguendone il profilo fino ad incontrare un lievissimo rilievo, una sorta di pulsante. Stando attenta a non premerlo, agganciò la cintura alla vita, alzandosi in piedi.
Infilò Match dentro la cintura, facendo modo che il metallo tiepido dell'arma le sfiorasse la schiena, in gran parte scoperta dall'abito.
Ora che aveva le mani libere, ed era armata, cominciava a vedere le cose più chiaramente.
Non era mai stata in una guerra vera, ma forse in quel momento tutto l'addestramento cui era stata sottoposta le sarebbe servito.
Non aveva un'idea precisa di in che punto del palazzo fosse ma, oltre il fumo, ogni tanto baluginava l'oro della cupola del Bifrost. Doveva trovare il modo di raggiungere la piazza sotto di lei, e poi correre in quella direzione, sperando di non venire ammazzata nel frattempo.
Una passeggiata.
Non fece in tempo a pensarlo che dal fondo del corridoio sbucò un nuovo gruppo di Elfi.
Erano in otto, cinque di essi erano alti almeno il doppio di lei, neri come carbone.
Un brivido di terrore ed eccitazione percorse la schiena di Khalida. «Cosa sono quelli?», sibilò.
Loki la osservò di lato. «Finalmente una reazione intelligente», ridacchiò.
«Divertente», masticò Khalida, voltandosi per osservarlo in volto, in attesa di una risposta.
«Li chiamano Dannati. Sono i loro migliori guerrieri, vengono addestrati al combattimento sin dall'infanzia», spiegò Loki, stringendo un poco le mani sull'impugnatura dei pugnali.
Muggendo qualcosa in una lingua aspra, che aveva il suono del vetro infranto, gli Elfi avanzarono con passo pesante.
Il pavimento vibrò con violenza.
Solo allora Khalida si accorse, con una fitta di panico, che altrettanti Elfi erano alle loro spalle.
Una dannata morsa di corpi ardenti e puzzolenti di cenere.
Nervosamente, spostò le dita fino al grilletto del fucile. «Sarebbe un buon momento per teletrasportarsi», dichiarò, prendendo di mira l'Elfo più vicino.
Una luce brillò negli occhi chiari di Loki. «E perdere tutto il divertimento?», rise, prima di lanciarsi all'attacco a testa bassa.
«Già, stupida io a chiederlo», brontolò Khalida, piegando le dita e scagliando il primo colpo.
Colpì un Elfo al ginocchio, e subito dopo al petto, gettandolo a terra.
Il Dannato subito dietro di lui lo calpestò senza curarsi se il compagno fosse ancora vivo.
Khalida deglutì a vuoto, indecisa su come comportarsi.
Loki era riuscito già ad abbattere tutti gli Elfi Oscuri, trafiggendoli dritto nei bulbi oculari con dei pugnali da lancio sottili poco più di uno spillo.
Ora erano circondati da sette Dannati, che li guardavano con i grossi crani inclinati da un lato. Avevano un aspetto spaventoso, con quegli occhi rossi, brillanti come braci.
Benché Loki fosse sempre apparso imponente agli occhi di Khalida, accanto a quelle masse di metallo e pelle bruciata sembrava esile come un giunco.
Affrontarli appariva come una missione suicida.
Loki indietreggiò fino al suo fianco, mentre Khalida sparava all'impazzata intorno a loro, ma i proiettili non facevano altro che provocare piogge di scintille, senza fare danni.
Un sudore gelido copriva la fronte della donna, e l'aria iniziava a mancarle.
I Dannati, armati di lunghe spade che, con un solo colpo, avrebbero potuto dividerla in due, odoravano di morte e fuliggine.
«Loki, lo Scettro», gemé, a corto di idee.
Non aveva abbastanza energie per utilizzare Match, ma lo Scettro avrebbe potuto salvarli facilmente.
«Non ancora», replicò lui, concentrato sull'avanzata dei nemici.
Khalida tentò di imitarlo.
I passi dei Dannati erano pesanti, lenti, e qualcosa nei loro movimenti dava l'impressione che fossero forti, certo, ma non particolarmente intelligenti.
La mano di Loki le sfiorò il fianco, posandosi poi su una delle sfere.
Ormai i Dannati erano a meno di un metro da loro.
Quello di fronte a Khalida sollevò la spada, pronto a calarla sulla sua testa.
Anche se provò l'istinto di chiudere gli occhi, si costrinse e tenerli aperti.
«Ora», sibilò Loki, lanciando avanti una delle sfere, su cui brillava una lucina rossa.
I Dannati la osservarono per un momento, con aria stolida, e Khalida immaginò che la sua espressione non forse molto diversa.
Loki le strinse le braccia intorno alle spalle, schiacciandola contro il suo corpo.
In un lampo freddo scomparirono apparendo subito dopo, cinque metri più in là.
Gli Elfi riuscirono a malapena ad emettere un grugnito di sorpresa, poi la piccola sfera detonò, con un'onda d'urto che lasciò un vuoto nello stomaco di Khalida.
Al centro del drappello di Elfi l'aria tremò, come arricciandosi su sé stessa.
Una folata di vento arrivò dalle spalle di Khalida, sollevandole i capelli e precipitandosi verso i Dannati.
Una voragine invisibile si aprì e risucchiò, pezzo per pezzo, tutti i nemici.
Durò così poco che Khalida non riuscì nemmeno a sbattere le palpebre.
Realizzò cosa era accaduto solo quando il corpo di un Dannato, da cui mancava gran parte del busto e la testa, precipitò sul pavimento, fumando e schizzando sangue denso e nero.
La cintura intorno alla sua vita divenne improvvisamente pesante come piombo.
Quelle piccole sfere erano in grado di generare un buco nero in miniatura.
Se ne avesse attivata una per errore, lei sarebbe completamente scomparsa.
Il cielo sopra di loro vorticò, solcato da fulmini che si raccolsero in uno solo, in un punto non troppo distante da loro.
Khalida ne seguì il percorso. «Dovresti raggiungere Thor», disse, cercando gli occhi di Loki.
Allontanandosi da lei, Loki fece una smorfia, come se avesse ingoiato improvvisamente qualcosa di acido. «Cosa ti fa credere di sapere cosa dovrei fare?», replicò, riducendo gli occhi a due sottili fessure.
Khalida alzò gli occhi al cielo. «Loki, so che non ti fidi di me, e fai bene. Al tuo posto nemmeno io lo farei», iniziò, respirando a fondo. «Ma non sono tua nemica, non lo sono mai stata».
Loki non aveva alcuna intenzione di crederle, eppure dentro di lui percepì la sincerità di quelle parole, non tanto nel tono della donna, quanto nei fatti.
La cosa, tuttavia, non aveva alcuna importanza.
Anche se Khalida non era mai stata direttamente sua nemica, i sentimenti che lei era in grado di risvegliare lo erano eccome e, nonostante ci avesse provato, non era in grado di separarli dall'esistenza stessa di lei.
Non era riuscito a lasciarla semplicemente morire, quando l'opportunità si era presentata per l'ennesima volta, e quella debolezza, che non riusciva ad estirpare, era un veleno cui temeva di assuefarsi, tanto da non accorgersi del momento in cui l'avrebbe ucciso.
Sarebbe successo, prima o poi, a meno che lui non si decidesse a fare per primo la mossa che avrebbe spento per sempre quella luce irriverente dallo sguardo della donna.
Ora, l'inaspettata sincerità nell'affermazione di lei era pericolosa, tagliente e insidiosa.
Nonostante avesse spesso messo in dubbio i suoi motivi, e la sua intelligenza, Loki aveva imparato a non sottovalutare mai le capacità di Khalida. Era una brava oratrice ed una fine stratega e, anche se faticava ad accettarlo, lo conosceva molto meglio di quanto volesse.
In quel frangete, Loki era disposto ad ammettere che l'umana aveva ragione.
Khalida aveva sempre giocato per sé, ma non aveva mai voluto intenzionalmente fargli del male, non l'aveva mai odiato, né sottostimato.
L'unica persona di cui poteva dire lo stesso era ormai solo polvere di stelle nell'universo.
Un rumore di passi, troppo lieve per appartenere ad un Elfo Oscuro, li sorprese alle spalle.
Khalida e Loki si voltarono, lei con il fucile imbracciato, le dita flesse sul grilletto, lui con i pugnali insanguinati nelle mani e un'illusione pronta sulla lingua.
Sif avanzò con passo fiero, scavalcando i cadaveri come se nemmeno li vedesse.
Anche se l'asgardiana non sembrava ferita, qualcosa nelle sue labbra strette e nella piega accentuata delle sopracciglia lasciava intendere una sofferenza più profonda di quella fisica.
I suoi occhi si posarono per un'istante su Loki, e una lieve scintilla intercorse tra i loro sguardi.
Fu breve, ma Khalida riuscì comunque ad intuirla, ed un sospetto prese forma nella sua mente.
«Khalida», la chiamò la Dea, guardandola negli occhi. «Vieni con me. Thor mi ha ordinato di scortarti al Bifrost».
Il sollievo nel cuore della donna, venne immediatamente fagocitato dal fastidio.
Ricordava ancora bene il suo scontro con Sif e, benché sapesse che lei non avrebbe mai trasgredito un ordine diretto di Thor, temeva il risentimento che correva tra loro.
Riconosceva che era fomentato solo da gelosia e invidia, perché erano sentimenti che le risultavano familiari; aveva impiegato molti anni della sua vita ad estirpare entrambi dalla propria natura; eppure, non conoscendo i veri motivi dietro quei sentimenti, si sentiva incerta su come rapportarsi con la guerriera.
Eppure, che le piacesse o meno, Sif rappresentava la miglior occasione per riuscire a lasciare Asgard sulle sue gambe.
Fece un passo avanti, annuendo.
Inconsciamente, si voltò verso Loki, e per un attimo sentì il fragore della guerra intorno a loro svanire, fagocitato da un'altra guerra, quella che entrambi stavano combattendo dentro di loro.
Loki strinse le labbra. «Ci rivedremo», mormorò, un sibilo che aveva più il sapore di una minaccia che di una promessa.
Khalida non si aspettava altro da lui.
«Lo spero», replicò lei, prima di voltargli le spalle ed affiancare Sif.
Loki le osservò a lungo la schiena, prima di rilassare le spalle.
Svanì senza rumore, in un bagliore di smeraldo.

Sif camminava svelta, rasente le pareti.
Dietro di loro avevano già seminato una scia considerevole di corpi, e Khalida si sentiva più sicura ora che conosceva l'esatta funzione delle piccole sfere che portava alla cintura.
Aveva perso l'orientamento dopo una decina di svolte senza senso, nei corridoi a pezzi del palazzo, ma la sua richiesta di spiegazioni era stata ignorata.
Sif sollevò il pugno chiuso di scatto, intimandole di fermarsi.
Khalida ubbidì, guardandosi intorno.
Dovevano essere vicini ad una finestra, o a quel che ne rimaneva. Brandelli di tende sporche di sangue e polvere svolazzavano nell'aria,, sospinte dall'aria fredda della notte.
Soddisfatta dal silenzio, Sif le fece cenno di avanzare, svoltando l'angolo.
Le due donne si ritrovarono su un balcone, piuttosto intatto.
Accanto alla balaustra una piccola nave, che a Khalida ricordava vagamente una gondola veneziana, solo più corta, fluttuava a mezz'aria.
Sif si lasciò sfuggire un breve sorriso e con un agile salto scavalcò il parapetto, gettandosi nella piccola imbarcazione.
Un basso ronzio annunciò l'accensione dei motori e grandi ventagli di lamine metalliche si aprirono ai due lati della scialuppa, simili ad ali di un uccello meccanico.
Khalida valutò per un'istante l'altezza. Esitò solo un attimo, mentre un vuoto familiare le aggrediva lo stomaco. Scavalcò la balaustra del balcone guardando fisso davanti a sé, ringraziando il suo scarso appetito. Almeno si sarebbe risparmiata l'umiliazione di dare di stomaco davanti a Sif.
Il terreno sotto di loro non era visibile, coperto dal fumo dei svariati incendi che ardevano la città eterna.
Irritata dalla sua incertezza, Sif le tese la mano e Khalida si affrettò a stringerla, lasciandosi trascinare al sicuro sulla navicella.
L'asgardiana le dedicò uno sguardo duro, probabilmente sprezzante, afferrando con entrambe le mani il timone.
La piccola nave si impennò con la prua verso il basso, e Khalida afferrò i cuscini della seduta con forza, conficcando le unghie nella stoffa.
Sif accennò un mezzo sorriso. «Cerca di non gridare», la schernì, lanciando la navicella a tutta velocità nella coltre di fumo.
Dopo alcuni interminabili secondi di caduta libera, la navetta si riposizionò in assetto orizzontale e Khalida ricominciò a respirare.
Aveva sempre detestato volare.
Sif guidò con precisione, rimanendo immersa nel fumo, nascosta ai numerosi caccia nemici che solcavano il cielo. Ogni tanto gettava lo sguardo dietro di loro, per assicurarsi che nessuno li stesse inseguendo.
«Non devi fidarti di lui», disse improvvisamente, guardando Khalida negli occhi.
La donna aggrottò le sopracciglia. «Cosa ha fatto di preciso Loki, per renderti così astiosa nei suoi confronti?».
Sif strinse i begli occhi, riducendoli a piccole fessure. «È un bugiardo. Ha tradito Thor e tutto il popolo asgardiano», la guerriera fece un gesto ampio con il braccio. «La morte della Regina, e tutto questo, è colpa sua, e della sua incapacità di comprendere il suo posto».
Khalida intravide qualcosa, un rancore molto diverso dalla fiducia tradita, nella voce incrinata di Sif. «Non fingere che la cosa riguardi Asgard. Tu lo odi da molto prima che Thor venisse bandito sulla Terra».
Sif strinse le labbra, colpita.
Quella donna era acuta, non lo negava, ma in quel caso si sbagliava di grosso.
Non aveva mai odiato Loki, non ci era mai riuscita, per quanto ci avesse provato.
Anche in quei frangenti drammatici, dentro di lei esistevano ricordi precisi di chi era stato, solo per brevi attimi, il Dio dell'Inganno al suo fianco, quando erano ancora solo due ragazzi adombrati dalla sfavillante luce di Thor.
Erano giovani e diversi dal mondo che li circondava, lei unica fanciulla in un esercito di uomini, lui unico ragazzo non fatto per la guerra in una nazione di guerrieri.
Entrambi avevano cercato quella diversità comune, usandola per sfamare la propria fame di affetto e riconoscimento. Per un breve periodo Sif aveva creduto di essere felice, anche se qualcosa sembrava sempre mancarle.
Poi era arrivato Haldorr e la guerriera aveva imparato un affetto diverso, un amore diverso.
Loki le aveva riconosciuto il suo essere un vero soldato, ma Haldorr l'aveva vista nella sua interezza, una donna guerriera che cercava solo una carezza sincera, non un modo per convincersi di essere come tutti gli altri, una semplice affermazione del proprio potere.
L'amore di Loki sapeva essere implacabile tanto quanto il suo rancore, mentre Haldorr era come balsamo sulle ferite che il mondo aveva già lasciato sul giovane cuore di Sif.
Il confronto aveva reso la sua scelta fin troppo ovvia.
In quell'occasione Sif aveva imparato a temere Loki e il suo modo sottile di odiare e vendicarsi. Non ne aveva mai avuto le prove, ma era certa che ci fosse stato il suo zampino nel modo in cui Haldorr era morto, anche se la diretta responsabile era stata Lorelei e la sua ricerca disperata del potere.
Sif premette leggermente sul timone, correggendo la rotta.
Forse c'era qualcosa di sbagliato in lei.
Non aveva mai amato Loki, questo l'avevano sempre saputo entrambi. Tuttavia, ripensando al giovane Falco Rosso, Sif riconosceva che aveva amato più il modo in cui lui l'amava, che Haldorr stesso.
E questo la rendeva un mostro alla pari di Loki, indegna di qualsiasi sentimento d'amore.
Forse per questo si ostinava a provare un amore che non sarebbe mai stato ricambiato.
Sif concentrò lo sguardo davanti a sé, cercando di fendere la nebbia e il fumo.
Sulla sua destra, un brillio annunciò che il Bifrost era vicino.
«È incapace di essere leale», si lasciò sfuggire, non sapendo più se stava parlando di Loki o di sé stessa. «Non è nella sua natura».
Khalida non replicò, qualcosa dietro di loro si era mosso.
Un bagliore rosso, appena accennato, rivelò il profilo affilato di una delle navicelle elfiche.
«Sif!», strillò la donna, allarmata.
L'asgardiana si voltò appena in tempo per veder partire un colpo, lo evitò con una manovra fluida, sollevando la prua verso il cielo.
«Tieniti forte», sibilò a denti stretti, emergendo dalla coltre di fumo.
La navetta era in posizione praticamente verticale e, contro il sole nascente, si stagliava netta, nei cieli eterni di Asgard.
Khalida cercò il Bifrost roteando gli occhi e trattenendo la nausea.
Quando lo trovò, un gemito le salì alle labbra.
Il Ponte dell'Arcobaleno era ingombro di Elfi.
Heimdall, davanti all'ingresso della camera del Bifrost, spiccava nella sua armatura dorata. Qualsiasi elfo che si avvicinasse troppo veniva decapitato o mutilato ma il Guardiano era ormai accerchiato da ogni lato e non avrebbe potuto resistere ancora per molto.
Sif valutò la traiettoria migliore, poi afferrò uno dei suoi pugnali e lo conficcò in modo da bloccare il timone. La navetta accelerò bruscamente, schiacciando Khalida e Sif contro una delle sponde.
«Al mio tre, salta», ordinò la Dea a Khalida, che annuì, stringendo di più il fucile.
Il caccia dietro di loro scaricò una raffica di colpi che sibilarono sulla loro testa.
Uno colpì la poppa e la navicella sbandò pericolosamente, inclinandosi su un fianco, per poi fare un brusco testa coda.
«Tre!», urlò Sif, afferrando Khalida per un braccio.
Entrambe le donne caddero nel vuoto, il sibilo del vento nelle orecchie.
La navetta, definitivamente abbattuta da un secondo colpo, precipitò davanti a loro, spazzando il ponte in una nuvola di scintille. Decine di Elfi vennero falciati e altrettanti, nel tentativo di evitarla, precipitarono nel vuoto, inghiottiti dalla violenta mareggiata che infuriava sotto il Ponte.
Khalida rotolò su sé stessa, nel tentativo di frenare la sua scivolata. Il pavimento sotto di lei era liscio come vetro e non forniva alcun appiglio.
Nel panico, annaspò con le mani, cercando l'impugnatura di Match, riuscì a sfiorarla e poi a stringerla.
In un disperato impeto di rabbia, ne conficcò la punta nel pavimento.
Con i piedi già oltre il margine del Ponte, Khalida emise un gemito di paura e sollievo.
Le braccia le tremavano e faceva fatica a respirare.
Probabilmente nell'impatto si era incrinata qualche costola.
Facendo leva su Match si mise a sedere, esausta.
Sif, pochi metri più in là, era già in piedi, la spada a doppia lama sguainata.
Gli Elfi superstiti si stavano riorganizzando, erano poco più di una dozzina, comunque troppi per le forze di Khalida.
Tastandosi la vita, la donna incontrò l'ultima sfera appesa alla cintura e tirò le labbra in una specie di sorriso, stringendola nel palmo.
Guardò Sif, che sembrava aver intuito il suo piano; la guerriera si accucciò dietro il suo scudo e le fece un cenno di assenso.
Alzarsi in piedi costò a Khalida più dolore di quanto credeva, ma ci riuscì.
Gli Elfi la fissarono e, anche se i loro volti erano nascosti dalle maschere, a Khalida parve che sorridessero di lei, così piccola, in confronto a loro.
Premette il pulsante sulla granata.
«Crepate, bastardi», urlò, lanciandola davanti a sé, proprio nel mezzo dei nemici.
Non rimase ad osservare l'effetto dell'arma, sollevò Match davanti e sé e chiuse gli occhi, acquattandosi a terra, implorando di essere abbastanza distante dal fulcro del buco nero.
Ascoltò i battiti del proprio cuore, ad occhi chiusi, contando i secondi.
«Ben fatto, umana», la ridestò la voce profonda di Heimdall.
Sbattendo le palpebre, Khalida mise a fuoco la figura imponente del Guardiano, l'oro dell'armatura brillava debolmente, insudiciato dal sangue. L'asgardiano aveva un accenno di sorriso sulle labbra carnose e per un attimo Khalida si sentì al sicuro, come se tutto fosse finito.
L'aveva già notato, ma solo in quel momento gli diede peso.
Quando Heimdall la chiamava umana, non lo faceva con la sfumatura dispregiativa che molti ad Asgard avevano utilizzato.
L'asgardiano le porse la mano e lei l'accettò volentieri.
Strinse i denti quando le costole protestarono e gli occhi le si riempirono di lacrime, ma nel compenso era felice di poter ancora sentire dolore.
Sif rinfoderò la spada con un gesto che denotava impazienza. «Sbrighiamoci, ne arriveranno altri», disse, incamminandosi verso il Bifrost.
Heimdall era riuscito a non far penetrare nessuno degli Elfi all'interno della grande cupola dorata e, al suo interno, quasi ci si poteva dimenticare della devastazione e della guerra al di fuori.
«Dove desideri andare?», chiese Heimdall a Khalida.
A casa, pensò immediatamente lei, trattenendo un sorriso. «Portami da lei».
«Dobbiamo raggiungere i Vendicatori. Thor mi ha affidato il compito di informarli di quanto sta avvenendo e di chiedere il loro aiuto», la contraddisse Sif, non trattenendo un'occhiata di sfida nei confronti di Khalida.
Gli occhi di Heimdall ebbero un lieve guizzo divertito. «Fortunatamente, i vostri obiettivi coincido», commentò, salendo i gradini che portavano al piedistallo al centro della camera.
Nell'istante in cui la spada del Guardiano scivolò nella sua sede, un colpo improvviso fece tremare il pavimento sotto i loro piedi.
Heimdall spalancò gli occhi. «Giù!», urlò.
La parete alla loro destra esplose in una nube di schegge affilate, di metallo e pietra.
Il muso di una delle navi nere degli Elfi Oscuri spuntò, invadendo la grande stanza con la sua mole.
L'occhio rosso al centro pulsava, quasi ammiccando in modo ironico.
Khalida strisciò sul pavimento, cercando Match ma non trovandolo.
L'impatto doveva averglielo strappato di dosso.
Un singhiozzo le strozzò il respiro.
Heimdall si alzò in piedi, anche lui disarmato, la sua grande spada spezzata, per metà conficcata nel piedistallo del Bifrost.
Una fessura si aprì nella nave di fronte a loro, sputando fuori due Dannati e un Elfo Oscuro imponente, a volto scoperto.
Era la prima volta che Khalida riusciva a vederne uno in viso e si accorse di quanto i suoi lineamenti fossero simili a quelli degli asgardiani, se escludeva la pelle nera scarnificata e coperta di segni simili a tatuaggi.
Gli occhi bianchi dell'Elfo si posarono su di lei e un ghigno di trionfo affiorò sulle sue labbra.
Abbaiando un ordine ai due Dannati, la creatura si mosse verso di lei.
Khalida tastò il terreno accanto a lei, fino a stringere le dita su un grosso frammento di metallo affilato come una lama. Non appena quell'essere le si fosse avvicinato, glielo avrebbe piantato nel collo, o almeno ci avrebbe provato.
Era in svantaggio, ma non aveva intenzione di arrendersi facilmente.
L'Elfo era a soli tre passi da lei, quando Sif, abbandonando lo scontro con uno dei Dannati, le si parò davanti, la spada a doppia lama pronta a colpire il suo avversario.
L'Elfo rise, in modo sguaiato.
Era apparentemente disarmato, ma questo non sembrava affatto preoccuparlo.
Sif menò un fendente, ma la creatura bloccò il colpo con la mano, stringendo la punta della spada tra le dita. Sangue scuro colò sulla lama, nero come la notte. L'Elfo, insensibile al dolore, non ci badò. Con la mano destra afferrò Sif per il collo, sollevandola a diversi centimetri da terra, i piedi della Dea scalciarono a vuoto e Khalida trattenne il fiato.
«Io sono Malekith», sibilò la voce di vetro dell'Elfo, aumentando la presa sulla spada di Sif.
Incapace di contrastare la sua forza, le dita della Dea persero presa sull'elsa.
La voce di Sif si levò alta, in un grido di dolore e rabbia, quando la sua stessa spada le trafisse la spalla, trapassando l'armatura e le ossa.
Heimdall gridò, ma i due Dannati lo incalzavano troppo da vicino per permettergli di intervenire.
Sorridendo, Malekith lanciò Sif sul pavimento e guardò Khalida negli occhi.
Il bianco ghiaccio delle sue pupille si illuminò e un terrore ancestrale prese la donna alla gola, ma nelle sue corde vocali non c'era più voce per urlare.
Paralizzata, le sue mani persero forza e lasciò andare il pugnale improvvisato che stringeva.
Quando Malekith la colpì alla tempia, a mano aperta, l'oblio fu un sollievo.

Aveva la netta sensazione di aver dormito decine di ore.
Nei suoi sogni antiche leggende si erano sovrapposte a ricordi recenti e remoti.
Ad Ivy sembrava di essere invecchiata e ringiovanita un'infinità di volte.
Sbattendo le palpebre, gli occhi feriti dalle forti luci al neon sopra di lei, la ragazza prese lentamente coscienza di sé stessa, delle lenzuola sotto le mani e della presenza di un'altra persona.
Osservò Drew per un attimo, notando quanto sembrasse giovane.
Era seduto con la testa tra le mani, i capelli rossicci spettinati.
Scalzo, con la tuta sbottonata fino all'ombelico, dava l'idea di una persona esausta.
«Hey», mormorò Ivy, sollevandosi sui gomiti. «Che ore sono?», domandò.
L'agente Whedon sollevò di scatto lo sguardo dal pavimento, un sorriso largo e sincero fiorì sul suo volto. «Neanche le nove», rispose, a voce bassa.
Per un secondo sembrò incerto su come comportarsi, poi mandò all'aria i dubbi e si sedette sul letto accanto ad Ivy. «Come ti senti?».
«Mi fa male la gola», ammise lei. «Devo aver urlato parecchio».
Drew annuì appena. «Hanno dovuto darti un calmante per tranquillizzarti».
Ivy si sentì pizzicare gli occhi. «Mi dispiace».
«Non è stata colpa tua... quella scena avrebbe spaventato chiunque», disse Drew, massaggiandosi la nuca. «Soprattutto te».
Ivy stava per chiedergli come facesse a conoscere la sua storia, poi ricordò che si trovava nello S.H.I.E.L.D., dove probabilmente esistevano fascicoli anche sulle persone non ancora nate. Alla faccia del “lei non è mai stata sotto sorveglianza” di Coulson.
La ragazza si mise a sedere, pettinandosi i capelli con le dita, riuscendo solo a scarmigliarli ancora di più. «Cosa sta succedendo?», chiese.
Drew sospirò. «Non è una cosa che ti deve preoccupare», disse, poco convinto.
«Stai scherzando, vero?», sbottò Ivy. «Ti ricordo che ci vivo, sulla Terra».
Drew arrossì e annaspò per qualche secondo. «Coulson mi ha detto che è meglio non farti sapere niente per... non turbarti», capitolò infine, arrendendosi allo sguardo duro della ragazza.
Ivy sbuffò. «Sveglia Drew! Io sono già turbata. Ciò che dirai non cambierà nulla».
Il giovane agente esitò un momento, poi si lasciò scappare un sorriso. «L'avevo detto a Coulson che non avrebbe funzionato come scusa», borbottò.
La ragazza trattenne un sorriso compiaciuto. La lusingava che Drew pensasse che fosse una persona difficile da convincere, determinata. Era ciò che aveva sempre cercato di essere.
«Allora, che sta accadendo? Una nuova invasione aliena?», chiese, con fin troppo entusiasmo, per celare l'ansia.
«No, almeno che io sappia. Il terremoto che ha colpito Parigi era di magnitudo 8.9, ha raso al suolo la maggioranza della città e deviato il percorso della Senna. Poche ore dopo un altro terremoto, sempre di magnitudo 8.9, ha distrutto gran parte della periferia sud-ovest di Londra», spiegò Drew, con voce fredda, da analista. La maschera che gli piaceva indossare quando il suo lavoro allo S.H.I.E.L.D. lo metteva di fronte ad eventi che riteneva inconcepibili.
Ivy deglutì a vuoto. Aveva voluto sentire la verità, e ne avrebbe portato il peso, ma questo non la rendeva meno terribile.
Khalida le aveva insegnato che la maggioranza delle persone che subiscono un grave trauma si possono dividere in due categorie. Chi esorcizza i propri ricordi analizzandoli e non reprimendoli, inserendoli in contesti freddi e scientifici, oppure chi rimuove l'esperienza, seppellendola nel subconscio.
Ivy entrava decisamente nella prima categoria.
Già prima di vivere con Khalida, Ivy era diventata una grande esperta di terremoti.
Ricordava con precisione tutto quello che era accaduto quando era una bambina. Aveva passato lunghe ore a leggere libri che aveva rubato dalla biblioteca o da qualche villa nei dintorni del suo paese, nella speranza di capire ciò che era successo.
La terra, e la sua potenza sotterranea, era il suo nemico, e lei lo conosceva meglio di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Non ha alcun senso», rifletté la ragazza, picchettandosi il mento con l'indice. «Quella zona dell'Europa non è a rischio sismico, in più è staticamente impossibile che due terremoti così potenti si verifichino in un lasso di tempo tanto breve».
Drew la guardò come se lei avesse appena parlato in greco antico.
«Che c'è? Non sei l'unico che sa leggere un libro, sai?», sbottò lei scherzosamente.
Drew arrossì. «Già, ma credevo che avessi gusti diversi», si giustificò, afferrando il libricino di leggende nordiche che Jane aveva prestato ad Ivy e sventolandolo davanti al naso della ragazza.
Lei sbuffò. «È studio anche questo, anche se di altro tipo», si difese Ivy, stringendosi nelle spalle. «Comunque è affascinante vedere come le antiche popolazioni spiegavano i fenomeni naturali attraverso la mitologia...», una luce si accese improvvisamente nella mente di Ivy, una rivelazione repentina come un fulmine.
In preda alla frenesia, la giovane scattò, scalciando il lenzuolo e cercando di alzarsi. Le coperte le si attorcigliarono alle lunghe gambe, facendola inciampare e finire diretta tra le braccia di Drew, che divenne di un'inedita sfumatura color cremisi.
«Che diavolo fai?», balbettò il giovane agente, cercando di rimettere Ivy sulle sue gambe, ma lei era talmente agitata che nemmeno se ne rendeva conto.
«Chiama Coulson! So cosa sta succedendo!», esclamò lei.
«Cosa?».
Ivy si leccò le labbra, negli occhi aveva una luce vivace, ma preoccupata.
«Qualsiasi cosa stia accadendo ad Asgard, sta succedendo anche qui».
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Facciamo un giochino.
Nel capitolo ci sono moltissime citazioni, più o meno esplicite.
Chi ne indovina per primo/a almeno due, avrà un premio.
Per chi è scrittrice, potrebbe essere un banner per la propria storia, per chi invece non lo è, oppure sa farsi i banner da solo XD, sarà una OS su un momento non raccontato di Similitudini che la persona in questione desidera approfondire.

Spero apprezziate l'iniziativa.

Confido che il prossimo capitolo arrivi in meno tempo di questo, ma non posso assicurarvelo, mi dispiace ;-(.
A presto,
Nicole
  
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